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Giuseppe Cocco
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Una galassia che crede nell'industria sostenibile, nell'hi-tech, nell'agricoltura di qualità, nell'artigianato, nel terziario avanzato, nelle grandi potenzialità del turismo, che sa valorizzare i prodotti locali, il patrimonio architettonico e paesaggistico, le tradizioni popolari e culinarie.
“Eroi del quotidiano" che con i corpi intermedi, le scuole, le società sportive, operano contro il grado sociale delle periferie, l'abbandono scolastico, la fuga dei giovani, il lento spopolamento di interi territori meridionali.
Il racconto di un viaggio metaforico e personale alla ricerca delle "eccellenze“, per riscoprire città e luoghi così diversi l'uno dall'altro, ma tutti accomunati da una grande voglia di riscatto e di speranza.
Per dar voce ad un "altro Sud", che non si arrende e scommette sul proprio futuro.
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Premessa
Ogni volta che mi capita di rivedere le immagini di "Viaggio nel Sud", la famosa inchiesta di Sergio Zavoli, andata in onda per cinque puntate da gennaio 1992 su Rai 1, mi chiedo se le condizioni economiche e sociali del Meridione siano migliorate o meno negli ultimi 30 anni.
In effetti, scorrendo i dati del reddito delle famiglie, o prendendo a riferimento le condizioni di vita, la disoccupazione, le diseguaglianze sociali, il livello di istruzione, le infrastrutture, i servizi, le libertà civili, su ciascuno di questi fattori essenziali, rimangono ancora evidenti i ritardi storici del Mezzogiorno, non solo dal resto del Paese, ma soprattutto dall'Europa.
Per non parlare del clima di legalità e di ricatto malavitoso che nel Sud prolifica nel sottosviluppo e nella povertà, continuando a condizionare e controllare larghe fasce del territorio e dell'economia meridionale.
Negli ultimi vent'anni circa due milioni e mezzo di persone hanno lasciato le regioni meridionali, prevalentemente giovani e donne con alta scolarizzazione.
Nei prossimi 50 anni si stima che la popolazione meridionale passerà dagli attuali 19,8 milioni a circa 12 milioni, con una diminuzione del 40%.
Nelle otto regioni del Sud Italia ci saranno sempre meno bambini, sempre meno studenti, sempre meno uomini e donne che lavorano.
Intere città e straordinari borghi delle aree interne scompariranno.
Un'emigrazione di massa, simile a quella dei primi anni del secolo scorso, di cui si parla, purtroppo, ancora troppo poco.
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CAMPANIA
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La voglia di riscatto di Scampia
«Per Roberto, Patrizia e Margherita continueremo la battaglia».
Quella frase scritta con uno spray viola e nero sui muri sgretolati della vela Celeste appare come un triste monito.
Tra la gente di Scampia è ancora forte e palpabile il dolore, la rabbia, il senso di rassegnazione per il crollo di quel maledetto ballatoio, la sera del 22 luglio.
Tre morti, tredici feriti gravi, fra i quali sette bambini, ottocento famiglie sfollate, resta il bilancio triste di quella tragedia che si poteva e si doveva evitare.
L'ultimo colpo di coda del degrado sociale che per quarant’anni ha regnato in questo lembo di Sud che divora i suoi figli perché non riesce a proteggerli da un futuro di squallore e rovine.
Sono ferite profonde che non se ne vanno nemmeno con il tempo.
Perché non si può dare sempre la colpa alla fatalità se tanti nuclei familiari, tanti bambini e anziani vivono in condizioni disumane, gli edifici fatiscenti e in mezzo ai rifiuti, sotto gli occhi di chi avrebbe dovuto garantire loro un'esistenza dignitosa.
«Speriamo che la tragedia del 22 luglio serva per accelerare il processo di riqualificazione di questo quartiere e non a fare un passo indietro. Non bisogna spegnere la voglia di riscatto, il bisogno di scrivere una storia nuova a Scampia», sussurra, stringendomi forte la mano, Antonio Piccolo, 75 anni ben portati, ex dipendente dell'Enel in pensione, un uomo che trasmette subito valori positivi, con quel volto incorniciato da due grossi baffi bianchi che ricordano quelli di “Peppone” di Giovanni Guareschi.
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Napule è mille culure
«C’aggia fà pe’ campà».
Non c'è una cosa che il napoletano non sia disposto a fare, se questa può offrire la possibilità di vivere.
Non c'è un momento che a Napoli non ci siano persone intente a sbarcare il lunario facendo i mestieri più disparati della stessa giornata: la mattina il carrozziere, nel pomeriggio il venditore ambulante, la notte il parcheggiatore.
La vita scorre come il ritmo impetuoso di centinaia di "rappers" che sono diventati ormai la colonna sonora di questa città, il simbolo di una rivoluzione musicale, adorati dal pubblico giovanile, come avveniva per i Beatles o i Rolling Stones negli anni settanta.
Luchè, Clementino, Rocco Hunt, Paki, Liberato, sono alcuni di questi giovani artisti nati a Secondigliano, a Monterosa, a Piscinola.
Il loro urban-rap ha la forza del dialetto che sembra fatto su misura per parlare di rabbia, riscatto, denuncia, amore per la propria terra.
Un fenomeno sociale che ora è studiato persino nelle aule universitarie. per conoscere i mille volti di Napoli, insomma, non basta leggere Matilde Serao, Elena Ferrante o ripassare le commedie del grande Edoardo: bisogna parlare con i napoletani, assaporare docilmente il loro modo di comunicare, la generosità, invadenza, la saggezza.
Anche quando i napoletani dicono «Accirete», potrebbe sembrare una provocazione ma in effetti è una battuta usata tra amici per dire, siccome sei un incapace, un essere inutile, perché non ti fai da parte?
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Il miracolo del Rione Sanità
«Come si fa la crescita di un territorio? Noi pensiamo, diversamente da qualcuno, che si debba utilizzare qualsiasi mezzo per arrivare al fine».
Così ripeteva spesso Don Antonio Loffredo che per vent'anni è stato il "faro" del Rione Sanità, uno dei quartieri più antichi e affascinanti di Napoli.
Da due anni ha lasciato la sua parrocchia di Santa Maria alla Sanità.
Ma è stato lui, questo prete di strada visionario, con la creatività dello scugnizzo e con un passato da ragazzo ribelle, che insieme a tanti giovani di questa zona, difficile e complicata, caratterizzata da degrado, spaccio, criminalità e marginalità, ha fatto nascere dal nulla una delle esperienze più innovative in Italia partendo dalla riqualificazione di un bene abbandonato: le Catacombe di San Gennaro e di San Gaudioso.
Le sue armi sono state la cultura e il lavoro.
Anche questa è una storia emblematica di un altro Sud che avanza tra ribellione, speranza, opportunità.
Fino al 2008 il Rione Sanità veniva evitato persino dai napoletani.
Era un quartiere dove vivevano circa 80.000 persone senza un cinema, una palestra, un luogo di aggregazione sociale.
Quando don Antonio è arrivato qui dieci chiese erano tutte chiuse, abbandonate a se stesse.
Oggi le luci sono accese anche fino a notte inoltrata.
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Gino Sorbillo e la pizza contro i soprusi
«La pizza è la mia vita. Il mio alimento quotidiano, la mia professione, e la storia sin dalla primissima infanzia».
Se c'è un uomo che ben rappresenta in maniera emblematica la voglia di cambiare, del fare dei napoletani, quest'uomo è sicuramente Gino Sorbillo.
La sua è davvero una storia di amore per Napoli, di innovazione, passione e anche di riscatto sociale.
Sorbillo è stato il personaggio della svolta per la pizza napoletana che ha ridato orgoglio anche con un modo di comunicare moderno e molto efficace, ha un mestiere che sino a quindici anni fa nessuno considerava così importante.
Non è facile incontrarlo, perché tante sono le attività imprenditoriali che Gino porta avanti ormai da anni in Italia e nel mondo, viaggiando da Londra a New York, da Tokyo a Milano.
Ma il suo cuore è rimasto a via dei Tribunali, dove i suoi nonni avevano aperto una piccola pizzeria nel 1935.
«La pizza è la metafora di questa città, una spinta per la nostra economia. Per questo ho sempre puntato sulla internazionalizzazione del prodotto. Anche attraverso la mia presenza in televisione ho sempre cercato di portare gente a Napoli, con l'obiettivo di cambiare la mentalità delle persone. Solo così si poteva allontanare, come di fatto è accaduto, il malaffare», mi racconta con le sue mani affusolate e nervose poggiate sul tavolo, con gli occhiali neri che incorniciano il viso smunto e coprono le occhiaie di chi nella vita ha sempre lottato, fin da ragazzo, quando i quartieri spagnoli di Napoli erano sinonimo di degrado e delinquenza.
«Quannu nun tieni chiù nienti in tasca, vuol dire che sei arrivato a Forcella».
Era il vecchio motto che veniva ripetuto al turista che si avventurava in quella zona. Oggi, in qualsiasi ora del giorno e della notte, i quartieri spagnoli sono pieni di visitatori.
È diventato un luogo vitale, caotico, un dedalo di vicoli e gradoni affollati di turisti che vagano in mezzo a palazzi e chiese straordinarie di un colore grigio tenue che incutono timore, tra edifici che si accavallano e si stratificano tra loro avvolte talvolta da poco alla luce.
La pianura bianca di Nola
Quando sono arrivato al Cis di Nola devo ammettere che ho avuto la sensazione di non trovarmi in Campania, ma di essere catapultato in una dimensione globale, come se fossi arrivato in una grande area industriale della Val Padana o della Vestfalia.
È davvero impressionante la distesa sconfinata di capannoni aziendali, di container, di parcheggi, disseminati in questo immenso centro per la vendita all'ingrosso di 3 milioni di metri quadrati di cui 550.000 coperti.
Una pianura bianca e grigia di costruzioni rettangolari, intervallata da piccoli prati verdi, senza soluzione di continuità.
È il più importante polo di distribuzione commerciale d'Europa.
Una vera e propria città del commercio a 30 km da Napoli.
Nola è famosa non solo per aver dato i natali al filosofo Giordano Bruno o per la suggestiva festa dei “gigli".
In questa località campana, ci fu una delle peggiori stragi compiute dai nazisti nel settembre del 1943.
Diciotto italiani ammazzati, tra cui dieci ufficiali che si erano rifiutati di consegnare le proprie armi ai tedeschi.
Un passato eroico di cui pochi sanno appunto, così come pochi sanno che al Cis di Nola ci sono 450 aziende che danno lavoro a circa 3.500 persone, con l'aggiunta di una serie di servizi, dove si lavora 24 ore al giorno con un'attenzione particolare alla sicurezza e alla legalità.
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Donna, madre, imprenditrice, femminista
«Nella mia azienda io mi batto contro la violenza nei luoghi di lavoro che è cosa diversa dal femminicidio».
Conversando una mattina amabilmente con Stefania Brancaccio ho capito che il mezzogiorno dovrebbe puntare molto di più sulle donne se si vogliono colmare divari sociali, economici ma soprattutto culturali con le grandi aree del Nord.
Siamo ad Acerra, a 15 km da Napoli, in una zona tristemente nota come «Terra dei fuochi».
Trent’anni almeno di roghi e sversamenti tossici provenienti principalmente dalle regioni industrializzate del Nord che hanno determinato in questo territorio un danno reale e grave agli esseri umani.
Parliamo di milioni tonnellate di rifiuti pericolosi e non finiti sotto terra, smaltiti dalla camorra nei "Regi Lagni", ceduti a terzi come è fertilizzanti e composti. Migliaia di bambini e persone di tutte le età si sono ammalati di cancro al fegato, ai polmoni, alla vescica in questo triangolo della morte, che ha le sue tre punte nella città di Nola, Marigliano e Acerra. Una tragedia tuttora senza colpevoli.
Eppure in questa vasta area pianeggiante dell'entroterra napoletano sono nate negli ultimi trent’anni alcune imprese sostenibili che monitorano le emissioni, sono attente al tema ambientale e soprattutto danno lavoro a centinaia di persone, come accade nei tre stabilimenti industriali della Coelmo, l'azienda metalmeccanica di cui una donna, Stefania Brancaccio, e da tanti anni vicepresidente.
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ABRUZZO e MOLISE
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Il Fùcino terra di patate, carote e centri spaziali
«La terra d'Abruzzo è rossa. un rosso che affiora tra le radici degli ulivi, sotto la pelle grigia delle montagne nude», scriveva Giovanni Russo, forse l'ultimo autentico meridionalista del Novecento nel suo splendido libro “Baroni e Contadini”.
Me lo presentò una volta Duccio Trombadori, di cui Russo fu vulcanico e sincero amico.
Nel solco di illustri meridionalisti come Giustino Fortunato, Guido Dorso e Gaetano Salvemini, Giovanni Russo, salernitano cresciuto a Potenza, conosceva bene anche l'Abruzzo, questa regione, a metà strada tra centro Italia e Sud, nota per i suoi accaniti campanilismi e per il risorto binomio con la terra Molisana, tanto che nella costituzione del 1948 si prevedeva l'istituzione di "Abruzzi e Molise", come se l'epoca angioina non fosse mai finita, con il fine naturale tra Abruzzo Ulteriore, Abruzzo Citeriore e Molise segnato dal corso del fiume Aterno-Pescara.
È vero, la stessa cosa potrebbe dirsi del Trentino-Alto Adige, del Friuli Venezia Giulia, dell'Emilia-Romagna, ma l'Abruzzo, di tutte queste regioni, e quella che conserva le più nette differenze, etniche, sociali e soprattutto nel carattere della sua gente.
Più introverso, testardo e schivo l'entroterra, con le sue vette appenniniche inespugnabili, i parchi naturalistici e gli antichi borghi di origine medievale.
Più aperta, solare e quasi "zingaresca" la costa, con le sue località ospitali e le spiagge ordinate.
Le campane di Agnone e i borghi incontaminati del Molise
Fuoco, rame, Venezia, campane, chiese.
Quando sono approdato una domenica di giugno ad Agnone, nell'alto Molise, mi sono chiesto come sia stato possibile conciliare questi elementi così eterogenei in questa cittadina linda e ospitale, fondata circa duemila anni fa da alcuni condottieri scampati alla strage da parte dei legioni romane dell'Aquilonia Sannitica.
Ma in realtà, la vera svolta nella storia di questo borgo, oggi dall'aspetto tipicamente medievale, collocato tra la Valle del Sangro e quella del Trigno, circondato da una chiostra di monti imponenti al confine con l'Abruzzo, avvenne undici secoli dopo, quando alcune famiglie veneziane, guidate dai Conti Borrello di Pietrabbondante, capitani di ventura di Venezia, si insediarono nella città iniziando a lavorare l'oro, il rame e il ferro.
Da quel momento Agnone diventò uno dei centri più importanti per l'arte orafa, le tine di rame, le caldaie, i mastelli in ferro battuto e, successivamente, per le campane che la Pontificia Fonderia Marinelli da più di mille anni realizza per le chiese di tutto il mondo.
Eccola, dunque, Agnone, con le sue tipiche "calle“, i vicoli segreti, le piazze silenziose, le botteghe artigiane sempre aperte, i palazzi con i balconi finemente decorati, tante chiese antiche e pregiate come quella di San Marco edificata nel 1144, austera e mistica, con i suoi altari barocchi e le statue in legno del XV e XVI secolo.
Una perla di questa piccola città d'arte che vista dall'alto, come tetti rossi delle case, sembra un quartiere di Venezia appollaiato su una prua rocciosa.
Una città forte delle sue tradizioni.
Il racconto del mio viaggio in Molise parte proprio da questa piccola città in provincia di Isernia, sulle orme di Francesco Jovine, giornalista e scrittore, nato in Molise da una famiglia di contadini che di questa terra di mezzo fu straordinario e realista cantore.
"U bredette" di Termoli e l'attesa per la Gigafactory
Una fuga collettiva. Inesorabile. Negli ultimi quarant’anni sono tanti i giovani che hanno lasciato silenziosamente il Molise unendosi alle centinaia di migliaia di molisani che da oltre un secolo fece lo stesso percorso.
Intere comunità non esistono più. Scomparsi nel silenzio e nell'indifferenza collettiva.
Ma ci sono per fortuna anche i molisani che sono rimasti, che lottano ogni giorno per costruire un futuro migliore per questa terra nobile, preziosa e spesso sconosciuta: sono impiegati, operai, piccoli imprenditori, allevatori, commercianti, artigiani, pescatori, piccole imprese turistiche che continuano a credere nell'enogastronomia e nelle potenzialità di questo territorio che regala emozioni autentiche, a partire dalle alte montagne delle Mainarde o del Matese, lungo i tratturi della transumanza, fino alla costa con il suo mare azzurro.
Tutto questo nonostante l'inadeguatezza delle infrastrutture ferroviarie, stradale, digitali e l'insufficienza di altri servizi sociali, a partire dalla sanità pubblica.
Pasta, Tintilia, tartufo, olio, latticini, miele: sono i prodotti di punta di questa piccola regione del Sud che si sono fatti apprezzare anche all'estero.
Creatività, arte culinaria, pasticcerie e prodotti locali sono sempre andati a braccetto qui in Molise, dove, c'è da dire, l'agricoltura costituisce ancora l'asse portante dell'economia, forse, con un eccessiva frammentazione delle aziende e le ben note difficoltà di irrigazione.
Ma oggi la speranza si chiama "Gigafactory", la realizzazione qui in Molise di un grande stabilimento con la produzione di batterie per le auto elettriche.
Un investimento che era stato in parte finanziato dall'Unione Europea con le risorse del Pnrr per la transizione ecologica, per favorire il passaggio dalle auto a combustione a quelle a motore elettrico.
Ma a giugno del 2024 Stellantis a posto e stand-by l'idea della Gigafactory a causa del rallentamento dello sviluppo delle auto elettriche nel mercato europeo.
Bisognerà aspettare l'arrivo delle nuove tecnologie in grado di abbassare i costi delle celle, ma di conseguenza il governo italiano ha spostato altrove il finanziamento pubblico di 400 milioni di euro.
PUGLIA
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Il pane di Altamura e la Puglia virtuosa
«Se Parigi avésse lu màre, fosse na piccola Bbàre».
È una battuta popolare che ha sempre dimostrato l'amore dei baresi per la propria città, la genialità, la voglia di riscatto di una regione del Sud operosa, ponte tra Occidente e Oriente.
Nessuno ha mai compreso il segreto di questo innato spirito di intraprendenza che caratterizza il popolo che abita la Puglia o delle "Puglie", come richiama ancora qualche visitatore, smarrito e stanco per i chilometri percorsi lungo la costa e forse per le tante diversità esistenti, dei dialetti, nel paesaggio, degli stili architettonici, nelle tradizioni popolari, nell'economia di questa lunga striscia di terra a cavallo tra due mari.
«La Puglia è un continente», ha scritto Raffaele Nigro, lo scrittore lucano che, forse meglio di altri, ha raccontato con le sue metafore e la sua ricerca etno-antropologica, i vizi e le virtù di questa terra a più facce.
A nord, il Gargano austero e selvaggio, con le scogliere mozzafiato di Vieste, le praterie ittiche di Lesina e Varano, le tante aziende di allevamenti di pesci offshore e di ostriche pregiatissime, con il Parco Nazionale, in cui si staglia sontuoso il carico emozionale, gravido di misticismo, legato al pellegrinaggio al santuario di San Giovanni Rotondo.
Poi ti sposti un poco più avanti e incontri l'inossidabile Foggia, snobbata ingiustamente dal turismo di massa, con la sua antica cattedrale, il Borgo Croci, le tante aziende di frumento giallo del tavoliere e le culture di pomodoro "lungo" Dop della Capitanata, quello che qualcuno chiama l'oro rosso pugliese e subito dopo, ecco l'immensa Bari, con il suo porto maestoso e la lunga tradizione mercantile, la splendida basilica di San Nicola, il centro storico di Bari Vecchia sempre affollato di turisti, il lungomare, il Castello Normanno, il distretto innovativo dell'informatica e dell'hi-tech, i poli formativi di eccellenza come il Politecnico e l'Università, le multinazionali, la storica Fiera del Levante e su tutto le orecchiette di Nunzia La Pastaia, oggi ambasciatrice di Bari nel mondo.
All'estremo Sud ti imbatti nell'interminabile Salento, la «terra circondata dal mare», con le sue province di Brindisi, Lecce e Taranto, il Borgo Egnazia, rifugio di capi di stato e di vip, la Valle d'Itria disseminata di Trulli trasformati in alcove lussuose, le "sagre te lo purpu”, la “pizzica", le spiagge bianche dove ininterrotta è la movida dei giovani, le distese di viti infinite, il profumo di cappero selvaggio della costa, gli ulivi generosi pur se flagellati in questi anni dalla sciagura agricola del secolo, la Xylella e la sua inseparabile, fastidiosa, Sputacchina.
E infine nelle "Terre di mezzo", ecco stagliarsi Altamura, circondata da una distesa immensa di campi di grano duro e di pascoli che in estate brillano del colore del sole, la culla del comparto cerealicolo e dell'industria molitoria del nostro paese.
Ha un profumo quasi inebriante che si inizia a sentire già per strada, il pane Dop di Altamura appena sfornato.
Viene cotto come si faceva duecento anni fa nei forni di pietra di questa città pugliese, usando solo legna di quercia, seguendo le indicazioni di un'antica ricetta, sapientemente protetta dagli artigiani di questa città, capitale della Murgia, mescolando la semola rimacinata di grano duro locale con acqua e lievito madre.
Taranto e il Primitivo di Manduria
C'è una piacevole brezza marina che scompone lievemente i capelli nella grande piazza bianca di Manduria, dominata dalla sagoma imponente di Palazzo Imperiali costruito nel 1719 sui ruderi del castello medievale.
Li chiamano "mangiacani" i 30.000 abitanti di questa città, "cuore" del Salento, proprio a metà strada tra Taranto, Lecce e Brindisi, con le sue stradine strette e tortuose, la vecchia Torre dell'Orologio, i palazzi nobiliari con le balconate in ferro in stile rococò, le sue mura megalitiche possenti che la circondano e che hanno visto passare i grandi della storia, il suo quartiere ebraico silenzioso, come lo era forse all'origine, 600 anni fa.
Sembra che il tempo si sia fermato e di essere in un'altra parte d'Europa a Manduria, così placida, tranquilla, operosa, tra agricoltura di qualità, arte, gastronomia, a pochi chilometri la spiagge bianche e selvagge come quella di Campomarino, di San Pietro in Bevagna o di Punta Prosciutto, tra masserie lussuose con ristoranti stellati e una natura davvero incontaminata.
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Il Salento, le cantine sociali e l'enoturismo d'eccellenza
«Salentu: lu sule, lu mare, lu ientu», dicevano i vecchi contadini.
Qui dove ogni anno giungono centinaia di migliaia di turisti da tutto il mondo c'è la più grande innovativa concentrazione di stabilimenti vinicoli di tutta Italia.
Sono quasi 12 milioni di ettolitri di vino che vengono prodotti in Puglia e la gran parte viene da questo comprensorio, un comparto che ha superato nel 2023 i 281 milioni di euro di export, un gigantesco movimento di investimenti e di denaro attorno al quale vivono più di 60.000 persone, tra vigne, cantine, distribuzione commerciale e altre attività connesse.
C’è da rimanere incantati nell'ammirare dall'alto questa immensa distesa verde, intervallata da oliveti e seminativi, che dalle coste tarantine, lambisce quelle adriatiche di Brindisi, fino al confine di splendide città come Lecce, Otranto, Santa Maria di Leuca a Oriente e poi Gallipoli, Porto Cesareo, Nardò sulla costa occidentale.
BASILICATA
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La Lucania che lotta e vince
«Ma voi siete di Milano?». «No, siamo di Potenza».
Quante volte in questi anni hanno rivolto questa domanda a Michele Tedesca e ai suoi due giovani soci in affari, e quante volte hanno dovuto ripetere sempre la stessa cosa, come se fosse impossibile che in una piccola regione del Sud potesse maturare una delle idee più innovative di applicazione della realtà aumentata: provare una gamma infinita di occhiali indossandoli solo in maniera virtuale.
Michele Tedesca ha solo 31 anni. Si è laureato in informatica nell'Università degli Studi della Basilicata alcuni anni fa.
Era destinato probabilmente a emigrare anche lui, a cercare una carriera di ricercatore in qualche importante azienda digitale del Nord Italia.
Ma insieme ad altri due soci questo giovane, che non nasconde quando mi parla, la sua leggera inflessione lucana, è diventato l'ideatore di Spaarkly, una startup innovativa nata con l'assistenza della Camera di Commercio della Basilicata.
Non è un caso se il mezzogiorno è diventato in questi anni un'area di riferimento per tante piccole aziende.
La presenza e il valore delle startup nelle regioni meridionali rappresenta oggi il 28% delle imprese costituite da giovani imprenditori nel territorio nazionale.
Un dato positivo, più alto di molte aree forti del Nord, che fa riflettere sulle potenzialità e le capacità di innovazione, di creatività e di successo di tante esperienze nate in questi anni nel Sud, frutto anche della sinergia e della funzione di stimolo di tante università meridionali, come dimostra proprio il caso della Spaarkly.
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Il "teorema" Melfi e la ricchezza del Metaponto
Il contesto sociale ed economico è profondamente cambiato in Basilicata con l'arrivo della Fiat a Melfi nei primi anni ‘90.
Fu una vera rivoluzione per questa regione.
Due milioni di metri quadrati è la grandezza dello stabilimento aperto nel settembre del 1993 dalla Fiat, cui vanno aggiunti altri 700 mila delle principali aziende fornitrici sorte a stretto contatto con la casa madre per permettere il flusso delle forniture in tempo reale.
Un insediamento industriale, a 50 km da Potenza, che visto dall'alto sembra un enorme bastimento color pastello dalle fiancate luminose, piombato da chissà quale pianeta in mezzo ai campi di grano e agli ulivi secolari.
CALABRIA
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Garibaldi e lo stoccafisso di Mammola
Sant'Eufemia in Aspromonte: sarebbe soltanto un fascinoso toponimo in una Calabria selvaggia e spesso dimenticata, ma è qui che il 29 agosto del 1861, nella grande pineta che sovrasta questo piccolo paese di tremila anime, a 50 km da Reggio Calabria, venne ferito e arrestato Giuseppe Garibaldi dalle truppe del neonato Regno d'Italia, incaricati di fermarne il cammino verso Roma e lo Stato Pontificio.
Da tanti anni volevo vedere questo luogo ed eccomi, dunque, in un pomeriggio tiepido davanti al grande pino secolare, protetto da una cancellata corrosa dalla ruggine, dove, secondo la tradizione, fu adagiato l'eroe di “due mondi" ferito a una gamba.
Accanto c'e la lapide grigia che ricorda l'episodio, semicoperta da un soffice tappeto di aghi di pino, tra fiori di ciclamini e pigne che a profusione ricoprono il terreno.
Da lassù l'occhio abbraccia il Tirreno e lo Ionio e coglie persino il triangolo di Sicilia e le isole Eolie.
Da queste parti si mangia lo "stocco", un piatto tipico di Mammola a base di stoccafisso, merluzzo essiccato all'aria preparato con salsa di pomodoro fresco, le patate a spicchi, le cipolle di Tropea, olive, capperi e peperoncini di Calabria.
Una volta era considerato il mangiare dei poveri, visto che i contadini lo offrivano ai braccianti in occasione dei lavori duri nella campagna.
La Taverna del Borgo a Mammola è una sorta di tempio dello stocco, cucinato in modi fantasiosi, è servito insieme alla ricotta affumicata, al formaggio caprino, ai salumi, al pane "pizzata" a base di mais cotto del forno a legna.
Non è propaganda. Ma il solo fatto di fermarsi a pranzo in quel posto, giustifica la fatica di centinaia di chilometri in quella Vallata del cuore dell'Aspromonte, dove, come scriveva Piovene: «Non sembra di essere nel Mezzogiorno, ma in Svizzera, nell'Alto Adige, nei Paesi scandinavi, con profonde valli, Canyon, e torrenti con pendenze precipitose».
La mia meta rimane, però, Sant'Eufemia, dove Garibaldi si era rifugiato lontano dai cannoni della Marina Regia, cercando una posizione ben difendibile.
Per arrivare in questo sito, legato alla storia del nostro Risorgimento, bisogna partire di buon mattino dal laghetto Rumia e percorrere poi il sentiero garibaldino tra i boschi di faggio maestosi e le profumate ginestre dei “carbunari" alte quasi tre metri con i fiori di un color giallo intenso.
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Imprese sociali e sindacalisti riformisti
Si chiama Enrico Parisi. A trentadue anni è oggi uno dei più giovani "cavalieri" della Repubblica.
Un riconoscimento che Sergio Mattarella gli ha assegnato per il suo impegno imprenditoriale e sociale in Calabria, «per il contributo alla promozione di pratiche di sostenibilità sociale, ambientale ed economica».
La storia di questo "ragazzo” di Calabria è anch'essa esemplare.
Lui è nato a Corigliano-Rossano, una città di settantaquattro anime nella fascia orientale della piana di Sibari tra la Sila e la costa ionica.
Non è facile arrivare fin qui, in quell’andirivieni delle strade calabresi, come se fosse un labirinto, un nodo storico irrisolto di questa terra, dove sia i collegamenti lungo la litoranea, sia quelli interni, sono del tutto insufficienti per un vero sviluppo produttivo.
Corigliano si erge maestosa su una piccola collinetta circondata di uliveti e agrumeti dai colori variegati, con i suoi vicoli, le dimore rurali, con le sue sagre durante tutto l'anno, come quella del pesce azzurro che viene organizzata durante i primi mesi di agosto a Schiavonea, dove il mare è di una limpidezza caraibica. L'aria profuma di zagara, di salumi tipici come la soppressata, la salsiccia di montagna, il capocollo.
Enrico Parisi è nato qui, in questo "paesone", che ha il suo cuore spirituale nella cattedrale di Maria Santissima Achiropita, con le sue opere, i decori, l'atmosfera mistica.
Dopo la laurea alla Bocconi di Milano in economia aziendale e management, e aver fatto un'esperienza in Brasile con la Camera di commercio di Rio de Janeiro, Parisi nel 2016 decide di tornare in Calabria, si impegna nell'azienda di famiglia, modernizzando le tecniche per produrre olio biologico, frutto di un'accurata selezione di olive monocultivar Dolce di Rossano, Carola, Tondina, Nocellara.
Un prodotto di eccellenza, spedito in tutta Italia, che è sopravvissuto a quattro generazioni fin dagli anni Venti del secolo scorso.
Ripartire dalle persone per costruire un Sud diverso.
È stato questo il motto vincente di questo giovane manager, oggi responsabile nazionale dei giovani Coldiretti, il quale non si è limitato a produrre un olio di alta qualità per tutti a prezzi calmierati.
Ha deciso anche di creare nel 2019 il primo "orto sociale” di Corigliano-Rossano dove piante di pomodori e peperoni sono state utilizzate come strumenti di "pedagogia agricola", con la collaborazione di una cooperativa, “Figli della luna”, un centro diurno che offre ricovero intrattenimento a sedici persone "super abili", come preferisce definirli Parisi.
Mattarella e le "eccellenze" calabresi
«È stato un momento emozionante quando alla vigilia del Primo Maggio è arrivato qui il presidente Sergio Mattarella. Ci ha detto una frase molto bella: "Sono contento di festeggiare con voi". Per me è stata una soddisfazione personale. Abbiamo contribuito noi lavoratori al successo di questa azienda. Qualcosa di bene lo abbiamo fatto».
Giuseppe Scorza è un operaio di 60 anni, delegato sindacale della Fai Cisl, la federazione del settore agroalimentare.
È nato e cresciuto a San Lorenzo del Vallo, un paesino di tremila anime della provincia di Cosenza.
Lavora dal 1989 alla Gias di Mongrassano, un'azienda del distretto agroalimentare Cosentino che opera da oltre 50 anni nel campo della produzione «al cento per cento naturale», ci tengono a dire da queste parti, senza conservanti e coloranti di alimenti vegetali surgelati e piatti pronti.
È un'impresa tra le più grandi al mondo in questo settore, un modello di innovazione, produttività, qualità dove operano in alta stagione fino a 400 persone, senza contare indotto.
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Nino De Masi e il risveglio delle coscienze
Ci sono uomini e uomini.
Quando ho conosciuto Antonino De Masi ho capito che cosa significa realmente ribellarsi alla 'ndrangheta, denunciare non fuggire, scegliere di restare nel proprio paese.
La storia di questo imprenditore calabrese di Rizziconi, un piccolo centro della Piana di Gioia Tauro, era dimostrazione quasi esemplare che c'è una Calabria che vuole reagire, che opera, sfidando burocrazia e malaffare, indifferenza e richieste di “pizzo”.
Una Calabria che non è disperata, né tanto meno rassegnata.
SICILIA
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La "casa" dei bambini del San Vincenzo di Taormina
Sorride il piccolo Hector, con i suoi vispi occhi neri.
Aveva solo tre mesi di vita quando è stato salvato grazie ad un complesso intervento cardiaco effettuato dai medici del Centro di Cardiochirurgia Pediatrica del Mediterraneo in Sicilia, una vera eccellenza europea istituito nel 2010 grazie alla collaborazione con il Bambino Gesù di Roma.
Non esiste dramma e sofferenza più atroce di un bambino ricoverato per mesi in uno di questi grandi ospedali pediatrici del nostro paese.
Non esiste in natura un dolore così viscerale e senza fine di un genitore che perde una figlia o un figlio a causa di una patologia incurabile.
Ecco perché quando sono entrato in questo importante centro pediatrico, una vera perla, mi sono rimasti impressi quegli sguardi dei bambini che con una fiducia e dignità straordinaria combattono per sopravvivere.
Basta poco per vederli sorridere di gioia questi bambini: una visita inaspettata, una bambolina di pezza, una macchinetta colorata, la carezza di un infermiere o del medico di turno.
Luoghi narranti narrati e citati: Taormina - Ospedale San Vincenzo di Taormina
Maria Falcone e il Museo del Presente
C'è una donna palermitana che incarna, ormai da tanti anni, in maniera seria e concreta, la battaglia contro la mafia e l'illegalità.
Il suo nome è Maria Falcone. Lei non ama definirsi "eroina".
Non le sono mai piaciute la retorica, le frasi roboanti o le immagini stereotipate di una Sicilia incapace di rialzare la testa.
Per questo già subito dopo la morte del fratello Giovanni a Capaci e dopo la strage di Via D'Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, Maria Falcone, la "professoressa Falcone", come la chiamano tutti a Palermo, ha pensato di dare il proprio contributo, con coraggio e determinazione, nei progetti di educazione alla legalità nelle scuole e nelle università.
Una scelta che lei chiama di «testimonianza attiva», promuovendo centinaia di iniziative, anche all'estero e non solo in Italia, per ricordare la figura del fratello giudice, ma soprattutto per sensibilizzare l'opinione pubblica sui temi legati alla criminalità organizzata.
Luoghi narranti narrati e citati: Palermo - Museo del Presente e della Memoria - quartiere Kalsa - Fondazione Falcone - Chiesa di San Domenico tomba di Falcone
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Il miracolo del nuovo porto di Palermo
Questa è la storia di un altro piccolo miracolo.
La prova che anche in Sicilia si possono realizzare le opere pubbliche nei tempi previsti, senza scandali, intromissioni della criminalità, rispettando i budget e soprattutto la dignità del lavoro.
La costruzione del molo trapezoidale al porto di Palermo è costata 30 milioni di euro dei 600 che saranno utilizzati per completare tutte le infrastrutture dello scalo palermitano.
18 mesi di lavori per far nascere la nuova area demolire 30.000 metri cubi di strutture fatiscenti e abusive: due gru alte 54 m, 29 silos ormai fuori uso.
Quando sono arrivato lì una mattina in primavera ho avuto l'impressione di ritrovare una nuova Palermo.
Quella ampia area verde aperta alla città, il laghetto artificiale che si illumina tutte le sere, la lunga passeggiata sulla baia di 26.000 metri quadrati da percorrere a piedi o in bicicletta, edifici moderni, servizi, un grande parcheggio.
Luoghi narranti narrati e citati: Palermo - Porto - Castello a Mare
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Il quartiere Brancaccio e i "parrini" odiati da Cosa Nostra
Davanti al cancello verde del centro polivalente sportivo del quartiere Brancaccio, alle tre del pomeriggio, sotto un sole che Leonardo Sciascia definiva "arrogante", c'è un gruppo di ragazzi ordinatamente in fila.
Il più piccolo avrà avuto al massimo 8 anni. Indossa, quasi come un distintivo, una maglietta con impresso a caratteri cubitali il nome del compianto Totò Schillaci.
«Aspettiamo qui Maurizio», mi dice sorridente Peppe, capelli castani ben pettinati all'indietro, tranquillo e ordinato come un pensionato che attende il suo turno alle poste per riscuotere la pensione.
Maurizio Artale arriva dopo qualche minuto, indaffarato come sempre, il telefonino sempre incollato alle orecchie, disponibile a parlare con chiunque voglia conoscere i problemi di questa zona periferica di Palermo dove regna il disagio economico e sociale, il vandalismo, la povertà educativa.
Ma soprattutto le infiltrazioni della criminalità e la diffidenza dei cittadini nei confronti delle istituzioni.
Luoghi narranti narrati e citati: Palermo - Quartiere Brancaccio-Ciaculli
Rachid Berradi e la battaglia del Coni siciliano
Nei grandi quartieri popolari di Palermo, al Cep, allo Zen 2, a Brancaccio, allo Sperone, a Danisinni, funestati dalla povertà e dalla disoccupazione, dove due ragazzi su tre abbandonano la scuola per entrare nella microcriminalità, dove tantissime famiglie vivono ammassate in dei veri e propri tuguri e spesso i bambini giocano tra i rifiuti, qui la mafia reclutava centinaia di uomini disposti a uccidere per poter risolvere il problema della loro vita.
Ma oggi in queste zone periferiche di Palermo, così come è accaduto anche in altre città siciliane, ci sono segnali di speranza e di risveglio della società civile, grazie all'impegno eroico di tante scuole, del Coni, delle parrocchie, della Caritas, di tante associazioni che lavorano e presidiano il territorio, sostenendo il lavoro delle forze dell'ordine con coraggio e determinazione.
«Lo sport è cultura. È lo strumento vero per togliere i ragazzi della strada. Questo è il modo vero per contrastare la mafia».
«Il ruolo della scuola è fondamentale rispetto a qualunque altra istituzione». Insieme, fianco a fianco, il Coni, le società sportive, le scuole, questo mondo solo in apparenza così diversificato, si batte contro il tasso di dispersione scolastica che a Palermo, come in gran parte della Sicilia, è ancora il più alto d'Italia, il 19,4%.
Luoghi narranti narrati e citati: Palermo - Cep - Zen 2 - Brancaccio - Sperone - Danisinni - Istituto Sperone Pertini
Carmen, la ballerina "diversa" eppure unica
Palermo è davvero una città complessa, la capitale siciliana della maestà decadente, dello spreco, dell'indolenza, con quei campanili che sembrano sentinelle di un Oriente perduto, le cupole di maiolica, le occhiaie vuote di palazzi che un tempo custodivano i rituali sontuosi di potenti stirpi.
Una città in eterno movimento, con il suo forsennato andirivieni di automobili, di motorette smarmittate, il subbuglio dei suoi condomini, con la sua indifferenza anche nei confronti del crimine, dove a volte disabilità e povertà spesso convivono e possono portare a forme di esclusione sociale.
Eppure quando ho conosciuto proprio qui, a Palermo, Carmen Diodato ho capito, ancora una volta, che sono le persone semplici e non le élite a cambiare in meglio il corso degli eventi.
È bastata questa breve frase: «L'unico vero limite è la testa, chi ha una difficoltà non deve isolarsi perché in questo modo verrà a sua volta isolato, siamo tutti diversi e questo ci rende unici».
Come tante donne meridionali, Carmen ha sempre lottato nella vita, vivendo la sua disabilità non come una limitazione, bensì come un'opportunità, un dono ricevuto che moralmente la obbliga a fare qualcosa in più e mai in meno per se stessa e per gli altri.
Luoghi narranti narrati e citati: Palermo - Teatro Massimo
Le Cave Buttitta dalla mafia agli operai di Bagheria
Ci sono aziende che nel Sud Italia, come nel resto del paese, chiudono i battenti o localizzano le produzioni all'estero con una mail inviata ai dipendenti dalla sera alla mattina, come se le persone fossero carta straccia.
Merci da utilizzare e poi abbandonare al proprio destino.
Ma ci sono in Sicilia anche imprese confiscate e boss della mafia che sono diventate oggi di proprietà dei lavoratori, un esempio concreto di come sia possibile continuare l'attività, con una buona gestione economica, ma soprattutto con un modello auspicabile di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, con un incontro paritario tra capitale e lavoro.
Quando sono andato a visitare le Cave Buttitta, nelle campagne di Bagheria, non nascondo che il mio primo ricordo è andato a Leonardo Sciascia e a quel suo racconto, "l'Antimonio", pubblicato in “Gli Zii di Sicilia" nel 1958.
Luoghi narranti narrati e citati: Bagheria - Cave Buttitta - Cava Valle Rena - Castelvetrano - Partanna - Salemi - Paceco
Biagio Conte e la Missione Speranza
Aveva gli occhi come il colore del cielo Biagio Conte.
Come se volesse trasferire agli altri con il suo sguardo una luce di speranza, un messaggio di pace e serenità.
La sua tomba è a Palermo, all'interno della “Casa di Preghiera per tutti i Popoli", la grande chiesa bianca che si trova nella Cittadella del Povero e della Speranza di Via Decollati, proprio alle spalle della stazione centrale.
Nel lungo sagrato colonnato che arriva fino alla mensa ci sono a terra i simboli delle tre principali fedi monoteiste.
La chiamano la "Cattedrale di Poveri”, la casa per l'accoglienza di centinaia di ultimi di Palermo.
Nella lapide, una semplice lastra di marmo verde come il colore del suo saio, c'è un ovale a mosaico che riproduce il logo della Missione, realizzato dalla cooperativa sociale Pietrangolare di Chiaramonte Gulfi dove lavorano una decina di ragazzi con disabilità.
Sopra c'è una grande foto di fratel Biagio sorridente e le sue mani aperte.
Sul marmo è stata incisa una frase scritta da lui in un foglietto che donava a tanti all'inizio della sua missione: «Non scoraggiatevi mai e andate sempre avanti, scavalcando così qualunque ostacolo potrete incontrare in questa vita».
Luoghi narranti narrati e citati: Palermo - Cittadella del Povero e della Speranza di Via Decollati - Chiaramonte Gulfi - Finale di Pollina - Godrano - Villa Florio - Corleone - Scopello - Giacalone
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Nicoletta Cosentino e le cuoche combattenti
Le chiamano le "cuoche combattenti".
Ma è una definizione fin troppo riduttiva per Nicoletta Cosentino, una palermitana sanguigna e passionaria che è diventato un simbolo in questi anni per tante donne vittime di violenza psicologica e di abusi.
In effetti, la sua è una storia di dolore e di riscatto, di sofferenze e di liberazione, d'inferno e paradiso, come tutto quello che è sempre accaduto in una città così bella ma anche così sprezzante come Palermo.
«Mai più paura, mai più in silenzio»: è stato in questi anni lo slogan di Nicoletta e della sua associazione, creando occasioni di incontro con altre donne, facendo in modo che esse riprendano in mano la loro vita.
«Abbiamo cominciato nel 2017 la nostra avventura, raccontando il nostro progetto nei circoli nelle associazioni, nei ristoranti. Non è stato facile all'inizio», mi racconta in un pomeriggio caldo di Palermo, nel piccolo laboratorio dove si producono i dolci della tradizione siciliana, conserve e marmellate, recuperando antiche ricette popolari.
Luoghi narranti narrati e citati: Palermo - Campobello di Mazara - Spaccio Ciauli in via Cluverio - Palma di Montechiaro
Le eterne due facce di Catania
Eccola Catania, con il suo vulcano, la montagna più alta è bella della Sicilia che l'età maestà e la ripara dai venti del Nord, con i suoi palazzi decorati da ignoti e scalpellini, le fontane ornamentali, con i suoi campanili e le chiese maestose, i cortili segreti, le cantine dove rispettabili meccanici fabbricano automobili con i pezzi di altre auto che sono state rubate poche ore prima.
Il bello e brutto, creatività e squallore.
Conosco bene lo strano fascino di questa città dove l'uomo si sente libero da vincoli, obblighi, regole, divieti.
Vi arrivai tanti anni fa, giovane studente universitario e cronista in erba, quasi intimidito dalla spavalderia, dalla strafottenza, dalla "vulcanica" vitalità dei catanesi che, come diceva spesso Pippo Fava, «vogliono guadagnare quanto più denaro possibile, perché poi sono sicuri di potersi pagare tutto quello che gli piace, anche la potenza».
Luoghi narranti narrati e citati: Catania - quartieri: San Cristoforo - Librino - San Giorgio - San Berillo - San Giovanni Galermo - Palermo - Palazzolo Acreide
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Il rilancio di Etna Valley
«Meglio il fumo che morire di fame», dicono ancora oggi, con grande saggezza, i vecchi operai del petrolchimico di Priolo, dove ogni tanto la pioggia gli idrocarburi contamina le campagne, ricoprendo attrezzature, veicoli e pavimentazioni.
Negli anni Cinquanta dello scorso secolo una parte della costa tra Siracusa e Catania fu scelta per l'insediamento industriale di raffinerie e produzione di derivati chimici a supporto dell'industria mineraria dello zolfo e del sale entrata in grave crisi.
Tra il 1956 e il 1959 tutta l'area fu oggetto di investimenti per quasi 130 miliardi di euro.
Siamo a ridosso di Librino, un quartiere popolare di 70.000 abitanti, la metà compensata da Kenzo Tange nel 1970, praticamente attaccato a quella che viene chiamata pomposamente "Etna Valley" per la presenza di tante aziende specializzate in elettronica e semiconduttori, un settore che in Italia cresce un tasso triplo rispetto all'industria manifatturiera, un mercato di oltre 100 miliardi all'anno.
Luoghi narranti narrati e citati: Catania - Librino - Priolo Gargallo - Marina di Melilli - Gela
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SARDEGNA
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La svolta di Arbatax e la speranza del Sulcis
«In Sardegna ogni spazio apparentemente conquistato nasconde un oltre che non si fa mai cogliere, conservando la misteriosa verginità delle cose sullo sfiorate», scriveva Michela Murgia in uno dei suoi libri più belli, “Viaggio in Sardegna”.
Ho sempre amato quest'isola misteriosa ferita dai contrasti, la sua accesa sensualità, la generosità del suo popolo, la sua paradossale e fascinosa predilezione per la stregoneria e la leggenda, la sua condizione di eterna solitudine.
Ma soprattutto il suo paesaggio che parla.
Sì, esiste un legame forte tra il paesaggio e il carattere della gente che lo anima.
È il paesaggio che intride di sé uomini e cose, scandendo umori e sapori anche di una terra impareggiabile sfuggente come quella Sarda.
Pensate ad Arbatax, questo antico borgo dei pescatori, la porta dell'Ogliastra, dove mi trovo in un pomeriggio di pre-estate, proprio al centro della costa orientale della Sardegna.
Oggi questa zona sta vivendo una rinnovata fase di crescita economica, grazie al turismo e al contributo di decine di imprese che investono e insediano qui le loro produzioni di eccellenza, a due passi dagli Scogli Rossi, queste rocce porfiriche dalle forme bizzarre da cui sono nate leggende di fate, morti, e donne vampiro.
«Fumi sacri che curano i cattivi sogni e acque segrete dove la luna specchiandosi rivela il futuro e i suoi inganni», aggiungeva Michela Murgia, parlando anche della natura aspra e selvaggia dell'Ogliastra, questa porzione della Sardegna di rara bellezza, attaccata come una sorella gemella alla Barbagia ed annoverata tra le cinque zone "blue” del mondo, in cui la speranza di vita è più alta rispetto alla media, visto che da queste parti gli uomini e le donne raggiungono i 100 anni di vita con una straordinaria frequenza.
Luoghi narranti narrati e citati: Arbatax - Scogli Rossi - Sulcis - Cala Moresca - Torre Saracena di San Miguel - ex Cartiera di Arbatax Tortolì - Aeroporto Arbatax-Tortolì - Centro Metallurgico S’Arcu e is Forros - Gennargentu - Tomba dei Giganti di Òsono - Villagrande Strisaili - Golfo di Orosei - Spiaggia di Cea - Porto turistico di Arbatax - Saipem - Cantieri Navali San Lorenzo - Birrificio Ichnusa di Assemini
La Gallura tra turismo, Vermentino e yacht
«La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagna, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso»
È di Fabrizio de André, icona della musica italiana, questa definizione a dir poco seducente sulla Sardegna, quasi una sincera dichiarazione d'amore da parte di un genovese, nato e cresciuto nel quartiere popolare di Pegli, che aveva scelto di vivere in Gallura, dopo aver acquistato la tenuta dell'Agnata, 150 ettari di boschi, pascoli e coltivi con un vecchio “stazzu” abbandonato, un casale in granito di pastori.
Nato come un agriturismo, oggi l’Agnata è uno straordinario boutique-hotel rivolto a chi ama viaggiare lontano dai circuiti turistici di massa.
In verità, è difficile ignorare l'incantevole irregolarità della costa gallurese, una perla del nostro paese, dove si parla uno strano dialetto derivato dall'interazione tra il sardo logudorese e la lingua corsa.
E se il litorale è celebre per la bellezza delle sue spiagge, le calette incontaminate, il fascino delle rocce granitiche e la limpidezza del mare, non meno suggestivo è l'interno di questa parte nord orientale della Sardegna, contrassegnato da paesaggi collinari e montani dove le curiose formazioni di roccia o gli sprofondamenti cosparsi di mani massi rotolati dalle cime dei monti, affiorano da una vegetazione composta in prevalenza da grandi estensioni di sugherete e di fitta macchia mediterranea.
Eccola, dunque, la Gallura, il luogo dove l'urbanizzazione selvaggia ha modificato il volto della costa, con il turismo che è diventato per molti la nuova industria, ma un industria "leggera", come scriveva Michela Murgia, rispetto al tentativo degli anni Sessanta che in Sardegna ha lasciato i cadaveri di diversi ecomostri e decine di operai cassintegrati nelle fabbriche ormai ferme.
Luoghi narranti narrati e citati: Gallura - L'Agnata di De Andrè - Olbia - Vigne Surrau - Arzachena - Porto Cervo - Sugherificio Molinas - Calangianus
Eleonora, mamma coraggio. In memoria di Giulia
Si chiama medulloblastoma. È un tumore del cervelletto purtroppo maligno che colpisce i bambini in età pediatrica, una malattia terribile terribile che in Italia riguarda circa sette bambini ogni milione.
Quando mi hanno parlato della storia tragica di Giulia Zedda, una bambina di Cagliari, scomparsa a soli 10 anni per questo male così infido, il sentimento è stato subito quello comune a tutte le persone normali: pietà, rancore, rabbia.
Eppure, quando ho conosciuto personalmente la madre e il padre di Giulia, ho capito che si può trasformare il dolore della perdita terribile della propria figlia, così fragile e piccola, in amore per il prossimo.
Trasformarlo in una vera e propria azione sociale di solidarietà e di sostegno concreto a chi ha bisogno di aiuto.
La madre di Giulia Zedda è stata premiata al Quirinale da Sergio Mattarella il 20 marzo del 2024 come ufficiale dell'Ordine della Repubblica Italiana.
Luoghi narranti narrati e citati: Cagliari - associazione “Il Sogno di Giulia Zedda” via Baronia - Borgata Is Mirrionis - Via Giardini 159
L’AUTORE
Salvo Guglielmino, giornalista siciliano, vive a Roma dove lavora da tanti anni come responsabile nazionale dell'informazione della CISL.
Nel 2020 con Rubbettino ha pubblicato "Microcosmo Sicilia".
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