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Gorizia e Nova Gorica: capire il confine

«La mia frontiera, quella che ho abitato e percorso sin dalla primissima infanzia, e di cui ho preso coscienza soltanto con il passare degli anni: è da qui che si parte per indagare i margini, non più solo solchi di divisione, ma territori di entità molteplici, esempi della migliore Europa.» 

L'antropologa Giustina Selvelli indaga la frontiera tra Italia e Slovenia, sovrapponendo la sua biografia personale, intima e soggettiva, alla storia della frontiera, delle genti che la abitano, delle politiche che la fanno sparire e poi riemergere a seconda dei casi. 
Dalla cortina di ferro all'eliminazione delle dogane, dalla rete divisoria durante la pandemia di Covid-19 alla sospensione dei trattati di Schengen sulla libera circolazione di persone e merci, dalla rotta balcanica all’annuncio della Capitale Europea della cultura 2025: un margine sempre in movimento, contraddittorio, instabile, vivo. 
Uno strumento dedicato a studiosi, curiosi, turisti e appassionati della frontiera orientale, e di tutte le frontiere in generale, corredato da capitoli di approfondimento per consentire di navigare dentro la complessità delle terre del goriziano italiano e sloveno della loro affascinante attualità.
Un resoconto appassionante e documentato che getta luce su aspetti socio antropologici emblematici per comprendere che cosa significa abitare una terra di frontiera. 

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Approfondimenti

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La fondazione di Nova Gorica

La genesi della città di Nova Gorica risiede nelle conseguenze politiche e territoriali della Seconda Guerra Mondiale.

Nella primavera del 1945 le formazioni partigiane jugoslave liberarono gran parte del territorio sloveno, rendendo impossibile il ripristino dell’ex confine sancito dal trattato di Rapallo del 1920, che aveva penalizzato l’allora Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, assegnando al Regno d’Italia varie zone con popolazione maggioritaria slovena.

Nel 1952 la città fu formalmente istituita come comune urbano.

Nei decenni successivi, fino agli anni Ottanta, crebbe rapidamente, diventando il secondo centro più grande della parte occidentale della Repubblica socialista slovena, dopo Capodistria.

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La guerra dei dieci giorni

Le tensioni fra la Repubblica socialista slovena e i vertici di Belgrado iniziarono a emergere nella seconda metà degli anni Ottanta, quando la Slovenia avviò un processo di riforme democratiche e liberali.

Il 25 giugno del 1991 la Slovenia dichiarò la sua indipendenza, definendo i nuovi confini statali con l’Italia, Austria, Ungheria, Croazia, ma il giorno dopo i carri armati dell’Esercito popolare jugoslavo raggiunsero alcuni valichi di frontiera con l’Italia, occupando i posti di blocco.

Il 27 giugno, a Divača, vicino al confine italo-sloveno, venne ufficialmente sparato il primo colpo da parte dell’esercito jugoslavo, mentre il 28 giugno le ostilità giunsero al confine di Casa Rossa.

Dopo combattimenti di varia intensità, nei giorni successivi, che ebbero luogo in diverse parti del paese, i tentativi di controllo della capitale slovena da parte dell’esercito jugoslavo fallirono e la leadership jugoslava dovette accettare la sconfitta.

La Slovenia venne così ufficialmente riconosciuta da tutti gli Stati membri della Comunità Europea il 15 gennaio 1992, entrando a far parte delle Nazioni Unite il 22 maggio.

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La dissoluzione della Jugoslavia

La Repubblica socialista di Jugoslavia nacque come Stato multinazionale di sei repubbliche in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, sulla base del precedente Regno di Jugoslavia.

Dopo la morte di Tito nel 1980, le tensioni tra le varie nazionalità iniziarono a inasprirsi.

Le richieste di maggiore autonomia portarono nel 1981 alle dichiarazioni d’indipendenza della repubblica slovena e di quella croata.

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Le lingue del Goriziano

La frontiera goriziana, e la città di Gorizia in particolare, crocevia tra Europa centrale e meridionale, è stata caratterizzata per secoli da una commistione fra popoli, culture e lingue diverse, specialmente come luogo di incontro delle tre maggiori famiglie linguistiche europee: germanica, slava e romanza. 

L'origine del nome della città deriva da denominazione nella locale lingua slovena medievale: Gorica, ovvero "piccola montagna, collina”.

Gorizia è la sua variante latina, Gurize quella friulana, mentre il nome tedesco è Gorz.

La posizione "periferica" del goriziano nei confronti del "centro" dell’entità statale di riferimento, su un territorio di frontiera conteso fra gli Asburgo e la Serenissima, fertili contatti e sincretismi culturali. 

La convivenza plurisecolare delle diverse componenti (slovena, friulana, italiana, tedesca, ebraica e veneta), nel rispetto delle reciproche differenze, ha creato una cultura "policentrica" declinata in varie diramazioni linguistiche.

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L'istruzione in lingua slovena

In Friuli Venezia Giulia l’istruzione in lingua slovena si svolge secondo il modello monolingue o bilingue: nel primo caso, le lezioni si tengono solo nella lingua minoritaria; nel secondo caso, sia in lingua italiana che slovena.

Nelle province di Trieste e Gorizia operano asili nido e scuole con lingua d’insegnamento slovena, mentre nell’Udinese, a San Pietro al Natisone, esiste un istituto comprensivo bilingue.

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Il tedesco in Friuli Venezia Giulia

In Friuli Venezia Giulia, nella maggior parte delle scuole superiori, il tedesco è la seconda lingua straniera insegnata, ad eccezione di due istituti scolastici a Pordenone e a Udine, dove essa è la lingua principale.

Circa un quarto degli studenti delle scuole superiori regionali studia il tedesco, un dato che si discosta significativamente dalla situazione fino agli anni Sessanta del secolo scorso, quando essa era ancora la prima lingua straniera a scuola.

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La capitale europea della cultura 2025

Quella della Capitale europea della cultura è un’iniziativa culturale promossa dall’Unione Europea.

Il titolo viene assegnato ogni anno a due città di due Stati membri, a cui si aggiunge, talvolta, anche una città dello Stato non ancora membro.

Lo scopo di tale iniziativa è quello di tutelare e valorizzare la ricchezza culturale nel continente europeo, promuovendo una serie di valori condivisi, come: inclusività, dialogo, sostenibilità e uguaglianza.

Il titolo di Capitale europea della Cultura per l’anno del 2025 spettava a una città della Slovenia e a una della Germania.

Fra le città slovene che si sono candidate c’era Nova Gorica, che ha deciso di sviluppare un’idea di candidatura congiunta con la vicina Gorizia in virtù dei legami storici, culturali e geografici fra queste due realtà urbane.

Si trattava pertanto di un vero e proprio progetto di Capitale europea della cultura transfrontaliera, un’iniziativa senza precedenti dall’alto valore simbolico per il contrasto sia locale che europeo.

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Il Movimento dei Paesi Non Allineati

Il Movimento dei Non Allineati è un’organizzazione internazionale di oltre cento paesi che venne fondata nel secondo dopoguerra con lo scopo di creare una “terza via” di non allineamento alle due principali superpotenze dell’epoca, ovvero l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti.

Lo scopo dichiarato del Movimento era quello di supportare le lotte nazionali per l’indipendenza, l’eliminazione della povertà, lo sviluppo economico e l'opposizione al colonialismo, all’imperialismo e al neocolonialismo.

Tuttavia, il numero crescente di membri negli anni successivi rese sempre più difficile per tale organizzazione concordare una politica comune.

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L'ingresso della Slovenia nell'Unione Europea

L’adesione all’UE ha rappresentato un obiettivo strategico della Slovenia, sin dalla sua indipendenza, motivo per cui il paese promosse attivamente il suo orientamento europeo sviluppando e costituendo relazioni formali con l’Unione.

Il 16 luglio 1997 la Commissione europea espresse parere positivo sulla candidatura della Slovenia e nel dicembre dello stesso anno essa venne inclusa nel primo gruppo di paesi per l’avvio dei negoziati.

Questi iniziarono ufficialmente il 31 marzo 1998 e si conclusero alla fine del 2002 con un accordo sulle condizioni di adesione.

La Slovenia adottò l’euro il 1° gennaio 2007 ed entrò nell’area Schengen il 21 dicembre dello stesso anno.

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Gorizia jugoslava

Il 1° maggio 1945 le truppe jugoslave arrivarono a Gorizia.

Ebbe così inizio il periodo di amministrazione jugoslava di questi territori che parte dalla popolazione visse come una “occupazione”, parte invece come una “liberazione”.

Nel secondo caso, si trattò in particolare della componente slovena, che celebrava la fine della guerra come una doppia liberazione: sia dall'occupazione nazista che dal fascismo che l'aveva preceduta, un fatto condiviso anche dalla minoranza italiana vicina al Fronte di Liberazione jugoslago. 

Nei 40 giorni di amministrazione jugoslava della città di Gorizia ebbero luogo una serie di episodi di violenza contro persone considerate nemiche della rivoluzione socialista, che si tradussero in eccidi, arresti e centinaia di deportazioni in Jugoslavia. 

Questi atti presero di mira soprattutto ex fascisti e militari appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana, gli italiani e sloveni che avevano collaborato coi nazisti, ma riguardarono in alcuni casi anche antifascisti e civili innocenti. 

I 40 giorni furono caratterizzati da un estremo incertezza sulla definizione dei confini nazionali e sulle sorti della città, che l'esercito di Tito reclamava come propria in virtù della sua storia slovena.

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Luoghi d'incontro

Nell’area della frontiera goriziana, nuovi spazi di contatto fra le principali comunità italiana e slovena sono emersi negli ultimi anni, segno di un processo di avvicinamento reciproco che si è intensificato anche grazie alla prospettiva della Capitale europea della cultura 2025.

Infine, è importante non dimenticare anche gli spazi informali di incontro fra le comunità, come il bar che ha la sua sede presso la stazione ferroviaria della Transalpina, molto apprezzato da avventori di entrambi i paesi e da turisti internazionali.

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Eventi culturali transfrontalieri

Una varietà di eventi culturali e artistici lungo il confine promuove forme di contatto interculturale e collaborazione fra le diverse comunità.

Uno di questi è “La città del libro”, un festival letterario che si tiene dal 2016 a Nova Gorica.

Dal 2000 esiste Pixxelpoint, un festival transfrontaliero  dedicato all’arte contemporanea e ai media digitali.

Per quanto riguarda la valorizzazione  del patrimonio di diversità linguistica del territorio transfrontaliero, varie iniziative sono sorte negli ultimi anni per rispondere alle sfide multiculturali e interculturali della complessa società di confine, attraverso dei festival dedicati a tali tematiche.

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Il fiume Isonzo/Soča

L’Isonzo, Soča in sloveno, il cui nome deriva probabilmente dal latino Aesontium, ha origine in territorio sloveno da una sorgente situata in una profonda fessura carsica nella roccia del monte Travnik, nel Nordovest del paese.

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Via di Pace/Pot Miru

Il percorso Via di Pace/Pot Miru rappresenta un itinerario transfrontaliero dalle Alpi all’Adriatico che si snoda tra Slovenia e Italia, istituito nel 2015 grazie a un progetto “Interreg” di cooperazione fra i due paesi.

Il cammino, lungo 230 km, è percorribile a piedi e in alcuni tratti anche in bicicletta.

Il suo scopo è quello di valorizzare l’eredità della Prima Guerra mondiale attraverso il patrimonio storico consistente in veri e propri “musei all’aperto” - che includono cimiteri, trincee, cappelle, monumenti e moto altro -, rendendo noto a un pubblico più ampio e contribuendo a diffondere la conoscenza sugli eventi tragici vissuti in questa regione di confine durante la Grande Guerra.

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Introduzione - Per un elogio dei margini

Sono nata in una terra all’estremità orientale della penisola italiana, un piccolo lembo proteso verso est, lungo il quale un tempo correva la cosiddetta cortina di ferro, in una regione periferica, come molte altre al mondo, concepite così solo perché messe ai margini dal loro centro a causa delle insicurezze identitarie dei rispettivi Stati-nazione.

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Capitolo 1 - Genesi di un'identità di frontiera

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Crescere sul confine

Non serbo un ricordo preciso della prima volta che attraversai un confine di Stato, ma so per certo che si trattò del valico goriziano di Casa Rossa, durante uno dei primi anni della mia vita, in quello che sarebbe stato l’inizio di una lunghissima serie di sconfinamenti.

Quel confine fra Gorizia e Nova Gorica - separate dal 16 settembre 1947 (il giorno in cui le truppe alleate tracciarono la nuova linea di frontiera fra Italia e Jugoslavia, dividendo in tanti casi famiglie, campi, proprietà e addirittura tombe) in quanto appartenenti a due mondi ideologici diversi e contrapposti - rappresentava ai miei occhi una fonte di attrazione irresistibile.

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L'altro confine: San Diego/Tijuana

Eravamo senz’altro un po’ strani noi.

Fin da bambina, quella frontiera così “permeabile” divenne un pezzo integrante della mia identità, già definita da una forma di appartenenza plurale, non esclusiva.

Buona parte della mia famiglia materna messicana era migrata nel Sud della California, tra San Diego e Los Angeles, ma mio nonno e altre zie abitavano ancora a Città del Messico, pertanto, durante le settimane estive che trascorrevamo a San Diego, vivevamo un’incredibile esperienza parallela ai nostri sconfinamenti italo-sloveni.

Attraverso il confine da San Diego e Tijuana, tramite il valico di San Ysidro, uno dei più trafficati al mondo, costituiva un rito di iniziazione allo spirito di avventura che un giorno mi avrebbe portato a scegliere la strada dell’antropologia.

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Storie famigliari post-imperiali

Nel corso degli anni, conversando con le persone che mi circondavano, ho avuto modo di scoprire, in maniera del tutto spontanea, storie famigliari di esilio, repressione, italianizzazione forzata e “metamorfosi etniche”, che mettevano del tutto in discussione la presunta omogeneità della nostra appartenenza collettiva.

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I "margini" contro la centralità

In questo calderone di complessità identitarie e appartenenze molteplici, i confini hanno giocato un ruolo determinante nella mia vita e il mio scopo è stato quello di trasformarli in vere frontiere aperte, da attraversare in maniera “indenne”, assieme all’”altro”, più o meno metaforico, molto spesso persone concrete con cui avere accesso all’altra faccia dello specchio.

La mia esperienza formativa e di vita è stata e continua a essere non solo internazionale, ma soprattutto molto lontana dalle capitali, dalle centralizzazioni dello Stato-nazione: sono stata sempre stata attratta dai cosiddetti “margini”, dalle terre di confine, da cui, grazie al mio passaporto europeo (e dunque privilegiato), era più facile fuggire altrove quando volevo.

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Considerazioni sullo (contro lo) Stato-nazione

Le esplorazioni delle varie terre di frontiera mi hanno insegnato che, per quanto diverse, le configurazioni di confine nella regione della cosiddetta Alpe Adria, nei Balcani, fra Stati Uniti e Messico, nel Caucaso, in Asia centrale e altrove, sono state il larga misura plasmate da eventi storici e processi sociopolitici simili, che hanno dato vita a diversi Stati nazionali e a narrazioni spesso utilizzate come strumento pe esclude l”altro”.

Quello che, però, ho capito è che la frontiera può anche mettere in moto processi di resistenza alla presenza monolitica e all’autoaffermazione dello Stato-nazione.

È questo che rende i margini luoghi così rilevanti e “ribelli”, dove trovano legittimazione forme di "schizofrenia culturale” dal basso che sfidano la nozione semplicistica di appartenenza esclusiva imposta dalla narrazione dominante.

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Capitolo 2 - Lingue, minoranze e confini

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Crescere a Gorizia a cavallo del nuovo millennio

Gorizia non è la mia città natale, ma è stato il luogo che mi ha formata in modo sostanziale e in cui ho frequentato i cinque anni del liceo e un anno di università. Entrambi gli istituti si trovano a qualche centinaia di metri dal confine con la Slovenia: il primo vicino al valico di San Gabriele, il secondo a quello di Casa Rossa. 

L'istituto D'Annunzio non fu la mia prima scelta, all'inizio volevo frequentare il liceo scientifico di Monfalcone, poi la mia migliore amica mi disse: «vieni a Gorizia con me, lì c'è una scuola con un indirizzo speciale dove potremmo studiare ben tre lingue straniere», una prospettiva di arricchimento linguistico che catturò la mia mente. 

Era il 1998, e si potrebbe giustamente immaginare come, a cavallo del nuovo millennio e alla luce dei processi di avvicinamento il corso dei paesi dell'Est Europa alla Comunità Europea, a Gorizia regnasse un gran fermento legato alla consapevolezza della specificità della nostra terra di confine. 

Purtroppo, l'atmosfera era tutt'altro che frizzante e la città appariva appiattita in un clima pesante popolato da ingombranti ricordi bellici che si propagavano nelle innumerevoli rapidi, nei monumenti in onore della sua italianità e dei suoi martiri. 

Questi riecheggiavano in maniera quasi ossessiva anche nella toponomastica, come in via Balilla, proprio dietro la nostra scuola, nelle vie dedicate alle varie brigate - Casale, Pavia, Etna, Cuneo, Treviso... - e generali - Cadorna, Papa, Paolini - nonché nella presenza dell'ossario di Oslavia, talmente imponente e suggestivo che io e la mia migliore amica un giorno decidemmo di visitarlo marinando le elezioni. 

A scuola capitava spesso di sentire pronunciare epiteti inaccettabili contro gli sloveni, soprattutto il tipico "s’ciavi" (schiavi), tutte espressioni indicante disprezzo verso gli slavi in generale. 

La situazione scolastica goriziana risultava essere in un certo senso "ghettizzata": noi italiani nelle nostre scuole, gli sloveni nelle loro, seppure con delle eccezioni: ovvero dei rari casi gli sloveni nelle scuole italiane.

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Multilinguismo storico e pluralismo selettivo

Da studentessa innamorata delle lingue straniere, il perfetto bilinguismo dei membri della minoranza slovena e degli sloveni d'oltre confine, suscitava i miei sentimenti di inferiorità, facendomi sentire ignorante nei loro confronti e in qualche modo colpevole di non conoscere la loro lingua. 

Per questo motivo, ogni volta che con i miei genitori arrivavo al lato sloveno del valico di confine, mi sentivo bloccata e impotente per non poter mettere in atto le doti comunicative che stavo invece sviluppando al mio "altro confine”, quello statunitense-messicano. 

Sono cresciuta in una regione in cui si parlano varie lingue, tra cui lo sloveno e il friulano, e ciò che mi ha portato al plurilinguismo - ovvero la capacità di comunicare in più lingue - è stata una particolare esigenze empatica ed esplorativa, per appropriarmi di luoghi che non potevano essere realmente i miei senza la padronanza della relativa lingua. 

Il plurilinguismo non è qualcosa che possiamo dare per scontato, dipende molto dal contesto sociale, culturale e ambientale. 

Il mio caso è stato quello di crescere come una strana bilingue, visto che mia mamma mi parlava esclusivamente in italiano in Italia ed esclusivamente in spagnolo in Messico e California, dove però le mie cugine comunicavano in inglese per non farsi capire da me. 

Ciò mi ha creato molta confusione e frustrazione, ma anche una volontà di "riscatto".

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Traumi linguistici e violazione dei diritti minoritari

Gorizia. Anche il suo nome di origine slovena - da “gora”, termine per “montagna", diminutivo “gorica” - è già indicativo della realtà slava nella quale nasce all'inizio dell'undicesimo secolo.

Eppure, nella sua provincia, così come in quella di Trieste, i cognomi delle persone sono stati snaturati e rivoltati nel corso del Novecento per tentare di rimuovere ogni traccia di “alterità slava". 

Con mio marito, scherzo spesso dicendo che io, slavista di formazione, non l'avrei mai sposato se il suo cognome fosse stato Butti, Buttassi, Bucci o Buttazzoni, tutti cognomi che suo nonno si rifiutò di adottare, rimanendo un Bukovic. 

Nel primo dopoguerra ci furono tante dinamiche complesse, manifestazioni del principio nazionale, imposto con la forza, in opposizione al principio imperiale sovranazionale che regnava in precedenza.

Fin dal periodo fascista, negli anni Venti, i germi dell'identità esclusiva e imposizione dell’italianità ebbero molte conseguenze negative per la comunità slovena. 

Dal dicembre 1923 non furono più permessi i nomi di battesimo di origine slava. 

La storpiatura di cognomi e toponimi sloveni, portata avanti nel goriziano per decreto fascista, aveva il fine di cancellare memorie e cultura secolari della minoranza slovena - ma anche di quella di lingua tedesca -, contribuendo in molti casi a cancellarla irrimediabilmente. 

Si trattò di una violazione dei diritti linguistici e culturali di queste comunità, una negazione della loro identità e della loro origine.

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La "rimozione" dell'ex Jugoslavia e i richiami balcanici

Nell'immaginario collettivo di chi attendeva da decenni un vero cambiamento nelle dinamiche transfrontaliere, i processi di europeizzazione emersi nei primi anni 2000 con l'annuncio dell'imminente ingresso della Slovenia nell'Unione Europea - in seguito al referendum tenutosi Slovenia il 23 marzo 2003, in cui quasi il 90% dei votanti si espresse a favore - significavano finalmente che Gorizia e Nova Gorica, considerate ancora marginali dai rispettivi Stati nazionali, potevano iniziare a trasformarsi assieme, diventando un nuovo baricentro grazie al superamento dei limiti e delle ferite del passato. 

Tale e prospettiva si tradusse in una nuova forma di entusiasmo per le generazioni locali più giovani, che cominciavano a sognare un futuro migliore è diverso per la regione di confine, non senza una certa dose di utopia. 

Tuttavia, per qualcuno in Italia la questione slovena continuava a rappresentare un problema visto che, appena qualche anno prima, il partito Forza Italia il consiglio comunale a Gorizia si era dichiarato contrario all'ingresso del paese vicino nell'Unione Europea.

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Il ruolo delle minoranze e delle identità non esclusive in una prospettiva di frontiera

Le situazioni che vissi in prima persona negli anni Novanta e Duemila a Gorizia, incarnarono in qualche modo il nucleo originario di questioni di assoluta rilevanza e attualità che mi trovai ad affrontare in seguito in una prospettiva ancora più ampia: i confini, il multilinguismo, i diritti delle minoranze tecniche, il nazionalismo, l'eredità post-imperiale, l'idea di Europa inclusiva. 

Tali esperienze costituirono dei semi fertili che vennero impiantati nella mia mente fin dalla adolescenza, ma che a lungo non riuscì a far sbocciare con il tempo, Giusy alla realizzazione che il concetto di Europa era basato su tradizioni, modelli, pensieri provenienti dalla parte occidentale del continente e non da quella orientale, il cui contributo appariva del tutto in ombra, mi sconosciuto, una sorta di "negativo" della storia.

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Capitolo 3 - Spazi e pratiche di contatto

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Il piazzale della Transalpina: sismografo dei cambiamenti

Il piazzale della Transalpina è considerato il luogo più simbolico in termini di spazio di unione fra le due città di Gorizia e Nova Gorica.

Nel corso della sua intensa storia, è stato un sismografo dei cambiamenti sociali, culturali e soprattutto politici di questo spazio urbano in evoluzione.

La stazione ferroviaria omonima ha visto, durante la sua esistenza, il succedersi dei diversi regimi politici: l’impero austriaco, sotto il quale la stazione fu istituita nl 1906, il Regno d’Italia nel dopoguerra, l’Adriatisches Kunsteland durante l’occupazione nazista, il periodo partigiano a maggio 1945, l’amministrazione militare alleata, la Repubblica socialista federale jugoslava, la Repubblica di Slovenia.

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Il piazzale di Casa Rossa e altri valichi tra contrabbando e creatività

Il 21 dicembre 2007 si giunse all’ultimo capitolo nello smantellamento di tutte le barriere fisiche che limitavano la circolazione fra le due parti del confine, con l’ingresso della Slovenia nell’area Schengen.

Ciò comportò anche la soppressione dei valichi di confine fra i due paesi e suscitò una sorta di ironica nostalgia in chi vedeva quei luoghi come depositari della memoria di innumerevoli pratiche illecite portate avanti per anni, in un’ottica ed etica di “sopravvivenza” transfrontaliera: esperienze di contrabbando che accomunavano i cittadini da entrambe le parti del confine.

È difficile trovare qualcuno che non abbia storie di questo tipo da raccontare, visto che l’importazione di merce proibita, o in quantità non consentita, è stata uno dei motivi fondanti delle pratiche di “sconfinamento” in questa frontiera italo-jugoslava prima e italo-slovena poi.

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Mercati fantasma, osmize e altri spazi sociali di frontiera

La divisione d quest’area di confine fra Italia e Jugoslavia esercitò un impatto rilevante sull’economia locale: la città di Gorizia, provata dalla mancanza di circolazione verso il suo spazio naturale, risultava “monca” del suo territorio di immediato riferimento geografico, ovvero l’hinterland provinciale che comprendeva la valle dell’Isonzo e quella del Vipacco, con le relative popolazioni e gli ecosistemi.

Ciò portò, nel secondo dopoguerra, al declino di molte attività produttive legate al territorio rimasto in Jugoslavia e, a sua volta, a una lenta decadenza dei mercati cittadini, che oggi risultano essere ben diversi da quei microcosmi animati di incontro di un tempo.

I mercati, più di ogni altro spazio urbano, definiscono il confronto con la differenza: con altre persone, con prodotti provenienti da altrove e talvolta con altri modi di parlare.

In questa maniera, riflettono, ma anche modellano, la natura e il significato della diversità sociale e culturale.

Nel Goriziano, la funzione svolta dai mercati nel riunire differenti comunità, lingue e prodotti nello stesso spazio socioeconomico è venuta diminuendo, privando i cittadini di un importante luogo di contatto.

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Traumi "spaziali" durante l'epidemia Covid-19

Quando il confine fisico fra Italia e Slovenia venne meno, a dicembre 2007, per molto tempo fu difficile trattenere l’automatismo della mano che cercava i documenti nel portafoglio prima di attraversare i valichi.

Con il tempo finalmente anche quel riflesso incondizionato svanì.

Nessuno avrebbe potuto immaginare quanto tutto ciò sarebbe invece diventato nuovamente attuale molti anni dopo, a causa dell’epidemia di Covid-19.

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Il festival Če povem e la responsabilità della memoria antifascista: buone pratiche

Se gran parte degli sloveni del Goriziano ha conoscenze piuttosto buone del mondo italiano al di là del confine in termini linguistici, culturali, musicali e artistici, lo stesso non si può dire degli italiani nei confronti dei loro vicini.

Uno dei contesti più importanti, affermatosi negli ultimi anni proprio a questo scopo, organizzato dal basso, è il festival Če povem, in italiano “Te lo racconto”, giocando sull’assonanza in sloveno con Cepovan, il villaggio ospitante.

Si tratta di un evento di profonda ispirazione transfrontaliera che riunisce rappresentanti culturali sloveni e italiani, e spesso di frontiera, ovvero con identità ibride, e offre un ricco programma di musica, poesia, letteratura, arte, performance e attivismo.

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Capitolo 4 - Ecologie di confine

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Isonzo: il problema di Anhovo e gli interventi fluviali dannosi

Per gli abitanti dell’ampia frontiera goriziana, caratterizzata da un tasso relativamente limitato di urbanizzazione, gli elementi dell’ambiente naturale giocano un ruolo decisamente importante nell’autorappresentazione collettiva di questi luoghi, contribuendo a mettere in discussione gli stessi confini politici fra i due paesi Italia e Slovenia.

Il principale protagonista dell’immaginario ecologico transfrontaliero è senza dubbio il fiume Isonzo, nelle cui complesse sorti si sono riflesse le sfide di varie epoche storiche, un fatto che permane valido tutt’oggi.

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La natura violata al confine: militarizzazione e inquinamento delle doline

Il Carso è da sempre terra di confine, crocevia strategico di altissima rilevanza naturalistica, storica, linguistica e culturale, nonché porta d’accesso a paesaggi feriti in cui si percepiscono ancora le tracce dei sanguinosi conflitti del passato, che sembrano emergere anche nella particolare tonalità rossa della sua terra.

Questo altipiano tradizionalmente brullo si estende dal Sud Est delle Alpi Giulie fino  alla penisola istriana: si tratta dunque di un’area transfrontaliera italiana, slovena e croata, caratterizzata da vegetazione brulla e da un reticolo di gallerie sotterranee, in gran parte delle quali cola e fluisce l’acqua piovana.

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Attivismo ambientale di confine contro la TAV

Le guerre e l’inquinamento delle acque e delle grotte non sono state gli unici elementi a mettere a repentaglio i territori del Carso.

Paradossalmente, con la fine della guerra fredda e l’imminente ingresso della Slovenia nell'Unione Europea, si manifestò uno dei rischi più grandi per la sopravvivenza del suo complesso ecosistema.

Un giorno della primavera 2003 si annunciava l’imminente progetto della ferrovia ad alta velocità, parte del piano infrastrutturale del Corridoio europeo numero 5 da Lisbona a Kiev.

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Incendi sul Carso e residuati bellici

Un’altra minaccia, altamente distruttiva, si è manifestata molto recentemente su questo territorio di frontiera, infliggendo delle ferite che hanno iscritto la coscienza collettiva degli abitanti locali di traumi nuovi, ma allo stesso tempo arcaici: il fuoco.

Indubbiamente, l’importanza della cooperazione transfrontaliera si è resa evidente proprio alla luce degli incendi.

Gli elicotteri provenienti dall’Italia furono i primi ad arrivare in Slovenia per aiutare a spegnere gli incendi sul Carso.

Ma l’aiuto fu reciproco dal momento che poi gli sloveni intervennero in Italia con una squadra di vigili del fuoco, collaborando nella difesa delle case italiane.

Insomma, se da un lato il fuoco distrusse, dall’altro contribuì a unire e connettere: gli incendi rivelarono un forte senso di solidarietà, soprattutto a livello spontaneo e non istituzionale.

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L'immaginario anti-ecologico dello Stato-nazione

Il territorio naturale della frontiera goriziana è stato, a partire dalla Prima Guerra Mondiale, uno dei più grandi “palcoscenici” dell’ideologia bellica e, di conseguenza, anche di quella politica e nazionale.

Durante gli incendi sul Carso dell’estate del 2022, numerosi furono gli scoppi dovuti a ordigni del primo conflitto mondiale, un fatto che appare come un monito sulla mancata  elaborazione consapevole delle ferite del passato, ricatapultandoci lì dove la follia dello Stato-nazione era iniziata, dopo il collasso degli imperi multinazionali.

Ma lo spazio naturale, fruito in maniera diretta e consapevole, può farsi messaggero di pace e di armonia delle nazioni.

Negli ultimi anni, quindi, si sono raggiunti alcuni risultati rilevanti nello sviluppo di piani di prevenzione del rischio idraulico, in uno spirito di collaborazione transfrontaliera, ma rimane ancora molto lavoro da fare per superare i limiti nazionali e adottare una visione realmente ecologica che tenga in conto anche il benessere del mondo naturale e non soltanto degli esseri umani.

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Capitolo 5 - Oltre il dualismo italo-sloveno: migrazioni

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Ricordando il multiculturalismo storico e i fenomeni di emigrazione

Il Ventesimo secolo, che ha visto Gorizia prima contesa fra Italia e Austria, poi fra Italia e Jugoslavia, ha esercitato più di ogni altra epoca della storia recente delle gravi ripercussioni per le sorti multiculturali della “Nizza austriaca”: essa vide la scomparsa della lingua tedesca e il quasi totale azzeramento di una delle sue comunità culturalmente più vitali, quella ebraica.

La Prima Guerra Mondiale inaugurò una fase di netta contrapposizione fra le varie popolazioni precedentemente parte della multietnica compagine asburgica.

Il carattere multiculturale e multilingue della città di Gorizia venne così sconvolto dai germi dell’identità esclusiva e della forzatura dell’italianità, con conseguenze estremamente sfavorevoli per la comunità slovena.

Ciò comportò inoltre la riduzione della presenza della precedente classe dominante germanofona a causa della sua emigrazione verso l’Austria e Germania, nonché la partenza della classe imprenditoriale multinazionale.

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Migrazioni "disallineate", rifugiati delle guerre jugoslave e cittadini "cancellati"

Dopo la guerra, le due popolazioni di Gorizia e Nova Goriza furono separate da un confine che segnava la divisione tra un paese occidentale e uno che era parte integrante del Movimento dei Non Allineati.

Questo limite rappresentava  dunque una soglia non solo tra il mondo slavo e quello latino, ma anche tra due grandi ideologie: una nazionale e l’altra di ispirazione internazionalista.

Per gli jugoslavi, essere parte del Movimento dei Non Allineati non era però soltanto una mera ideologia, ma implicava anche l’esposizione ai paesi del cosiddetto mondo “in via di sviluppo”, specialmente africani e asiatici, attraverso pratiche migratorie.

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Immigrazione extraeuropea: dagli anni Duemila a "the jungle"

Negli anni Duemila, a Gorizia, gli immigrati dell’ex Jugoslavia convivevano con quelli provenienti da Marocco, Romania, Bangladesh, Cina e dai paesi del Medio Oriente e dell’Africa subsahariana, nonché dall’ex URSS, georgiani o armeni che chiedevano asilo politico e un’immigrazione femminile di “badanti” per le quali iniziava a esserci grande richiesta (ucraine, bielorusse, moldave in particolare).

Se la presenza di immigrazione extraeuropea a Gorizia era già un dato di fatto, a cui la città iniziava in qualche modo ad abituarsi, a Nova Gorica ben pochi erano gli immigrati provenienti da paesi extraeuropei e per questo il livello di integrazione interetnica era superiore in quest'ultima città, seppure la padronanza della lingua maggioritaria a Gorizia fosse migliore.

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Nuove identità poliedriche: spiragli di cosmopolitismo

La storia recente della frontiera goriziana, accurata rivelatrice dei sommovimenti interiori europei, è stata contraddistinta nei suoi momenti più importanti dall’erezione e dallo smantellamento di svariati confini.

Questi ultimi, tuttavia proprio in quanto costruzioni umane artificiali, sono in grado di innescare delle dinamiche preziose di resistenza all’ideologia statale monoetnica, mettendo abilmente in discussione e talvolta invalidando la sua affermazione e la sua autorità.

Sui confini si depositano e si accumulano tutte le contraddizioni più visibili dei relativi paesi, e proprio per questo motivo costituiscono delle zone affascinanti che danno vita a forme di sincretismo, nonché di creatività culturale, alquanto peculiari.

L attività umane che si svolgono lungo le aree di frontiera non solo arricchiscono il potenziale interculturale dei loro abitanti, ma contribuiscono a mettere in discussione le fondamenta teoriche stesse dello Stato-nazione e dell’appartenenza identitaria “esclusivista”.

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L'AUTRICE

Giustina Selvelli, ricercatrice post-doc all'Università di Ljubljana, antropologa e sociolinguista, si occupa di minoranze etniche, ecologia e nazionalismo nello spazio del sud-est europeo. 

È autrice di una trentina di articoli accademici e di monografie sui sistemi di scrittura balcanici e sulla diaspora armena in Bulgaria. 

Collabora attivamente con l'Associazione Meridiano 13 scrivendo articoli di divulgazione.

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