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La crisi della presenza in Basilicata di Ernesto De Martino

Questo è un libro in cui l'antropologo Ernesto De Martino analizza la condizione esistenziale degli individui nella regione Basilicata o Lucana, focalizzandosi sulle difficoltà nel vivere rapporti umani autentici e non alienati. 

L'opera è caratterizzata da un approccio filosofico che risente dell'esistenzialismo europeo, in particolare delle idee di Heidegger e Sartre, e rappresenta un saggio storico.

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Lucania: la patria cercata

Può sembrare strano che un etnologo spenda qualche parola per una raccolta di poesie, e certamente il fatto non merita di essere incoraggiato, anche perché sussistente il pericolo che i poeti e letterati si occupino dei libri di etnologia e si determini in tal modo una sovversione generale delle buone abitudini accademiche. 

La verità è che nei nostri tempi, tra poeti, letterati ed etnologi - o anche fra poeti, letterati e storici della religione - si sono stabiliti dei rapporti di simpatia, a dispetto di tutte le buone abitudini accademiche.

In tutte le epoche nelle quali più urgente diventa l'esperienza della possibilità di smarrire l'uomo e l'umano, le partizioni tradizionali delle competenze e delle sensibilità accennano a diventare meno rigide, e dialoghi intermessi vengono ripresi, o dialoghi nuovi iniziati: la ricerca dell'uomo e dell'umano al di là delle aiuole territoriali si fa pressante, e cippi confinari cominciano ad essere oltrepassati con maggiore frequenza. 

Il pericolo di questo fenomeno è naturalmente il dilettantismo e la confusione delle lingue: ma se l'inquietudine per l'umano che agonizza spinge a queste sortite, ne verrà sempre alla fine un po' di bene, e comunque sempre un bene maggiore di quello che è capace di dare colui che ha perduto ogni sensibilità per i dolenti messaggi della sua epoca, e chiama solennemente questa perdita «fedeltà al proprio compito di specialista».

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Conoscere per trasformare

Cari amici, ho letto con vivo interesse il primo numero della rivista «Lucania», persuasiva testimonianza del risveglio culturale, oltre che sociale e politico, della vostra regione. 

Voi mi chiedete, nella vostra ultima lettera, quale sia il mio punto di vista in merito a rifiorire di inchieste sulla Lucania, con quali prospettive queste inchieste debbono essere condotte, e in che modo gli intellettuali della regione vi possono contribuire. 

A mio parere una rivista regionale come la vostra dovrebbe orientarsi nel campo delle inchieste, verso tre distinti settori di lavoro: a) le inchieste strutturali (condizioni sociali, economiche, sul regime alimentare, sull'abitazione, sulle condizioni igienico-sanitario, sulla scuola, ecc.); b) inchieste sulle forme tradizionali di vita culturale che influenzano gli strati meno avanzati della popolazione, soprattutto del mondo contadino; c) inchieste sulle nuove forme di vita culturale popolare nate sotto la spinta del movimento contadino.

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La spedizione etnologica del 1952

Queste note si riferiscono alle esperienze della spedizione etnologica in Lucania, condotta in equipe nell'ottobre del 1952 a iniziativa del Centro Etnologico Italiano e con l'appoggio del Centro Nazionale di Studi di Musica Popolare presso l'Accademia di Santa Cecilia. 

Queste note sono la prima elaborazione di appunti presi sul posto, in preparazione di un volume di etnologia Lucana. 

Affinché il lettore le legga per quel che sono, non sarà inutile qualche breve chiarimento. 

L'interesse per le formazioni culturali nate dalla esperienza di una radicale precarietà esistenziale e maturate nella lotta contro l'angoscia di mantenersi come persone davanti all'insorgere dei momenti critici dell'esistenza storica, questo interesse mi spinse già a compiere un viaggio ideale, e a esplorare il mondo magico degli Aranda australiani, del Yamana e dei Slk’mam della Terra del Fuoco, dei Tngusi della Siberia.

Ma a quel viaggio ideale mancava appunto l'esperienza di un incontro reale con un concreto mondo culturale di oppressi parentesi come che sia determinata questa oppressione, dalla natura o dagli uomini parentesi. Per questo incontro bastava tuttavia molto meno di un viaggio in un continente lontano: bastava un viaggio di dieci ore, parte in treno e parte in auto, sino a raggiungere una terra che si stende a 400 chilometri da Roma.

Data la loro natura e i documenti vivo di una umanità che cerca drammaticamente un'altra umanità, queste note di viaggio non contemplano solo la vita culturale dei contadini e dei pastori della Lucania, ma anche la reazione del mio proprio mondo culturale alle esperienze della spedizione. 

È quindi perfettamente naturale che accanto a oscuri nomi di braccianti, di pecorari di casalinghe, e alle loro testimonianze, il lettore troverà anche qualche riferimento all'umanesimo di Palazzo Filomarino, al materialismo storico, e persino alle arguzie speculative di Martino Heidegger.

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 Il lamento funebre

Appena due secoli fa il lamento funebre era ancora diffuso in tutte le campagne d'Italia e non infrequentemente anche nei quartieri popolari dei centri urbani: oggi esso è confinato nelle campagne e nei villaggi di alcune regioni periferiche e arretrate (Lucania, Calabria, Sardegna ...), ed anche qui appare avviato ad una progressiva dissoluzione. 

Nel corso di una serie di esplorazioni etnografiche in Lucania fu eseguita fra l'altro una raccolta di elementi funebri in un certo numero di paesi del materano, dal Bradano al Sinni, provvedendo non soltanto alle trascrizioni dei testi letterari, ma anche all'incisione delle corrispondenti melopee e alla documentazione fotografica, nonché alla notazione di tutti i dati necessari per la comprensione. 

Il lamento funebre Lucano, così come oggi si presenta l'indagine etnografica, è reso al defunto quasi esclusivamente dalle donne della famiglia colpita dal lutto, alle quali si uniscono spesso le comari e le amiche, soprattutto quelle che «sanno piangere bene». 

Ormai rare sono le lamentatrici professionali retribuite, che del resto costituiscono una successiva differenziazione storica della arcaica costumanza. 

Ancor più raro è il caso di lamenti resi da parenti maschili, per quanto nella nostra raccolta non manchi qualche saggio di lamenti eseguiti da uomini, per esempio dal marito o dal padre o dal fratello. 

Si serba ancora memoria nei più vecchi di una usanza secondo la quale i contadini erano tenuti a lamentare la morte del loro padrone o di qualche membro della famiglia padronale.

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Miseria psicologica e magia

Il risultato fondamentale a cui hanno condotto le esplorazioni etnografiche eseguite negli ultimi anni in Lucania è che il relativo perdurare dei relitti magici nei villaggi Lucani è psicologicamente e socialmente condizionato. 

La presenza tradizionale nell'azione misteriosa di forze occulte, la individuazione di queste forze in entità mitiche elementari (spiriti e simili) e nell'opera volontaria o involontaria di determinate persone storiche (il malocchio di un certo invidioso e la fattura di una certa fattucchiera), il ricorso a determinati comportamenti rituali per esorcizzare la malignità incombente, e infine la utilizzazione di guaritori specializzati, costituiscono elementi di una costruzione ideologica e istituzionale che affondano la loro radici in una reale miseria psicologica, a sua volta collegata alla arretratezza economico-sociale. 

Che cosa sia propriamente da intendere per «miseria e psicologica» sarà qui rapidamente accennato. 

Se, in generale, la persona umana esiste e si mantiene nella misura in cui si afferma come centro di decisione e di scelta secondo forme di coerenza culturale, la miseria è psicologica e caratterizzata da una radicale impotenza a emergere come operatore da determinate situazioni esistenziali, e ad oltrepassare tali situazioni con risposte adeguate, dotate di un valore.

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L’AUTORE

Ernesto De Martino (Napoli, 1 dicembre 1908 - Roma, 9 maggio 1965) è stato un antropologo, storico delle religioni e filosofo italiano.

Innovativo nelle sue ricerche fu l'approccio multidisciplinare, che lo portò a costituire un'équipe di ricerca etnografica. La terra del rimorso è la sintesi delle sue ricerche sul campo (il Salento) affiancato da uno psichiatra (Giovanni Jervis), una psicologa (L. Jervis-Comba), un'antropologa culturale (Amalia Signorelli), un etnomusicologo (Diego Carpitella), un fotografo (Franco Pinna) e dalla consulenza di un medico (S. Bettini). Nello studio del fenomeno del tarantismo vengono utilizzati anche filmati girati tra Copertino, Nardò e Galatina. A queste monografie segue la pubblicazione dell'importante raccolta di saggi Furore Simbolo Valore (1962).

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