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ITINERARI e LUOGHI
(Culturali, Turistici, Storici, Archeologici, Naturali)
Lungo la via Emilia, tra luoghi storici, Antiche Torri d’avvistamento e Pievi Romaniche, viti, ulivi, pini, cipressi e ginestre, si giunge alla zona della “Vena del Gesso Romagnola”, con un’area ricca di grotte naturali.
Elemento di unione del territorio sono i Sapori e della sua Enogastronomia: i vini Docg, Dop e Igp della Romagna e i pregiati prodotti tipici, come l’Olio Extravergine di Oliva di Brisighella DOP e lo Scalogno di Romagna IGP. (www.stradadellaromagna.it)
LUOGHI DELLA CULTURA
ARTI & MESTIERI
La Mostra Mercato costituisce, per i Ceramisti Faentini, uno spazio d'eccellenza per la Esposizione-Vendita dei loro manufatti, nella quale vengono presentate le migliori collezioni della produzione Artistico-Artigianale di Faenza.
Faenza fa parte della Strada Europea della Ceramica, che rappresenta un percorso Culturale certificato dal Consiglio d'Europa dal 2012 e mira a valorizzare il patrimonio culturale legato alla Produzione della Ceramica e alla sua Antica Tradizione, creando un'offerta turistica sostenibile e basata su Produzioni e Collezioni Artistiche - Botteghe, Laboratori e Musei -, ma anche sull'intero sviluppo culturale e sociale, che queste destinazioni hanno vissuto nel corso degli anni. (www.europeanrouteofceramics.eu)
Gran parte della produzione di Marroni e di Castagne, nazionale e locale, è destinata al consumo fresco (circa il 70-80%), mentre la quota restante, è per lo più assorbita dall'industria dolciaria.
ITINERARI DEL GUSTO - CUCINA DEL BORGO
BEATA VERGINE DELLE GRAZIE titolo della Beata Vergine Maria, è la Patrona principale della Diocesi di Faenza-Modigliana.
Tale fu proclamata nel 1931 e incoronata “Nomine Pontificis” e riconfermata anche quando alla Diocesi di Faenza fu unita alla Diocesi di Modigliana.
La sua Festa si celebra il sabato che precede la seconda Domenica del mese di Maggio.
La Cronaca Latina del Convento di Sant’Andrea in Vineis, composta negli ultimi decenni del 1400, dice che l’Immagine della Madonna delle Grazie fu dipinta nella Chiesa di Sant’Andrea “in Vineis” (attuale Chiesa di San Domenico), nel 1412, come immagine votiva per la liberazione da una Pestilenza, liberazione ottenuta per le preghiere espiatrici, fatte in quel luogo, dopo l’apparizione della Vergine Maria, a certa signora Giovanna.
La Vergine sarebbe apparsa in atteggiamento ritto, con le braccia aperte e tenendo nelle mani 3 frecce spezzate, ad indicare la collera di Dio fermata per l’intercessione delle Preghiere di Maria.
La cronaca testimonia che questo fatto avvenne nel 1412.
1630. Una Pestilenza devastò l’Italia settentrionale (la Peste del Manzoni), ma si fermò a Nord-Ovest della Città e Faenza rimase illesa.
Nel 1765 l’Immagine fu portata dalla Chiesa di San Domenico nella Cattedrale e collocata nella Cappella del Transetto, dedicata allora ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, e fu affidata alla Confraternita che da allora ne cura il culto.
Si ricordano in particolare i momenti in cui la città vide l’intervento miracoloso della Patrona Celeste:
Il 18 maggio 1631 il Cardinal Cennini, Vescovo di Faenza incoronò l’Immagine della Beata Vergine delle Grazie e la Città offrì le Chiavi d’Argento.
1781. Faenza fu colpita da un terribile terremoto, ma non vi fu neppure una vittima.
Fu istituita allora, come ringraziamento, la "Festa annuale del Voto", il 4 Aprile, Festa che ancora si celebra.
1835. Faenza fu liberata dal Colera.
Come ringraziamento l’Immagine della Beata Vergine delle Grazie fu posta sulle 5 Porte della Città.
L’Immagine della Beata Vergine delle Grazie è venerata anche a Varsavia dove fu portata, a metà del 1600, da un Missionario Faentino e il suo Culto si è diffuso tanto che, nel 1653, a rendimento di grazie per la liberazione dalla Peste, fu inviato come Ex Voto a Faenza lo stendardo detto «Votum Varsaviae» che tutt’ora pende dalla Cupola del Duomo.
Nel 1985, la Cappella della Madonna (nel transetto della Cattedrale) fu dichiarata Santuario Diocesano dal Vescovo Monsignor Francesco Tarcisio Bertozzi.
Nel 1991, per la celebrazione decennale, il venerdì precedente la Festa solenne, si é svolto il Pellegrinaggio Cittadino, a partire da 4 punti della Città, idealmente le 4 Porte, riunendosi in Cattedrale dove il Vescovo, con il Clero e i Fedeli, rinnovò l’Atto di Affidamento della Città e Diocesi alla Vergine delle Grazie.
Monsignor Francesco Tarcisio Bertozzi ha stabilito che questo rito si compia ogni anno come voto alla nostra Madre e Regina.
Si ricordiamo, infine, la solenne consegna che Papa Giovanni Paolo II lasciò ai Faentini, alla fine della Celebrazione tenuta in Piazza, in occasione della sua visita alla Romagna il 10 Maggio 1986: «Lascio alla vostra città e Chiesa di Faenza questa missione che viene espressa con il nome amatissimo della Madonna, Maria, Vergine Madre di Dio, delle Grazie.
Vorrei offrirvi di nuovo questo CARISMA con cui la vostra Chiesa vive da tanti secoli e che viene espresso con questa Immagine, tradizione, religiosità e devozione alla Madonna delle Grazie».
SAN PIER DAMIANI o Pier di Damiano o Pietro Damiani (Ravenna, 1007 - Faenza, 21 febbraio 1072 a 71 anni) è stato un Teologo, Vescovo e Cardinale italiano della Chiesa Cattolica che lo venera come Santo, proclamato Dottore della Chiesa nel 1828.
Fu grande riformatore e moralizzatore della Chiesa del suo tempo, autore di importanti scritti liturgici, teologici e morali.
Fu uno dei migliori latinisti del suo tempo.
Diceva di considerarsi «Petrus Ultimus Monachorum Servus» (Pietro, ultimo servo dei Monaci).
Fonte principale per la ricostruzione della sua vita è la Biografia realizzata dal Discepolo prediletto Giovanni da Lodi, Monaco e suo Segretario personale, particolarmente erudito da essere soprannominato «Grammaticus», poi divenuto suo successore come Priore di Fonte Avellana e successivamente eletto Vescovo di Gubbio.
Primi anni di vita (1007-1022)
Piero Damiani nacque a Ravenna, probabilmente all'inizio del 1007, se ne conosce con relativa precisione l'anno di nascita, fatto piuttosto raro per quei tempi, in quanto, egli stesso, riferisce in una delle sue numerose lettere, di essere nato 5 anni dopo la morte dell'imperatore Ottone III.
La sua famiglia era probabilmente, o era stata, di illustri origini, ma quando Piero nacque non era più di condizione agiata.
Aveva 6 fratelli: il più grande era Damiano, che divenne Arciprete e poi Monaco, poi un fratello anonimo, quindi Marino, Rodelinda, la prima sorella, Sufficia, e un'altra sorella anonima;Piero l'ultimo nato.
Rimase orfano di entrambi i genitori in giovanissima età.
Fu allevato dapprima dalla sorella maggiore Rodelinda, poi lo accolse in casa il fratello secondogenito, del quale non si conosce il nome, che lo costrinse a durissimi servizi e lo maltrattò.
Lasciò poi la casa del fratello malvagio e venne accolto dal fratello più grande Damiano, Arciprete.
Probabilmente, per riconoscenza verso questo fratello, Piero aggiungerà al suo nome "Damiani", cioè "di Damiano", che non va inteso dunque come patronimico.
Studi (1022-1032)
Il fratello Damiano, Arciprete di una grande ed importante Pieve presso Ravenna, si occupò non solo del mantenimento, ma anche di fornire un'educazione al fratello Piero, cosa rara per quei tempi.
Lo inviò a Faenza, poiché, presumibilmente, conosceva una Scuola migliore di quelle disponibili allora a Ravenna, ma forse, anche con l'intento di allontanarlo dal fratello malvagio.
Arrivato a Faenza a 15 anni, Piero vi rimase per 4 anni, dal 1022 al 1025.
Terminati gli studi a Faenza, si spostò a Parma, per studiare le Arti Liberali (Arti Liberali era l'espressione con la quale, durante il Medioevo, si intendeva il curriculum di studi seguito dai chierici prima di accedere agli studi universitari.
Più in generale le “Arti Liberali” erano quelle attività dov'era necessario un lavoro prettamente intellettuale, a fronte delle "Arti Meccaniche" che richiedevano lo sforzo fisico.
I 2 gradi dell'insegnamento, l'uno letterario: che comprendeva la grammatica, la retorica e la dialettica (il Trivio); l'altro scientifico: l'aritmetica, la geometria, la musica, l'astronomia (il Quadrivio).
Concettualmente, le Arti liberali risalgono agli antichi Greci, che consideravano l'educazione di tali materie il segno distintivo di una persona istruita, e vi rimase negli anni 1026-1032, tra i 19-25 anni.
Insegnamento (1032-1035)
Terminati gli studi a Parma tornò a Ravenna dove intraprese la carriera di insegnante, che l’occupò probabilmente dal 1032 al 1035, cioè fino a circa 28 anni.
Divenne un rinomato maestro di Arti Liberali, con molti allievi.
È probabile che fosse anche Chierico (Diacono o un altro ordine minore), cosa allora comune per i maestri.
L'Ordinazione Presbiterale, probabilmente, è da collocare durante il periodo di insegnamento a Ravenna (1034-35), ad opera dell'Arcivescovo Gebeardo di Eichstätt.
Vocazione Monacale (1035)
Durante l'insegnamento, maturò progressivamente l'idea di dedicarsi alla Vita Monacale.
Mantenendo immutato lo stile di vita a stretto contatto con la società, cominciò a vivere interiormente come un Monaco: sotto le vesti indossava il Cilicio, digiunava, si prodigava in Preghiere, veglie, digiuni, Opere di Carità.
Come egli stesso raccontò, un fatto preciso lo incoraggiò ad abbracciare la Vita Monastica vera e propria.
Solitamente invitava a mensa alcuni poveri ed un giorno si trovò solo con un cieco e gli offrì del pane scuro, di qualità peggiore, tenendo per sé un pane bianco: una lisca di pesce si conficcò nella sua gola, rischiando di soffocarlo.
Interpretò l'incidente come una giusta punizione per il suo egoismo e prontamente offrì al cieco il pane migliore: immediatamente la lisca scivolò in gola lasciandolo indenne.
L'ingresso nella Vita Monastica avvenne quando conobbe a Ravenna 2 Eremiti di Fonte Avellana, Eremo nella Pentapoli Bizantina, fondato circa un decennio prima dal Ravennate San Romualdo.
Attratto dalla loro umile e composta modestia, li seguì nel loro Eremo e vi si fece Monaco, probabilmente nell'anno 1035, compiuti 28 anni.
Monaco di Fonte Avellana (1035-1043)
A Fonte Avellana, grazie al suo passato di Maestro, gli venne chiesto di istruire i suoi fratelli in campo religioso ed esortarli alla Vita Monastica. Divenne ben presto anche Magister dei Novizi.
In seguito, probabilmente nel 1040, l'Abate di Pomposa, Guido degli Strambiati, chiese al Priore di Fonte Avellana di inviargli Pier Damiani come Magister, per istruire anche la sua Comunità, probabilmente avendone già conosciuta la fama che lo circondava a Ravenna ed avendolo poi apprezzato personalmente a Fonte Avellana; vi rimase circa due anni.
Nel 1042, per ordine del suo Priore di Fonte Avellana, passò da Pomposa al Monastero di San Vincenzo al Furlo (presso Urbino), per riformarne la Disciplina, secondo la riforma Romualdina.
Qui scrisse la «Vita Romualdi» attingendo alle notizie dirette di chi aveva personalmente conosciuto il Monaco Anacoreta: del testo è nota l'Edizione Forlivese del 1641.
Qui inoltre incontrò, e talvolta si scontrò, con alcuni potenti Nobili del tempo, come il Marchese Bonifacio di Toscana o la Dinastia dei Canossa.
Priore di Fonte Avellana (1043-1057)
A fine 1043, in occasione della morte del Priore Guido, ritornò a Fonte Avellana, dove venne eletto dai suoi confratelli (circa 20 Monaci) come suo successore, rimanendo Priore per 14 anni, fino al 1057.
Durante il suo Priorato si adoperò nell'organizzazione e nella promozione della vita Eremitica e di attuare gli ideali Monastici nel suo Monastero.
Redasse una Regola in cui sottolineava fortemente il "rigore dell'Eremo": nel silenzio del Chiostro, il Monaco è chiamato a trascorrere una Vita di Preghiera, diurna e notturna, con prolungati ed austeri digiuni; deve esercitarsi in una generosa carità fraterna e in un'obbedienza al Priore sempre pronta e disponibile.
Pier Damiani qualificò la Cella dell'Eremo come «parlatorio dove Dio conversa con gli uomini».
Curò anche l'ampliamento e la ristrutturazione di edifici esistenti e ne costruì di nuovi, curando in particolare la Biblioteca dell'Eremo.
Fondò, o comunque riorganizzò, all'interno della famiglia Monastica di Fonte Avellana, diversi Eremi e Monasteri dell'ex Esarcato Bizantino.
Oltre ad adoperarsi nell'ambito Monastico, fu uno dei principali e zelanti attuatori della Riforma Gregoriana della Chiesa.
Si recò in visita in molte Diocesi (per esempio Urbino, Assisi, Gubbio) per esortare o rimproverare i Vescovi, ed in alcuni casi, fece pressione sul Papa per far rimuovere Vescovi indegni o Simoniaci (a Pesaro, Fano, Osimo e Città di Castello).
Dopo aver assistito all'incoronazione dell'imperatore Enrico III a Roma entrò in contatto con la Corte e recatosi più volte in Germania, l'imperatrice Agnese fu sua penitente.
Nel 1047 fu presente al Sinodo Romano, celebrato alla presenza dell'Imperatore e presieduto dal Papa, per affrontare e risolvere il problema della Simonia (la simonia era la compravendita di cariche ecclesiastiche nel periodo del Medioevo) e partecipò anche ai Sinodi Romani del 1049, 1050, 1051, 1053.
Nel 1049 compose il «Liber Gomorrhianus», trattante i peccati contro natura.
Col Pontificato di Papa Leone IX (1049-1054) si estese il raggio dell'azione riformatrice di Pier Damiani: ebbe un ruolo attivo anche nel tentativo di trattenere Enrico IV dal divorzio da Berta.
Dal 1050 in poi, Pier Damiani partecipò attivamente con scritti e interventi personali alla Riforma Ecclesiastica che vide in Leone IX il più energico fautore e che lo nominò Priore del Convento di Ocri.
La sua collaborazione proseguì con i successivi Papati di Stefano IX, Niccolò II e Alessandro II.
Consigliere di Papa Stefano IX, nell'agosto-novembre 1057 o il 14 marzo 1058, lo nominò Cardinale e Vescovo di Ostia, cioè uno dei 7 Cardinali Vescovi Suburbicari a più stretto contatto con il Papa.
Stando ai suoi scritti, Pier Damiani non accolse la nomina con favore: si sentiva portato alla vita eremitica, implicante solitudine, silenzio, penitenza, preghiera.
Si trasferì per obbedienza a Roma, a stretto contatto col Papa e con la Corte Pontificia, dove rivestì un ruolo di primissimo piano.
Riformatore
Pier Damiani operò la sua azione riformatrice della Chiesa in diversi modi:
- si adoperò affinché il potere politico fosse privato delle connotazioni sacrali che aveva progressivamente assunto (e che avevano portato alla prassi aberrante della Simonia, che diede origine alla cosiddetta lotta per le investiture);
- mise in risalto l'autorità del Papa, fulcro centrale della vita Ecclesiale (questo da un lato per sottrarre i Vescovi all'autorità dell'Imperatore, dall'altro per non lasciarli sciolti da ogni istanza superiore, come invece chiedeva la corrente detta «Episcopalismo» [teoria della costituzione ecclesiastica, che si fonda sulla priorità dell'ufficio del vescovo, variamente elaborata sia come rivendicazione del primato del Concilio Ecumenico (conciliarismo ), sia come rivendicazione di determinati diritti inerenti alla carica di Vescovo e perciò non soggetti a limitazione o abrogazione da parte del Pontefice (gallicanesimo, febronianesimo, giuseppinismo)];
- cercò di riformare la vita dei Chierici, combattendo il «Nicolaismo» (interpretazione lassista del Celibato Ecclesiastico) e proponendo come modello la Vita Monastica.
Principali missioni per conto del Pontefice
Nel novembre 1059, Papa Niccolò II inviò Pier Damiani a Milano, assieme ad Anselmo da Baggio, Vescovo di Lucca, nonché futuro Papa col nome di Alessandro II.
In quella Città lo scandalo della compravendita delle Cariche Religiose (Simonia) era sotto gli occhi di tutti; il matrimonio dei Sacerdoti era prassi corrente, come lo era il comportamento licenzioso di molti Religiosi.
Le riforme avviate dal Papato, trovarono nella Chiesa Ambrosiana una forte opposizione, in quanto rivendicava la sua autonomia e la sua particolarità.
In controtendenza, un gruppo di Sacerdoti e Diaconi, tra cui Sant'Arialdo e i fratelli Landolfo ed Erlembaldo Cotta, formarono nella Città Ambrosiana, un movimento che gli oppositori soprannominarono «Pataria», da “patée” che in dialetto milanese significa “venditori di cianfrusaglie” (sinonimo di "straccione"), movimento che si scagliava contro il concubinato del Clero e contro il discredito che alcuni Porporati gettavano sulla Chiesa - e non solo sulla Chiesa.
I Vescovi Ambrosiani scomunicarono alcuni membri di questo movimento e provocarono l'intervento del Papato per ristabilire l'ordine e l'obbedienza.
Prima di Pier Damiani, si erano recati a Milano nel 1057 Anselmo da Baggio, Vescovo di Lucca, ed il Monaco Ildebrando da Soana (futuro Papa Gregorio VII), senza successo.
Pier Damiani riunì tutto il Clero in Cattedrale e, richiamata l'autorità di Papa Niccolò, riuscì a strappare un accordo di accettazione del celibato del Clero.
Le tensioni rimasero comunque alte, e dopo la morte di Niccolò II le dispute ripresero e sfociarono nel 1066 nell'uccisione, da parte di 2 Sacerdoti, di Sant'Arialdo.
Nell'aprile 1060, Papa Niccolò decise di mettere la Diocesi di Velletri, vacante da 2 anni (dall'elezione del Vescovo Giovanni Mincio come antiPapa Benedetto X), sotto la giurisdizione della Diocesi di Ostia, e quindi del Damiani: ciò raddoppiò il carico di lavoro e responsabilità del Monaco; dopo Pier Damiani, rimase prassi consolidata che Velletri fosse posta sotto la guida del vescovo di Ostia.
Altre legazioni furono svolte da Pier Damiani a Cluny in Francia (giugno-ottobre 1063), a Firenze, a Mantova, a Ravenna sua città natale, e in numerose località dell'Italia centrale.
Ritorno alla Vita Monastica e gli ultimi anni
Pier Damiani continuò a non amare la vita di Curia e chiese più volte a Papa Alessandro II, di permettergli di ritornare al Chiostro; così, 10 anni dopo la nomina a Vescovo, nel 1067, ottenne il permesso di tornare a Fonte Avellana, rinunciando a tutte le sue cariche.
Ma, dopo soli 2 anni, venne richiamato per un'ultima missione: trattenere Enrico IV dal divorziare da Berta di Savoia, missione che fu coronata da temporaneo successo (Concilio di Magonza, 1069).
La Vita Monastica da lui praticata a Fonte Avellana, e diffusa altrove, era tra le più dure conosciute dal Monachesimo Occidentale: autoflagellazione, penitenze, recita quotidiana del Salterio, quantità minime di cibo, lavoro manuale (egli stesso dichiarò di essere stato particolarmente abile nella produzione di cucchiai di legno).
Nel 1071 si recò a Montecassino per la consacrazione della Chiesa Abbaziale ed agli inizi dell'anno seguente si recò a Ravenna per ristabilire la pace con l'Arcivescovo Enrico, che aveva appoggiato l'antiPapa Clemente III, provocando l'interdetto sulla città.
Durante il viaggio di ritorno all'Eremo di Gamogna (uno dei tanti da lui fondati), un'improvvisa malattia lo costrinse a fermarsi a Faenza, dove fu ospitato nel Monastero Benedettino di Santa Maria Fuori le Mura (oggi conosciuta come Santa Maria Vecchia), dove spirò la notte tra il 21 e il 22 febbraio 1072.
Trovò dapprima sepoltura nella Chiesa del Monastero ed in seguito le sue ossa furono traslate nella Cattedrale di Faenza, dove sono conservate tutt’ora.
Da una recente ricognizione medica sono emerse grosse calcificazioni nelle ossa delle ginocchia, in cui i devoti vedono una testimonianza concreta della sua vita di penitenza.
La Dottrina
Fu scrittore prolifico ed intellettuale raffinato: si conoscono oltre 700 Manoscritti contenenti le sue opere, segno della sua grande autorità e diffusione; scrisse 180 lettere (alcune tanto ampie da essere dei veri e propri trattati, nonostante la forma epistolare); varie Opere Liturgiche ed Eucologiche [l'eucologia è un ramo della Teologia Cristiana che si occupa delle orazioni - "testi eucologici" -, altrimenti dette "Preghiere"]; sermoni da lui tenuti in varie occasioni; Agiografie [letteratura relativa alla vita dei Santi], tra le quali spicca la già citata «Vita Romualdi».
Le sue Opere furono raccolte e pubblicate per la prima volta dal Religioso Benedettino, Padre Costantino Caetani, che le divise in 4 volumi usciti tra il 1606 e il 1640: Lettere nel 1606, Sermoni e Vite dei Santi nel 1608, Opuscoli nel 1615 e Carmina nel 1640
La «Sancta Simplicitas»
L'espressione «Sancta Simplicitas», nel linguaggio di Pier Damiani, designa il coraggio e la forza d'animo dei “Piscatores”, uomini che partecipano con salda convinzione alla Fede.
E proprio ai pescatori si riferisce come modello di virtù nel «De Sancta Semplicitate», lettera indirizzata ad un Monaco di nome Ariprando, che gli aveva manifestato il turbamento di essersi fatto Monaco, troppo giovane, prima di aver studiato a sufficienza la grammatica.
La sete di scienza, è per Damiani una forma di idolatria, che distoglie l'uomo dal vero bene, che è la contemplazione di Dio: è il tema della “Vana Curiositas”: dove il mondo è solo una teofania, la manifestazione di Dio, non c'è necessità di indagare il Creato in quanto tale, ma solo di ammirarlo come "traccia" della Potenza Divina; infatti, la "cupidigia del sapere" è paragonata ad una tentazione diabolica, come quella che spinse Eva a mangiare il frutto dell'Albero della Conoscenza e, a sostegno di questa tesi, Damiani porta appunto i brani della Bibbia e dei Vangeli, a mostrare che Dio affidò sempre la predicazione della sua parola a uomini ignoranti e semplici, come appunto i pescatori: «Tu pure dai un più efficace incitamento a quelli che ti vedono correr sulle orme di Cristo, di quel che non avresti potuto fare se t'avessero udito cercar di persuaderli con gran numero di parole», la semplicità, quindi, è per un Predicatore, non un difetto ma una dote.
Al Monaco si richiede il "sentire" e non le "lettere", queste ultime infatti traggono origine dal primo e non viceversa.
Cita, inoltre, l'esempio di San Benedetto che «è mandato a studiar lettere; ma tosto si sente chiamare alla saggia stoltezza di Cristo» e, nonostante, quindi, Pier Damiani fosse esperto di tutte le Arti Liberali, le disprezza, affinché non divengano oggetto di idolatria e strumenti che, nelle mani di uomini non abbastanza saggi, sono in grado di condurre a eresie.
La Divina Onnipotenza
Lo spunto per l'«Epistola sulla Divina Onnipotenza», viene a Pier Damiani dopo una visita al Monastero di Montecassino, durante la quale, come lui stesso racconta, ebbe una discussione con un Monaco di nome Desiderio, che sosteneva, in base ad una affermazione fatta da San Girolamo che Dio non fosse in grado di restituire la verginità ad una donna che l'avesse perduta; ciò significava, in pratica, che Dio non può cambiare il passato.
Argomentando contro San Girolamo, San Pier Damiani dimostra di non sottostare al principio di autorità: «[...] io non guardo a chi ha detto una cosa, ma a che cosa si dica», collocandolo sul fronte opposto a quei “Dialettici” che in quello stesso periodo del Medioevo andavano affermando nuovi modelli di razionalità, basati soprattutto sulla logica Greco-antica (su tutti Aristotele, l'Auctoritas per eccellenza), ma anche a un certo tipo di Patristica.
L'attribuire un qualche tipo di impotenza a Dio, sembra a Pier Damiani una affermazione che non si può fare con leggerezza; ciò che soprattutto gli preme, è arrestare l'arroganza di quei Teologi che ponevano la Divinità al di sotto della Logica, dimenticando la totale Trascendenza di Dio, che è quindi, al di fuori della portata della ragione umana.
Ciononostante, egli fa appello proprio alla ragione, per mostrare che, se bene usata, essa può servire anche a riportare all'umiltà quelli che, dicendosi sapienti, giungono a dire di Dio che non può fare qualcosa.
Il fatto che, fino ad ora, nessuna vergine sia mai risorta dopo caduta, non è affatto prova che Dio non sia capace di farlo, infatti, argomenta Pier Damiani, fino a prima della nascita di Cristo, si sarebbe potuto dire che Dio non era in grado di far partorire una vergine.
L'unica cosa che Dio non può fare, né sa come fare è il male, ma ciò non è da intendersi come un’impotenza, bensì come rettitudine della Volontà Divina (inoltre era opinione diffusa, a partire da Sant’Agostino di Ippona, che il male fosse privo di positività ontologica [riguardante la natura e la conoscenza dell'essere, come oggetto in sé], che cioè sia nulla): «Ma d'altra parte tutto quel che vuole, senza alcun dubbio, lo può».
Usando quelle che Damiani chiama «le invincibili ragioni della fede», egli argomenta che, non solo Dio può far risorgere "nel merito" una vergine caduta, ma che può farlo anche fisicamente, cioè "nella carne": «Quei che ha formato una creatura che non esisteva, non potrà ripararne una che già esiste ma s'è guastata?».
La questione, di conseguenza, si amplia: che rapporto ha Dio con il tempo?
È in grado di cambiare il passato e far sì che ciò che è accaduto, non sia accaduto?
A queste domande, ancora una volta, Pier Damiani cerca di rispondere con la ragione, fermo restando però il confronto continuo con la rivelazione del Testo Biblico: la Legge del mutamento, governa le cose e gli enti del mondo: nascono, durano, muoiono.
Espressione del divenire è il tempo, scandito secondo il passato, il presente, il futuro, ma per Dio, questi sono la medesima cosa, trascende tali dimensioni: «[...] per rapporto alla sua eternità [...], il suo presente non si cangia mai in passato e il suo oggi non diventa mai domani, né altro momento del tempo».
Dio può (o poteva) impedire l'accadimento delle cose, facendo sì che, ad esempio, Roma, la quale fu fondata in tempi antichi, non sia (o non fosse) fondata?
La risposta dipende dal modo in cui si fa uso della categoria "tempo". In riferimento all'eternità, che gli è propria, Dio può; in relazione all'uomo, che vive e conosce mutamenti incessanti, Egli poteva: « [...] tutto quello che Dio poteva, questo anche può [...].
Quel potere, che aveva prima che Roma sorgesse, permane ognora immutabile[...] sicché, allo stesso modo che, di qualsiasi cosa, possiamo dire che Dio poteva farla, possiamo dire ugualmente che può farla per la ragione che il suo potere, che è coeterno a Lui, resta sempre fermo e immutabile.»
In un'ottica deterministica come quella di Damiani, chi nega a Dio potere sul passato, glielo nega anche sul presente e futuro, poiché sono tutti egualmente necessari.
Bisogna quindi ammettere che nella sua extra-temporalità sia parimenti onnipotente tanto sul passato quanto sul futuro, ma non vi è un "prima" e un "dopo" nella dimensione Divina, tutto ciò che Dio decide di cambiare lo fa nel suo "eterno oggi".
Emergono qui i limiti della ragione umana, dei quali Damiani è ben consapevole, infatti l'implicazione di questa teoria è che Dio sia svincolato dal principio di non-contraddizione, e questa capacità lo pone al di sopra della logica e rende quindi impossibile per l'uomo, che è invece soggetto all'ordine razionale, la comprensione piena del Divino.
Il ruolo della Dialettica
Strumento tipico della Filosofia è la Dialettica: come affronta, questa, il tema dell'Onnipotenza Divina?
Damiani condivide una tesi che vanta antiche e diffuse adesioni: la Dialettica è disciplina formale, che mette ordine nelle idee e nel linguaggio, ma non ha la forza di penetrare nell’essenza intima della realtà.
Di qui i 2 corollari:
Il principio di non contraddizione non ha cittadinanza nella sfera del Creazionismo, e Damiani ha il conforto dei Filosofi classici:
«[...] disputarono circa la conseguenza della necessità o impossibilità secondo la mera virtù della sola arte, così da non fare alcuna menzione di Dio in tali dibattiti.» («De divina onnipotentia»)
La Dottrina Politica
Le vicende del tempo fanno da sfondo alla dottrina politica che Pier Damiani sviluppa nel «Liber Gratissimus» e nella «Disceptatio synodalis», nei quali, alla radice del suo discorso, c'è la distinzione fra autorità religiosa e potere politico, secondo cui, sono inconfondibili le funzioni che svolgono, rispettivamente, il Giudice ed il Sacerdote:
giudicare significa applicare la legge, che colpisce con la nuda sanzione gli atti aventi il profilo di reati;
esercitare il magistero sacerdotale vuol dire disporsi verso il peccatore con lo spirito del perdono, secondo amorevole misericordia.
Egli, come Canonista, in materia Ecclesiastica afferma, quindi, la signoria della personalità che regge le sorti della Chiesa di Cristo: il Romano Pontefice.
Papa Benedetto XVI ha dedicato l'udienza di mercoledì 9/9/2009 alla figura del Santo (vai al testo dell’udienza)
Achille Calzi junior (Faenza, 4 settembre 1873 - Faenza, 19 dicembre 1919) è stato un Pittore e Ceramista.
Fu Artista raffinato volto a nuovi orizzonti europei, dal Naturalismo a un Simbolismo Decorativo, all'ultimo Liberty.
Nella sua espressione artistica ricompose spunti eclettici e letterari, brillante nella caricatura e nella satira, e con particolare felicità nella grafica, ma allo stesso tempo si dimostrò abile nell'eleganza e fare espressivo nella pittura di cavalletto.
Dopo aver frequentato la scuola tecnica e la scuola di Disegno di Faenza, si trasferisce a Firenze per continuare gli studi presso l'Istituto di Belle Arti (1890-1893).
Dalla fine del 1900 al 1904 diventa insegnante di Disegno presso la Scuola d'Arte di Potenza e poi di Avigliano.
Rientrato a Faenza affianca il direttore della Pinacoteca Argnani e si dedica all'arte e alla cultura locale con ricerche e pubblicazioni.
Nel 1906 assume la Direzione delle Fabbriche Riunite di Ceramica, impiegate per l'Esposizione Internazionale di Milano: grazie alla colossale rampa di scale la Ditta ottenne il Gran Premio della Giuria e lo stesso Calzari vinse come direttore artistico la medaglia d'oro.
Sempre in quell'anno divenne Direttore della Pinacoteca e del Museo Civico e nel 1908 nella Scuola di Disegno “Tommaso Minardi” ricevette la Cattedra di Disegno d'Ornato.
Con i lavori delle Fabbriche Riunite, durante l'Esposizione Torricelliana del 1908, fabbrica una fontana e un gabinetto da bagno, collaborando con il Vassura preparando disegni illustrativi di principi scientifici torricelliani nella Tribuna Torricelliana.
Nel 1909 pubblicò l'Opera «Faenza nella Storia e nell'Arte», occupandosi della sezione sull'Arte Faentina dall'Età Antica alla Contemporanea, mentre della parte legata alla storia se ne curò A. Messeri.
1911 divenne Direttore della Scuola di Disegno e Plastica e compì una ricostruzione di una Bottega e Fabbrica di Maioliche di Epoca Rinascimentale per l'Esposizione di Roma del Padiglione Emiliano-Romagnolo.
Redisse il periodico Satirico Bric a Brac nell'estate del 1913, di cui non tutti i numeri escono e collabora 2 anni dopo al periodico torinese «Numero» con caricature satiriche.
Utilizza lo stesso tema satirico anche per la realizzazione di cartelloni a sostegno del fronte interno durante la Prima Guerra Mondiale, affissi sotto ai portici della Piazza di Faenza e seguiti con interessi dal popolo, la maggior parte dei quali polemici contro il disfattismo.
A fine guerra aprì una Bottega di Maioliche in Via Roma nuova, a cui collaborarono molti celebri artisti e tecnici tra cui A. Bucci ed Arturo Martini, il quale fu suo ospite per alcuni mesi.
Diede importanza ad una concezione dell'Arte estesa a quelle applicate e alla decorazione, da ciò, oltre dirigere le Fabbriche Riunite di Ceramica, collaborò anche con l'Ebanisteria Casalini e la Ditta di Ferri Battuti Matteucci.
Per quanto concerne la sua fiorente attività a Faenza, con egual importanza, ideò dall'opera di ordinamento della Pinacoteca alla direzione della Scuola d'Arti e Mestieri, ed ancora Studi sulla Cultura Locale, inoltre maturò la consapevolezza di un'unità e specificità dell'Arte Faentina che comprendeva Arti Figurative, decorazione, come prodotto di cultura.
Propose di qui di riunire le direzioni del nuovo Museo delle Ceramiche, fondato da G. Ballardini nel 1908, con quella della Pinacoteca.
Morì precocemente rompendo la sua fertile attività, ricca di poliedrici interessi, amante della cultura europea scoperta nei viaggi in Francia e Inghilterra, amico di letterati ed artisti come Carducci, D'Annunzio, Zandonai, Sartorio, Baccarini, Dudovich, Pellizza da Volpedo, De Carolis, e molti altri.
DIALETTO
COME RAGGIUNGERE Faenza
Faenza è facilmente raggiungibile dall'Italia e dal resto del mondo perché situata su alcune principali direttrici di traffico.
Chi non utilizza la propria auto per il viaggio può contare su comodi servizi di trasporto.
IN TRENO
La Stazione Ferroviaria di Faenza è situata sulla direttrice Milano-Bari, quindi connessa alle principali Città Italiane, nonché sulla storica linea "Faentina" che la collega direttamente a Firenze attraverso un suggestivo percorso collinare.
Autostrada A14, uscita di Faenza
> Sito Autostrade per l'Italia
Faenza è attraversata da sud-est verso nord-ovest dalla strada statale 9 via Emilia e dall'Autostrada A14 Bologna-Taranto e da nord-est verso sud-ovest dalla strada statale 302 Brisighellese Ravennate.
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