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Emilia Romagna: Faenza la Città della Ceramica


«Le città di Lamone e di Santerno
conduce il lïoncel dal nido bianco,
che muta parte da la state al verno.»
(Dante Alighieri, Inferno, Canto XXVII)

Faenza (Fẽza in romagnolo) è un Comune della Provincia di Ravenna in Emilia Romagna
La città è storicamente nota per la produzione di Ceramica, in particolare la Maiolica. 
Il Centro Storico è caratterizzato da Architetture Rinascimentali e Neoclassiche.

Posta sulla Via Emilia tra Imola e Forlì, poco a Ovest del centro della Romagna, si trova ai piedi dei primi rilievi dell'Appennino Faentino ed è Sede Vescovile della Diocesi di Faenza-Modigliana.
Al limite della pianura Romagnola, dove il Fiume Lamone incrocia la Via Emilia, la Città ha la forma, ed in parte l'atmosfera, che le diedero i Manfredi (suoi signori, prima del passaggio al dominio diretto dello Stato della Chiesa, 1509) ed in particolare la loro cultura in felice rapporto con quella dell'ambiente artistico Fiorentino dell'età umanistica. 
La produzione ceramica, che fu splendida nei 1400-1500, è testimoniata già nel 1142.

FAENZA

Regione: Emilia Romagna
Provincia: Ravenna RA
Altitudine: 35 m slm
Superficie: 215,76 km²
Abitanti: 58.541
Nome abitanti: FaentiniManfredi (dal nome della famiglia che governò la città)
Patrona principale: Beata Vergine delle Grazie (sabato precedente la seconda domenica di maggio)
Patrono secondario: San Pier Damiani
Gemellaggi: Amarousio (Grecia) dal 1992 - Bergerac (Francia) dal 1998 - Gmunden (Austria) dal 2008 - Fiume (Croazia) dal 1983 - Schwäbisch Gmünd (Germania) dal 2001 - Talavera de la Reina (Spagna) dal 1986 - Timișoara (Romania) dal 1991 - Toki (Giappone) dal 1979 - Jingdezhen (Cina) dal 2013





GENIUS LOCI
(Spirito del Luogo - Identità materiale e immateriale)
.
Sinonimo internazionale di Ceramica - Faiance è infatti ancora oggi il nome della maiolica in molte lingue europee - la cui antica tradizione artigianale risale al 1100, Faenza raggiunse il suo splendore nel periodo Rinascimentale. 
Qui l’Arte della Ceramica ha coniugato il nuovo all’antico ed un vivace senso artistico si ritrova nelle Botteghe Artigiane, come negli splendidi Palazzi, nei pregevoli Arredi Urbani, nelle Scuole d’Arte come nelle Manifestazioni Culturali che si svolgono nel corso dell’anno. 
Faenza, posta sulle 2 rive del Fiume Lamone, all'incrocio tra Via Emilia ed un'antica strada che congiungeva il Porto di Ravenna alle parti interne dell'Appennino e quindi alla Toscana, favorevole posizione che ne ha stimolato l'apertura Culturale ed Economica al di fuori dell'ambito Romagnolo, ed ancora oggi, la Città possiede una precipua individualità, frutto del prestigioso passato storico, egemonizzato dall'Arte Ceramica.


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ORIGINE del NOME
(Toponomastica)

Il latino Faventia, da cui Faenza, è un nome augurale; in rapporto col verbo favere "favorire"; è formato col suffisso -entia, comune ad altri toponimi (Fidenza, Potenza, ecc.); quindi la "favorevole", nel senso di «quella che porta favore». 
Il suo è un territorio noto per la fertilità.
Il Toponimo, nella dizione Francese "faience", indica nelle lingue europee la maiolica, terracotta invetriata allo stagno e decorata a "granfuoco".


TERRITORIO
(Topografia e Urbanistica)
 
La Struttura a Maglie Ortogonali, con "Insulae" rettangolari, è ancora oggi riscontrabile nell'andamento viario scandito da strade che insistono sui decumani e sui cardini della centuriazione, con perno nelle attuali piazze del Popolo e della libertà.
La Struttura Urbana Romana non è stata alterata dalla Città Medievale. 
Con la ricostruzione ha visto un'espansione edilizia disordinata al di fuori della vecchia c'è cerchia Murata, che fagocita ed opprime l'esemplare compattezza urbanistica e formale della città storica.
Oggi Faenza è conglobata in quell'unicum edilizio che corre lungo la via Emilia, e ha sempre mantenuto la sua matrice ordinata, geometrica e misurata e una sobrietà di origine classica che ne costituisce ancora il carattere peculiare.
Il Territorio di Faenza, presenta un Ambiente Agricolo, suddiviso tra i Vigneti dei pendii collinari e i coltivati, con tracce dell'Antica Centuriazione Romana in pianura.


«Racconti di Viaggiatori»

«[...] Appoggiato con la schiena ad una colonna egli guardava il Duomo.
L'enorme portone di mezzo era socchiuso, e sull'arco del suo vano si agitava lievemente un drappo rosso, segnacolo di qualche festa religiosa in quel giorno; la scalinata di granito pareva più bianca nel sole, la fontana gorgogliava da tutti i propri zampilli. avvolta in un pulviscolo d'acqua tenue come un vapore. 
Tutto quel largo dinanzi al Duomo e sino in fondo alla piazza rimaneva deserto, nessun fiacchero stazionava ancora presso il caffè, l'omnibus del grande albergo era già ritornato dalla stazione; solo qualche bicicletta passava tratto tratto nel vuoto, silenziosamente [...]»
 
«[...] Il portico leggermente ricurvo era poco illuminato; due guardie di pubblica sicurezza stavano addossate all'ultima colonna verso la piazza [...] stretta fra il doppio loggiato [...]. 
I suoi fanali, bianchi sopra esili colonnine di ghisa, non rischiaravano né la notte né il selciato [...]. 
La massa bruna del Duomo disegnava un'ombra più scura sul lividore biancastro della grande scalinata di granito: un'opera nuova. per la quale nella cittadina si era speso troppo e parlato anche di più [...]»
(Alfredo Oriani, "Vortice" - 1899)

«[...] La piazza (del Popolo e della Libertà) ha un carattere di scenario nelle loggie ad archi bianchi e leggieri e potenti. 
Passa la pescatrice povera nello scenario di caffè concerto. rete sul capo e le spalle di velo nero tenue fitto di neri punti per la piazza viva di archi leggieri e potenti [...]»
("Canti Orfici" di Dino Campana - 1914)


Da «Viaggio in Italia» di Guido Piovene
[...] il comunismo, anziché sui braccianti come a Ravenna ed a Ferrara, fa leva sui Mezzadri, e predomina nelle campagne. 
Se dovessi perciò tentare una definizione sommaria della Romagna d'oggi, metterei l'accento sul populismo, e su una grande fluidità, in cui atteggiamenti diversi sorgono e si trasmutano da un fondo psicologico che resta comune. 
Quasi estinto invece è il potere delle grandi famiglie. 
La tradizione liberale delle grandi famiglie a Ravenna ha lasciato, fuori della politica, un sedimento di cultura abbastanza viva; a Forlì è quasi estinta. 
La si ritrova ancora a Faenza, orientata in senso cattolico. 
I ricordi di un passato guelfo, le predilezioni di un popolo di ceramisti, mobilieri, e in genere da artigiani, fanno di Faenza l’oasi democristiana in Emilia e in Romagna. 
In questa vigorosa regione certi retaggi del guelfismo, del ribellismo e delle lotte comunali non sono ancora interamente disciolti. 
Un altro punto tuttavia è da rilevare in Romagna, ed è forse il più nuovo, perché proprio del dopoguerra. 
Si sa che la sincerità, la nettezza delle opinioni e dei caratteri, gli «uomini tutti d'un pezzo», una certa lunghezza nel tratto, la mascolinità ed il coraggio fisico, sono ideali Romagnoli. 
Ma le delusioni della guerra e del dopoguerra, il cambiamento di alcuni motivi fondamentali della lotta politica, la necessità di associare le opinioni laiche con alleanze religiose, certe mescolanze in attese tra istinti rivoluzionarie ed interessi conservatori, i compromessi degli schieramenti elettorali, hanno portato un senso di disorientamento; ch’è appunto quello dei «sinceri» degli «uomini tutti d'un pezzo», quando la doppiezza non è in loro bensì nei fatti. 
la Romagna tradizionale rimane in superficie, nei discorsi e negli atteggiamenti, ma ondeggia nel fondo.
E al di là di tutto persiste una passione politica maggiore che in qualsiasi altra parte d'Italia, un entusiasmo comiziale perpetuo. 
Vi è in Romagna una speciale oratoria in cui affluisce, con effetti ora drammatici ed ora comici, mescolandosi alla turbolenza, la sua educazione umanistica e classicheggiante. [...]
(Da «Viaggio in Italia» di Guido Piovene (1950) pagine 314-315)


«(...) Rispuose adunque: "I' son frate Alberigo [Manfredi]; / io son quel dalle frutta del mal orto, / che qui riprendo dattero per figo". / "Oh!" diss' io lui, "or se' tu ancor morto?". / Ed elli a me: "Come 'l mio corpo stea / nel mondo su, nulla scienza porto. (...)"»
(Dante, Divina Commedia "Inferno", Canto XXXIII)
 
Alberigo Manfredi, dell'Ordine Laico dei Frati Godenti, era un personaggio assai in vista a Faenza nell'ultimo scorcio del 1200.
Il 2 maggio 1285 invitò a convito presso la Castellina di Pieve Cesato 2 suoi parenti con i quali era in discordia (Manfredo e Alberghetto dei Manfredi), e li fece uccidere a un segnale convenuto, che era quello di servire "la frutta"
Questo suo gesto scellerato l'aveva reso famoso ben oltre le mura cittadine, tanto che Dante sente il bisogno di raccontare l'episodio.
Dante lo colloca nel profondo della voragine infernale: il fiume ghiacciato Cocito, riservato ai traditori. 
E poiché nel 1300 (anno in cui si compie il viaggio nell'aldilà) il Frate Gaudente era ancora vivo, ecco un espediente per metterlo comunque all'inferno: in casi di eccezionale malvagità l'anima si danna prima del tempo, e nel corpo prende posto un Diavolo.


«(...) Frate Alberico (...), in una grave disputa sorta per ragione d'interessi, s'ebbe uno schiaffo da Alberghetto, figlio di Manfredo Manfredi. Quest'ultimo era cugino di frate Alberico (...). per l'onta ricevuta, Alberico concepì un odio mortale contro que' suoi congiunti, e covando in cuore la vendetta sotto mentite apparenze di perdono e di pace, invitò il 2 maggio del 1285 Manfredo ed Alberghetto ad un sontuoso pranzo (...).
Su 'l finire del convito, quando frate Alberico pronunziò ad alta voce l'ordine "vengan le frutta", come a segno convenuto, Ugolino suo figlio, Francesco Manfredi [un altro cugino], Surruccio da Petrella, ed altri sei sicari, si lanciarono co' pugnali levati sui due miseri ospiti, e barbaramente li trucidarono (...)»
Così invece viene spiegato in «Faenza nella storia e nell'arte» da Antonio Messeri e Achille Calzi (1909)

ITINERARI e LUOGHI

(Culturali, Turistici, Storici, Archeologici, Naturali)


Sin dal 1300, Faenza fu un importante punto d’incontro politico e culturale, grazie ai legami che la locale Signoria dei Manfredi, seppe instaurare con la Firenze dei Medici
Per secoli la città è stata impreziosita da monumenti che ancora oggi conservano inalterato il loro fascino.


DA VISITARE

La visita ha come punto di partenza le centrali e contigue Piazza della libertà e del Popolo, divise dalla Via Emilia che, nel tratto urbano, aveva funzione di "Decumanus Maximus", e prende oggi il nome di Corso Mazzini, in direzione di Bologna, e di Corso Saffi, in direzione di Forlì. 
Da esse si staccano rispettivamente i Corsi Garibaldi e Matteotti
Le cortine edilizie che attorniano le 2 Piazze, sono il risultato del rinnovamento iniziato in Epoca Manfrediana e proseguito nel 1600 e 1700.

PIAZZA DEL POPOLO, è il punto più importante e significativo della città, per i suoi attributi di sede del potere amministrativo-politico e per i suoi significati simbolici
I maggiori monumenti della città sono raccolti nelle 2 Piazze contigue cittadine, sistemate a partire dal 1313: Piazza del Popolo e Piazza della Libertà
La prima, accoglie gli Edifici Medioevali del Palazzo del Podestà e di Palazzo Manfredi (oggi sede del Municipio); mentre nella seconda, sorge la Cattedrale, di fronte ad essa il Loggiato del Portico degli Orefici, e, a lato, la monumentale Fontana Maggiore, del 1619-1621.

CATTEDRALE*. L'attuale Duomo, dedicato a San Pietro, fu costruito fra il 1474 ed il 1520, su una preesistente Cattedrale.
La maestosa fronte sorge su un'alta scalinata, corrispondente al "Poggio di San Pietro" dove fu eretto il Duomo più antico, dedicato, come l'attuale, al fondatore della Chiesa Romana. 

La prima pietra dell'edificio odierno, venne posta dal Vescovo Federico Manfredi, ed il cantiere di edificazione del massimo edificio religioso Faentino, fu lungo, complesso e tormentato: artefice fu il Fiorentino Giuliano da Maiano, Architetto di fiducia dei Manfredi, "inviato" a Faenza dai Medici, nel quadro dei rapporti diplomatici e culturali che intercorsero fra le 2 Signorie. 
Giuliano tradusse qui i modelli Rinascimentali Brunelleschiani (si veda il riferimento più evidente che è il San Lorenzo a Firenze), ma reinterpretati con "modi Padani", cui sicuramente concorsero - anche oltre le intenzioni dell'Architetto - le Maestranze Locali.
La FACCIATA, in caldo laterizio grezzo (mattoni dentati) è incompiuta e non è noto quale dovesse essere il rivestimento: quello oggi visibile, in pietra calcarea bianca, limitato alla fascia basale, fu arbitrariamente iniziato in un secondo tempo, quando Giuliano aveva già lasciato il cantiere. 
Ha un'articolazione a 5 corpi, che evidenzia la struttura Basilicale interna a 3 Navate e Cappelle esterne, è partita da Lesene e vi si aprono 3 Portali, finestre sentinate ed oculi. 
Il progetto iniziale Maianeo, prevedeva certamente anche una maggior illuminazione rispetto a quella attuale, parzialmente mortificata dall'occlusione di alcune delle aperture laterali del prim'ordine, a causa di altari, ancone ([dal Greco Bizantino εἰκόνα: icona] - Immagine sacra dipinta su tavola o scolpita in bassorilievo, destinata a essere sovrapposta all’altare, specialmente nell’Arte Gotica e Rinascimentale, spesso racchiusa entro una caratteristica inquadratura architettonica [nel qual caso è detta anche pala d’altare]) ed Opere d'Arte, non previste da Giuliano.
Per la sua importanza (che nell'ambito del Rinascimento è unica a livello regionale, con l'unico riscontro del Tempio Malatestiano di Rimini) e per la sua complessità, si consiglia di visitare questo monumento con abbastanza tempo a disposizione, e con l'aiuto di una guida scritta (e/o anche con questo testo).
L’INTERNO, è a 3 Navate, di schiette forme toscane, caratterizzato, rispetto ai modelli Brunelleschiani, dall’introduzione di pilastri alternati alle colonne, e dalla sostituzione delle coperture piana con volte a vela.
Lungo le Navate minori  si aprono le Cappelle, coperte da vele, al centro delle quali sono grandi tondi con le imprese dei Manfredi, 3 in Maiolica, gli altri in pietra o dipinti: tra quelli Maiolicati, eseguiti da Andrea della Robbia, il più interessante è inserito nella volta del Presbiterio, e raffigura l’impresa del cammello.
Nelle Cappelle, varie opere di scultura del 1400-1500, tra cui: le 2 Arche* di San Terenzio (5^ Cappella a destra) e Sant'Emiliano (8^ sinistra), attribuite a scuola Toscana del 1400; l'Arca di San Savino* (Cappella sinistra del Presbiterio), con rilievi di Benedetto da Maiano (1476). 
Tra i dipinti, Madonna col Bambino e Santi* di Innocenzo da Imola (4^ Cappella a destra).
Dietro il Presbiterio, Coro ligneo (1513).
Si ricorda che in Duomo è sepolto San Pier Damiano, nell'omonima Cappella sul fianco sinistro.

PORTICO DEI SIGNORI o DEGLI OREFICI (1604-1611), fronteggia la Cattedrale, parzialmente rifatto in stile Liberty (1907 circa) con interventi ceramici; sotto le arcate, la Neoclassica Farmacia del Duomo (1820 circa). 

FONTANA MONUMENTALE DI PIAZZA - Sita in Piazza della Libertà rappresenta uno tra i più insigni monumenti della Città di Faenza e, per la sua centralissima posizione, un punto di riferimento ben noto a tutti.
Prossima al crocevia tra i 2 Assi Stradali principali, Barocca, rivestiva anche un’importantissima funzione pratica, in quanto forniva alla popolazione un'acqua ben più salubre di quella dei pozzi interni alla città, spesso inquinati da liquami provenienti da stalle o fogne a dispersione. 
Faenza fu una delle prime Città della Romagna, a dotarsi di un Acquedotto che, seppur limitato a pochi punti di emissione, rappresentò per lungo tempo un vanto per la comunità.
Già in Epoca Rinascimentale una Fontana ad uso del popolo, esisteva presso il Loggiato Comunale; poi, nel 1583, fu incaricato di far giungere l'acqua in centro il Frate Domenico Paganelli (1545-1624), Architetto Pontificio e sovrintendente alla Fabbrica di San Pietro (cioè il Duomo Faentino).
Egli trovò un'acqua ottimamente potabile, in località Cartiera, e fece iniziare la costruzione di un Acquedotto in Terracotta, lavoro che rimase a lungo interrotto, in quanto il Frate fu chiamato a Roma per altre opere, e si riprese nel 1614, portandone a termine i lavori nel 1621.
Fu realizzata da Domenico Castelli, il Fontanino, nel 1619-1621, durante il Pontificato di Paolo V Borghese (sue le imprese Araldiche delle aquile e dei draghi, affiancate dai leoni rampanti dello Stemma cittadino).

TORRE DELL'OROLOGIO (Torre Civica) - Segna il limite della *Piazza del Popolo, posta all'incrocio tra il Cardo ed il Decumano della Faventia Romana.
L'originale, Seicentesca Torre dell'Orologio fu fatta saltare dai Tedeschi in ritirata nel novembre 1944. 
Quella attuale è una ricostruzione fedele, come era e dov'era, del 1953.
Il progetto originario spetta a Fra Domenico Paganelli (lo stesso della sottostante Fontana Monumentale) che a partire dal 1604 la fece erigere, sfruttando una base bugnata Cinquecentesca. 
E' di forma quadrangolare, a 5 ordini sovrapposti e coronata da una cupola. 
In basso, dentro una nicchia provvista di balcone cinto da bella ringhiera in ferro battuto e ottone, c'è una Madonna col Bambino in marmo, di Francesco Scala, del 1611.

VOLTONE DELLA MOLINELLA, conduce dalla Piazza del Popolo, al Teatro Comunale Masini. 
La volta ad ombrello, fu decorata a grottesche da Marco Marchetti nel 1566.

CHIESA della COMMENDA e CHIOSTRO - in Borgo Durbecco (in fondo a Corso Europa).
La Commenda fu, probabilmente, fondata nella prima metà del 1100 (il primo documento sicuro è del 1137), anche se, le parti più antiche, che oggi si vedono, risalgono al 1200 (Abside e parte del Campanile) e al 1300 (Portico per il ricovero dei pellegrini sul fianco sinistro).
Venne eretta assieme all'adiacente Ospizio del Santo Sepolcro, per ospitare pellegrini diretti o provenienti dalla Terra Santa; già nel 1200, entrò nel possesso dei Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (poi di Malta), che la gestirono sempre attraverso Commendatari, cioè Abati, cui l'edificio era affidato anche da un punto di vista economico.
Il più illuminato fra i Commendatari, fu il Milanese Fra Sabba da Castiglione (1480-1554), dotto umanista, che promosse restauri e chiamò a lavorare vari artisti.
Per i primi, va ricordato il rifacimento dell'attiguo Chiostro, nel 1525, e per i secondi, va citato il grande affresco del Catino Absidale, fatto realizzare da Fra Sabba nel 1533, a Girolamo da Treviso, di passaggio a Faenza.
In quest’ultimo affresco, che resta l'opera d'arte più affascinante della Commenda, compaiono - inquadrate in una prospettiva architettonica di raffinato gusto Rinascimentale, con paesaggi di sfondo - 3 donne (la Vergine con Bambino e San Giovannino, Santa Maria Maddalena, con ai piedi l'unguento del Sepolcro, e Santa Caterina d'Alessandria con la ruota dentata simbolo del suo Martirio); ad adorarle, sulla sinistra, inginocchiato, sta lo stesso Fra Sabba in "divisa" da Frate guerriero: casacca Rinascimentale, elmo e spada.
L'altra opera importante è sulla parete di sinistra e consiste in un affresco monocromo, delicatissimo, con Fra Sabba ormai vecchio, presentato da San Giuseppe (Patrono della buona morte) alla Vergine, mentre a sinistra stanno il Battista e la Maddalena. 
Sotto, in pietra nera, c'è la sua Lastra Tombale, con commovente Epigrafe latina, da lui stesso composta, e, ai lati, le figure allegoriche della Pietà e del Silenzio; l'opera è databile a poco prima del 1554, anno di morte di Fra Sabba. 
Sulle pareti ci sono anche interessanti frammenti di affreschi di Scuola locale Trecentesca.

CHIESA di SAN BARTOLOMEO - Edificio Chiesastico fra i più antichi in Faenza, si conosce la data esatta di fondazione, tramandata da un'antica iscrizione: 1209, che conserva parte delle strutture originarie, gradevolmente incorniciato da pochi ma pregevoli alberi (tassi, cipressi, agrifogli). 
Restaurato dopo la I Guerra Mondiale, è stato dedicato ai Caduti di tutte le Guerre.
È importante come esempio di quell'Architettura Romanica che fra 1100 e 1200, vide diverse realizzazioni assai simili tra loro e di cui restano questa e l'identica San Lazzaro sulla Via Emilia. 
I restauri del primo dopoguerra hanno prodotto il radicale rifacimento della facciata e di altre parti, ben riconoscibili per il colore più chiaro e la superficie più netta del laterizio.

CHIESA e CAMPANILE di SANTA MARIA AD NIVES - Il più insigne monumento altomedievale di Faenza (900-1000), eretto dai Benedettini Neri detto anche «Santa Maria foris Portam», questa Chiesa, allora situata fuori dalle mura - quelle Manfrediane, dopo la metà del 1400, la ingloberanno -; è nota anche come «Santa Maria Vecchia», per distinguerla dalla Nuova (o dell'Angelo). 
In origine era orientata, con l'Abside verso Est, come tutte le Chiese Paleocristiane. 
È ancora molto discussa l'ipotesi, che fosse la prima Cattedrale della Città; di quel periodo conserva ancora la parte superiore delle fiancate, con arcate cieche attorno alle grandi finestre (sul modello delle Basiliche Ravennate) e le 2 meravigliose Colonne interne, ai lati dell'ingresso, di breccia Africana, con capitelli in marmo finissimamente scolpiti, di tipologia Teodosiana e attribuiti al 500. 
Fu poi, certamente, affidata ad una Comunità Benedettina e per questo fu frequentata da San Pier Damiano che, di passaggio mentre si dirigeva all'Eremo di Gamogna per la Pasqua del 1072, vi morì (l'ultima Cappella a destra, ex Foresteria dove il Santo venne ospitato, è oggi a lui dedicata).
L'INTERNO risale al 1655, quando Bartolomeo Sauli iniziò il lunghissimo cantiere di rinnovamento, invertendo l'orientamento, ampliando molto gli spazi (le Navate, in origine una, divennero 3) e creando, dove c'era l'Abside, un Ingresso Monumentale preceduto da un Portico.
Oggi l'interno stupisce per l'ariosità e la maestosità, sia pure molto fredda. 
Tra le Opere d'Arte, numerose, ci si soffermi sulla Volta del primo altare a sinistra (Madonna e Santi), del non comune pittore Imolese Gaspare Sacchi (1522) e, sull'Altare di San Bernardo (Cappella a destra dell'Altare Maggiore), con Tavolette raffiguranti le storie del Santo, attribuite al Faentino Niccolò Paganelli (1610 circa).

Il *CAMPANILE venne costruito utilizzando avanzi di materiali più antichi, anche Romani. 
L'assetto strutturale è unico nel suo genere, pur presentando affinità con quelli Ravennati, specie nel dado di base con speroni che si raccordano, nei 4 angoli, alla forma ottagona esterna, che racchiude la Scala a chiocciola girante sulla canna cilindrica interna. 
Sotto la Cella Campanaria, nel 1100, fu sistemata un'altra cella con Colonnette al centro, e piccole volte di copertura (una specie di "Cripta sopraelevata"), dedicata a San Pier Damiano, morto nella Foresteria del Convento, presso la base del Campanile il 22 febbraio 1072. Capitozzata dalle cannonate nel 1944, la parte terminale fu ricostruita nel dopoguerra, facendole riassumere l'aspetto analogo a quello originale che, nel 1400, era stato modificato, sovrapponendo al tetto una Cuspide.

CHIESA di SAN DOMENICO - Grande edificio di origine Medievale, sede dei Domenicani, riedificato nella seconda metà del 1700.
I Frati Domenicani giunsero a Faenza nel 1223 ed 8 anni dopo, ottennero dal Comune un appezzamento di terreno con vigne, dove costruirono Chiesa e Convento, dedicati a Sant'Andrea (in vineis)
Importanti anche i lavori del 1500, di cui resta, soprattutto, l'impianto del Chiostro (in gran parte rifatto del dopoguerra) e la bella Cisterna centrale, opera del Padre Domenico Paganelli. 
La Chiesa, venne completamente ricostruita fra 1761 e 1765. 
L'INTERNO, ostenta un sontuoso Coro, analogo a quello del Redentore (di Palladio) di Venezia, con Colonnato corinzio e scranni lignei Cinquecenteschi, intagliati dal Paganelli.
Fra le Opere d'Arte, si segnala per primo, anche in ordine di comparsa (immediatamente a lato dell'ingresso), il Crocifisso ligneo, di fine 1400, analogo a quello del Duomo, ed attribuito allo stesso anonimo scultore nordico. 
I dipinti, sono in gran parte contemporanei alla ricostruzione della Chiesa e, fra essi, si distingue il San Vincenzo Ferreri di Felice Torelli e i 2 quadri (Visitazione e San Domenico guidato dagli Angeli entra a Faenza) di discussa attribuzione fra l'Atesino Cristoforo Unterberger ed il Faentino Giovanni Gottardi

CHIESA di SAN FRANCESCO - I Frati Minori dell'Ordine Francescano, giunsero a Faenza intorno al 1230, poco dopo i Domenicani e, nel 1271, eressero la loro Chiesa, in stile Gotico, di cui restano pochi avanzi sul fianco esterno destro (un bel Portale, tracce di Archi e qualche altro elemento murario), oltre a residui di Affreschi in Sacrestia. 
Nel 1740, la Chiesa Gotica venne demolita ed iniziò uno dei grandi cantieri della Faenza Settecentesca, terminato nel 1751, diretto dai Capomastri Faentini Raffaele Campidori e Gian Battista Boschi, e dall'Architetto Imolese Cosimo Mattoni. 
Particolarmente sontuosa è la Facciata, che richiama modelli Borrominiani (si guardino gli Obelischi laterali della parte alta, chiaramente mutuati dall'altar maggiore di Santa Maria Nuova). 
A destra, spicca invece la mole della Cappella della Beata Vergine della Concezione, sorta di "appendice laterale" alla Chiesa, ma costituente con lei (e con il Rinascimentale ex Oratorio della Croce, ancor più a destra), un insieme architettonico di riuscitissima unitarietà. 
Il Santuario della Concezione, è di poco precedente alla ricostruzione della Chiesa, risalendo al 1714 (autore fu Scaletta, Faentino, probabilmente su disegni del Bolognese, Alfonso Torregiani).
All'INTERNO spiccano parecchie Opere d'Arte: un Crocifisso ligneo Cinquecentesco, di ignoto autore, forse Emiliano (1ª Cappella a sinistra), la Pala con Sant’Antonio che resuscita un morto (3ª a sinistra), il coro ligneo intarsiato Settecentesco e i vari arredi e particolari architettonici in marmo.

PERCORSO DINO CAMPANA A FAENZA - Uno straordinario percorso nella Città raccontata con il materiale Ceramico, la Poesia ed i luoghi di Dino Campana.
Dino Campana, nativo di Marradi (1885), paese dell'Appennino Tosco-Emiliano, a pochi chilometri da Faenza, è l'autore di uno dei capolavori assoluti del 1900 poetico italiano: i «Canti Orfici» (1914). 
Diverse pagine del libro, ritraggono scorci della Città di Faenza, dove il Poeta trascorse alcuni anni della sua adolescenza. (vai alla Mappa dei Luoghi)

Prati, Fiori, Specchi d'Acqua, nel Cuore della Città

Faenza è una Città Verde: annesso al Museo Civico di Scienze Naturali, che ospita importanti raccolte naturalistiche, il Giardino Botanico conserva più di 170 specie di piante spontanee presenti in Romagna.
Il Verde Pubblico Urbano copre una superficie di circa 100 ettari ed è oggetto di grande cura da parte dell'Amministrazione Pubblica. 
Il Parco Bucci, realizzato nel 1968, si estende per circa 8 ettari tra ondulazioni, prati verdi e zone d'acqua ricche di pesci di uccelli; vanto del Parco è un folto branco di cicogne.

ESCURSIONI

BORGO DURBECCO - Dopo il Fiume Lamone, si trova il Borgo Durbecco, i cui primi insediamenti risalgono al 1000, e dove vi sono la Chiesa della Santissima Annunziata, la Chiesa di Sant'Antonino, la Chiesa della Commenda e la Porta delle Chiavi.
Il Borgo comprende il territorio oltre Ponte delle Grazie sul Fiume Lamone, la cui Via principale è la Via Emilia oggi corrispondente a Corso Europa.
Nel 1313 Francesco Manfredi, Signore di Faenza, portò a termine la costruzione del Ponte delle Torri che collegava Faenza con il Borgo Durbecco, poi distrutto nel 1842 da una piena del Fiume Lamone.
Attualmente il Borgo è collegato alla Città, dal Ponte delle Grazie.
Il Borgo presentava una Cinta Muraria, simile a quella della Città. L'unica Porta ancora visibile è la Porta delle Chiavi, il cui nome deriva dal dono delle chiavi della Città a Papa Pio IX, nel 1857.

MONUMENTI E LUOGHI D'INTERESSE

Partendo dal centro della città, si incontra la Chiesa Quattrocentesca della Santissima Annunziata, oggi sconsacrata e adibita a sala espositiva. 
Storicamente la Chiesa era sede della Compagnia della Santissima Annunziata. 
Appena dietro la Chiesa della Santissima Annunziata, si trova la Chiesa di Sant'Antonino, edificata fra il 1721 e il 1723, su disegno di Giuseppe Antonio Soratini, ed annessa ad un Monastero di Camaldolesi
La facciata realizzata in laterizio, presenta 4 lesene e 2 nicchie nel primo ordine e 2 finestre murate nel secondo. 
All'interno, di derivazione Romana, si trova un interessante altare maggiore e Cappelle laterali architravate.
Continuando si incontra l'edificio più antico del Borgo, la Chiesa della Commenda, fondata nella prima metà del 1100. 
Fu edificata per ospitare i pellegrini diretti o provenienti dalla Terra Santa. 
Nel 1200, la Chiesa entrò in possesso dei Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme che la gestirono attraverso Commendatari e per questo viene detta "della Commenda". 
Nel 1518, fu commendatario, il Lombardo Fra' Sabba da Castiglione che fece realizzare gli affreschi ancor oggi visibili. 
Il notevole affresco dell'abside è opera di Girolamo da Treviso. 
La Chiesa è a navata unica coperta con volta; lateralmente presenta un loggiato; presenta un Chiostro, attualmente sede del Rione Bianco, uno dei 5 Rioni Storici della Città.

TORRE DI ORIOLO
Presso il Borgo collinare di Oriolo dei Fichi, in direzione Sud-Ovest, si trova un Mastio Manfrediano del 1400, a pianta esagonale e della tipologia architettonica detta "a doppio puntone".
Oriolo dei Fichi è un piccolo nucleo abitato situato 9 km a Sud-Est di Faenza, sui primi contrafforti dell'Appennino Romagnolo, a un'altitudine di 141 m slm. 
Il nucleo storico consiste in un piccolo Borgo che comprende: la Chiesa Parrocchiale intitolata a Sant'Apollinare, ed una Piazzetta triangolare, circondata dalle abitazioni che contano una ventina di residenti.
Attorno al Borgo ed all'antica Torre, si estendono le Colline Faentine. Per la particolarità del terreno e del clima di questi pendii, il Vino rappresenta la realtà produttiva più importante della zona: Sangiovese, Albana, Centesimino e Famoso, sono i vitigni autoctoni più coltivati.
La località è storicamente attestata almeno dall'anno 898, quando ne era Signorotto un tal Aghinolfo.
Nel 1017, l'Imperatore Enrico II l'assegnò ad Arnaldo II, Arcivescovo di Ravenna. 
40 anni dopo, l'Arcivescovo Enrico II vi costruì un Castello, che per tutto il Medioevo fu conteso fra le Città di Faenza, Forlì e la Chiesa Ravennate, sua legittima proprietaria.
A partire dal 1300, e fino al 1689, Oriolo godette dello status di Comune Rurale, dotato di una certa autonomia amministrativa, pur rimanendo sotto il controllo di chi possedeva il Castello.
Il territorio del Comune di Oriolo, aveva una superficie approssimativa di 5-6 km², e comprendeva 3 Parrocchie, con una popolazione di circa 500 persone. 
In uno dei punti più panoramici e di maggior interesse della zona, è situata la Torre Quattrocentesca: circondata da un Parco di proprietà del Comune di Faenza.

Storia della Torre - Il 4 gennaio 1474, l'Arcivescovo Bartolomeo Roverella, cedette il dominio di Oriolo a Carlo II Manfredi, Signore di Faenza, per la somma di 2.500 fiorini. 
Il vecchio Castello fu radicalmente ristrutturato e trasformato in Rocca ad uso strettamente militare; in particolare fu ricostruita la Torre, dando origine al possente Mastio esagonale ancora esistente, e fortificato l'accesso mediante 2 mura dotate di camminamenti superiori.
La Rocca, assediata dal Capitano Vitellozzo Vitelli, al soldo di Cesare Borgia, si arrese il 15 novembre 1500 e fu saccheggiata. 
Al termine del breve dominio del Valentino, come il resto della Romagna la località cadde sotto il dominio Veneziano
Con il ritorno della Regione sotto il diretto possesso Pontificio, la Rocca di Oriolo ed il suo territorio, furono definitivamente assegnati al Comune di Faenza. nonostante continuasse ad esistere come Comune Rurale, di cui il 27 novembre 1518, furono promulgati gli Statuti, tutt’ora conservati presso l'Archivio di Stato di Faenza.
Nel corso del 1500, l'importanza militare della Rocca andò gradualmente scemando, e nel 1632 anche il Vicario (una sorta di Governatore Civile inviato dal Comune di Faenza) si rifiutò di andare ad abitare nella Torre. 
Nel frattempo, le Mura del Castello furono smantellate dagli abitanti del luogo, per recuperarne i mattoni, e della fortificazione rimasero solo la Torre e ruderi sparsi.
In seguito allo spopolamento della località, e ad abusi compiuti dai Consiglieri, nel 1689, il Legato Pontificio ordinò la soppressione del Comune di Oriolo, che fu ridotto a semplice Scola (una sorta di circoscrizione di quartiere con limitatissimi poteri, e bilancio ridotto al minimo), e tale rimase fino alla soppressione Napoleonica nel 1797.
Nel 1753, il Comune di Faenza cedette in enfiteusi [diritto reale su un fondo altrui, in base al quale il titolare (enfiteuta) gode del dominio utile sul fondo stesso, obbligandosi però a migliorarlo e pagando al proprietario un canone annuo in denaro ovvero in derrate; secondo il diritto vigente, l'enfiteusi può risolversi in proprietà dopo almeno venti anni, mediante il pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone annuo] a Marcantonio Orioli la Torre, la Casetta già sede del Comune di Oriolo ed un poco di terreno circostante, da tempo ridotto a coltura ed affittato a gente del luogo. 
Contrariamente ai patti, Orioli non restaurò la cima della Torre, creando un terrazzo con parapetto, ma si limitò ad abbattere tetto e merlatura, lasciando come copertura una sorta di cupola di macerie.
Pertanto, nel 1771, l'enfiteusi fu ceduta a Vincenzo Caldesi, che nel 1795 acquistò una vigna adiacente portando agli attuali 18.200 m² l'estensione del terreno circostante la Torre. 
Alla morte di Vincenzo (1809), la proprietà passò ad Antonio Caldesi; nel 1823, egli cedette al Comune di Faenza l'ex Convento dei Servi, acquisendo in cambio la piena proprietà della Torre.
Verso la metà del 1800, alcuni locali interni furono restaurati e adibiti ad abitazione per il contadino che coltivava la vigna circostante; nel 1898 però la famiglia si trasferì in una nuova e più funzionale casetta, costruita a ridosso dei resti delle Mura della Rocca.
Nell'autunno del 1944, la Torre divenne rifugio per un'ottantina di civili fuggiti da Faenza, per timore dei frequenti bombardamenti, ma fu anche sede di un Presidio Tedesco che utilizzava la Torre come punto d'avvistamento; per questo motivo, l'antica fortificazione fu oggetto di numerosi lanci di granate, riuscendo però a resistere grazie al forte spessore dei muri perimetrali.
Abbandonata dopo la fine del conflitto, la Torre fu oggetto, a partire dal 1965, di una campagna di sensibilizzazione per il suo restauro ed apertura al pubblico
Si avviarono trattative con la famiglia Caldesi, proprietaria, e nel 1984 la Torre fu donata alla Città
L'Area Verde su cui insiste il Mastio Manfrediano fu sede, nel 1984, di una innovativa esperienza, un campo di lavoro cui parteciparono giovani della città gemellata Rijeka/Fiume (allora Jugoslavia sotto il Regime Comunista, oggi Croazia UE) e giovani di Faenza, con la finalità di iniziare il processo di trasformazione in parco naturale di una situazione da tempo abbandonata a sé stessa. 
Da quell'esperienza nacque "Aureolum Club", un gruppo organizzato di giovani che si fecero carico, del tutto gratuitamente, della pulizia, della manutenzione del parco recuperato, della sua restituzione alla pubblica fruizione. 
Ad "Aureolum Club", sono subentrati i produttori locali, riuniti in associazione, che si proponevano di valorizzare e di promuovere le vocazioni economico-turistiche dell'amena località faentina. 

Tra il 1986 ed il 1990, la Soprintendenza ai Beni Architettonici di Ravenna, diresse i lavori di restauro del coperto e dei muri esterni della Torre, che fu così riportata in condizioni di sicurezza, ma ancora non visitabile. 
Il restauro dei locali interni fu svolto nel 2003, a cura del Comune di Faenza, con il supporto di un finanziamento della Regione Emilia-Romagna, e la Torre fu aperta al pubblico il 20 marzo 2004.

Descrizione della Torre
L'edificio è di forma esagonale irregolare, con lati lunghi circa 8-9 metri, ed è alto 17 metri fuori terra, più altri 11 interrati. 
Tale forma planimetrica è detta «a doppio puntone», poiché dotata di 2 punte ad angolo retto (orientate all'incirca verso Nord e Sud) mentre gli altri angoli sono ottusi. 
Questa particolare conformazione fa sì che, girando intorno alla Torre, essa appaia di volta in volta quadrata od ottagonale, a seconda degli angoli e lati visibili, e sia così difficile percepire a colpo d'occhio la sua reale geometria. 
Le murature sono in mattoni, con riempimento a sacco in sassi e malta di calce, ed il loro spessore medio è di 2,80 m. 
L'interno è composto da 6 piani, di seguito descritti a partire dal basso:
Al piano interrato, troviamo la Cisterna, che raccoglieva l'acqua piovana del coperto, mediante tubature in cotto ricavate entro i muri; a fianco di essa, ma a quota inferiore, vi è la fossa di scarico, che riceveva le deiezioni provenienti da 4 latrine (utilizzate anche per l'eliminazione dei rifiuti), poste ai piani superiori. 
Entrambi i vani sono inaccessibili, ma visibili dall'alto attraverso aperture presenti nei soffitti a volta.
Al livello superiore, si incontra il piano seminterrato, composto da una sala rettangolare ad uso magazzino provviste, con una nicchia sulla parete di fondo, entro la quale, si trovano: il forno per il pane ed un foro getta-rifiuti
Da questo piano inizia la scala a chiocciola, che ha come proprio perno il pozzo, da cui si attingeva l'acqua della cisterna.
Al 3° livello, corrispondente all'ingresso, vi è la Sala delle Guardie, dotata di 2 postazioni di tiro e di latrina.
Al 4° piano, troviamo la Sala del Castellano, nella quale spicca un ampio focolare, ai cui lati si trovano una latrina ed un ripostiglio
Da questa sala, tramite 2 ponticelli levatoi, oggi scomparsi, si accedeva ai camminamenti sulle Mura della Rocca, anch'esse da lungo tempo smantellate.
Al 5° livello, s'incontra invece un corridoio pentagonale, con 4 postazioni di tiro per archibugi ed una polveriera centrale, coperta con una interessante volta a vela in mattoni disposti a spina di pesce.
La Scala termina nella cosiddetta Torretta, costruita a metà del 1800, da cui si esce sull'ampio terrazzo, ottenuto in seguito alla rimozione delle macerie del vecchio coperto. 
Il panorama visibile dalla Torre comprende le Città di Faenza, Forlì e Ravenna, la Riviera Romagnola da Mirabilandia fino a Cesenatico, il Colle di Bertinoro ed alcune cime dell'Appennino.

PIEVE DI CORLETO
Dell'anno 1000, intitolata a Santo Stefano, conserva una straordinaria *Cripta Medievale con materiale Romano reimpiegato.

La Chiesa attuale non presenta particolari attrattive, se non l'equilibrio dell'architettura, che è un'opera tarda di Giovan Battista Campidori.
Eccezionale è invece, come detto, la Cripta «ad oratorio» e suddivisa in 3 Navate, variamente datata (oggi ci si indirizza verso l'anno 1000), costituita comunque da materiale di recupero assai più antico, in gran parte Romano, tra cui Colonne di rocce esotiche (2 in marmo e 2 in granito), Capitelli diversi tra loro e di spessore diverso per compensare le diverse altezze delle Colonne e appoggiarvi sopra le volte, poi mattoni manubriati (mattoni solitamente di grandi dimensioni, dotati all'estremità di una cavità a maniglia destinata ad agevolarne il trasporto), un'iscrizione, una soglia di casa riutilizzata come architrave, un Capitello del 500 ed una pigna di pietra che stava in cima alla facciata della Vecchia Chiesa, a sostenere una Croce in ferro, ed infine frammenti di una Croce viaria Medievale in «spungone» (pietra locale Romagnola) un tempo posta nel vicino incrocio.

Verdi Vallate, Ville Storiche, e il Selvaggio Paesaggio Carsico della Vena del Gesso

Faenza, posta ai piedi delle prime Colline preAppenniniche, gode di una felice posizione paesaggistica e di un ambiente agrario suggestivo: vigneti a monte, coltivi con tracce dell'antica centuriazione romana e fertili orti in pianura
In prossimità della Città, nelle Verdi Vallate del Samoggia e del Lamone, numerose sono le Ville Gentilizie del Settecento e del secolo scorso, immerse in Nobili Parchi o annunciate da lunghi Viali di Cipressi
Tra tutte si ricordano *«La Rotonda», costruita tra il 1798 e il 1805 su progetto di Giovanni Antonio Antolini, e la *Villa Case Grandi dei Ferniani, celebre per la sua raccolta di Ceramiche, provenienti dalla Manifattura attiva a Faenza nel 1700 e 1800. 
Molteplici le possibilità di escursione nella vicina *Area Carsica della Vena del Gesso, percorrendo ampi crinali di selenite emergente, alla scoperta delle straordinarie morfologie di doline, forre, inghiottitoi. 
Di grande interesse sono le visite guidate al *Parco Carsico della Grotta Tanaccia e al *Parco Naturale Carnè, vasta area verde dotata di centro visite e ristoro. 
Un altro suggestivo percorso, tra boschi e ruderi di fortificazioni Medievali, si svolge da Croce San Daniele a Ca' Malanca, nell'alta Valle del Sintria, al cui termine è stato allestito un piccolo Museo della Resistenza.

STRADA DEI VINI E DEI SAPORI DELLE COLLINE DI FAENZA
Lungo la Via del Sangiovese si trovano luoghi di particolare attrazione Storica, Culturale ed Enogastronomica. 
La Faenza Rinascimentale e Neoclassica con le sue Ceramiche Artistiche. 
La Quattrocentesca splendida Torre di Oriolo dei Fichi.
Il suggestivo Borgo Medievale di Brisighella, ai piedi delle rocce gessose dei suoi 3 colli. 
Riolo Terme stretta attorno alla sua antica Rocca e Casola Valsenio con pregiati tesori del bosco. 

Lungo la via Emilia, tra luoghi storici, Antiche Torri d’avvistamento e Pievi Romaniche, viti, ulivi, pini, cipressi e ginestre, si giunge alla zona della “Vena del Gesso Romagnola”, con un’area ricca di grotte naturali.
Elemento di unione del territorio sono i Sapori e della sua Enogastronomia: i vini Docg, Dop e Igp della Romagna e i pregiati prodotti tipici, come l’Olio Extravergine di Oliva di Brisighella DOP e lo Scalogno di Romagna IGP. (www.stradadellaromagna.it)

LUOGHI DELLA CULTURA

(Musei - Biblioteche - Musica)

LE MAIOLICHE DI FAENZA: tutta la luce e i colori del Rinascimento. A Faenza è possibile visitare una delle raccolte d'arte più belle e complete del mondo: quella conservata presso il Museo Internazionale della Ceramica, che raccoglie pezzi, realizzati in questo materiale, di ogni provenienza geografica e di ogni epoca storica, dalle anfore del mondo classico fino alle moderne opere di Chagall e Picasso, con una ricca sezione dedicata alle Ceramiche Faentine del Rinascimento. 
Altre raccolte d'arte di grande interesse si possono ammirare presso la Pinacoteca Comunale, il Museo Diocesano, il Museo Bendandi e la Biblioteca Manfrediana
La produzione storica delle maioliche faentine è riconosciuta ovunque nel mondo come uno dei momenti più alti della creatività artistica espressa con materiale ceramico. 
Questa tradizione è nata da una felice convergenza di situazioni favorevoli: il terreno del luogo ricco di argille, la persistenza nei secoli di rapporti politici e commerciali con la vicina Toscana (in particolare con Firenze), una grande sensibilità e attitudine verso questa forma d'arte. 

MIC - MUSEO INTERNAZIONALE DELLE CERAMICHE*
Al N. 2 di Via Campidori, all'angolo con viale Baccarini, è Centro di Esposizione e Studi sulla storia e l'Arte della Ceramica d'ogni età e paese. 
Fu fondato nel 1908 da Gaetano Ballardini, che 8 anni più tardi fonderà l'Istituto Statale d'Arte per la Ceramica, ora a lui dedicato.

Il Museo è diventato un importante Centro Culturale di Ricerca e Documentazione per la Ceramica di tutto il mondo e nelle 38 Sale, propone al pubblico un'ampia campionatura di quanto è stato prodotto dall'Antichità Classica, fino all'Epoca Moderna.
Il percorso prende avvio dalle Ceramiche pre-Colombiane, proposte con il supporto di una raffinata didattica, cui seguono quelle dell'Antichità Classica dalla Preistoria all'Epoca Romana, e quindi, i manufatti provenienti dall'Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea) e dal Medio Oriente. 


Al piano superiore del vecchio quadrilatero, è presentata l'evoluzione delle Ceramiche di Faenza dal Basso Medioevo al Rinascimento, che può essere messa a confronto con la produzione del Rinascimento italiano, ripartita per le varie regioni.
Una sezione illustra i successivi sviluppi della Ceramica italiana dal Seicento all'Ottocento, dove è possibile ammirare le Settecentesche Ceramiche Faentine della Manifattura dei Conti Ferniani, mentre nella Sala Europa si può ammirare una selezione dei prodotti delle principali Manifatture Europee. 
Di notevole interesse è il *Presepe Zucchini, esposto in una Sala apposita, raro esempio di Presepe Monumentale Faentino Ottocentesco realizzato per la Famiglia dei Conti Zucchini, dallo Scenografo Romolo Liverani. 
Il Museo non contiene solo alle Ceramiche del passato, ma è attento a quanto, ancora oggi, si produce nel settore; ecco allora i vasti spazi dedicati al Contemporaneo, che prende le mosse dalle Opere dei Premi Faenza, Concorso Internazionale che si celebra dal 1938. 


La sezione accoglie, oltre ad una selezione di Designer, anche capolavori di Artisti universalmente riconosciuti, come: Picasso, Matisse, Georges Rouault, Fernand Léger, Chagall, Salvatore Fancello, Lucio Fontana, Leoncillo, Alberto Burri, Arturo Martini, Fausto Melotti, Ugo Nespolo, Enrico Baj, Arman, Sebastian Matta. 
Infine, nella nuova sala conferenze, il visitatore può accedere a una multivisione sulla genesi del Museo.
Il MIC è stato riconosciuto dal 2011 come «Monumento Testimone di una Cultura di Pace» dall'UNESCO. (clicca qui per andare al sito

MUSEO NAZIONALE DELL'ETÀ NEOCLASSICA IN ROMAGNA (Palazzo Milzetti)
In Età Neoclassica, Architetti come Giuseppe Pistocchi, Giovanni Antonio Antolini, Pietro Tomba ed Artisti come Felice Giani e i suoi seguaci, lo scultore Antonio Trentanove, Giovan Battista Ballanti Graziani, furono artefici di una profonda trasformazione culturale della città. 
Palazzo Milzetti (poi Rondinini), rappresenta l'esito, senza dubbio, più alto del Neoclassicismo Faentino, per la straordinaria integrazione tra l'architettura, la decorazione e l'arredo, permettendo di restituire ai visitatori l'esperienza della vita della Nobiltà Faentina dell'inizio del 1800. 
Il palazzo fu acquistato nel 1973 dallo Stato italiano, ed è stato aperto al pubblico nel 1979, dopo un lungo ed accurato restauro. (palazzomilzetti.jimdofree.com)


PINACOTECA COMUNALE*
Al N. 1 di Via Santa Maria dell'Angelo, nel Palazzo dei Gesuiti, è il più antico Istituto Museale Faentino ed uno dei più antichi nella Regione Emilia-Romagna: nacque nel 1797, quando il Comune di Faenza acquistò la collezione di Opere d'Arte di Giuseppe Zauli. 
Nello stesso anno iniziò l'acquisizione di dipinti provenienti dai Conventi e dalle Chiese soppressi in forza delle Leggi Napoleoniche.
A seguito del continuo incremento delle raccolte, la Pinacoteca venne aperta al pubblico nel 1879
Da allora, e fino ai nostri giorni, il patrimonio artistico è stato notevolmente aumentato da ricche donazioni di privati, da depositi di Enti pubblici, dai reperti archeologici emersi a seguito delle attività edilizie.
Le Collezioni sono ripartite in 2 sezioni: la Sezione Antica e la Galleria d'Arte Moderna
La Sezione Antica, presenta un'ampia panoramica d'Arte e Storia dall'Età Romana al 1700: mosaici, lapidi, sculture ed epigrafi Romane ed alto-Medievali.
La parte più consistente e qualificata delle raccolte è costituita da dipinti e sculture che consentono di percorrere 5 secoli d'Arte Faentina e italiana
I fondi del 1200 e 1300 sono ridotti, ma di grande valore. 
Ben più ampio è il panorama offerto dalle opere del 1400 e 1500; oltre alle tavole tardo-Gotiche, grande rilievo occupano gli Artisti che hanno diffuso il Rinascimento a Faenza: Biagio d'Antonio, G. B. Bertucci il Vecchio, Marco Palmezzano, Donatello, A. Rossellino e il Maestro della Pala Bertoni.
Tra le altre opere: Statua lignea di San Girolamo* di Donatello ed allievi; Madonna col Bambino* di Scuola Ferrarese del 1500; San Giovannino* Busto marmoreo di Antonio Rossellino; 2 Casse Nunziali* intagliate e dorate del 1400; pregevole raccolta di nature morte del 1600 e 1700, Giuditta* dipinto di Scuola Tedesca prima metà del 1600; Madonna col Bambino e Santi*, terracotta di Alfonso Lombardi; Ritratto di Magistrato*, forse di Scuola Olandese della fine del 1500; Fiori e Frutti* tela attribuita a Francesco Guardi.
Imponente è la raccolta di Pale d'Altare del 1500 e 1600 "emigrate" dalle Chiese di Faenza: documentano la vitalità della cultura artistica nell'ambito del manierismo che culmina in Ferraù Fenzoni, l'artista che fa da ponte verso il secolo Barocco. 
Fra i nuclei tematici di maggiore spicco: le Nature Morte di Recco, Ruoppolo, Boselli, Resani, Magini e Levoli, con i quali si entra nel 1700, con i paesaggi, le battaglie, i dipinti di genere, spesso anonimi, talvolta di artisti notevoli: A. Locatelli, S. Orlandi, G. Bucci e F. Guardi.
Il primo nucleo della Galleria d'Arte Moderna si costituisce nel 1879, allorché F. Argnani si preoccupò di inserire nel percorso espositivo anche alcune opere di Autori Contemporanei.


Nei decenni successivi - grazie ad acquisti e soprattutto a donazioni sempre più numerose - i fondi di pittura e scultura del 1800 e 1900 sono cresciuti a tal punto da porre il problema di spazi espositivi adeguati; sono raggruppati per Scuole e Tendenze Storico-Stilistiche: Neoclassicismo e Purismo (Felice Giani, M. Sangiorgi, Tommaso Minardi, Pietro Piani, Gaspare Landi); Romanticismo e Realismo (R. Liverani, M. D'Azeglio, V. Hugo, G. Fattori, A. Berti T. Dalpozzo ed altri comprimari di interesse locale). 


Di recente acquisizione, alcuni dipinti di Scuola Francese del 1800, a cui si affiancano le 2 sculture di Auguste Rodin.
Di straordinario rilievo, il fondo delle opere di Domenico Baccarini, il protagonista dell'intenso rinnovamento artistico Faentino, l’Art Nouveau dei primi anni del 1900, e dei suoi amici e coetanei del «Cenacolo Baccarini», che ne prolungarono per più di mezzo secolo la lezione innovatrice. 
Oltre a questo nucleo sono presenti opere di maestri del 1900 italiano (Giorgio Morandi, Arturo Tosi, Arturo Martini, Filippo De Pisis) e di autori Faentini e Romagnoli.
Ricordiamo infine il Gabinetto Disegni e Stampe: già il nucleo iniziale della Pinacoteca, costituito dalla collezione di G. Zauli, ne comprendeva una consistente raccolta e da allora, fino ad oggi, il fondo di grafica è aumentato fino a raggiungere dimensioni notevoli, quantificabili in circa 20.000 fogli
Sono presenti i nomi più alti dell'incisione europea, da Albrecht Dürer ai contemporanei. (www.pinacotecafaenza.it)

MUSEO DEL RISORGIMENTO E DELL'ETÀ CONTEMPORANEA e Palazzo Laderchi
Il Museo è una raccolta di cimeli e documenti che riguardano personaggi ed eventi storici di Faenza e dintorni, a partire dal 1790, data dell'arrivo delle Truppe Napoleoniche a Faenza, fino al 1945, conclusione della Seconda Guerra Mondiale. 
Vi sono conservate anche lettere e ritratti dei grandi protagonisti Risorgimentali nazionali come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II e documentazione relativa alle Guerre Coloniali italiane e alla Prima Guerra Mondiale. (www.manfrediana.it/museo-risorgimento-eta-contemporanea)

PALAZZO LADERCHI
Realizzato su disegno dell'Architetto Francesco Tadolini, l'esterno del Palazzo, presenta forme neoCinquecentesche che preludono al Neoclassico. 
All'interno, l'aspetto Neoclassico s’impone con le decorazioni di Felice Giani, Gaetano Bertolani e Antonio Trentanove; di particolare interesse, per l'unità stilistica e la bellezza che presentano, sono la Galleria delle Feste, con le storie di Amore e Psiche e lo studiolo ellittico, dedicato all'astronomia.

BIBLIOTECA MANFREDIANA
La Biblioteca Comunale di Faenza ha sede nell'ex-Convento dei Servi di Maria, adiacente l'omonima Chiesa sconsacrata nel 1954.
Contiene la Biblioteca del Collegio dei Gesuiti, con 12.000 volumi, tutti disponibili in Internet (www.manfrediana.it) che ha 160000 contatti anno.
Il primo nucleo librario, risale al 1797 anno delle soppressioni Napoleoniche delle Corporazioni Religiose
Nel 1804 l'Abate Zannoni, divenuto bibliotecario a vita, arricchì la biblioteca dei suoi fondi personali: Edizioni di Classici Greci e Latini, Opere d'Antiquariato e di pregio. 
Superato il dominio Napoleonico, la Biblioteca venne aperta al pubblico il 25 novembre 1818
L'Aula Magna si trova al 1° piano, dove si trova anche l'aula di maggior pregio architettonico: la "Sala Settecentesca", dotata di scansie laccate, eseguite nel 1784. 
Ebbe la funzione di Archivio Notarile Cittadino, fino al 1923, quando gli atti furono trasferiti in altra sede. 
Nella Biblioteca sono conservati numerosi Fondi, 500.000 unità circa, tra i quali sono da annoverare: il Fondo dei Conti Zauli Naldi, raccolto da Monsignor Domenico Zauli, il Fondo Filosofico donato da Monsignor Vincenzo Poletti, il Fondo donato da Monsignor Carlo Mazzotti, le raccolte dei disegni di Romolo Liverani e di Domenico Rambelli, il Fondo dei disegni di Giuseppe Pistocchi, la più ricca collezione di scatole di fiammiferi di epoca Liberty presente in Italia (circa 35.000 esemplari), il Codice 117 (Bonadies) manoscritto musicale del 1400. Secondo una leggenda nata nel Medioevo, all'interno del Pozzo presente nel Piazzale, si celerebbe un Basilisco. (www.manfrediana.it)

MUSEO DIOCESANO
Il museo accoglie la cospicua collezione del Vescovo Monsignor Giuseppe Battaglia, appassionato d'arte, che raccolse nella sua vita, soprattutto Tele di provenienza locale e Lombarda, oppure di proprietà della Diocesi e di altri Enti Ecclesiastici Diocesani. 
La maggior parte dei pezzi, erano destinati al Culto, e sono un esempio della Tradizione Religiosa locale, filtrata dalla dimensione artistica di autori sconosciuti o ignoti, sia di notevole levatura che di tratto modesto o addirittura popolare.
I locali del Palazzo Vescovile che ospitano il Museo sono essi stessi di alto prestigio storico: di notevole importanza sono i superstiti Affreschi della Sala Magna del Vescovado, una delle più antiche testimonianze della pittura Medievale a Faenza. (museodiocesanofaenza.it)

MUSEO CARLO ZAULI
Il museo offre un percorso antologico dell'Opera di Zauli, uno dei maggiori Scultori Ceramisti del 1900, dai primi anni 1950 agli anni 1990.
L'artista Carlo Zauli, è noto a livello internazionale sin dalla fine degli anni 1950 ed è presente in 36 Musei di tutto il mondo. 
Il Museo, è stato ricavato nel Laboratorio dove l'Artista produceva le sue Opere e che, nella seconda metà del 1900, è stato un centro di richiamo per altri grandi artisti. 
Il Museo, svela al visitatore la ricerca di un artista che, da Ceramista divenne Scultore, senza mai tradire le proprie radici. 
Il percorso è arricchito da una visita agli ambienti dello Studio-Bottega: dalla Cantina delle argille alla Stanza degli smalti, dalla Sala dei forni a quella dei grandi rilievi, dove la zolla di terra diventava scultura. (www.museozauli.it)

MUSEO CIVICO DI SCIENZE NATURALI
Il Museo è indubbiamente il più importante e completo museo Scientifico-Naturalistico della Romagna e si trova in un edificio moderno, il Centro "Domenico Malmerendi", appositamente realizzato all'interno di un'area verde allestita a giardino botanico.
Il Museo ospita interessanti raccolte naturalistiche: le Collezioni Ornitologica ed Entomologica Malmerendi, minerali, fossili e reperti speleologici del Gruppo Speleologico Faentino ed importanti resti Paleontologici scoperti nel territorio Faentino: tra cui, va segnalato il cranio di elefante (Mammuthus meridionalis) rinvenuto insieme a resti di bisonte, rinoceronte e ippopotamo, nelle "Sabbie Gialle" di Oriolo di Faenza e i reperti ossei scavati nei "Gessi" di Brisighella.
Il Giardino Botanico annesso al Museo, fu avviato agli inizi degli anni 1980; attualmente alla sua gestione collabora l'Associazione Culturale Pangea che, nel corso degli ultimi anni, ha incrementato notevolmente il numero delle specie presenti. 
Il Giardino, la "Sezione Vivente del Museo", ospita circa 170 specie arboree e arbustive (il numero è in aumento), tra le quali si annovera la quasi totalità delle piante spontanee appartenenti alla flora locale. (www.museoscienzefaenza.it)

MUSEO E OSSERVATORIO SISMOLOGICO (Casa Bendandi)
Il Museo è ospitato nell'edificio che fu l'abitazione di Raffaele Bendandi, Faentino appassionato di Sismologia: in esso si trovano un Centro di Documentazione sui Terremoti, una Biblioteca e l'Osservatorio Sismologico.


La Biblioteca fu sicuramente il luogo più caro a Bendandi: lì studiava, leggeva, consultava, verificava. 
Contiene oltre 1.000 libri, bollettini di diversi Osservatori mondiali, raccolte di giornali ed articoli. 
In 15 scatole e 9 cartelle sono raccolti i calcoli e gli scritti originali. Sulla mensola, sopra la porta, che immette all’Osservatorio, alcuni modelli di giocattoli fabbricati da Bendandi, quando dal 1940 al 1950, lavorò nella «Fabbrica del giocattolo» per motivi di necessità. (osservatoriobendandi.it)

MUSEO TORRICELLIANO
Il museo, è gestito dalla Società Torricelliana di Scienze e Lettere di Faenza, fondata nel 1947 per la custodia della memoria dello scienziato faentino e per lo sviluppo della cultura scientifica a Faenza.
È una raccolta di cimeli e carte di Evangelista Torricelli, insigne fisico, matematico e studioso di geometria, allievo e successore di Galileo Galilei, noto soprattutto per aver inventato il Barometro a mercurio.
Il Museo e la Biblioteca (con oltre 2.000 tra volumi e riviste culturali e scientifiche) sono ospitati in 2 belle sale affrescate di Palazzo Laderchi, in in Corso Garibaldi 2, e conservano i cimeli e le carte Torricelliane che costituirono il nucleo dell'Esposizione Faentina del 1908, organizzata per celebrare il 3° centenario della nascita del grande fisico. 
Gli oggetti più importanti del Museo sono: alcuni manoscritti autografi di Torricelli e di scienziati contemporanei, Barometri del 1800 e del 1900 ed un facsimile del Barometro di Torricelli, 2 modelli di Cannocchiali di Torricelli, strumenti scientifici vari dal 1600 al 1900, un ritratto dello scienziato ad opera di Piancastelli, un vaso di maiolica a sezione di parabola biquadratica, un modello di Dirigibile progettato da Vincenzo Pritelli, 2 Astrolabi, un Anello Orario ed un Globo Celeste del Coronelli. 

MUSEO TRAMONTI
È il Museo dedicato all’opera dell’Artista Guerrino Tramonti, nato a Faenza il 30 giugno 1915.
La Fondazione Guerrino Tramonti è divenuta una realtà nel 2010 per valorizzare il “contenitore” che l’artista volle nella sua Casa-Museo nel 1987, che conta 7 Sale e circa 390 Opere.
Guerrino Tramonti, nasce come Scultore, per poi dedicarsi alla Ceramica e alla Pittura. 
Nelle Sale, sono esposte le Opere che, secondo l’Autore, meglio rispecchiano il suo percorso artistico: un’immensa varietà di forme e di colori e un sublime mondo espressivo creato da un’originale sensibilità cromatica, applicata anche ai Dipinti su tela e tavola.
Il periodo iniziale, risalente agli anni 1930 e 1940, è rappresentato dalle Sculture in terracotta.  
Sono presenti Dipinti del “periodo veneziano”, eseguiti tra il 1945 e il 1948, caratterizzati dall’Estetica post-Metafisica, per passare alle opere in Ceramica smaltata in policromia, con una grande intensità cromatica e dalla straordinaria qualità dei rivestimenti che danno vita a immagini eccezionalmente nitide e poetiche. 
Durante il percorso, possono essere ammirate le sue “Porcellane” che rendevano particolarmente orgoglioso l’artista, opere ispirate ai materiali e alle tecniche della Ceramica di Cina, Corea e Giappone, frutto delle sue ricerche “alchemiche” degli anni 1960. 
Sono presenti anche i suoi famosi «Dischi Decorativi», eseguiti con la tecnica dell’invetriatura a grosso spessore, “inventata” dall’artista nel 1953, quando fu direttore della Scuola d’Arte di Castelli, che contraddistinguono il suo stile più peculiare. 
Nell’ultima Sala troviamo i Dipinti ad olio realizzati tra la fine degli anni 1960 ed il 1992, anno della sua morte. 
A concludere il percorso, è stato ricreato lo studio dove l’artista ha operato negli ultimi anni. (www.tramontiguerrino.it)

MUSEO RICCARDO GATTI
Nel 1998 si è inaugurato nei locali storici della Manifattura, il Museo permanente aperto al pubblico nel quale é possibile ammirare la preziosa collezione retrospettiva delle più rare Opere in Ceramica, realizzate da Riccardo Gatti a partire dal 1908,quando ancora non possedeva un laboratorio proprio.
Il percorso Museale, prosegue con la produzione successiva al 1928, anno di fondazione della Bottega d'Arte Ceramica Gatti
Le opere relative a questo periodo offrono una ricca testimonianza dei rapporti di collaborazione che Riccardo Gatti allacciò con artisti del movimento Futurista, al quale aderì poi personalmente diventando noto e apprezzato nel mondo dell'arte come primo Ceramista Futurista, come attesta uno scritto di Marinetti del 1928


Questo lavoro collaborativo, diede importantissimi risultati nel campo delle Arti Decorative, infatti, Dalla Bottega Gatti uscirono vasi, piatti, servizi da caffè e mattonelle a firma di Balla, Benedetta, Dal Monte, Fabbri, attuando così, uno dei più importanti punti programmatici della Poetica Futurista, intesa a portare le più alte espressioni dell'Avanguardia Artistica, anche negli oggetti d'uso quotidiano.
Nelle vetrine a seguire sono conservate le prime opere a “riflessi”, realizzate tra la fine degli anni 1920 e i primi anni 1930: vasi, statue, ciotole, in cui la tecnica ideata dal Maestro mostra, nella vasta gamma di iridescenze e toni, un'incredibile ricchezza.
La sperimentazione di Riccardo Gatti si rivolse con altrettanto interesse alla ricerca della forma; le vetrine che seguono, conservano, infatti, le opere più rappresentative del secondo dopoguerra, quando ebbe inizio la nota produzione di ceramiche a forme antropomorfe, zoomorfe e astratte.
Il segreto della «tecnica a riflessi», viene tutt’ora tenuto in vita nel lavoro della Bottega
Le vetrine conclusive del percorso raccolgono i più rari risultati ottenuti negli ultimi 20 anni nella continuità di questa tradizione. (www.ceramicagatti.it)

MUSEO DELL'OSPEDALE e Chiesa di San Giovanni di Dio
Costruita tra il 1752 e il 1753 per volere del Vescovo, San Giovanni di Dio la Chiesa, annessa all’Ospedale degli Infermi in Corso Mazzini
Realizzata a pianta rettangolare, con alta aula luminosa, nobilitata dal chiaroscuro degli stucchi e gli inserti di scagliola marmorizzata. 
Conserva dipinti del pittore Faentino del 1700, Giovanni Gottardi.
Nella Sala Museale attigua sono in esposizione artisti che hanno operato per l'istituzione ospedaliera.

MUSEO ALL'APERTO DI OPERE D'ARTE CONTEMPORANEA
Informazioni, Mappa e schede dettagliate delle opere nel pdf scaricabile (clicca qui)

 
A Cà Malanca si trova il MUSEO DELLA RESISTENZA, nel luogo dove si svolse un'importante Battaglia, quando, nell'ottobre del 1944, la 36ª Brigata Garibaldi riuscì a rompere l'accerchiamento Tedesco e a ricongiungersi con gli Inglesi, pagando un prezzo di sangue altissimo. (www.camalanca.it)

ARTI & MESTIERI

LA CERAMICA DI FAENZA
 
La Ceramica a Faenza vanta una tradizione plurisecolare e ancora oggi continua a rivestire una notevole importanza, essendo espressione di artigianato e industria
La Città, per la natura del terreno ricco di argille atte alla foggiatura e per la posizione geografica che ne faceva un punto di incontro tra la Cultura Padana e quella Toscana, seppe costituirsi come centro ceramico di primaria importanza sin dal Medioevo.
A partire dalla fine del 1400 ed agli inizi del 1500, si manifesta nella Maiolica Faentina, un lento abbandono dei temi Goticheggianti ed Orientali, che avevano caratterizzato in parte la tarda produzione Medioevale e quella del primo Rinascimento, verso un linguaggio più prettamente italiano. 
In seguito, la maggiore apertura culturale ed il più stretto legame tra i Maiolicari e i Pittori su tela, fanno sì che si passi dal valore Araldico e Decorativo del repertorio, a forme sempre più sentite e personali della figurazione umana, avviando quel nuovo filone che, per il gusto narrativo, è detto «istoriato».
Poco oltre la metà del 1500, i Maiolicari che avevano già raggiunto altissimi traguardi decorativi, sentono la necessità di imprimere una svolta sostanziale allo stile dei loro prodotti, con la realizzazione di manufatti solitamente denominati «bianchi»
Accanto a forme usuali, oggetti con fogge mosse e stravaganti con una decorazione semplice, caratterizzata da una fattura quasi schizzata da cui la denominazione di stile «compendiario».
La fama di questi prodotti Faentini fu tale, che la Maiolica venne conosciuta nel mondo con il nome di «Faience».
Dalla fine del 1600 in poi la Fabbrica dei Conti Ferniani, diventò il centro propulsore non solo di nuove mode, ma anche di nuove tecnologie, come la tecnica del «Piccolo Fuoco» e l'adozione di un nuovo Prodotto Ceramico di invenzione inglese: la «Terraglia», utilizzata dal 1778 da valenti scultori quali Giulio Tomba, Antonio Trentanove ed altri, per la realizzazione di gruppi scultorei a tutto tondo di soggetto mitologico.
Verso la fine del secolo, appaiono sui servizi da tavola nuove e delicate decorazioni come la foglia di vite, il festone, la ghianda, adottate su forme che per la loro semplicità e linearità, rivelano il  passaggio al gusto Neoclassico.
Nel 1800, invece, vengono recuperate le tecniche degli antichi Maestri e rivalutati i temi classici delle Maioliche Faentine del 1500, in particolare le decorazioni Raffaellesche.

Artigianato Artistico

Nel settore della produzione Artistica ed Artigianale (principalmente nel settore della Ceramica), Faenza è una Città che offre l'opportunità di scoprire molteplici aspetti.
All'inizio del 1900, la Città si impegnò fortemente per una ripresa del settore Ceramico, andato in crisi dalla seconda metà del 1800. 
Il rilancio delle Arti Applicate e dell'Artigianato Faentino, prese avvio a partire dalla grande "Esposizione Torricelliana" del 1908 (realizzata in occasione del terzo centenario della nascita dell'illustre matematico, Evangelista Torricelli), voluta allo scopo di riaffidare alla Città di Faenza il ruolo di Centro Culturale, Economico ed Artistico.
L'avvenimento recuperava i segni tracciati dalle Grandi Esposizioni Internazionali d'Arte e Artigianato, organizzate nelle maggiori Capitali d'Europa nella seconda metà del 1800. 
La vasta sezione di Ceramica, allestita in tale importante occasione, venne, nello stesso anno, utilizzata come prima collezione del nascente Museo Internazionale delle Ceramiche
Dal 1913 iniziò, inoltre, ad essere pubblicata la rivista «Faenza» che, ancora ai giorni nostri, risulta essere fra i più autorevoli periodici del settore a livello internazionale.
Il rinnovato interesse per le le “Arti Applicate", stimolato da tali avvenimenti d’inizio secolo, ha dato avvio ad un processo di aggiornamento Formale, Decorativo e Tecnico, operate dalle Fabbriche Fratelli Minardi, Achille Calzi e di Zoli e Melandri, che a Faenza ha coinvolto, oltre la Ceramica, i diversi settori dell'Artigianato Artistico locale: dal Ferro Battuto al Mobile, dell'Arredo all'Ebanisteria (l'Ebanisteria Casalini vantava, ad esempio, una lunga tradizione Artigianale, abilissimi intagliatori, intarsiatori e la collaborazione di diversi Artisti).
In questo vivace contesto, l'Istituto Statale d'Arte per la Ceramica, dalla sua istituzione avvenuta nel 1916, ha giocato un ruolo fondamentale per la formazione di numerose generazioni di Ceramisti ed Artisti, che hanno reso possibile la progressiva ricostruzione di un tessuto produttivo che ha caratterizzato Faenza nell'Artigianato Artistico e l'area Sassuolese nella Produzione Industriale.
Nel Territorio Faentino la Produzione Ceramica è, infatti, ancora oggi, un fenomeno Artigianale caratterizzato essenzialmente da "Botteghe" di Artigianato Artistico-Storico di piccole dimensioni, molte delle quali dislocate nel Centro Storico della Città.
L'alta competenza tecnica dell'Artigianato Artistico locale, unita ad un gusto raffinato, ha consolidato la tradizione Ceramica e permesso ad Artigiani ed Artisti di Faenza, di dare vita anche ad originali relazioni con il mercato, l'Industria e il Design.
Al Turista che visita la Città, viene offerta la possibilità di acquisti unici ed introvabili altrove, potendo ammirare e scegliere direttamente, quanto viene prodotto nelle 60 "Botteghe" Artigiane e nei diversi Atelier Artistici della Città.
La Ceramica di Faenza, ripropone oggi, una diversificata produzione di oggetti fatti a mano, d'uso quotidiano ed ornamentali, complementi d'arredo, design, opere scultoree ed d'Arte Contemporanea.
Gli Stili Decorativi, attualmente più diffusi sulle ceramiche di Faenza, si ispirano a motivi antichi, scelti fra quelli più correntemente realizzati dai Faentini nei diversi periodi storici, convenzionalmente distinti per Famiglie.
Fra le Tipologie più in uso, lo «Stile Arcaico» (risalente alla produzione tipica in Epoca Medioevale) e lo «Stile Severo» che, nel primo Rinascimento, si contraddistingueva per le decorazioni cosiddette «a occhio di penna di pavone» ed i famosi ritratti delle "Belle Donne".


Le Ceramiche prodotte dai primi del 1500, fino alla metà del secolo, rimandano alle ricche immagini dell'«istoriato» e dello «Stile Bello», in un sofisticato repertorio ispirato dalla Pittura di Raffaello e alle incisioni Rinascimentali: solo l'abilità dei moderni Ceramisti Faentini, consente di apprezzare, ancora oggi, manufatti di grande eleganza.
Verso la metà del 1500 si sviluppa, per oltre un secolo, lo «Stile Compendiario», grazie al quale si deve la fama internazionale di Faenza. 
Lo «Stile Berettino», in uso durante la prima metà del 1500, è l'altra decorazione che ispira gli attuali artigiani, mentre la decorazione di derivazione Orientale cosiddetta «a garofano», si afferma solo a partire dal 1700, per essere oggi, quella più largamente prodotta.
A rimarcare i caratteri di accoglienza della Città e a guidare i visitatori nell'affascinante itinerario dei Laboratori, una Targa Ovale in Ceramica, col disegno di una stretta fra 2 mani, posta all’esterno sulle facciate degli edifici, individua le diverse Botteghe di Faenza, e si ispira alle «Coppe Amatorie», piatti portadolci e boccali realizzati in Ceramica, in uso all'inizio del 1500, offerte come doni di fidanzamento e nozze.
Tra le importanti strutture che operano sui diversi fronti della Ceramica, quella che si rivolge più direttamente al mondo produttivo è l'Ente Ceramica Faenza che, fondato nel 1977, si propone come struttura di riferimento per i Ceramisti allo scopo di curare, in particolare, la valorizzazione della tradizione Ceramica, la sua promozione e la tutela della qualità, in tutte le componenti Artigianali ed Artistiche. 
L'Ente organizza, tra l'altro, la rassegna «Estate Ceramica», che si svolge nel Centro Storico da giugno a ottobre, assieme alla «Mostra Mercato dell'Artigianato Artistico» e, nel primo fine settimana di settembre, l'ormai tradizionale «Mondial Tornianti», gara internazionale fra Maestri Tornianti.

La Mostra Mercato costituisce, per i Ceramisti Faentini, uno spazio d'eccellenza per la Esposizione-Vendita dei loro manufatti, nella quale vengono presentate le migliori collezioni della produzione Artistico-Artigianale di Faenza.

Faenza fa parte della Strada Europea della Ceramica, che rappresenta un percorso Culturale certificato dal Consiglio d'Europa dal 2012 e mira a valorizzare il patrimonio culturale legato alla Produzione della Ceramica e alla sua Antica Tradizione, creando un'offerta turistica sostenibile e basata su Produzioni e Collezioni Artistiche - Botteghe, Laboratori e Musei -, ma anche sull'intero sviluppo culturale e sociale, che queste destinazioni hanno vissuto nel corso degli anni. (www.europeanrouteofceramics.eu)

CIAK SI È GIRATO A Faenza

La Cina è vicina di Marco Bellocchio (1967)


TRAMA: Imola. Si avvicinano le elezioni amministrative e Carlo, un ambizioso ragioniere iscritto al Partito Socialista Unificato (PSU), aspira a diventare assessore. 
Ma i suoi compagni di partito, per accattivarsi l'elettorato borghese, decidono di offrire la candidatura al professor Gordini Malvezzi. 
Deluso, Carlo riesce tuttavia a farsi assumere in qualità di factotum dal professore, mirando a sposarne la sorella Elena. 
Il giovane, già fidanzato con la segretaria di Malvezzi, Giovanna, è talmente accecato dal desiderio di migliorare la propria posizione sociale che va fino in fondo. 
Giovanna si vendica rendendogli pan per focaccia con il professore. 
La dinamica assurda degli incontri fra persone appartenenti a diverse classi sociali è raccontata da Bellocchio in modo grottesco, con toni a tratti caricaturali. 
Molti i temi cari al regista Piacentino: dalla corruzione degli ambienti familiari al trasformismo politico, dalla satira sugli ambienti borghesi allo descrizione dello squallore provinciale.

Fuori uno sotto un altro... arriva il Passatore di Giuliano Carnimeo (1972)


TRAMA: Storia del mitico bandito Romagnolo Stefano Pelloni, detto il "Passatore". 
Le forze dell'ordine assistono impotenti alle scorribande criminali di Pelloni perfino quando, con la sua banda al completo, svaligerà una sala teatrale. 

Gli occhi, la bocca di Marco Bellocchio (1982)


TRAMA: Giovanni, già da tempo emigrato a Roma dove fa l'attore, torna alla casa natia, in una città di provincia ricca e industriosa perché Pippo, il fratello gemello è morto suicida. 
Nevrastenico, prigioniero di frustrazioni, egli rifiuta l'idea che il fratello si sia suicidato.
Si fa prendere dai rimorsi. Lotta fra l'amore per una giovane donna, Vanda, e i fortissimi sensi di colpa verso la madre (per tranquillizzare quest'ultima le apparirà travestito da Pippo come se venisse dall'oltretomba).
Disprezza Vanda, una donna amorale, incinta di Pippo e concausa della di lui morte.
Giovanni è andato ad insultarla ma invece si avventura in un amore burrascoso continuamente minacciato dal fantasma del fratello.

Ladronaia di Andrea Pedna (1993)


Il più lungo giorno di Roberto Riviello (1998)


TRAMA: Siamo intorno al 1930: nel manicomio di Castel Pulci, Dino Campana incontra lo psichiatra Pariani; da questo incontro nasce una amicizia e, a lui, Dino racconta gli episodi fondamentali della sua esistenza. 
Sarà lo zio Mario, malato di mente, ad occupare gran parte dei ricordi del poeta relativi alla sua infanzia. 
Ed è proprio a causa del forte legame che unisce Dino a questa “strana” ed imbarazzante presenza che la famiglia decide di mandare il piccolo in collegio a Faenza; questa esperienza però sarà fortemente traumatizzante per il bambino. 
Iniziano in questo periodo le sue prime esperienze di scrittura poetica, che vengono derise pubblicamente da un professore di lettere di scarsa sensibilità. 
I suoi insuccessi determinano un clima di grande delusione nella famiglia. 
In paese viene già considerato un matto e sarà il padre Giovanni ad abbandonare, a tradimento, il figlio al manicomio di Imola.

ITINERARI DEL GUSTO - PRODOTTI DEL BORGO
(In questa sezione sono riportate le notizie riguardanti prodotti agroalimentari e prodotti tipici)

Tra i prodotti tipici della Romagna, si trovano numerosi vini, formaggi, salumi, frutti e altre eccellenze gastronomiche conosciute in tutto il mondo. 
D’altra parte, la Romagna fa parte della Regione con più prodotti Agroalimentari Certificati d’Europa; l’Emilia Romagna, infatti, può contare su ben 44 prodotti Dop e Igp.

Faenza, Olio di Brisighella e Scottone Romagnole

La fascia collinare ed Appenninica della Provincia di Ravenna, di cui Faenza fa parte, è ricca di peculiarità Storiche, Gastronomiche ed Ambientali, che giustificano una visita ed una traccia stimolante; al proposito, può essere la Strada dei Vini e dei Sapori delle Colline di Faenza (www.stradadellaromagna.it)
Faenza è Capitale Storica della Ceramica, alla quale ha dedicato un importante Museo, ma è anche Città del Vino e Capofila della DOC (Denominazione di Origine Controllata) Colli Faentini
I Vini a marchio DOC sono

TREBBIANO DI ROMAGNA
Vitigno tipico della Romagna dove viene intensamente coltivato, originario forse del Bacino Orientale del Mediterraneo, e scarsamente e sporadicamente diffuso in Emilia ed in altre zone viticole italiane.

Origini Storiche: Presso l'antica Roma era considerato il Vino dei Legionari. 
Era già conosciuto da Plinio che nella sua «Naturalis Historia» lo chiama col nome di Trebulanus. 
Veniva esportato in anfore di terracotta per mezzo delle navi o per mezzo di botti di legno nelle spedizioni militari come si può desumere da un bassorilievo Romano di Treviri.
Caratteristiche: Il Trebbiano di Romagna è un vino bianco tipico della Romagna, che ha ottenuto nel 1973 il riconoscimento a marchio DOC (Denominazione di Origine Controllata).
Viene prodotto nelle zone collinari delle Province di Bologna, Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna. 
Le Uve utilizzate per la produzione del Trebbiano devono avere la dicitura «Trebbiano Romagnolo» ed essere presenti dall'85% al 100%; fino ad un massimo del 15% possono concorrere nella produzione Uve di Vitigni sempre a bacca bianca coltivati nell'Emilia Romagna.
È un vino particolarmente leggero e fresco, che va consumato entro l'anno successivo alla Vendemmia. All'interno della DOC, oltre al classico Trebbiano di Romagna, troviamo anche la versione frizzante e spumante.
Ideale come aperitivo, per accompagnare antipasti all'italiana, come le Tigelle, il Trebbiano di Romagna è un ottimo vino da pasto, da abbinare a piatti delicati a base di pesce o di verdure oppure con salumi e affettati.

SANGIOVESE DI ROMAGNA
Vino comunemente chiamato Vino Nero, col quale già alla fine del 1700, era abitudine allietare i Banchetti Nuziali.
Origini Storiche: La leggenda narra che questo vino debba il suo nome agli antichi Romani, che per la sua vigoria lo chiamarono «Sanguis Jovis» da cui Sangiovese.
Caratteristiche: Il Sangiovese è stato il primo vino Romagnolo riconosciuto DOC (9 luglio 1967) ed è il vino più noto della Romagna. 
È, per popolarità, uno dei vini simbolo di questa gioiosa Regione. 
Oggi in Romagna si producono circa 6 milioni di bottiglie di Sangiovese DOC, esportate nei più importanti mercati mondiali, tra i quali Giappone, Australia, Canada, Stati Uniti e tutti i Paesi Europei. 
Si produce da uve raccolte nelle province di Ravenna, Bologna, Forli, Cesena. 
Il Vitigno è il Sangiovese per almeno l'85%. 
Il colore è rosso-rubino, a volte con orli violacei. 
Il sapore asciutto, armonico, a volte un po' tannico, con retrogusto piacevolmente amarognolo. 
Titolo alcolometrico totale minimo: 11,50%.
Il Sangiovese Superiore, prodotto in una ristretta area collinare della Romagna, ha contenuto alcolico non inferiore a 12° e può essere messo in commercio solo a partire dal 1° aprile dell’anno successivo alla vendemmia.
Il Sangiovese Riserva (menzione attribuita ai vini DOC e DOCG non spumanti) deve essere stato sottoposto ad un periodo di invecchiamento non inferiore ai 2 anni. 
La versione "novello" deve avere una macerazione carbonica delle uve per almeno il 50%. 
Il titolo alcolometrico totale minimo è dell' 11%.
Utilizzi: Il Sangiovese è il classico vino da carne, antipasti (prosciutto, culatello coppa) o lessi, umidi, stracotti, brasati, arrosti, cacciagione, grigliate. 
In casi particolari può accompagnare zuppe di pesce di gran sapore. 
Ideale per formaggi a pasta dura (Parmigiano-Reggiano, Grana Padano) o fermentati (Gorgonzola dolce, Taleggio stagionato). 

PAGADEBIT DI ROMAGNA
Il Pagadebit deve il suo nome - "utile a pagare i debiti" - alla grande produttività di questo vitigno, dal quale si riuscivano ad ottenere discrete produzioni anche quando, per avverse condizioni atmosferiche, le altre produzioni erano scarse.
Origini Storiche: Il Pagadebit deve il suo nome alle caratteristiche dell'uva omonima che concorre per l'85% nella formazione del suo uvaggio. 
Si tratta di un Vitigno estremamente fertile e produttivo, dagli acini robusti e resistenti anche alle più avverse condizioni climatiche, al punto da essere l'unico, in annate particolarmente sfortunate, a fornire comunque frutti nel vigneto e permettere, quindi, al contadino, di poter effettuare ugualmente un seppur minimo raccolto e "pagare i debiti" contratti l'annata precedente. 
Questo Vitigno, diffuso con vari sinonimi in tutta l’Italia Centro-Meridionale, veniva raramente unificato in purezza, in quanto il vino che ne risultava era considerato pesante e poco gradito dal mercato.
Caratteristiche: Ha colore giallo paglierino, odore caratteristico di biancospino, sapore asciutto o amabile, erbaceo, armonico, gradevole, delicato.
La gradazione alcolica minima al consumo e di 10,50% per il tipo secco e l'11% per il tipo amabile. 
Ottimo per antipasti, specialmente di mare, si accompagna molto bene con il pesce in genere, i crostacei, il prosciutto e con la celebre «Piadina Romagnola».
È più apprezzabile se servito fresco e giovane.
Tipologie:
Secco: Caratteristiche organolettiche: colore giallo paglierino, profumo caratteristico di biancospino, sapore secco, erbaceo, gradevole armonico.
Gradazione alcolica minima: 10,50%
Abbinamenti: verdure fritte, risotto. Ottimo come aperitivo.
Amabile: Caratteristiche organolettiche: colore giallo paglierino, profumo caratteristico di biancospino, sapore amabile, erbaceo, gradevole armonico.
Gradazione alcolica minima: 11%
Abbinamenti: con dolci cremosi ed ottimo come aperitivo.

CAGNINA DI ROMAGNA DOC (Denominazione di Origine Controllata)
Allegro vino di colore rosso rubino, profumato di Rosa Canina e dal sapore amabile identificabile in parte delle Province di Forlì-Cesena e Ravenna. 
Ha ottenuto la Denominazione di Origine Controllata il 17 marzo 1988.
Origini Storiche: Le origini del Vitigno Cagnina sono quasi sicuramente Friulane, infatti viene ricordato come il Comune di Udine facesse frequente omaggio di questo Vino, agli illustri personaggi al loro ingresso in Città. 
La diffusione in Romagna, risale forse all'Epoca Bizantina quando, per la costruzione dei più importanti monumenti di Ravenna, si importavano grandi quantità di pietra calcarea dalla Dalmazia e dall'Istria.
Caratteristiche: La Cagnina prodotta oggi in Romagna è un vino di colore rosso, spesso amabile, un po' tannico e leggermente acidulo, pronto da bere a pochi mesi dalla vendemmia, dopo un rapidissimo affinamento in botte. 
In alcune annate particolarmente favorevoli, si può ottenere un prodotto che merita un paio d'anni di invecchiamento per essere bevuto nella sua massima espressione.
La gradazione alcolica minima al consumo e di 11°.
Tecniche di Produzione: È prodotto dalle uve provenienti dal Vitigno Refosco, localmente denominato Terrano, per almeno l'85%, mentre il restante 15% può essere di Uve di Vitigni "raccomandati" o "autorizzati" presenti nei Vigneti. 
La produzione massima di Uva per ettaro è di 130 quintali, la resa di vino non superiore al 65%. 
Le Uve vengono raccolte verso la fine di settembre e vinificate; il Vino è imbottigliato verso la prima decade di novembre per poter meglio apprezzare le sue caratteristiche organolettiche. 
È ottimo con dolci, pasticceria secca, Ciambella Romagnola e sulle fragole. 
Dà calore alle serate invernali passate con amici in compagnia di castagne arrostite. 
Da bersi leggermente fresco e soprattutto in gioventù per coglierne al meglio tutte le sue caratteristiche.

ALBANA DI ROMAGNA DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita)
Origini Storiche: Le prime notizie che riguardano l'Albana sono avvolte nella leggenda. 
Si racconta che Galla Placidia lo assaggio e ne rimase estasiata, mentre Federico Barbarossa, ospite sui Colli Forlivesi, ne fosse talmente estasiato da concedersi frequenti sbornie.
Caratteristiche: Vino bianco dal sapore asciutto, spesso anche amabile o semidolce di acidità moderata, corposo, un po' tannico, con evidente amarognolo gradevole, talvolta anche leggermente maderizzante (è il processo - controllato o incontrollato - di esposizione del vino al calore e all'ossidazione, che a sua volta scurisce il colore e ne altera il gusto) dal colore giallo paglierino spesso anche carico e dorato. 

L'Albana semidolce ricorda la frutta polposa secca.
Tecniche di Produzione: L'albana viene prodotta in 4 tipi particolari, secco, amabile, dolce, passito.
Il tipo secco si presenta di colore giallo paglierino, tendente al dorato con invecchiamento. 
L'odore esprime un leggero profumo tipico dell'Albana. 
Il sapore è asciutto, un po' tannico, caldo e ben equilibrato. 
La gradazione alcolica complessiva minima e 11,50°. 
Bevuto giovane ad una temperatura di circa 10°C è un ottimo vino a tutto pasto, che meglio si accosta a piatti a base di pesce, alle lumache, ai fritti di mare, alle zuppe e ai brodetti. 
Può essere servito anche con il fegato d'oca e le carni bianche. 
Eccellente per accompagnare minestre in brodo e creme. 
I tipi amabile e dolce hanno ugualmente colore giallo paglierino, odore caratteristico dell'Albana, sapore amabile o dolce, fruttato gradevole. 
La gradazione alcolica complessiva minima è di 12°. 
Preferibile da bersi in giovinezza ad una temperatura di 6-7°C si accompagnano egregiamente con dolci di vario tipo, torte, panettoni, crostate di frutta e pasticceria da forno e la frutta (esclusi fichi freschi, uve ed agrumi). Ottimo per la ciambella, tipico dolce Romagnolo.

L'Albana di Romagna passito, vino rosso raro per palati fini, si presenta di colore giallo dorato tendente all'ambrato, odore intenso, caratteristico, sapore vellutato gradevolmente amabile o dolce. 
La gradazione alcolica mista svolta è di 12°, complessiva di 15,5° e non può essere immesso al consumo prima del 1° aprile successivo alla Vendemmia. 
Vino longevo, va servito ad una temperatura di circa 7°C e si sposa con amore a pasticceria secca, formaggi particolari tipo il gorgonzola piccante o quelli erborinati. Ottimo berne un bicchierino fuori pasto con gli amici.

Da Val Lamone e in Val Senio, dove i Panorami, nel tratto di pochi chilometri, passano dai boschi di Riolo Terme, dominata dalla sua Rocca, che compare anche nel Marchio dello
 
SCALOGNO DI ROMAGNA IGP
Prodotto tipico della Provincia di Ravenna, ottenuto secondo tecniche naturali e rispettose dell'ambiente, tipico della varietà: non può essere coltivato in successione a sé stesso o ad altre liliacee, né a solanacee, barbabietole e cavoli.
Origini Storiche: Lo Scalogno di Romagna sembra originario del Medio Oriente, precisamente dalla Città di Ascalone Castello di Giudea, così lo cita Plinio. 
È ricordato anche dal Boccaccio nelle sue novelle, cosi Dioscoride descrive lo scalogno il «Bulbus Ascalonites», mentre Ovidio trattando degli Afrodisiaci, include lo Scalogno, ritenuto già dagli antichi uno stimolante delle funzioni sessuali.
Tuttavia lo Scalogno fu certamente coltivato nel Giardino di Carlo Magno ed il suo uso andò diffondendosi durante il 1100.
Dal 1200 lo Scalogno è già ben affermato in Francia, paese in cui è molto apprezzato per il un ruolo importantissimo nella cucina raffinata.
Differisce dallo Scalogno Romagnolo per l'aroma che è più simile alla cipolla, per radici sensibilmente molto più corte, per i fusti o foglie diversi. 
In Europa, lo scalogno è conosciuto con il nome: Echalote in Francia, Shallet in Inghilterra, in Germania Schalotte, ed Ascalonia o Chalota in Spagna.
Caratteristiche: Lo Scalogno di Romagna, da non confondersi con quello Francese, più esposto nei supermercati, è un prodotto tipico della Provincia di Ravenna. 
È una pianta erbacea da Orto, fa famiglia con le Liliacee e si propaga per bulbo o meglio per bulbilli. In nome del piccolo bulbo dal nome altisonante di «Allium Ascolanicum», si sono mobilitati Ricercatori Universitari, si sono consultati gli antichi testi classici, si è ottenuta la Identificazione Geografica Protetta (IGP) che ne decreta la sovrana residenza in un fazzoletto di Romagna. 
Lo Scalogno è un prodotto biologico in senso pieno, non ha bisogno di niente per crescere e mantenete le sue piacevoli caratteristiche. 
Lo Scalogno, contrariamente alle altre Liliacee, aglio e cipolla, non ha fiore, non c'è perciò scambio di pollini tra una pianta e l'altra e la riproduzione avviene sempre e solo per bulbo. 
Lo Scalogno di oggi, se analizzato è lo stesso di 2000 anni fa. 
Il colore bianco violaceo, distribuito sulla forma a fiaschetto, è invitante e suggerisce gustosi antipasti estivi o robuste preparazioni autunnali, al seguito di funghi porcini, arrosti, bistecchine.
Utilizzi: Diversi sono gli usi dello Scalogno e precisamente si possono utilizzare: le foglie, raccolte ancora verdi, tagliate finemente per insaporire insalate con pomodoro, lattuga, cicoria, ecc. 
I bulbi freschi, ripuliti dalla pellicola esterna, si tagliano a fettine sottili per aromatizzare piatti, conferendo a questi, quel loro sapore leggermente piccante. 
Con i bulbi tagliati, cubetti di prosciutto e pomodoro si prepara un ottimo e gustoso ragù per tagliatelle o tagliolini all'uovo. 

Distese di Lavanda di Casola Valsenio, inatteso scampolo di Provenza in Romagna, agli speroni rocciosi che sovrastano Brisighella, coronati dalla Rocca, dalla Torre dell'Orologio e dal Santuario di Nostra Signora della Natività; la cui Via degli Asini, ricorda gli antichi commerci.
Ed oggi, la Cittadina, già nota per i Tartufi, vanta una produzione di OLIO DI BRISIGHELLA DOP (Denominazione di Origine Protetta) il Brisighello - Prodotto tipico, la cui coltivazione nella Valle del Lamone risale all'Epoca Romana (100 d.C.). 
I Brisighellesi, nel 1996, sono stati i primi in Italia ad ottenere la Denominazione di Origine Protetta per il loro Olio.
Caratteristiche e Tipologie: Brisighella possiede una realtà Olivicola fra le più interessanti del Nord Italia. 
Dal Frantoio della Cooperativa Agricola Brisighellese esce il 90% della produzione locale di Olio a Denominazione di Origine Protetta (DOP).
I Prodotti Tipici di questo Territorio sono:
«Olio Extra Vergine di Brisighella» - colore verde-giallo, profumo di fiori, sapore deciso, eccellente su ortaggi, cereali e zuppe. 
Tale Olio ha recentemente ottenuto la DOP.
«Olio Brisighello» - Olio Extra Vergine di Olive di varietà nostrana scrupolosamente selezionate. 
Di colore verde, presenta un profumo ampio e continuo ed un sapore ammandorlato che si sposa magnificamente con i piatti di pesce. 
La produzione media annua si aggira attorno alle 5.000 bottiglie.
«Nobildrupa» - Olio Extra Vergine di Olive di varietà «Ghiacciola». 
Si presenta con una colorazione verde, un profumo fruttato, un sapore sottile e amarognolo che si abbina pienamente alla Cucina Mediterranea e Rustica.

Vero tesoro di queste terre è la Zootecnia
Introdotti dai Longobardi fra 300 e 400, i grigi Bovini di Razza Romagnola che sono apprezzatissimi dai Buongustai: soprattutto i "Vitelloni", maschi da 600-700 kg, e le "Scottone", femmine da 500-550 kg. 
Gli Ovini, di razza Sarda e Massese, con i quali si fa il 

CASTRATO (Carni di Ovini con peso vivo tra i 40 e i 100 Kg ed un massimo di 12 mesi di vita), di carni fresche ovine on marchio di Qualità Controllata: derivanti da animali identificati alla produzione e seguiti fino al banco vendita con certificato di garanzia sulle modalità di allevamento e sul tipo di alimentazione.
Ed i Suini dell'antica Razza 

MORA ROMAGNOLA (suino locale di colore nero).
La “Mora” ha popolato tutto il versante Nord dell’Appennino nelle Provincie di Ravenna e Forlì fino agli anni 1950. 
E’ un Antico Suinide, con notevoli doti di rusticità. 
Le sue caratteristiche sono: costituzione longilinea, buona taglia, testa piccola con muso lungo e sottile, orecchie piegate in avanti e parallele al muso, occhio a mandorla di colore nero, pelle scura con setole nere che formano lungo la linea dorso-lombare una specie di criniera denominata “linea sparta”. 
Razza robusta, ha carni saporite, adatta al consumo fresco ed alla trasformazione secondo i metodi tradizionali. 
È stata inserita dalla Regione Emilia-Romagna nel Piano Regionale di Sviluppo Rurale, come razza da salvare, e dal movimento Slow Food nelle 100 produzioni italiane da presidiare: il Presidio vuole salvare dall'estinzione la Mora Romagnola.
L'associazione dei produttori del Presidio riunisce alcun allevatori e trasformatori che impiegano le carni dei suini cresciuti nelle loro aziende per realizzare i Salumi tradizionali di Mora Romagnola del territorio. 
Prodotti che uniscono alla eccellente qualità organolettica e qualitativa la sicurezza della filiera produttiva, con una particolare attenzione al benessere animale durante la fase di allevamento.

Bél e còt o Bél a còt
Pur avendone l’aspetto, non è un cotechino ma un insaccato che si produce con carne muscolosa di maiale e cotica e si gusta specialmente durante la Festa della Madonna dei Sette Dolori (Madonna di Sètt Dulur - 3ª domenica di settembre). 
Non ci sono notizie storiche sulla data di nascita di questo Salume; ciò nonostante, la Salsiccia è citata come unica specialità di Russi (Comune a 17 km da Faenza) nella 1ª Edizione della «Guida Gastronomica d’Italia» edita dal TCI nel 1931. 
Il fatto di essere stata progettata per essere cotta in padella, veniva incontro a chi non poteva disporre di un camino dove cucinare ai ferri e voleva fare una cottura più veloce e con minor dispersione dei grassi di cottura.
Dopo un confronto tra i migliori Norcini Russiani, sono state identificate le parti del maiale, utilizzate solitamente per la preparazione dell’impasto della salsiccina sottile: muscoli del dorso, del fianco, dell’addome, della coscia. 
La suddette parti, vengono utilizzate nello stesso rapporto, macinate, speziate (con sale dolce di Cervia schiacciato fino, pepe nero macinato, vino bianco secco) ed impastate.  
Per l’insacco si utilizzano budella di pecora, chiamate «i rudlé», e poi anellata a 3 Salsiccini per 3. 

La Zootecnia, permette anche la produzione di un formaggio tipico e saporito, di latte vaccino e struttura molle, lo 
 
SQUACQUERONE DI ROMAGNA DOP (Denominazione di Origine Protetta)
Che forma volete abbia uno squacquerone? 
Già il nome, indica la consistenza ingovernabile di questo formaggio freschissimo, che, solitamente, viene spalmato su Piadine e Focacce. 
Ha gusto delicato e dolce e si produce tutto l'anno. 
Il latte pastorizzato o termizzato, viene portato a circa 37°C, e vi si aggiungono lattoinnesto e caglio liquido. 
Dopo circa 25 minuti si rompe la cagliata in 2 fasi, quindi si lascia sedimentare eliminando il siero. 
A questo punto, si sistema la massa negli stampi e si inizia la stufatura, durante la quale le forme vengono girate con regolarità. 
Si sala in salamoia al 20% per un'ora.
Dopo qualche giorno, lo Squacquerone è pronto per il consumo.

Il Territorio, è anche ricco di Prodotti Agricoli di alta qualità come la

PESCA NETTARINA DI ROMAGNA IGP (Indicazione Geografica Protetta) sono le uniche pesche a vantare il riconoscimento europeo di Indicazione Geografica protetta (IGP) all’interno dell’Unione Europea. 
Dolci, succose e disponibili sul mercato dal 10 giugno al 20 settembre, hanno nel loro disciplinare numerose varietà che consentono un’ampia scelta lungo tutto il periodo di commercializzazione.
Prodotto Frutticolo fresco, ottenuto da diverse varietà a polpa gialla e polpa bianca.
Origini Storiche: La Nettarina ha avuto origine dalla «Persica Laevis», della famiglia Rosacee, genere Prunus. 
La presenza nel territorio di Romagna è molto antica. Con il nome di «Pesca Noce» è citata nel trattato Seicentesco di Vincenzo Panara «L'economia del cittadino in Villa».
Caratteristiche: La Pesca Nettarina conquista per la rapidità del consumo; ben lavata senza doverne asportare la buccia che è glabra, e spiccagnola (è di frutto, specialmente pesca o susina, i cui noccioli si staccano nettamente e facilmente dalla polpa) al punto giusto e si lascia aggredire a morsi come una mela. 
E il sapore è gradevolmente zuccherino, non vira quasi mai verso note più acerbe, più dolce però è la varietà gialla, rispetto a quella bianco-rossastra. 
Ottima soluzione per la merenda dei bambini che possono gustarla senza l'intervento dell'adulto e senza il supporto del bavaglio antimacchia.
Tecniche di Produzione: la Pesca Nettarina viene ottenuta con tecniche tradizionali e rispettose dell'ambiente. 
La dimensione degli alberi deve essere determinata in vista di ottenere prodotti di alto livello qualitativo; occorre effettuare almeno 3 raccolte senza danneggiare il frutto. 
Il limite massimo sono di 2.000 piante per ettaro, relativamente alla produzione. 
Le forme di allevamento sono: palmetta, fusetto, vaso e vasetto ritardato. 
Ove possibile, la difesa fitosanitaria di prevalente utilizzo deve far ricorso alle tecniche di lotta integrata o biologica. 
La Nettarina di Romagna, all'atto dell'immissione al consumo, deve avere le caratteristiche proprie delle diverse specie previste, con diametro minimo di 25 millimetri (per le cultivar a polpa gialla) o 23 millimetri (per quelle a polpa bianca) e tenore zuccherino minimo di 11° Brix (il Brix è una misura delle sostanze allo stato solido dissolte in un liquido. 
Il nome deriva da Adolf Ferdinand Wenceslaus Brix. 
Un grado Brix corrisponde ad 1 parte di sostanza solida in 99 parti di soluzione. 
Per esempio una soluzione a 25°Bx contiene 25 grammi di sostanze solide in 75 grammi di liquido totale).

FRUTTI DIMENTICATI
Frutti che erano consumati un tempo dalla Popolazione Contadina della Collina, e che mutamenti sociali e modi di vita, insieme ad un nuovo mercato e nuove mode alimentari, hanno via via emarginato.
Origini Storiche: Nespola, Sorba, Pera Volpina, Mela della Rosa, Mela Cotogna, Corbezzolo, Corniolo, Melograno... nomi che riportano alla memoria molti sapori e ricordi ormai sopiti e ben noti alle nostre nonne, che, da questi frutti spontanei o coltivati in aree marginali, sapevano ricavare Piatti Gustosi ed ottime Marmellate. 
Frutti di quelli che si raccoglievano direttamente dalla pianta, nell'Orto dietro casa o, meglio ancora, nei boschi d'intorno. 
Sapori dell'infanzia, per un po' dimenticati perché battuti sui banchi dei Fruttivendoli da coltivazioni più redditizie, salvati dall'estinzione grazie ad un rinnovato interesse nei confronti di tutto quanto si lega alle Tradizioni di un certo territorio.
Caratteristiche: In onore di questi frutti, che stanno vivendo un momento davvero magico per il recupero delle piante dimenticate, tutti prodotti locali tipici della stagione: mele, funghi, vino, castagne, tartufi, miele, conserve e deliziose marmellate preparate artigianalmente. 
Utilizzi: I frutti dimenticati sono di casa nelle cucine; fra le ricette a base di questi frutti ricordiamo la Salsa di Rovo e di Gelso, le Composte di Corniole e di Cotogne, il Savor di Giuggiole, la Torta di Mele Selvatiche ed i Dessert con protagoniste le Pere «Broccoline» e quelle «Volpine», con le Castagne, l'Alkermes, il Vino ed il Formaggio. 
Un gruppo di frutti dimenticati serve per comporre un antico piatto tipico, il «Migliaccio», che richiede mele cotogne, pere volpine, mele gialle, cioccolato, pane raffermo grattugiato, canditi, riso e sangue di maiale in aggiunta. 
Infine, i frutti dimenticati trovano un grande aiuto gastronomico dando vita a piatti straordinari come le insalate di sedano, ribes bianco e rosso in agrodolce, o di finocchio selvatico con tarassaco, cerfoglio e salsa di melograno, completate dall'Olio Extravergine Brisighello. 
Nei menù compaiono i Risotti di pere volpine, l'Arrosto di Arista con castagne e lamponi o il Rotolo di Vitello al melograno, i Dolci Autunnali ai frutti dimenticati, la Crostata di marmellata di sorbe, le prugne o prugnole ripiene di noci e zabaione, il Sorbetto alle corniole.

MARRONE
Il Marrone ha forma ellittica, pezzatura variabile da media a molto grossa e sapore dolce o molto dolce, il colore della buccia è marrone chiaro con striature più scure e ogni Riccio contiene 2 frutti, più raramente 1 o 3.
Origini Storiche: Per quel che riguarda la Storia dei Marroni di Brisighella si sono fatte indagini che hanno tentato di risalire alle origini del Castagneto da frutto ed alla sua diffusione in zona, dove assunse rilevanza degna di nota dopo l'anno 1000. 
Gli artefici dei primi impianti di Castagno, furono, con buona probabilità, individui riuniti in Comunità Religiose, come i Monaci Benedettini e quanti altri ruotavano attorno ai Rettorati delle Pievi locali. 
Nessuno meglio di loro, detentori di una solida cultura, propagatori di alti valori di vita, poteva organizzare anche la messa a coltura del territorio, nonostante l'impervietà del suo profilo. 
Fu così che, le popolazioni dell'Appennino Faentino ebbero a propria disposizione una pianta le cui origini erano arretrate in lontane Ere Geologiche (era Cenozoica), al varco di vari milioni di anni e la cui provenienza si sarebbe rintracciata, solo in seguito in aree dell'Asia Minore, molto vocate alle genesi di innumerevoli alberi da frutto, che hanno raggiunto con successo il 3° Millennio, dopo aver conquistato i continenti più ricettivi. 
Come l'Europa ed in particolare il Bacino del Mediterraneo, complici le Civiltà più in vista, che vi si spostavano con intenti commerciali. 
Sembra, infatti, che anche il merito dell'ingresso del Castagno in Italia, vada assegnato agli Etruschi.
I Romani, perciò se lo trovarono già in casa e continuarono a coltivarlo pur relegando il suo frutto alla Mensa Plebea, come elemento farinaceo alternativo ad altri più usati per placare la fame. 
E la Castagna assolse questo compito di sedare i morsi della fame nel corso dei secoli, tanto che, solo da pochi decenni, si è liberata dell'epiteto di "pane dei poveri". 
Quali fossero i poveri in questione, è deducibile dalla collocazione naturale dell'albero, nelle zone boscose e perciò meno coltivabili. 
Sono stati sfamati dalle Castagne gli abitanti del medio ed alto Appennino, un po' dunque nella Penisola, i quali seppero sfruttare ogni minima potenzialità del frutto dalla dura scorza, poco dotata di potere proteico, ma versatile quanto alle sue trasformazioni in frutto secco e, di più, in sfarinati succedanei delle farine di cereali.
Caratteristiche: Il Marrone ha elevati Contenuti Nutritivi, presenti nei frutti, sia freschi che secchi: i Glucidi raggiungono valore del 40% nei frutti freschi e del 73% in quelli essiccati; forte anche la presenza del Potassio fra gli elementi minerali e della Vitamina C, mentre le Calorie hanno valori variabili da 200 unità (frutti freschi) a 370 (frutti secchi). 
I Marroni, quindi, costituiscono un alimento sano, genuino, nutriente, di facile digeribilità, ottimo da inserire nelle diete alimentari mediterranee, per tutte le fasce di età.
Produzione ed Utilizzi: La buona pezzatura e le ottime caratteristiche organolettiche, lo rendono idoneo sia per il consumo fresco, sia per la trasformazione industriale. 
Poiché è un frutto soggetto ad alternarsi rapidamente sia a terra che dopo la raccolta, occorre assicurare una buona conservazione. 
I metodi di conservazione più usati sono la Curatura e l'Essiccazione. 

Gran parte della produzione di Marroni e di Castagne, nazionale e locale, è destinata al consumo fresco (circa il 70-80%), mentre la quota restante, è per lo più assorbita dall'industria dolciaria.

ITINERARI DEL GUSTO - CUCINA DEL BORGO

Tra i piatti tipici della Cucina Faentina, la pasta «fatta in casa» Pasta tirata a mano, conditi con il ricco ragù di carne Romagnola.

PASSATELLI - classico ingrediente da Minestra Romagnolo.
I Passatelli, si confezionano a partire da un impasto sodo di pane bianco secco grattugiato, Parmigiano Reggiano, midollo di bue (o burro, in alternativa), uova, noce moscata e, facoltativa, scorza di limone. Usando un apposito attrezzo con fori, o un torchietto a mano, si ricavano dei vermicelli, sorta di trucioli di 3-4 cm, da far cadere in un brodo di carni miste in ebollizione. 
Sempre più spesso sono serviti anche asciutti, con un sugo fresco di pomodoro o un ragù di carni bianche.
Preparazione: Per 6 persone amalgamare bene 150 g di pangrattato, 200 g di parmigiano grattugiato, 4 uova intere, 1 pizzico di noce moscata, un po' di sale e 50 g di midollo di bue. 
Con l'aiuto dell'apposito attrezzo, si ricavano i passatelli della lunghezza preferita e si fanno cuocere in 2 litri circa di brodo di carne bollente e si servono caldi.
Attrezzi: Una terrina per amalgamare l'impasto e l'apposito attrezzo detto "ferro dei passatelli" con lamina traforata attraverso la quale deve passare l'impasto.

QUADRUCCI
Formato oggi principalmente legato alla produzione industriale, è una pasta all'uovo di piccole dimensioni, di norma da accompagnare al brodo.
La sua rilevanza, risiede però nel suo essere, originariamente, un prodotto di recupero, legato all'abitudine domestica di utilizzare tutte le parti della sfoglia, tirata al mattarello, per la preparazione di varie specialità: i margini e ritagli erano destinati a vari usi, prevalentemente minestre, più o meno brodose, spesso in accoppiata con legumi: è il caso dei Maltagliati, in area Emiliano-Romagnola, tradizionalmente utilizzati preparazione della pasta e fagioli, e dei Quadrucci che, tagliati irregolarmente al coltello, erano, di norma, serviti con poco brodo, piselli ed insaporiti con qualche pezzetto di pancetta o di gambuccio di prosciutto.

MALTAGLIATI
Pasta fresca casalinga a base di farina di grano tenero e uova, ma anche solo di acqua e farina, che, per definizione, è irregolare: avremo, quindi, rombi, rettangoli, strisce più o meno lunghe, spesso ricavati dagli avanzi della lavorazione di altre paste. 
Si gustano tradizionalmente in brodo di verdure o di fagioli (Maltajà, Maltagliati con fagioli, Sguazzabarbuz, Straciamuus), oppure asciutti, con condimenti dettati dagli usi dei diversi luoghi e territori: in Emilia-Romagna, loro terra d'elezione, come Maltajà o Malintaià.

TORTELLI
Tradizionalmente, formato di pasta fresca all'uovo ripieno, con piccole varianti, in gran parte del territorio nazionale e tipica soprattutto nell'area Emiliano-Romagnola; di norma farcita con erbe e formaggio. 
La Foggia quadrata, con qualche concessione verso forme leggermente rettangolari, è da considerarsi quella maggiormente usata, sebbene di varianti in questo senso ne esistono moltissime. 
Il termine «Tortello», ha finito per sovrapporsi a quello generico di «Raviolo», ammettendo così una grande varietà nell'aspetto, con l'unico denominatore di appartenere sempre alla pasta ripiena.
Preparazione: Per 6 persone, a forma di mezzaluna, si prepara una sfoglia con 600 g di farina e 6 uova, si stende sottilmente e, con l'aiuto di 1 bicchiere, si ricavano tanti dischetti di circa 7-8 cm di diametro. 
Si prepara quindi il ripieno, facendo amalgamare 600 g di ricotta fresca, 2 uova intere, 150 g di parmigiano grattugiato, 1ª manciata di prezzemolo tritato, 1 pizzico di noce moscata ed un po' di sale. 
Si pone al centro di ogni disco, 1 cucchiaino di ripieno e piegare a metà la pasta, dandole così la forma di una mezzaluna, facendone aderire bene i bordi. 
Si cuoce la pasta in abbondante acqua salata e si condisce con ragù e parmigiano grattugiato o salsa di pomodoro.
Attrezzi: Tagliere e mattarello per preparare la sfoglia e bicchiere per ricavarne dei dischi; terrina per preparare il ripieno e cucchiaino per metterlo sulla pasta.

CAPPELLETTI (Caplèt)
Pasta all'uovo ripiena, tipica dell'Emilia Romagna, diffuso a livello nazionale, ed anche in versione industriale. 
I Cappelletti tradizionali sono Emiliani e Romagnoli, uguali nella forma ma un po' diversi nel ripieno: in Romagna, i classici sono di magro e prevedono, oltre al Parmigiano Reggiano, anche Ricotta o Raviggiolo. 
Si servono tradizionalmente in brodo, ma talvolta, anche asciutti con ragù.
Sono strettamente imparentati con il più celebre Tortellino, che si differenzia per ripieno e tipo di chiusura.
Preparazione: si prepara il ripieno per i Cappelletti con 3 etti di ricotta, un pizzico di sale, pepe, noce moscata ed un pizzico di buccia di limone grattugiata. 
Si fa una sfoglia piuttosto tenera di farina con sole uova servendosi anche di qualche chiara rimasta. 
A sfoglia ben stesa sul tagliere, si ricavano dei quadrati di pasta di circa 3x3 cm; quindi. si riempiono con una noce di impasto e si chiudono i Cappelletti prima che la pasta asciughi troppo. 
Per una perfetta chiusura del Cappelletto, si trasforma il quadrato di pasta in un triangolo, si prendono a questo punto le 2 estremità ed si uniscono tra loro. 
Si cuociono i Cappelletti in un buon brodo di cappone o di pollo.

STROZZAPRETI
Formato di pasta fresca preparato con farina, acqua e un pizzico di sale, che può anche essere omesso.
L'impasto, è di norma tirato in una sfoglia di 2 o 3 mm di spessore, poi ritagliata in strisce larghe un paio di centimetri, strofinate tra le mani, fino a formare una sorta di stringa a spirale, poi "strozzata", cioè spezzata, in tronchetti lunghi 5 o 6 cm. 
Il formato è diffuso in tutto il Centro-Nord, sebbene con questa accezione sia caratteristico soprattutto dell'area Romagnola e condito, di norma, con sughi ricchi a base di salsiccia, spesso "pasticciati" con l'aggiunta di panna.

CAPRICCI
Pasta al forno farcita con ripieno di spinaci, besciamella e prosciutto cotto.
Preparazione ed ingredienti: Per 4 persone si prepara una sfoglia con 400 grammi di farina e 4 uova. 
Si taglia in 4 parti, si sbollenta in acqua salata e si fa asciugare. 
Si stendono su ogni sfoglia i seguenti ingredienti: 1 kg circa di spinaci lessati, 1 litro di besciamella, 250 g di prosciutto cotto a fette intere ed una spolverata di parmigiano. 
Si arrotola ogni sfoglia e taglia a fette di 3-4 cm. 
Si adagiano le fette ricavate dai 4 rotoli su una teglia imburrata e si copre con panna da cucina. 
Si mette in forno a 200 gradi per 15-20 minuti e si serve caldo.
Attrezzi: Tagliere e mattarello per preparare la sfoglia; una teglia da forno; posate varie.

ZUZIZINA STILA
Caratteristico piatto da gustare durante la Festa della Madonna di Sètt Dulur, con il Bél e còt o Bél a còt, che, pur avendone l’aspetto, non è un Cotechino, ma un insaccato che si produce con carne muscolosa di maiale e cotica.
Queste Salsicce lunghe e sottili, si consumano cotte, la cottura è breve preferibilmente in padella, al tegame, oppure ai ferri. 
È d’uso accompagnarle con patate fritte oppure con il sugo di pomodoro con o senza patate.
Con queste Salsicce, si preparano piatti appetitosi ed anche veloci che solitamente vengono abbinati a vini locali, bianche secchi, quali il Trebbiano ed il Lanzes, oppure con vini rossi giovani, vivaci o fermi che siano, quali la Canena ed il Sangiovese.

TORTELLI DI SAN LAZZARO
Dolcetti con ripieno a base di castagne, che si mangiano soprattutto nel periodo della Festa di San Lazzaro che a Faenza si festeggia per tradizione nel Borgo Durbecco la 5ª domenica di Quaresima.
Preparazione: La sera precedente alla preparazione dei Tortelli, si mettono a bagno, in acqua tiepida 300 g di castagne secche. 
Il giorno dopo, si lessano e passano al setaccio. 
In una terrina si mescolano le castagne con 150 g di zucchero e la scorza grattugiata di 1/2 limone e si amalgamare con la Sapa (sciroppo a base di mosto fresco filtrato e bollito, usato per la preparazione dei tortelli dolci), fino ad ottenere un impasto morbido. Si prepara poi 1ª sfoglia con 300 g di farina impastata con 2 uova, 100 g di zucchero e qualche cucchiaio di vino bianco secco. 
Si stende sottilmente e, con l'aiuto di 1 bicchiere, si ricavano dei dischi di 7-8 cm di diametro: si pone al centro dei dischi 1 cucchiaino di ripieno e si ripiegano a forma di mezzaluna. 
I tortelli dolci, vanno cotti in forno ben caldo per circa 1/2 ora su una piastra imburrata. 
Si possono servire dopo averli spolverizzati con dello zucchero, sia caldi che freddi, oppure inzuppati nella Sapa, come si usa per tradizione.
Attrezzi: Setaccio per passare le castagne, terrina per mescolare gli ingredienti del ripieno, tagliere e matterello per preparare la sfoglia dolce.

MIGLIACCIO - Dolce tipico delle Feste di Carnevale
In origine, si preparava nei giorni di macellazione del maiale in quanto veniva aggiunto anche sangue fresco di maiale.
Preparazione: Si mette sul fuoco 1 litro di latte, 300 g di zucchero, la scorza grattugiata di mezza arancia o di un limone, 70 g di mandorle spellate e tritate, 50 g di cioccolato a pezzetti, 100 g di canditi a dadini, un po' di noce moscata grattugiata, 1 uovo intero ed 1 bicchiere di Saba (Sciroppo a base di mosto fresco filtrato e bollito, usato per la preparazione di tortelli dolci). 
Si fa bollire per qualche minuto, mescolando continuamente, poi si toglie dal fuoco. 
Si prepara, intanto, una pasta frolla con 300 g di farina, 3 uova, 150 g di zucchero e la scorza grattugiata di 1/2 limone. 
Si fodera con la pasta frolla uno stampo imburrato e vi si versa dentro il composto. 
Si spolverizza con zucchero e si mette in forno a calore moderato per circa 2 ore.
Attrezzi: Pentola per far bollire gli ingredienti, stampo da forno per dolci, posate varie.

SAVOR - Dolcetti a base di mosto e frutta autunnale.
Il Savor, in dialetto «Savôr», è un'antica marmellata diffusa un tempo, soprattutto in Romagna.
È un dolce "povero", che si ottiene, dopo lunga bollitura, facendo cuocere nel mosto d'uva nera, un'insieme di frutti autunnali ("frutti dimenticati") come frutta secca, polpa di zucca, scorze di arancio e limone. 
Denso e scuro, il Savor è ottimo per accompagnare indifferentemente piatti dolci, arrosti e bolliti.
Preparazione: Si uniscono assieme al mosto di uva bianca, vari tipi di frutta autunnale (mele cotogne, fichi, prugne, ecc.): la proporzione sarà di metà mosto e metà frutta. 
Si fa bollire lentamente per 6-7 ore, fino a far ridurre della metà la quantità iniziale. 
Il risultato sarà una composta di colore bruno e di consistenza gelatinosa, dolce e aromatica. 
Si lascia raffreddare su un piatto ampio e si serve tagliata a quadretti.
Attrezzi: Pentola per far bollire gli ingredienti, posate varie.

SAPA o SABA
Sciroppo a base di mosto fresco filtrato e bollito, usato per la preparazione di tortelli dolci, come ingrediente per crostate o altri dolci o allo stato puro.
Preparazione: Per preparare la Sapa, si mette a bollire 3 litri di mosto fresco e ben filtrato. 
La Sapa deve bollire lentamente per circa 18-20 ore e va schiumata durante le prime ore di ebollizione. 
Alla fine, il mosto si ridurrà di circa 2/3 rispetto alla quantità iniziale. 
Si lascia raffreddare e conservare in bottiglie o vasetti.
Attrezzi: Pentola per far bollire il mosto, cucchiaio per mescolarlo e bottiglia per riporlo.

STORIA

Situata sulla via Emilia, presso la riva sinistra del Fiume Lamone, diviene la Romana Faventia (etnico, Faventini) nel periodo dell'occupazione del territorio Gallico, anzi la sua fondazione si può far risalire al tracciato della Via Emilia (187 a.C.), è ricordata per la prima volta nell'82 a.C., quando Metello vi sconfigge i Partigiani di Mario; nel 300 dopo Cristo, diviene Sede Vescovile e Libero Comune, al principio del 1100; dal 1300 è sotto la Signoria dei Manfredi, poi anche dei Borgia, dal 1504 al 1509 dei Veneziani, quindi, della Chiesa fino al 1860, tranne il periodo dell'invasione Francese 1796-1797.

LE ORIGINI
Sebbene alcuni cronisti storici, ne facciano risalire la fondazione a Coloni Attici che, risalendo l'Adriatico, avrebbero fondato Ravenna e si sarebbero spinti anche nell'entroterra fondando l'insediamento di Foentia, studi più recenti testimoniano come, soprattutto nelle zone pedecollinari del territorio Faentino, vi siano tracce di insediamenti sia Neolitici, risalenti all'Età del Bronzo.
Non vi sono certezze su quali popoli abitassero il territorio prima della Conquista Romana del 200 a.C., ma i ritrovamenti archeologici indicano che, anche grazie alla posizione favorevole offerta dall'incrocio fra il fiume Lamone, la Via Salaria che, attraverso gli Appennini, portava il sale in Etruria e Campania, e la strada pedecollinare, che poi i Romani avrebbero lastricato e chiamato Aemilia, gli abitanti della zona ebbero contatti con tribù Umbre, con gli Etruschi, e forse anche con i Sabini, prima dell'invasione dei Celti. 
Plinio, riferendosi ai primi tempi Repubblicani, parla di «Popoli Faentini» alleati dei Romani, e Silio Italico nella sua descrizione della Seconda Guerra Punica (218 a.C.), racconta come i Faentini, a differenza degli insediamenti Celtici della zona, appoggiarono i Romani contro i Cartaginesi
Quello che è certo è che, dopo la definitiva Conquista Romana della Gallia Cisalpina, attorno al 180 a.C., nel territorio fu insediata una Colonia, alla quale venne assegnato il nome beneaugurante, di Faventia, che significa «Città Favorevole» ossia «Città Amica» ed è quindi questo l'avvenimento che sancisce la nascita della vera e propria città.

LA FONDAZIONE
La «Faventia» Romana sorse, sulla sponda sinistra del Fiume Lamone, a valle della confluenza del Torrente Marzeno, probabilmente intorno al 173 a.C., dopo il tracciamento della Via Emilia, in un'area già abitata in precedenza, come testimoniato dall'insediamento rinvenuto ad Ovest del Centro Storico, tra la Via Oberdan ed il Piazzale Pancrazi. 

L'insediamento fu ascritto alla Tribù Pollia e si sviluppò grazie alla produzione agricola, tessile e ceramica
Qui, nell'82 a.C. il Sillano Cecilio Metello sconfisse l'Esercito del Popularis Gneo Papirio Carbone, durante le Guerre Civili della tarda Repubblica Romana. 
Con la nascita dell'Impero Romano e la susseguente riorganizzazione amministrativa voluta da Augusto, entrò a far parte della Regio VIII.
Tra il 100 ed il 200 d.C., l'insediamento cittadino andò ampliandosi, espandendosi anche all'esterno del Pomerio originale (pomerium - delimitazione dei confini di una città per mezzo d'una linea sacra, uno dei riti più antichi delle popolazioni italiche, preso dagli Etruschi, e perseguito in Roma fino all'Impero avanzato, anche quando esso non aveva più nessuna importanza; il fondatore d'una nuova città tracciava con l'aratro questa linea, alzando il vomere là dove le porte dovevano aprirsi; lo spazio entro il recinto, quadrato o circolare secondo la configurazione del terreno, costituiva la zona religiosa destinata all'abitato, mentre lo spazio esterno costituiva l'«Ager Publicus»: questa linea è quella che i Romani chiamavano pomerio). 
In questo periodo Faventia è ricordata per essere stata la Città di residenza di una delle famiglie più importanti dell'epoca, la Gens Avidia di Gaio Avidio Nigrino, Console Romano e nonno del futuro Imperatore Lucio Vero. 
La Città non venne eccessivamente colpita dalle crisi del periodo tardo imperiale, grazie alla vicinanza con Ravenna, sede della flotta Imperiale prima, ed in seguito Capitale dell'Impero. 
Soltanto nel tardo 400, il diffuso declino dell'autorità Romana nella zona iniziò a manifestarsi concretamente anche a Faenza.
In seguito alla caduta dell'Impero d'Occidente è ricordata dalle cronache per essere il luogo dove avvenne il tradimento di Tufa nei confronti di Teodorico, durante la Conquista dell'Italia di Teodorico e per la battaglia, combattutasi nel 542, nella quale Totila e l'esercito Ostrogoto sconfissero i Bizantini
Con la successiva riconquista dell'Italia da parte dei Bizantini a danno dei Goti, Faenza entrò a far parte dell'Esarcato
Al 600, risale la prima Cinta Muraria, costruita per difendere la città dai Longobardi. 
L'esercito di Liutprando l'assediò e la conquistò nel 740 ed in seguito, insieme al resto dell'odierna Romagna, passò numerose volte di mano tra Longobardi e Bizantini fino alla definitiva discesa in Italia di Carlo Magno che, al termine della campagna contro i Longobardi, la cedette nominalmente alla Chiesa nel 774.

MEDIOEVO
Al momento della pacificazione del territorio da parte di Carlo Magno, Faventia era una Città prostrata da secoli di declino ed ulteriormente devastata dalle Guerre Longobardiche. 
L'area urbana, che nel momento di massima espansione in Epoca Romana (200), poteva contenere 12.000 abitanti, si era ridotta sensibilmente, e le Mura altoMedievali racchiudevano solo una porzione di quella che era stata la Città Romana.
Dopo la dominazione Bizantina, a partire dalla fine del 700 la Città si riconsolidò entro una Cerchia Difensiva, attorno al nucleo centrale, dove venne eretto il Duomo di San Pietro; gli ultimi 2 secoli del primo millennio, videro una lenta ripresa della Città, testimoniata dall'edificazione di alcuni importanti Luoghi di Culto, ed una significativa evoluzione della sua vita politica. 
Faenza era, infatti, sotto la giurisdizione della Santa Sede ma, nei secoli, il modello di Governo Carolingio della Città iniziò ad evolvere verso quello che sarebbe diventato il modello Comunale.
Dal 1000, le Parrocchie urbane si moltiplicarono e si formò il Borgo Durbecco, al di là del Lamone, come avamposto difensivo verso Forlì.
In seguito si insediarono nella fascia extraurbana molte Comunità Religiose (Francescani, Domenicani, Clarisse, Cistercensi, Camaldolesi) in evidente segno di espansione. 
Nel 1045, viene attestata, per la prima volta a Faenza, la presenza di un Console
Di poco posteriori sono le prime testimonianze di screzi con le città vicine; nel 1079, infatti, i Faentini, con l'aiuto del Conte Francese di Vitry, sconfissero tra Albereto e Prada i Ravennati che avevano invaso il territorio Faentino, scacciandoli.
Le figure dei Consoli, scelti tra le maggiori famiglie, vennero, in seguito, dapprima affiancate, poi sostituite dal Governo di un Podestà forestiero; in entrambi i casi, la carica aveva la durata di un anno. 
Nello stesso periodo la famiglia Manfredi iniziò ad imporsi come una delle più importanti famiglie cittadine.

Nei primi mesi del 1164, i Manfredi ospitarono nelle loro case Faentine, l'Imperatore Federico I Barbarossa, sceso in Italia per una campagna militare, ottenendo, in seguito, dal Sovrano del Sacro Romano Impero importanti diritti vassallatici, che accrebbero la loro influenza sulla Città Romagnola.
Nel 1175, l'Imperatore assediò Faenza, ma senza successo
10 anni dopo (1185), fu conquistata dalle truppe di Federico Barbarossa.
Nel 1226, Faenza cambiò completamente bandiera: aderisce alla 2^ Lega Lombarda (unica tra le Città Romagnole), scatenando la reazione imperiale che fu dura: Federico II la cinse d'assedio, ma senza esito, e solo nel 1237, sconfisse la Lega Lombarda
Il potere su Faenza fu assegnato alla famiglia Ghibellina degli Accarisi, che cacciarono i Guelfi Manfredi, che però ripresero il potere, e nel 1239, Faenza era l'unica Città Guelfa di Romagna.
L'assedio di Federico II nel 1240, frenò lo sviluppo, che riprese, verso la metà del secolo, con l'allargamento della Cerchia Difensiva e l'ampliamento del Palazzo Comunale.
Nel 1241, la Città Manfreda tornò nelle mire dell'Imperatore Federico II, che la pose di nuovo sotto assedio e la prese, dopo un'inattesa resistenza di 7 mesi; risultò decisivo l'aiuto dei Ghibellini Forlivesi e del loro Capitano, Teobaldo Ordelaffi. 
In questa occasione, Federico, trovatosi a corto di risorse, fece coniare degli Augustali in cuoio, dalla Zecca di Forlì, che rimborsò poi in oro, dopo la vittoria su Faenza. 
Le benemerenze acquisite dai Forlivesi presso l'Imperatore, furono comunque d'aiuto agli stessi Faentini: infatti, Federico aveva già emanato l'ordine di distruggerne la città, quando l'intercessione dei Forlivesi, dispiaciuti di una simile sorte, lo convinse a ritornare sulla sua decisione ed a risparmiare Faenza. 
Comunque, l'Imperatore Germanico ordinò di abbattere la Cinta Muraria e fece costruire una nuova Rocca, nella parte Ovest della Città.
Nel 1248, l'esercito di Federico II riportò una clamorosa sconfitta da parte delle forze Guelfe. 
Negli anni 1270, Faenza, che era stata, fino ad allora, una Città Guelfa, effettuò un improvviso cambio di campo: nel 1274, infatti, il Podestà, della Famiglia Accarisi (Ghibellini), si alleò con Guido da Montefeltro, Comandante dei Ghibellini di Romagna, e cacciò i rivali Manfredi. 
Nel 1282, Papa Martino IV diede incarico a Giovanni d'Appia (Jean d'Eppes), uomo d'armi Francese, di riportare la Città sotto il dominio Pontificio
Entrato in Romagna scendendo dalla Valle del Tevere, si diresse verso Faenza; nottetempo, Tebaldello dei Zambrasi, famiglia Ghibellina, gli aprì le porte della Città, tanto che Dante Alighieri, suo contemporaneo, nella Divina Commedia lo collocò nel IX Cerchio dell'Inferno, come "traditore della patria": «Tebaldello, ch’aprì Faenza quando si dormia» (Inferno XXXII, 122)
Oltre a Tebaldello, altri personaggi di Faenza furono menzionati nella Divina Commedia: Faentino è, infatti, Frate Alberigo dei Manfredi, collocato nella terza zona dell'ultimo cerchio dell'Inferno, quello dei traditori degli ospiti, al canto XXXIII, l'ultimo peccatore (quindi il peggiore) a dialogare con Dante, condannato da Dante al supplizio infernale, in seguito ad un tradimento perpetrato nei confronti di suoi stessi consanguinei, durante una cena di riconciliazione, la famosa «Cena delle frutta del mal orto». 
L'onore della Città è riscattato nel XXI Canto del Paradiso, dove compare Pier Damiani.
Nel 1290, Faenza passò sotto il potere di Maghinardo de' Pagani, signore di Susinana, che approfittò della divisione fra Guelfi e Ghibellini, ritagliandosi un ruolo molto importante nella storia della Città e dimostrandosi un ottimo politico ed un astuto stratega.
Dalle lotte tra gli Accarisi (Ghibellini) e i Manfredi (Guelfi), Faenza, dal 1313, raggiunse la massima fioritura sotto la Signoria dei Manfredi; con Francesco Manfredi, sotto la cui Signoria, la Città registrò una notevole espansione edilizia, con il completamento del Ponte delle Torri, che la collega al Borgo Durbecco, e del Complesso dei Servi; la fondazione della Zecca; la ristrutturazione del Palazzo della Signoria e la costruzione di un Torrione sul luogo dell'attuale Torre dell'Orologio
Gli interventi, tutti allineati lungo il tratto urbano della via Emilia, rispondevano ad un disegno autocelebrativo
Astorre I, tra il 1392 ed il 1395, promosse la costruzione di un primo tratto di Portico sul fronte del Palazzo della Signoria (poi ricostruito da Carlo II Manfredi), ed incoraggiò l'Arte Ceramica.
Dopo un intermezzo Pontificio, i Manfredi ripresero nel 1410, con Giangaleazzo, il Governo cittadino, e lo tennero sino alla fine del 1400, garantendo una stabilità politica che favorì la definizione della «forma urbis», conservatasi fino ad oggi, ed i rapporti con l'ambiente culturale ed artistico Fiorentino. 
La stagione umanistica Faentina, vide operanti Giuliano e Benedetto da Maiano, Biagio D'Antonio da Firenze, e l'acquisto di opere d’arte di Antonio Rossellino, Mino da Fiesole, Andrea e Luca della Robbia, Donatello; la costruzione della Libreria Manfrediana; l'edificazione della Cattedrale e della Chiesa di Santo Stefano Vecchio, dei Portici di Piazza del Popolo secondo il modello Albertiano di ascendenza Vitruviana, e della nuova Cerchia Muraria.

Nel 1500, la Città fu assediata dalle truppe mercenarie di Cesare Borgia (il Valentino), alle quali resistette per 6 mesi, guidata dal Sedicenne Astorgio Manfredi, poi catturato a tradimento e imprigionato a Roma dal Valentino: pochi anni dopo il corpo del giovane signore fu ritrovato nelle acque del Tevere.
All'assedio di Faenza il Guicciardini, che non esalta certo il Valentino come l'amico Machiavelli, dedica un passo della sua Storia d'Italia:
«Il Valentino era pieno di sommo dolore che, avendo oltre alle forze Franzesi uno esercito molto fiorito di capitani e soldati Italiani (...), e avendosi promesso, co' suoi concetti smisurati, che né mari né monti gli avessino a resistere, gli fusse oscurata la fama de' principii della sua milizia da uno popolo vivuto in lunga pace, e che in quel tempo non aveva altro capo che un fanciullo»
(Francesco Guicciardini, Storia d'Italia, 1540)
Nel 1502 giunse a Faenza, su invito del Borgia, Leonardo da Vinci
Il genio toscano realizzò il progetto di una rete di gallerie sotterranee, da usare in caso di emergenza. 
Non è noto se la rete fu effettivamente realizzata. 
Nel 1503, con la morte del padre, Papa Alessandro VI, crollò l'effimero Regno del Borgia e Faenza fu brevemente soggetta alla Repubblica di Venezia (1503-1509).
Infatti, nel 1503 le Signorie della Romagna, spodestate da Cesare Borgia, approfittando della morte del di lui padre, Papa Alessandro VI, offrirono di sottomettersi alla Repubblica di Venezia, a condizione di riavere i loro domini.
Il Senato Veneziano accettò e la Serenissima prese possesso di Rimini, Faenza e altre città. 
L'atto irritò profondamente il nuovo Pontefice, il Genovese Papa Giulio II, il quale, imprigionato il Borgia, si prefisse di ristabilire il possesso Pontificio di quelle terre. 
Per evitare la Guerra, Venezia si offrì nel 1505 di restituire al Papa le terre occupate, ad eccezione di Rimini e Faenza, ma il Papa chiese, allora, al nuovo Imperatore Massimiliano I d'Asburgo di attaccare Venezia
Massimiliano, sceso in Italia col pretesto di raggiungere Roma per l'incoronazione ufficiale, inaspettatamente sconfitto, rischiò persino di perdere Trieste e Fiume e fu costretto a chiedere una tregua
Quando il Doge, in virtù delle proprie antiche prerogative Episcopali, pretese di nominare il nuovo Vescovo di Vicenza, i principali Stati Europei trovarono il casus belli per attaccare la Repubblica, accusata di prevaricare il Diritto Pontificio sui Vescovi. 
Il 10 dicembre 1508, Papa Giulio II aderì pubblicamente alla Lega di Cambrai con la Francia, l'Impero d’Asburgo, la Spagna ed il Ducato di Ferrara, lanciando l'interdetto sulla Serenissima e nominando il Duca Alfonso I d'Este, Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa. 
I Veneziani vennero sconfitti dai Francesi nella Battaglia di Agnadello, ma, a quel punto però, il Papa, preoccupato dal crescente potere degli stranieri sull'Italia, il 24 febbraio 1510, ritirato l'interdetto, si alleò con Venezia, scomunicando Alfonso d'Este e chiamando in soccorso gli Svizzeri. 
Venezia, nel frattempo, sopravvissuta al pericolo della Guerra della Lega di Cambrai, tenutasi in disparte rispetto ai nuovi conflitti italiani, concentrandosi sulla minaccia Turca, e quando fu ristabilita la pace, però, fu costretta a cedere le terre della Romagna allo Stato Pontificio.
NEL 1509, quindi, Faenza fu annessa al diretto Governo dello Stato della Chiesa, di cui fece parte fino al 1797
In questo periodo, costante fu l'opera di rinnovamento edilizio, che raggiunse l'apice nell'ultimo quarto del 1700, quando, grazie soprattutto agli apporti culturali e politici della Toscana Granducale, si formò una committenza privata di gusto Francese, che permise all'avanguardia artistica di Giuseppe Pistocchi, Giovanni Antonio Antolini, Felice Giani ed Antonio Trentanove, di realizzare alcune tra le opere più significative della stagione Neoclassica Europea

IL DOMINIO PONTIFICIO E L'ETÀ NAPOLEONICA
Durante il Governo di Guicciardini della Romagna Pontificia, Faenza gode di particolare favore, tanto che lo storico vi soggiornò per quasi tutto il 1525
È in questa fase che la Città attrae tanti perseguitati religiosi dell'Europa del Nord e dell'Est, tanto da essere definita Città Protestante.
La Chiesa non tardò a prendere le necessarie contromisure; infatti, dopo il Concilio di Trento, Faenza diventa Sede del Tribunale della Santa Inquisizione per la Romagna, che scaccia dalla Città gli immigrati e gli Artisti stranieri.
Il 20 gennaio del 1783 fu inaugurato il Canale Naviglio Zanelli, l'importante via d'acqua che collega Faenza al Fiume Reno, passando per Bagnacavallo; l'opera, della lunghezza di 35,4 km, fu realizzata per volontà del Conte Scipione Zanelli (1722-1792), con i finanziamenti messi a disposizione da Papa Pio VI. 
Il Canale Naviglio, rimase l'infrastruttura primaria di trasporto merci per quasi 200 anni, fino all'apertura della Linea Ferroviaria Castel Bolognese-Ravenna (1863).
Nel 1797, vicino a Faenza, sul Fiume Senio, si combatté la battaglia decisiva (ma dall'esito scontato, fra le milizie Pontificie e l'esercito di Napoleone

Abbiamo un resoconto della battaglia nelle memorie di Monaldo Leopardi, il padre di Giacomo:
«Tutte le milizie pontificie ascendevano a circa diecimila uomini, e un quarto di questa gente si era adunata a poco a poco in Faenza. 
Imola, perché troppo vicina a Bologna, erasi abbandonata, e la resistenza doveva farsi sul fiume [Senio] che corre fra le due città suddette. [...] 
Il giorno 2 di febbraio del 1797, alla mattina, i Francesi attaccarono, forti di circa diecimila uomini.
I cannoni del ponte spararono, e qualche Francese morì. 
Ben presto però l'inimico si accinse a guadare il fiume; e vistosi dai popolani che i Francesi non temevano di bagnarsi i piedi: "Addio", si gridò nel campo. 
"Si salvi chi può" e tutti fuggirono per duecento miglia, né si fermarono sino a Fuligno. 
Non esagero, ma racconto nudamente quei fatti che accaddero in tempo mio, e dei quali vidi alcuna parte. 
Un tal Bianchi, maggiore di artiglieria, venne imputato di avere caricati i cannoni con li fagiuoli. 
Ho letto la sua difesa stampata, e sembra scolpato bastantemente; ma il fatto dei fagiuoli fu vero, e questa mitraglia figurò nella guerra fra il Papa e la Francia»
(Monaldo Leopardi, Autobiografie, 1833)

DALL'UNITÀ NAZIONALE AD OGGI
Nel 1881, su 36.042 abitanti vi erano 5 ragionieri, 8 medici e 6 avvocati residenti a Faenza. 
Il momento di maggior splendore della Faenza Post Unitaria fu raggiunto nel 1908 con l'Esposizione Torricelliana, una manifestazione imponente, che fu visitata ed inaugurata dal Re in persona, portando Faenza alla ribalta nazionale. 
L'esposizione raccoglieva nelle sale dell'ex Convento di San Maglorio, i prodotti Ceramici contemporanei (provenienti da tutta Europa). Insieme ad esse furono esposti tanti esemplari prodotti da antiche fornaci italiane. 
Conclusasi l'Esposizione, grazie ai doni degli espositori, nacque il Museo Internazionale delle Ceramiche.
A prova dell'influenza dell'Arte Faentina, il 18 agosto 2006, il Premier del Québec, Jean Charest, annunciò il ritrovamento, nella prima colonia Francese in Canada, di Charlesbourg-Royal, di un frammento di un piatto istoriato realizzato a Faenza tra il 1540 e il 1550, certamente di proprietà del Comandante Aristocratico della Colonia.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il fronte rimase fermo a pochi km, sul Torrente Senio, per quasi 4 mesi e Faenza fu bombardata più volte: il primo attacco si verificò il 2 maggio 1944; il 13 maggio fu effettuato un secondo attacco e nel corso di quel durissimo anno, la città fu colpita circa 100 volte, 2 terzi dell'abitato furono distrutti e morì sotto i bombardamenti il Vescovo, Monsignor Antonio Scarante.
La Città fu liberata dalle truppe Neozelandesi (2nd New Zealand Division) il 16 dicembre 1944.

SANTI PATRONI

BEATA VERGINE DELLE GRAZIE titolo della Beata Vergine Maria, è la Patrona principale della Diocesi di Faenza-Modigliana.

Tale fu proclamata nel 1931 e incoronata “Nomine Pontificis” e riconfermata anche quando alla Diocesi di Faenza fu unita alla Diocesi di Modigliana.

La sua Festa si celebra il sabato che precede la seconda Domenica del mese di Maggio.

La Cronaca Latina del Convento di Sant’Andrea in Vineis, composta negli ultimi decenni del 1400, dice che l’Immagine della Madonna delle Grazie fu dipinta nella Chiesa di Sant’Andrea “in Vineis” (attuale Chiesa di San Domenico), nel 1412, come immagine votiva per la liberazione da una Pestilenza, liberazione ottenuta per le preghiere espiatrici, fatte in quel luogo, dopo l’apparizione della Vergine Maria, a certa signora Giovanna. 

La Vergine sarebbe apparsa in atteggiamento ritto, con le braccia aperte e tenendo nelle mani 3 frecce spezzate, ad indicare la collera di Dio fermata per l’intercessione delle Preghiere di Maria. 

La cronaca testimonia che questo fatto avvenne nel 1412.

1630. Una Pestilenza devastò l’Italia settentrionale (la Peste del Manzoni), ma si fermò a Nord-Ovest della Città e Faenza rimase illesa.

Nel 1765 l’Immagine fu portata dalla Chiesa di San Domenico nella Cattedrale e collocata nella Cappella del Transetto, dedicata allora ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, e fu affidata alla Confraternita che da allora ne cura il culto.

Si ricordano in particolare i momenti in cui la città vide l’intervento miracoloso della Patrona Celeste:

Il 18 maggio 1631 il Cardinal Cennini, Vescovo di Faenza incoronò l’Immagine della Beata Vergine delle Grazie e la Città offrì le Chiavi d’Argento.

1781. Faenza fu colpita da un terribile terremoto, ma non vi fu neppure una vittima

Fu istituita allora, come ringraziamento, la "Festa annuale del Voto", il 4 Aprile, Festa che ancora si celebra.

1835. Faenza fu liberata dal Colera

Come ringraziamento l’Immagine della Beata Vergine delle Grazie fu posta sulle 5 Porte della Città.

L’Immagine della Beata Vergine delle Grazie è venerata anche a Varsavia dove fu portata, a metà del 1600, da un Missionario Faentino e il suo Culto si è diffuso tanto che, nel 1653, a rendimento di grazie per la liberazione dalla Peste, fu inviato come Ex Voto a Faenza lo stendardo detto «Votum Varsaviae» che tutt’ora pende dalla Cupola del Duomo.

Nel 1985, la Cappella della Madonna (nel transetto della Cattedrale) fu dichiarata Santuario Diocesano dal Vescovo Monsignor Francesco Tarcisio Bertozzi.

Nel 1991, per la celebrazione decennale, il venerdì precedente la Festa solenne, si é svolto il Pellegrinaggio Cittadino, a partire da 4 punti della Città, idealmente le 4 Porte, riunendosi in Cattedrale dove il Vescovo, con il Clero e i Fedeli, rinnovò l’Atto di Affidamento della Città e Diocesi alla Vergine delle Grazie. 

Monsignor Francesco Tarcisio Bertozzi ha stabilito che questo rito si compia ogni anno come voto alla nostra Madre e Regina.

Si ricordiamo, infine, la solenne consegna che Papa Giovanni Paolo II lasciò ai Faentini, alla fine della Celebrazione tenuta in Piazza, in occasione della sua visita alla Romagna il 10 Maggio 1986: «Lascio alla vostra città e Chiesa di Faenza questa missione che viene espressa con il nome amatissimo della Madonna, Maria, Vergine Madre di Dio, delle Grazie. 

Vorrei offrirvi di nuovo questo CARISMA con cui la vostra Chiesa vive da tanti secoli e che viene espresso con questa Immagine, tradizione, religiosità e devozione alla Madonna delle Grazie».

SAN PIER DAMIANI o Pier di Damiano o Pietro Damiani (Ravenna, 1007 - Faenza, 21 febbraio 1072 a 71 anni) è stato un Teologo, Vescovo e Cardinale italiano della Chiesa Cattolica che lo venera come Santo, proclamato Dottore della Chiesa nel 1828.

Fu grande riformatore e moralizzatore della Chiesa del suo tempo, autore di importanti scritti liturgici, teologici e morali

Fu uno dei migliori latinisti del suo tempo

Diceva di considerarsi «Petrus Ultimus Monachorum Servus» (Pietro, ultimo servo dei Monaci).

Fonte principale per la ricostruzione della sua vita è la Biografia realizzata dal Discepolo prediletto Giovanni da Lodi, Monaco e suo Segretario personale, particolarmente erudito da essere soprannominato «Grammaticus», poi divenuto suo successore come Priore di Fonte Avellana e successivamente eletto Vescovo di Gubbio.

Primi anni di vita (1007-1022)

Piero Damiani nacque a Ravenna, probabilmente all'inizio del 1007, se ne conosce con relativa precisione l'anno di nascita, fatto piuttosto raro per quei tempi, in quanto, egli stesso, riferisce in una delle sue numerose lettere, di essere nato 5 anni dopo la morte dell'imperatore Ottone III.

La sua famiglia era probabilmente, o era stata, di illustri origini, ma quando Piero nacque non era più di condizione agiata

Aveva 6 fratelli: il più grande era Damiano, che divenne Arciprete e poi Monaco, poi un fratello anonimo, quindi Marino, Rodelinda, la prima sorella, Sufficia, e un'altra sorella anonima;Piero l'ultimo nato.

Rimase orfano di entrambi i genitori in giovanissima età

Fu allevato dapprima dalla sorella maggiore Rodelinda, poi lo accolse in casa il fratello secondogenito, del quale non si conosce il nome, che lo costrinse a durissimi servizi e lo maltrattò.

Lasciò poi la casa del fratello malvagio e venne accolto dal fratello più grande Damiano, Arciprete

Probabilmente, per riconoscenza verso questo fratello, Piero aggiungerà al suo nome "Damiani", cioè "di Damiano", che non va inteso dunque come patronimico.

Studi (1022-1032)

Il fratello Damiano, Arciprete di una grande ed importante Pieve presso Ravenna, si occupò non solo del mantenimento, ma anche di fornire un'educazione al fratello Piero, cosa rara per quei tempi. 

Lo inviò a Faenza, poiché, presumibilmente, conosceva una Scuola migliore di quelle disponibili allora a Ravenna, ma forse, anche con l'intento di allontanarlo dal fratello malvagio. 

Arrivato a Faenza a 15 anni, Piero vi rimase per 4 anni, dal 1022 al 1025.

Terminati gli studi a Faenza, si spostò a Parma, per studiare le Arti Liberali (Arti Liberali era l'espressione con la quale, durante il Medioevo, si intendeva il curriculum di studi seguito dai chierici prima di accedere agli studi universitari. 

Più in generale le “Arti Liberali” erano quelle attività dov'era necessario un lavoro prettamente intellettuale, a fronte delle "Arti Meccaniche" che richiedevano lo sforzo fisico. 

I 2 gradi dell'insegnamento, l'uno letterario: che comprendeva la grammatica, la retorica e la dialettica (il Trivio); l'altro scientifico: l'aritmetica, la geometria, la musica, l'astronomia (il Quadrivio).

Concettualmente, le Arti liberali risalgono agli antichi Greci, che consideravano l'educazione di tali materie il segno distintivo di una persona istruita, e vi rimase negli anni 1026-1032, tra i 19-25 anni.

Insegnamento (1032-1035)

Terminati gli studi a Parma tornò a Ravenna dove intraprese la carriera di insegnante, che l’occupò probabilmente dal 1032 al 1035, cioè fino a circa 28 anni. 

Divenne un rinomato maestro di Arti Liberali, con molti allievi. 

È probabile che fosse anche Chierico (Diacono o un altro ordine minore), cosa allora comune per i maestri. 

L'Ordinazione Presbiterale, probabilmente, è da collocare durante il periodo di insegnamento a Ravenna (1034-35), ad opera dell'Arcivescovo Gebeardo di Eichstätt.

Vocazione Monacale (1035)

Durante l'insegnamento, maturò progressivamente l'idea di dedicarsi alla Vita Monacale. 

Mantenendo immutato lo stile di vita a stretto contatto con la società, cominciò a vivere interiormente come un Monaco: sotto le vesti indossava il Cilicio, digiunava, si prodigava in Preghiere, veglie, digiuni, Opere di Carità.

Come egli stesso raccontò, un fatto preciso lo incoraggiò ad abbracciare la Vita Monastica vera e propria. 

Solitamente invitava a mensa alcuni poveri ed un giorno si trovò solo con un cieco e gli offrì del pane scuro, di qualità peggiore, tenendo per sé un pane bianco: una lisca di pesce si conficcò nella sua gola, rischiando di soffocarlo. 

Interpretò l'incidente come una giusta punizione per il suo egoismo e prontamente offrì al cieco il pane migliore: immediatamente la lisca scivolò in gola lasciandolo indenne.

L'ingresso nella Vita Monastica avvenne quando conobbe a Ravenna 2 Eremiti di Fonte Avellana, Eremo nella Pentapoli Bizantina, fondato circa un decennio prima dal Ravennate San Romualdo. 

Attratto dalla loro umile e composta modestia, li seguì nel loro Eremo e vi si fece Monaco, probabilmente nell'anno 1035, compiuti 28 anni.

Monaco di Fonte Avellana (1035-1043)

A Fonte Avellana, grazie al suo passato di Maestro, gli venne chiesto di istruire i suoi fratelli in campo religioso ed esortarli alla Vita Monastica. Divenne ben presto anche Magister dei Novizi.

In seguito, probabilmente nel 1040, l'Abate di Pomposa, Guido degli Strambiati, chiese al Priore di Fonte Avellana di inviargli Pier Damiani come Magister, per istruire anche la sua Comunità, probabilmente avendone già conosciuta la fama che lo circondava a Ravenna ed avendolo poi apprezzato personalmente a Fonte Avellana; vi rimase circa due anni.

Nel 1042, per ordine del suo Priore di Fonte Avellana, passò da Pomposa al Monastero di San Vincenzo al Furlo (presso Urbino), per riformarne la Disciplina, secondo la riforma Romualdina. 

Qui scrisse la «Vita Romualdi» attingendo alle notizie dirette di chi aveva personalmente conosciuto il Monaco Anacoreta: del testo è nota l'Edizione Forlivese del 1641. 

Qui inoltre incontrò, e talvolta si scontrò, con alcuni potenti Nobili del tempo, come il Marchese Bonifacio di Toscana o la Dinastia dei Canossa.

Priore di Fonte Avellana (1043-1057)

A fine 1043, in occasione della morte del Priore Guido, ritornò a Fonte Avellana, dove venne eletto dai suoi confratelli (circa 20 Monaci) come suo successore, rimanendo Priore per 14 anni, fino al 1057.

Durante il suo Priorato si adoperò nell'organizzazione e nella promozione della vita Eremitica e di attuare gli ideali Monastici nel suo Monastero. 

Redasse una Regola in cui sottolineava fortemente il "rigore dell'Eremo": nel silenzio del Chiostro, il Monaco è chiamato a trascorrere una Vita di Preghiera, diurna e notturna, con prolungati ed austeri digiuni; deve esercitarsi in una generosa carità fraterna e in un'obbedienza al Priore sempre pronta e disponibile. 

Pier Damiani qualificò la Cella dell'Eremo come «parlatorio dove Dio conversa con gli uomini».

Curò anche l'ampliamento e la ristrutturazione di edifici esistenti e ne costruì di nuovi, curando in particolare la Biblioteca dell'Eremo.

Fondò, o comunque riorganizzò, all'interno della famiglia Monastica di Fonte Avellana, diversi Eremi e Monasteri dell'ex Esarcato Bizantino.

Oltre ad adoperarsi nell'ambito Monastico, fu uno dei principali e zelanti attuatori della Riforma Gregoriana della Chiesa

Si recò in visita in molte Diocesi (per esempio Urbino, Assisi, Gubbio) per esortare o rimproverare i Vescovi, ed in alcuni casi, fece pressione sul Papa per far rimuovere Vescovi indegni o Simoniaci (a Pesaro, Fano, Osimo e Città di Castello).

Dopo aver assistito all'incoronazione dell'imperatore Enrico III a Roma entrò in contatto con la Corte e recatosi più volte in Germania, l'imperatrice Agnese fu sua penitente.

Nel 1047 fu presente al Sinodo Romano, celebrato alla presenza dell'Imperatore e presieduto dal Papa, per affrontare e risolvere il problema della Simonia (la simonia era la compravendita di cariche ecclesiastiche nel periodo del Medioevo) e partecipò anche ai Sinodi Romani del 1049, 1050, 1051, 1053.

Nel 1049 compose il «Liber Gomorrhianus», trattante i peccati contro natura.

Col Pontificato di Papa Leone IX (1049-1054) si estese il raggio dell'azione riformatrice di Pier Damiani: ebbe un ruolo attivo anche nel tentativo di trattenere Enrico IV dal divorzio da Berta. 

Dal 1050 in poi, Pier Damiani partecipò attivamente con scritti e interventi personali alla Riforma Ecclesiastica che vide in Leone IX il più energico fautore e che lo nominò Priore del Convento di Ocri

La sua collaborazione proseguì con i successivi Papati di Stefano IX, Niccolò II e Alessandro II.

Consigliere di Papa Stefano IX, nell'agosto-novembre 1057 o il 14 marzo 1058, lo nominò Cardinale e Vescovo di Ostia, cioè uno dei 7 Cardinali Vescovi Suburbicari a più stretto contatto con il Papa

Stando ai suoi scritti, Pier Damiani non accolse la nomina con favore: si sentiva portato alla vita eremitica, implicante solitudine, silenzio, penitenza, preghiera.

Si trasferì per obbedienza a Roma, a stretto contatto col Papa e con la Corte Pontificia, dove rivestì un ruolo di primissimo piano.

Riformatore

Pier Damiani operò la sua azione riformatrice della Chiesa in diversi modi:

- si adoperò affinché il potere politico fosse privato delle connotazioni sacrali che aveva progressivamente assunto (e che avevano portato alla prassi aberrante della Simonia, che diede origine alla cosiddetta lotta per le investiture);

- mise in risalto l'autorità del Papa, fulcro centrale della vita Ecclesiale (questo da un lato per sottrarre i Vescovi all'autorità dell'Imperatore, dall'altro per non lasciarli sciolti da ogni istanza superiore, come invece chiedeva la corrente detta «Episcopalismo» [teoria della costituzione ecclesiastica, che si fonda sulla priorità dell'ufficio del vescovo, variamente elaborata sia come rivendicazione del primato del Concilio Ecumenico (conciliarismo ), sia come rivendicazione di determinati diritti inerenti alla carica di Vescovo e perciò non soggetti a limitazione o abrogazione da parte del Pontefice (gallicanesimo, febronianesimo, giuseppinismo)];

- cercò di riformare la vita dei Chierici, combattendo il «Nicolaismo» (interpretazione lassista del Celibato Ecclesiastico) e proponendo come modello la Vita Monastica.

Principali missioni per conto del Pontefice

Nel novembre 1059, Papa Niccolò II inviò Pier Damiani a Milano, assieme ad Anselmo da Baggio, Vescovo di Lucca, nonché futuro Papa col nome di Alessandro II. 

In quella Città lo scandalo della compravendita delle Cariche Religiose (Simonia) era sotto gli occhi di tutti; il matrimonio dei Sacerdoti era prassi corrente, come lo era il comportamento licenzioso di molti Religiosi

Le riforme avviate dal Papato, trovarono nella Chiesa Ambrosiana una forte opposizione, in quanto rivendicava la sua autonomia e la sua particolarità.

In controtendenza, un gruppo di Sacerdoti e Diaconi, tra cui Sant'Arialdo e i fratelli Landolfo ed Erlembaldo Cotta, formarono nella Città Ambrosiana, un movimento che gli oppositori soprannominarono «Pataria», da “patée” che in dialetto milanese significa “venditori di cianfrusaglie” (sinonimo di "straccione"), movimento che si scagliava contro il concubinato del Clero e contro il discredito che alcuni Porporati gettavano sulla Chiesa - e non solo sulla Chiesa. 

I Vescovi Ambrosiani scomunicarono alcuni membri di questo movimento e provocarono l'intervento del Papato per ristabilire l'ordine e l'obbedienza. 

Prima di Pier Damiani, si erano recati a Milano nel 1057 Anselmo da Baggio, Vescovo di Lucca, ed il Monaco Ildebrando da Soana (futuro Papa Gregorio VII), senza successo. 

Pier Damiani riunì tutto il Clero in Cattedrale e, richiamata l'autorità di Papa Niccolò, riuscì a strappare un accordo di accettazione del celibato del Clero. 

Le tensioni rimasero comunque alte, e dopo la morte di Niccolò II le dispute ripresero e sfociarono nel 1066 nell'uccisione, da parte di 2 Sacerdoti, di Sant'Arialdo.

Nell'aprile 1060, Papa Niccolò decise di mettere la Diocesi di Velletri, vacante da 2 anni (dall'elezione del Vescovo Giovanni Mincio come antiPapa Benedetto X), sotto la giurisdizione della Diocesi di Ostia, e quindi del Damiani: ciò raddoppiò il carico di lavoro e responsabilità del Monaco; dopo Pier Damiani, rimase prassi consolidata che Velletri fosse posta sotto la guida del vescovo di Ostia.

Altre legazioni furono svolte da Pier Damiani a Cluny in Francia (giugno-ottobre 1063), a Firenze, a Mantova, a Ravenna sua città natale, e in numerose località dell'Italia centrale.

Ritorno alla Vita Monastica e gli ultimi anni

Pier Damiani continuò a non amare la vita di Curia e chiese più volte a Papa Alessandro II, di permettergli di ritornare al Chiostro; così, 10 anni dopo la nomina a Vescovo, nel 1067, ottenne il permesso di tornare a Fonte Avellana, rinunciando a tutte le sue cariche. 

Ma, dopo soli 2 anni, venne richiamato per un'ultima missione: trattenere Enrico IV dal divorziare da Berta di Savoia, missione che fu coronata da temporaneo successo (Concilio di Magonza, 1069).

La Vita Monastica da lui praticata a Fonte Avellana, e diffusa altrove, era tra le più dure conosciute dal Monachesimo Occidentale: autoflagellazione, penitenze, recita quotidiana del Salterio, quantità minime di cibo, lavoro manuale (egli stesso dichiarò di essere stato particolarmente abile nella produzione di cucchiai di legno).

Nel 1071 si recò a Montecassino per la consacrazione della Chiesa Abbaziale ed agli inizi dell'anno seguente si recò a Ravenna per ristabilire la pace con l'Arcivescovo Enrico, che aveva appoggiato l'antiPapa Clemente III, provocando l'interdetto sulla città.

Durante il viaggio di ritorno all'Eremo di Gamogna (uno dei tanti da lui fondati), un'improvvisa malattia lo costrinse a fermarsi a Faenza, dove fu ospitato nel Monastero Benedettino di Santa Maria Fuori le Mura (oggi conosciuta come Santa Maria Vecchia), dove spirò la notte tra il 21 e il 22 febbraio 1072

Trovò dapprima sepoltura nella Chiesa del Monastero ed in seguito le sue ossa furono traslate nella Cattedrale di Faenza, dove sono conservate tutt’ora.

Da una recente ricognizione medica sono emerse grosse calcificazioni nelle ossa delle ginocchia, in cui i devoti vedono una testimonianza concreta della sua vita di penitenza.

La Dottrina

Fu scrittore prolifico ed intellettuale raffinato: si conoscono oltre 700 Manoscritti contenenti le sue opere, segno della sua grande autorità e diffusione; scrisse 180 lettere (alcune tanto ampie da essere dei veri e propri trattati, nonostante la forma epistolare); varie Opere Liturgiche ed Eucologiche [l'eucologia è un ramo della Teologia Cristiana che si occupa delle orazioni - "testi eucologici" -, altrimenti dette "Preghiere"]; sermoni da lui tenuti in varie occasioni; Agiografie [letteratura relativa alla vita dei Santi], tra le quali spicca la già citata «Vita Romualdi». 

Le sue Opere furono raccolte e pubblicate per la prima volta dal Religioso Benedettino, Padre Costantino Caetani, che le divise in 4 volumi usciti tra il 1606 e il 1640: Lettere nel 1606, Sermoni e Vite dei Santi nel 1608, Opuscoli nel 1615 e Carmina nel 1640

La «Sancta Simplicitas»

L'espressione «Sancta Simplicitas», nel linguaggio di Pier Damiani, designa il coraggio e la forza d'animo dei “Piscatores”, uomini che partecipano con salda convinzione alla Fede. 

E proprio ai pescatori si riferisce come modello di virtù nel «De Sancta Semplicitate», lettera indirizzata ad un Monaco di nome Ariprando, che gli aveva manifestato il turbamento di essersi fatto Monaco, troppo giovane, prima di aver studiato a sufficienza la grammatica. 

La sete di scienza, è per Damiani una forma di idolatria, che distoglie l'uomo dal vero bene, che è la contemplazione di Dio: è il tema della “Vana Curiositas”: dove il mondo è solo una teofania, la manifestazione di Dio, non c'è necessità di indagare il Creato in quanto tale, ma solo di ammirarlo come "traccia" della Potenza Divina; infatti, la "cupidigia del sapere" è paragonata ad una tentazione diabolica, come quella che spinse Eva a mangiare il frutto dell'Albero della Conoscenza e, a sostegno di questa tesi, Damiani porta appunto i brani della Bibbia e dei Vangeli, a mostrare che Dio affidò sempre la predicazione della sua parola a uomini ignoranti e semplici, come appunto i pescatori: «Tu pure dai un più efficace incitamento a quelli che ti vedono correr sulle orme di Cristo, di quel che non avresti potuto fare se t'avessero udito cercar di persuaderli con gran numero di parole», la semplicità, quindi, è per un Predicatore, non un difetto ma una dote. 

Al Monaco si richiede il "sentire" e non le "lettere", queste ultime infatti traggono origine dal primo e non viceversa. 

Cita, inoltre, l'esempio di San Benedetto che «è mandato a studiar lettere; ma tosto si sente chiamare alla saggia stoltezza di Cristo» e, nonostante, quindi, Pier Damiani fosse esperto di tutte le Arti Liberali, le disprezza, affinché non divengano oggetto di idolatria e strumenti che, nelle mani di uomini non abbastanza saggi, sono in grado di condurre a eresie.

La Divina Onnipotenza

Lo spunto per l'«Epistola sulla Divina Onnipotenza», viene a Pier Damiani dopo una visita al Monastero di Montecassino, durante la quale, come lui stesso racconta, ebbe una discussione con un Monaco di nome Desiderio, che sosteneva, in base ad una affermazione fatta da San Girolamo che Dio non fosse in grado di restituire la verginità ad una donna che l'avesse perduta; ciò significava, in pratica, che Dio non può cambiare il passato.

Argomentando contro San Girolamo, San Pier Damiani dimostra di non sottostare al principio di autorità: «[...] io non guardo a chi ha detto una cosa, ma a che cosa si dica», collocandolo sul fronte opposto a quei “Dialettici” che in quello stesso periodo del Medioevo andavano affermando nuovi modelli di razionalità, basati soprattutto sulla logica Greco-antica (su tutti Aristotele, l'Auctoritas per eccellenza), ma anche a un certo tipo di Patristica.

L'attribuire un qualche tipo di impotenza a Dio, sembra a Pier Damiani una affermazione che non si può fare con leggerezza; ciò che soprattutto gli preme, è arrestare l'arroganza di quei Teologi che ponevano la Divinità al di sotto della Logica, dimenticando la totale Trascendenza di Dio, che è quindi, al di fuori della portata della ragione umana. 

Ciononostante, egli fa appello proprio alla ragione, per mostrare che, se bene usata, essa può servire anche a riportare all'umiltà quelli che, dicendosi sapienti, giungono a dire di Dio che non può fare qualcosa.

Il fatto che, fino ad ora, nessuna vergine sia mai risorta dopo caduta, non è affatto prova che Dio non sia capace di farlo, infatti, argomenta Pier Damiani, fino a prima della nascita di Cristo, si sarebbe potuto dire che Dio non era in grado di far partorire una vergine. 

L'unica cosa che Dio non può fare, né sa come fare è il male, ma ciò non è da intendersi come un’impotenza, bensì come rettitudine della Volontà Divina (inoltre era opinione diffusa, a partire da Sant’Agostino di Ippona, che il male fosse privo di positività ontologica [riguardante la natura e la conoscenza dell'essere, come oggetto in sé], che cioè sia nulla): «Ma d'altra parte tutto quel che vuole, senza alcun dubbio, lo può».

Usando quelle che Damiani chiama «le invincibili ragioni della fede», egli argomenta che, non solo Dio può far risorgere "nel merito" una vergine caduta, ma che può farlo anche fisicamente, cioè "nella carne": «Quei che ha formato una creatura che non esisteva, non potrà ripararne una che già esiste ma s'è guastata?».

La questione, di conseguenza, si amplia: che rapporto ha Dio con il tempo? 

È in grado di cambiare il passato e far sì che ciò che è accaduto, non sia accaduto? 

A queste domande, ancora una volta, Pier Damiani cerca di rispondere con la ragione, fermo restando però il confronto continuo con la rivelazione del Testo Biblico: la Legge del mutamento, governa le cose e gli enti del mondo: nascono, durano, muoiono. 

Espressione del divenire è il tempo, scandito secondo il passato, il presente, il futuro, ma per Dio, questi sono la medesima cosa, trascende tali dimensioni: «[...] per rapporto alla sua eternità [...], il suo presente non si cangia mai in passato e il suo oggi non diventa mai domani, né altro momento del tempo». 

Dio può (o poteva) impedire l'accadimento delle cose, facendo sì che, ad esempio, Roma, la quale fu fondata in tempi antichi, non sia (o non fosse) fondata? 

La risposta dipende dal modo in cui si fa uso della categoria "tempo". In riferimento all'eternità, che gli è propria, Dio può; in relazione all'uomo, che vive e conosce mutamenti incessanti, Egli poteva: « [...] tutto quello che Dio poteva, questo anche può [...]. 

Quel potere, che aveva prima che Roma sorgesse, permane ognora immutabile[...] sicché, allo stesso modo che, di qualsiasi cosa, possiamo dire che Dio poteva farla, possiamo dire ugualmente che può farla per la ragione che il suo potere, che è coeterno a Lui, resta sempre fermo e immutabile.» 

In un'ottica deterministica come quella di Damiani, chi nega a Dio potere sul passato, glielo nega anche sul presente e futuro, poiché sono tutti egualmente necessari. 

Bisogna quindi ammettere che nella sua extra-temporalità sia parimenti onnipotente tanto sul passato quanto sul futuro, ma non vi è un "prima" e un "dopo" nella dimensione Divina, tutto ciò che Dio decide di cambiare lo fa nel suo "eterno oggi".

Emergono qui i limiti della ragione umana, dei quali Damiani è ben consapevole, infatti l'implicazione di questa teoria è che Dio sia svincolato dal principio di non-contraddizione, e questa capacità lo pone al di sopra della logica e rende quindi impossibile per l'uomo, che è invece soggetto all'ordine razionale, la comprensione piena del Divino.

Il ruolo della Dialettica

Strumento tipico della Filosofia è la Dialettica: come affronta, questa, il tema dell'Onnipotenza Divina? 

Damiani condivide una tesi che vanta antiche e diffuse adesioni: la Dialettica è disciplina formale, che mette ordine nelle idee e nel linguaggio, ma non ha la forza di penetrare nell’essenza intima della realtà. 

Di qui i 2 corollari:

  1. Il principio di non contraddizione, architrave della logica, implica il rispetto della "necessità", categoria per la quale tutto quello che fu, è necessario che sia stato, così come tutto ciò che è, fintanto che è, è necessario che sia.
  2. Trasferire la "necessità" alla sfera della realtà naturale non è possibile; significherebbe negare che, il mondo è l'effetto della libera - non vincolata - volontà di Dio. 

Il principio di non contraddizione non ha cittadinanza nella sfera del Creazionismo, e Damiani ha il conforto dei Filosofi classici:

«[...] disputarono circa la conseguenza della necessità o impossibilità secondo la mera virtù della sola arte, così da non fare alcuna menzione di Dio in tali dibattiti.» («De divina onnipotentia»)

La Dottrina Politica

Le vicende del tempo fanno da sfondo alla dottrina politica che Pier Damiani sviluppa nel «Liber Gratissimus» e nella «Disceptatio synodalis», nei quali, alla radice del suo discorso, c'è la distinzione fra autorità religiosa e potere politico, secondo cui, sono inconfondibili le funzioni che svolgono, rispettivamente, il Giudice ed il Sacerdote:

giudicare significa applicare la legge, che colpisce con la nuda sanzione gli atti aventi il profilo di reati;

esercitare il magistero sacerdotale vuol dire disporsi verso il peccatore con lo spirito del perdono, secondo amorevole misericordia.

Egli, come Canonista, in materia Ecclesiastica afferma, quindi, la signoria della personalità che regge le sorti della Chiesa di Cristo: il Romano Pontefice.

Papa Benedetto XVI ha dedicato l'udienza di mercoledì 9/9/2009 alla figura del Santo (vai al testo dell’udienza)

MEMORIA DI DONNE e UOMINI

Evangelista Torricelli nacque a Roma nel 1608, da genitori Romagnoli e madre Faentina, il noto fisico e matematico.
Nato a Caserta (sebbene fino al 1987, si è ritenuto che fosse nato a Faenza) da Gaspare Ruberti, originario di Bertinoro (12 km da Cesena e a 15 km dal Capoluogo di Provincia, Forlì) e tessitore, e Giacoma Torricelli, Faentina, Evangelista Torricelli rimase orfano in tenera età e trascorse l'infanzia e l'adolescenza a Faenza, dove fu iniziato allo studio dallo zio materno, Gian Francesco Torricelli (Don Jacopo, Monaco Camaldolese), Parroco di Sant'Ippolito, che curò la sua educazione primaria. Frequentò poi la Scuola dei Gesuiti, prima a Faenza e quindi a Roma, dove si avvicinò agli studi di matematica, che approfondì sotto la guida di Benedetto Castelli (1577-1644), Padre Benedettino, rinomato professore di matematica ed idraulica al Collegio della Sapienza, e illustre discepolo di Galileo.
Nel 1644, anno di edizione della sua «Opera Geometrica», concepì il principio del Barometro, costruendo quello che ora è chiamato «Tubo di Torricelli» e individuando il «Vuoto Torricelliano». 
Torricelli e Viviani dimostrarono che il vuoto può esistere in natura e che l'aria ha un peso, ponendo quindi fine alle millenarie discussioni filosofiche sull'"horror vacui". 
Un'unità di misura della pressione è stata chiamata «Torr» in suo onore e corrisponde a millimetri di mercurio, mentre l'unità di misura del Sistema Internazionale è invece il «Pascal», in onore dell'altro illustre fisico Blaise Pascal, che fece fiorire numerose ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione atmosferica descritta da Torricelli.
In Matematica, Torricelli iniziò a lavorare con la «Geometria degli Indivisibili» e ben presto superò, il suo maestro Cavalieri.
Fu abilissimo nell'utilizzarne le tecniche, cioè il «Metodo degli Indivisibili», come anche il «Metodo d'Esaustione», che era in uso presso gli antichi, fra tutti il grande Archimede, di cui Torricelli fu entusiasta ammiratore: a lui dobbiamo la riscoperta nel Rinascimento del matematico Siracusano.
Per il gusto di imitare i classici, Torricelli dimostrò in 21 modi diversi un Teorema di Archimede: 11 con il «Metodo d'Esaustione», 10 con il «Metodo degli Indivisibili».
Spesso i risultati ottenuti con la «Geometria degli Indivisibili», venivano poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della controversia sulla loro fondatezza.
La disputa sul luogo di nascita. Torricelli si diceva Faentino e tale fu considerato da chi lo conobbe ed anche successivamente; ma le ricerche compiute già subito dopo la sua morte nei Registri Battesimali di Faenza non ebbero esito. 
Ciò diede adito ad un secolare dibattito, durante il quale varie località Romagnole rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. 
Poi, nel 1958, Giuseppe Rossini ricostruì l'Albero Genealogico dei Torricelli, originari della località Pideura, del Comune di Brisighella, nel Contado Faentino (9.7 km da Brisighella e 16.2 da Faenza), risalendo di 2 secoli oltre la nascita di Evangelista.
Ma solo nel 1987, Giuseppe Bertoni, già Preside del Liceo che di Torricelli porta il nome, trovò nel Registro dei Battezzati della Basilica di San Pietro in Vaticano, l'Atto di Battesimo di Evangelista.
Ciò che, per lungo tempo, trasse in inganno i ricercatori araldici, era il fatto che Evangelista aveva assunto il cognome della madre anziché del padre. 
Si sapeva che il nome del padre era Gaspare Ruberti, pertanto si cercavano notizie di un inesistente Gaspare Torricelli. 
Viceversa, si avevano notizie di una Giacoma Torricelli, ritenuta la zia paterna, e che era invece la madre.

Giovanni Gottardi, nacque a Faenza il 27 dicembre 1733 da Giovanna Carradori e Francesco Maria, muratore, detto fra Barbino (Strocchi).
Nel 1750 dipinse la Madonna del Buon Consiglio (Faenza, Chiesa di Sant’Agostino), copia dell'immagine Quattrocentesca ad affresco venerata nell'omonimo Santuario di Genazzano. 
Col favore degli agostiniani, circa un anno dopo, andò a studiare pittura a Roma, dove, appoggiato dal Generale dell'Ordine Carlo Vásquez, fu ospitato nello stesso Convento. 
Successivamente, si stabilì con la moglie e 2 figlie nella Parrocchia di Sant’Agostino. 
All'inizio, lo stile del Gottardi appare legato a modi Maratteschi (Carlo Maratta, talvolta menzionato anche come Carlo Maratti, pittore e restauratore, fu una figura centrale della Pittura Romana ed italiana della seconda metà del 1600; durante la vita fu celebrato come il massimo pittore del suo tempo, improntando anche gran parte della produzione artistica del secolo successivo.
La Pittura Romana tra 1600 e 1700, era dominata dal contrasto tra Classicismo e Barocco; Maratta riuscì nel difficile compito di conciliare le 2 opposte tendenze, partendo dal Classicismo di Raffaello ed accogliendovi un Barocco privo di eccessi retorici) e ad un gusto tardo Barocco tradizionale.
In seguito il Gottardi, mostrò un progressivo adeguamento alla prima fase del Neoclassicismo Romano.
Nella sua opera, a ricordi del Domenichino (Domenico Zampieri) e di Guido Reni, si uniscono elementi propri del 1600 Romagnolo, soprattutto l'accentuato Realismo dei personaggi inseriti in ampie architetture di carattere classico.
Nel 1770 il Gottardi divenne socio della «Congregazione dei Virtuosi al Pantheon» di cui, nel 1792 ne diventò reggente. 
Morì a Roma nel settembre 1812.

Achille Calzi junior (Faenza, 4 settembre 1873 - Faenza, 19 dicembre 1919) è stato un Pittore e Ceramista.

Fu Artista raffinato volto a nuovi orizzonti europei, dal Naturalismo a un Simbolismo Decorativo, all'ultimo Liberty

Nella sua espressione artistica ricompose spunti eclettici e letterari, brillante nella caricatura e nella satira, e con particolare felicità nella grafica, ma allo stesso tempo si dimostrò abile nell'eleganza e fare espressivo nella pittura di cavalletto.

Dopo aver frequentato la scuola tecnica e la scuola di Disegno di Faenza, si trasferisce a Firenze per continuare gli studi presso l'Istituto di Belle Arti (1890-1893). 

Dalla fine del 1900 al 1904 diventa insegnante di Disegno presso la Scuola d'Arte di Potenza e poi di Avigliano

Rientrato a Faenza affianca il direttore della Pinacoteca Argnani e si dedica all'arte e alla cultura locale con ricerche e pubblicazioni.

Nel 1906 assume la Direzione delle Fabbriche Riunite di Ceramica, impiegate per l'Esposizione Internazionale di Milano: grazie alla colossale rampa di scale la Ditta ottenne il Gran Premio della Giuria e lo stesso Calzari vinse come direttore artistico la medaglia d'oro. 

Sempre in quell'anno divenne Direttore della Pinacoteca e del Museo Civico e nel 1908 nella Scuola di Disegno “Tommaso Minardi” ricevette la Cattedra di Disegno d'Ornato

Con i lavori delle Fabbriche Riunite, durante l'Esposizione Torricelliana del 1908, fabbrica una fontana e un gabinetto da bagno, collaborando con il Vassura preparando disegni illustrativi di principi scientifici torricelliani nella Tribuna Torricelliana.

Nel 1909 pubblicò l'Opera «Faenza nella Storia e nell'Arte», occupandosi della sezione sull'Arte Faentina dall'Età Antica alla Contemporanea, mentre della parte legata alla storia se ne curò A. Messeri. 

1911 divenne Direttore della Scuola di Disegno e Plastica e compì una ricostruzione di una Bottega e Fabbrica di Maioliche di Epoca Rinascimentale per l'Esposizione di Roma del Padiglione Emiliano-Romagnolo

Redisse il periodico Satirico Bric a Brac nell'estate del 1913, di cui non tutti i numeri escono e collabora 2 anni dopo al periodico torinese «Numero» con caricature satiriche. 

Utilizza lo stesso tema satirico anche per la realizzazione di cartelloni a sostegno del fronte interno durante la Prima Guerra Mondiale, affissi sotto ai portici della Piazza di Faenza e seguiti con interessi dal popolo, la maggior parte dei quali polemici contro il disfattismo.

A fine guerra aprì una Bottega di Maioliche in Via Roma nuova, a cui collaborarono molti celebri artisti e tecnici tra cui A. Bucci ed Arturo Martini, il quale fu suo ospite per alcuni mesi.

Diede importanza ad una concezione dell'Arte estesa a quelle applicate e alla decorazione, da ciò, oltre dirigere le Fabbriche Riunite di Ceramica, collaborò anche con l'Ebanisteria Casalini e la Ditta di Ferri Battuti Matteucci.

Per quanto concerne la sua fiorente attività a Faenza, con egual importanza, ideò dall'opera di ordinamento della Pinacoteca alla direzione della Scuola d'Arti e Mestieri, ed ancora Studi sulla Cultura Locale, inoltre maturò la consapevolezza di un'unità e specificità dell'Arte Faentina che comprendeva Arti Figurative, decorazione, come prodotto di cultura. 

Propose di qui di riunire le direzioni del nuovo Museo delle Ceramiche, fondato da G. Ballardini nel 1908, con quella della Pinacoteca.

Morì precocemente rompendo la sua fertile attività, ricca di poliedrici interessi, amante della cultura europea scoperta nei viaggi in Francia e Inghilterra, amico di letterati ed artisti come Carducci, D'Annunzio, Zandonai, Sartorio, Baccarini, Dudovich, Pellizza da Volpedo, De Carolis, e molti altri.

Riccardo Gatti (Faenza, 3 aprile 1886 - Faenza, 29 giugno 1972) Ceramista e Scultore.
Il padre Francesco era dirigente presso la rinomata ebanisteria Casalini.
Frequenta le classi ginnasiali al Seminario di Faenza, e successivamente la Scuola "Tommaso Minardi" di Faenza. 
Comincia a lavorare presso la «Minardi Ceramiche», producendo opere in Stile Decò
Nello stesso periodo, conosce Domenico Baccarini, ed entra a far parte del Gruppo di Artisti chiamato «Cenacolo Baccarini», insieme ad Ercole Drei, Pietro Melandri, Domenico Rambelli, Francesco Nonni e Giuseppe Ugonìa [Faentino di nascita ma operante a Brisighella (vedi)].
Nel 1906, il Gruppo partecipa alla «Mostra delle Arti Figurative Faentine», dove Gatti si fa notare per la sua abilità come Scultore e Plasticatore, e nel 1908, all'«Esposizione Torricelliana di Faenza», questa abilità gli venne riconosciuta con il conferimento della Medaglia d’Argento per la Scultura.
Tra il 1909 e il 1911, studia a Firenze all'Accademia di Belle Arti, insieme a Francesco Nonni. 
Nel 1913, si trasferisce a Roma, ma è subito dopo costretto, per problemi familiari, a tornare a Faenza, dove nuovamente lavora alla «Minardi»; alla morte del proprietario, la Fabbrica cessa l’attività, e Gatti torna a Roma, dove si iscrive alla Libera Scuola del Nudo. 
Nel 1915, è richiamato alle armi e si arruola nel Corpo dei Bersaglieri. Nel 1919, torna a Faenza e lavora presso la Fabbrica «Farina». 
Nel 1924, si sposta alla «Faventia Ars» di Francesco Castellini e Luigi Masini, che avevano rilevato la «Minardi».
Nel 1927 (o 1928), apre un proprio laboratorio a Faenza, la «Bottega Faentina», in società con Luigi Morstabilini, in Via Bologna Piccola 2.
Nell’agosto del 1928, lo Scrittore Futurista, Giuseppe Fabbri, coinvolge Gatti, insieme a Mario Ortolani ed Anselmo, nella realizzazione di Ceramica Futurista
Il 28 ottobre del 1928, presso la sede della «Società Musicale Sarti» di Faenza, Filippo Tommaso Marinetti inaugura  la «Prima Mostra Ceramica Futurista», dove sono esposte le opere frutto della collaborazione tra i Ceramisti e gli Artisti Giacomo Balla, Benedetta Marinetti, Mario Guido Dal Monte e Remo Fabbri. 
Le 18 Ceramiche realizzate da Gatti (9 di Balla e 9 di Dal Monte) hanno grande successo e sono tutte vendute nel giorno stesso dell’inaugurazione.
Nel 1929, Gatti partecipa a diverse esposizioni a Barcellona e Milano. Nel 1930, inizia a collaborare con Giò Ponti, con il quale partecipa a varie Triennali di Milano.
Nel 1932, riceve la Medaglia d’Oro e la Croce al Merito per la Ceramica Artistica all’«Esposizione di Bologna» e, nel 1934, la Medaglia d’Oro e la Croce al Merito per la Ceramica Artistica e Moderna all’«Esposizione Mostra Campionaria» di Firenze. 
Partecipa anche all’«Esposizione Internazionale» di Parigi del 1936 e, nello stesso anno, vince il 2° Premio per la Scultura alla «VII Settimana Faentina». 
Nel 1938, a Berlino riceve un’altra Medaglia d’Oro e nel 1942 è più volte premiato al «IV Concorso Nazionale della Ceramica» di Faenza.
Dopo la Guerra, nel 1946, Gatti è di nuovo al lavoro nella sua Bottega a Faenza. 
Nel 1957, riceve al «15° Concorso della Ceramica» di Faenza la Medaglia d’Oro del Presidente del Senato della Repubblica. 
Nel 1959, Gatti è nominato Membro Societario dell’Istituto Internazionale della Legion d’Onore di Roma e in quello stesso anno vince il prestigioso «Premio Palladio» a Vicenza.

Raffaele Bendandi nacque a Faenza il 17 ottobre 1893 e, fin da ragazzo, mostrò una spiccata passione per i terremoti
Ultimata la 6ª classe elementare, lavorò presso un orologiaio, poi, da un intagliatore di legno.
Non trascurò mai lo studio dei grandi scopritori: Copernico, Darwin, Galileo, Newton, ecc. 
Basandosi sul movimento delle maree derivate dall’attrazione lunare, ritenne che anche i movimenti della crosta terrestre (bradisismo e terremoti) derivassero dalla forza attrattiva del nostro satellite e degli altri pianeti. Scopri il ciclo undecennale delle macchie solari e scrisse in proposito il libro «Un principio fondamentale dell’Universo» edito nel 1931; scrisse, ma mai pubblicò, un volume «Sulle stelle variabili» che è esposto nelle bacheche del planetario.
Le sue teorie venivano a sconvolgere i principi della scienza ufficiale, fu osteggiato, soprattutto nel momento in cui cominciò a fare previsioni, e gli fu pertanto imposto il silenzio. 
Convinto della validità delle sue teorie, Bendandi continuò a studiare e a controllare ogni avvenimento tellurico per avere una conferma al suo metodo di previsione.
È morto il 1° novembre 1979, solo e dimenticato da tutti, ma con la speranza nel cuore che prima o poi, con la previsione dei terremoti, l’uomo riuscisse a salvare molte vite umane.
La Biblioteca fu sicuramente il luogo più caro a Bendandi: lì studiava, leggeva, consultava, verificava e, quando qualcuno interrompeva la sua meditazione, guardava fuori dalla finestra indeciso se farlo entrare o no. 
Contiene oltre 1.000 libri, bollettini di diversi Osservatori mondiali, raccolte di giornali ed articoli. 
In 15 scatole e 9 cartelle sono raccolti i calcoli e gli scritti originali. Sulla mensola, sopra la porta, che immette all’Osservatorio, alcuni modelli di giocattoli fabbricati da Bendandi, quando dal 1940 al 1950, lavorò nella «Fabbrica del giocattolo» per motivi di necessità.

Nel 1891, nacque Pietro Nenni, leader storico del Socialismo italiano, considerato tra i padri della Repubblica.

Nel 1895, il Conte Carlo Zucchini, anima instancabile per molti anni delle Associazioni Cattoliche Faentine, condusse le forze politiche Cattoliche e Liberali alla guida della Città, stabilendo un tale preponderanza che, per Faenza venne coniata l'espressione di «isola bianca», per distinguerla dal resto della "rossa" Romagna, dove prevalevano le forze Socialiste e Repubblicane.

Guerrino Tramonti, è nato a Faenza il 30 giugno 1915. 
Pittore, Scultore e Ceramista, teneva a considerarsi autodidatta per quanto, nella seconda metà degli anni 1920, avesse frequentato la Regia Scuola di Ceramica, dove, tuttavia, teneva a precisare di avere imparato a conoscere i colori da un maestro quale fu il Ceramista Faentino Anselmo Bucci.
Ha esposto fin da giovanissimo come Scultore a Mostre Regionali e Nazionali: nel 1931, all'età di appena 16 anni, ha ottenuto il Premio “Rimini”; nel 1932 e nel 1934 il 1° premio al Concorso “Rubiconde” della città di Rimini.
Poco più che ventenne, nel 1938, è premiato al 1° Concorso Nazionale della Ceramica indetto dalla Città di Faenza.
In tale manifestazione viene apprezzata “la sintetica schiettezza di certe figure”, un gruppo di opere in terracotta e smalti eseguite ad Albissola nella “Casa dell'Arte”, dove per un anno circa Tramonti si era trasferito ad operare come modellatore. 
Una “testa di giovinetta” che dal concorso, passò alle raccolte del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, e che andò distrutta durante l'ultimo Conflitto Mondiale. 
Nel corso degli anni e decenni successivi, sino alla fine degli anni 1960, quando terminerà in pratica di fare Ceramica per dedicarsi alla Pittura, ha ottenuto una serie di riconoscimenti, fra cui 2 Premi “Faenza” nel 1952 (con opere realizzate in collaborazione con Antonio Scordia) e nel 1955 (ex-aequo con Carlo Negri).
Nel 1951, è insegnante di plastica alla Scuola d'Arte di Civita Castellana, centro ceramico alle porte di Roma, dove, anche per l’amicizia con Franco Gentilini, con il quale, a Faenza, aveva avuto rapporti sin dall'adolescenza, frequenta i migliori ambienti artistico-culturali della Capitale. 
Nel 1956 l'Editore Romano De Luca, gli pubblica una monografia con presentazione di Leonardo Sinisgalli, nella Collana «Artisti di Oggi».
Nel 1953 è nominato direttore della Scuola d Arte per la Ceramica di Castelli d'Abruzzo; nel 1958 della Scuola d’Arte di Cagli; nel 1959 dell'Istituto Statale d'Arte di Forlì, fino alla fine degli anni 1960, per assumere, infine, la direzione dell'Istituto d'Arte per la Ceramica di Nove di Bassano, con cui termina, nei primi anni 1970, la carriera scolastica.
Arturo Martini lo invitò nel 1934 a seguirlo, senza esito, nel suo studio di Milano, dopo averlo premiato al “Rubiconde”.

Nella lotta Partigiana si distinsero particolarmente:
Benigno Zaccagnini, che sarà il Segretario della Democrazia Cristiana dal 1975 al 1980;
Silvio Corbari, che diede vita, nel 1943, ad una Formazione Partigiana, passata alla storia come «Banda Corbari»; in seguito all'uccisione di Gustavo Marabini, console della Milizia Fascista, Silvio Corbari venne catturato e in seguito impiccato a Castrocaro.
Il calciatore Bruno Neri, dotato sportivo e coraggioso combattente, che trovò la morte tra le montagne di Tredozio, nei pressi dell'Eremo di Gamogna.

DIALETTO

(Il termine "dialetto" va inteso nella sua accezione di "lingua contrapposta a quella nazionale" e non come "varietà di una lingua")

Faenza è legata alle sue radici culturali Romagnole, ed in particolare al suo dialetto. 
Assieme a Forlì condivide la fama di sede del Dialetto Romagnolo tipico, anche se, fra i 2 centri vi sono significative differenze. 
Difatti, in questo Territorio, perfino fra 2 frazioni, separate da pochi chilometri di strada, possono riscontrarsi differenze di termini e accenti. La lingua tende a perdere questa o quella peculiarità, a mano a mano che ci si allontana dal nucleo centrale. 
A Faenza ha sede la Filodrammatica "A. P. Berton" (www.filodrammaticaberton.it), una delle prime filodrammatiche d'Italia, fondata nel 1883, associazione estremamente attiva dal punto di vista teatrale, rinomata in particolare per le commedie in dialetto romagnolo. 
Dal 1994 ha una sede stabile: il Teatro dei Filodrammatici.

TRADIZIONI - EVENTI - FOLKLORE
(Con il termine «Folklore» si intende l’insieme degli usi, abitudini, tradizioni, comportamenti, linguaggi di un popolo; insomma gli aspetti più caratteristici e suggestivi della vita di una Comunità)

DONAZIONE DEI CERI
Il Sabato precedente la 2^ domenica di maggio, Festa del Patrono.
In Cattedrale i Rioni ed il Gruppo Municipale, in corteo, portano in omaggio alla Madonna delle Grazie, la Santa Patrona di Faenza, 6 Ceri con inciso lo Stemma Rionale e Municipale, e ricevono, dalle mani del Vescovo, il Drappo del Niballo.

PALIO DEL NIBALLO
La 4ª domenica di giugno, si disputa il Palio, una rievocazione storica fra i 5 Rioni della Città, Rione Bianco, il Rione Rosso, il Rione Giallo, il Rione Verde e il Rione Nero. 
Il Niballo-Palio di Faenza è una delle più antiche Giostre Medievali d’Italia, conosciuto come «Giostra del Barbarossa» e «Quintana del Niballo», trae le sue origini nel 1164, quando in occasione del passaggio dell’Imperatore Federico Barbarossa a Faenza, ospite di Enrico e Guido Manfredi, cittadini “notabili” della città.
Secondo vari documenti storici, vi sono testimonianze dello svolgimento della “Quintana del Niballo” dal 1600 sino al 1796. 
L’origine del Palio moderno risale al 1959 ed è accompagnato nelle settimane precedenti, dalla Bigorda, dal Torneo delle Bandiere e dei Musicanti.
Il venerdì antecedente la manifestazione della Bigorda d’Oro ed il sabato antecedente il Niballo-Palio di Faenza, presso le sedi rionali, si organizzano Cene Luculliane e Propiziatorie per il cavaliere e i rionali, una sorta di grande rito scaramantico collettivo, volto ad invocare la fortuna mentre si gusta dell’ottima cucina. .
Il Niballo è anticipato da un’altra manifestazione storica di grande fascino: il «Torneo della Bigorda d’Oro»
Il nome »Bigorda», rievoca quello della lancia di legno utilizzata all’Epoca dei Tornei Cavallereschi. 
Il Torneo della Bigorda d’Oro, preceduto da un Corteo Storico, nasce nel 1997, come Palio di giovani, disputato tra i giovani cavalieri dei 5 Rioni di Faenza.

Torneo delle Bandiere, è tradizione che nella festività precedente la disputa del Niballo-Palio di Faenza, i Capi Rioni ed i contendenti che disputeranno il Palio, nella Piazza del Popolo, di fronte al Magistrato dei Rioni e al Maestro di Campo, prestino il giuramento di rispettare le regole imposte dalla cavalleria e di combattere lealmente per i colori del proprio Rione.
Prima di questa cerimonia, si svolge la gara tra gli Alfieri Bandieranti delle cinque contrade faentine, nella specialità della coppia.
Il 3° sabato di giugno si disputa il Torneo degli Sbandieratori, nelle specialità del “singolo”, della “Piccola Squadra” e della “Grande Squadra”. (www.paliodifaenza.it)

NOTT DE BISÒ
La notte del 5 gennaio, i Rioni organizzano, la tradizionale Festa Folcloristica che si svolge nella splendida Piazza del Popolo della Città Manfreda, conclusiva delle iniziative legate al Niballo. 
I protagonisti di questa festa sono i Rioni, presenti in Piazza con il proprio stand gastronomico, dove i volontari, appartenenti alle tifoserie rionali, si adoperano per preparare polenta, piadina e bisò, il tradizionale Vin Brulè Faentino, servito nei caratteristici “gotti” in ceramica; elemento inscindibile del vino caldo (il Bisò) è dunque la Ceramica che annualmente presenta uno stile nuovo di decorazione, esplorando l’infinita tavolozza dei colori e degli stili decorativi della Ceramica Faentina.

100 km DEL PASSATORE
Si svolge nell'ultimo sabato di maggio, un'ultramaratona, considerata da molti folkloristica, ma molto impegnativa, che richiama ogni anno più di 1.000 partecipanti da tutto il mondo. 
La difficoltà non è solo nella distanza (100 km), ma anche nel dislivello: la partenza è a Firenze (128 metri slm) e si devono attraversare gli Appennini, giungendo alla quota massima sul Passo della Colla di Casaglia (913 m slm), per poi scendere verso Faenza (34 m slm). L'importanza della Gara, nel panorama delle ultramaratone, è data dal fatto che più volte è stata Campionato Europeo e nel 1991 anche Campionato del Mondo.
Nel 1969 Alteo Dolcini ha fondato la Società del Passatore.

L'idea di una corsa di 100 km è stata sviluppata da Alteo Dolcini, cofondatore anche dell'Ente Vini di Romagna, proponendo di unire la Terra del Sangiovese alla Terra del Chianti, partendo dal progetto di organizzare una Maratona nel Faentino
Nel 1973 l'Unione Operai Escursionisti italiani (UOEI) sotto la presidenza di Checco Calderoni, l'Ente Vini e la Società del Passatore hanno organizzato la 1ª edizione della gara, chiamata «100 km del Passatore Firenze-Faenza»
Originariamente, la Corsa seguiva, per intero, il tracciato della strada statale 302 Brisighellese Ravennate, con partenza da Piazza della Signoria a Firenze e arrivo in Piazza del Popolo a Faenza, attraversando i Comuni di Fiesole, Borgo San Lorenzo, Marradi e Brisighella.
Snodandosi attraverso l'Appennino Tosco-Romagnolo, il percorso è caratterizzato da notevoli dislivelli, e raggiunge il punto più alto al passo della Colla di Casaglia a 913 metri.
In seguito, per ragioni legate essenzialmente al traffico automobilistico, la prima parte del tracciato è stata cambiata: da Firenze, anziché imboccare direttamente la Via Faentina e proseguire lungo la Valle del Mugnone sulla SR 302, il percorso esce dalla Città in direzione di Fiesole, attraversa la cittadina e prosegue sulla Via dei Bosconi, che si riallaccia alla SR 302, in prossimità del Passo della Vetta le Croci (518 m slm); sino a questo punto, il percorso è chiuso al traffico automobilistico, dopo di che, la Gara prosegue sul tracciato storico ed è permesso il transito ai veicoli.
Lungo il percorso, sono presenti 3 traguardi intermedi: a Borgo San Lorenzo 195 m (31,5 km), Colla di Casaglia 913 m (48 km) e a Marradi 328 m (65 km).

MEETING ETICHETTE INDIPENDENTI
Nell'ultimo week-end di settembre, ed in passato durante il mese di novembre, si tiene nel centro storico e si svolge la manifestazione che, in assoluto, ha portato in città il maggior numero di visitatori: il Meeting Etichette Indipendenti (MEI), evento in cui si radunano Case Discografiche e Musicisti che si definiscono indipendenti dalle Major Discografiche. 
Partecipano Musicisti di caratura nazionale, con concerti nelle 2/3 serate di durata della manifestazione.

Molto importanti sono le manifestazioni internazionali della ceramica d'arte contemporanea e antica, che si svolgono in Città, richiamando artisti, collezionisti e amanti della Maiolica da tutto il mondo. 
Tra queste spiccano «ARGILLÀ ITALIA», Mostra-Mercato dedicata alla Ceramica Artistica, affiancata da Convegni ed Eventi Culturali, che si tiene ogni 2 anni il primo weekend di settembre, lungo le strade del Centro Storico, che si snodano tra la Piazza principale ed il Museo Internazionale delle Ceramiche, e «BUONGIORNO CERAMICA», manifestazione che si tiene ogni anno nel primo weekend di giugno, alla quale partecipano tutte le Città facenti parte dell'Associazione Italiana Città della Ceramica (www.buongiornoceramica.it) e che consiste nell'apertura straordinaria di Musei e Botteghe Ceramiche con visite guidate e laboratori per gli appassionati.

FIERA DI SAN ROCCO
È la Fiera più antica della Città, dato che le sue origini risalgono al 1400
Si svolge nel Centro Storico, principalmente nei dintorni della Chiesa di San Rocco, la 1ª domenica di novembre.

CARNEVALE DI SAN LAZZARO
È una festa di carnevale di antica tradizione, con sfilata di carri allegorici, musica e gastronomia, che si tiene nel Borgo Durbecco nel giorno di San Lazzaro, ossia la domenica precedente a quella delle Palme.

SAGRA DEL TORRONE
Si tiene l'8 dicembre, nelle Strade tra Piazza del Popolo e la Chiesa di San Francesco, dove le celebrazioni dell'Immacolata Concezione, sono particolarmente solenni, piene di bancarelle e stand gastronomici, dove il prodotto più venduto è appunto il Torrone.
 
LOM A MERZ
Tra l'ultimo weekend di febbraio ed il primo di marzo, si tiene una rievocazione dei tradizionali «fuochi di marzo», tipici del Folclore Romagnolo, quando si bruciavano i rami secchi ed i resti delle potature, per propiziare una buona annata per i campi e le coltivazioni.

LA MUSICA NELLE AIE
Castel Raniero Folk Festival: Concorso Musicale di Gruppi Folk, provenienti da ogni parte d'Italia, che si tiene ogni anno il secondo fine settimana di maggio, nella suggestiva località Faentina di Castel Raniero, nelle prime colline Faentine.

COME RAGGIUNGERE Faenza

Faenza è facilmente raggiungibile dall'Italia e dal resto del mondo perché situata su alcune principali direttrici di traffico.

Chi non utilizza la propria auto per il viaggio può contare su comodi servizi di trasporto.

IN TRENO

La Stazione Ferroviaria di Faenza è situata sulla direttrice Milano-Bari, quindi connessa alle principali Città Italiane, nonché sulla storica linea "Faentina" che la collega direttamente a Firenze attraverso un suggestivo percorso collinare.

> Sito Trenitalia

IN AUTOMOBILE

Autostrada A14, uscita di Faenza

> Sito Autostrade per l'Italia

Faenza è attraversata da sud-est verso nord-ovest dalla strada statale 9 via Emilia e dall'Autostrada A14 Bologna-Taranto e da nord-est verso sud-ovest dalla strada statale 302 Brisighellese Ravennate

MOBILITÀ URBANA

Faenza dispone di un servizio urbano costituito da due autolinee linee gestite da Start Romagna, che opera anche i servizi interurbani che fanno capo al capolinea sito in viale delle Ceramiche.

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