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Giuseppe Cocco
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Due viaggi paralleli in bicicletta e due diari di viaggiAutori: il primo realizzato nella primavera del 1897, il secondo dal 17 al 21 giugno del 2006.
Luigi Vittorio Bertarelli, industriale Milanese, pioniere del turismo moderno, principale animatore e dirigente del Touring Club Italiano, è il protagonista del primo viaggio.
Grande sportivo ed esperto viaggiatore, Bertarelli racconta la sua incredibile impresa: percorrere in bicicletta 500 km in soli 5 giorni, da Reggio Calabria ad Eboli, con l'intenzione di far conoscere la Calabria agli italiani.
Dopo più di un secolo, Roberto Giannì, urbanista napoletano e appassionato cicloturista, letto il diario di Bertarelli e osservate le splendide planimetrie ciclistiche di quel viaggio, ripercorre e racconta lo stesso itinerario, limitandosi solo ad invertirne la direzione, con l'intenzione di vedere quanto rimane della verginità selvaggia di allora, Giannì non è più visto dai calabresi come un alieno, come accadeva a Bertarelli, ma deve difendersi, piuttosto, dal dominio dispotico delle automobili.
E tuttavia riesce a compiere un viaggio cicloturistico che conserva ancora la qualità e il fascino di una ineguagliabile esperienza conoscitiva.
Introduzione
La rilettura dei diari pubblicati a fine Ottocento dal giornale sportivo "La Bicicletta", ha consentito di ricostruire la figura di Bertarelli, restituendo al nostro il ruolo di pioniere del turismo, di straordinario divulgatore organizzatore culturale, ma anche di scrittore convincente moderno, in un'epoca caratterizzata dai rapidi mutamenti indotti da un inedito slancio industriale.
L'ultimo decennio dell'Ottocento, in effetti, vedeva il declino irreversibile dei tradizionali mezzi di trasporto.
L'Italia si dotava di una rete ferroviaria che finalmente l’attraversava in lungo in largo, mentre le strade si facevano più larghe e comode ed erano percorse non più solo da carri, carretti e carrozze a trazione animale, giacché nella penisola come in tutto l'Occidente la giovane industria della gomma trasformava ormai il caucciù amazzonico e congolese in moderni pneumatici, da montare sulle ruote di sempre più numerose e agili in bicicletta, le quali ultime, in breve volgere di tempo, nel nuovo secolo, avrebbero ceduto il posto alle automobili.
Pertanto da questo punto di vista, il viaggio in bici è davvero emblematico di una breve ma importante transizione, poiché la fisicità del rapporto col paesaggio antropizzato si sarebbe perduta rapidamente con l'avvento dell'automobile.
Luigi Vittorio Bertarelli: Diario di un cicloturista di fine Ottocento - Da Reggio Calabria ad Eboli
Prefazione
Luigi Vittorio Bertarelli è una delle nature d'uomo più complete che io abbia conosciuto.
Intelligente molto, abile negli affari, esemplare nella vita, tagliato a tutti gli sport, lo si può dire superiore in ogni cosa alla media degli uomini.
La sua cultura è varia, non superficiale: la sua intelligenza è prontissima, tanto che nei tre anni in cui il ciclismo gli diede occasione di farsi conoscere, egli seppe di diventare letterato ed oratore.
Negli affari lo dicono abilissimo: nella fabbricazione dei bronzi da chiesa il suo stabilimento fa una fortunata concorrenza all'estero.
Il Bertarelli non ha esitato, per farsi maestro dell'industria sua, per conoscerne tutti i segreti, a viaggiare mezzo il mondo, spesso indossando il camiciotto dell'operaio.
In quanto agli sport non parliamone: alpinista, camminatore, ciclista di una resistenza a tutta prova, pronto tanto a scalare il Monte Bianco, quanto fare 200 km per una settimana di seguito, quasi che queste fossero le cose più naturali del mondo.
Luigi Vittorio Bertarelli ha viaggiato molto; ha viaggiato, non già cacciato in un compartimento ferroviario, ma o a piedi, o a cavallo, o in bicicletta, desideroso di conoscere bene e da vicino paesi, usanze e costumi.
Preludio
Cinematografare 5 giorni di escursioni in un paese nuovo è impresa ardita.
Sullo sfondo sempre rinnovato del paese tratteggiare le persone e le cose che vi si muovono, e l'essere mio stesso, che è protagonista - per me - nella scena, e dare così non più la fotografia fredda e immobile, ma il quadro animato che scorre davanti all'occhio, è cosa che forse non mi riuscirà, e che certo alla fine vi darà l'impressione opprimente del cinematografo.
Ma forse qui direte infine: come è vero!
E dunque a qualche cosa può servire anche il turismo ciclistico?
Or dunque accendo la lampada, proietto sullo schermo il disco di luce, l'apparecchio comincia a girare ... e attacco.
Luigi Vittorio Bertarelli: Diario di un cicloturista di fine Ottocento - Da Reggio ad Eboli
Ia Tappa - Da Reggio Calabria a Mileto
I primi venti chilometri
Trentasei ore di diretto mi conducono in un fiato da Milano a Reggio Calabria; disimballo la bicicletta che avevo difesa per precauzione di quei 1400 km di ferrovia, e riparto immediatamente.
Sono le nove del mattino.
I primi 20 km corrono presso a poco piani lungo il mare, costeggiando lo stretto di Messina.
Lungo la spiaggia innumerevoli imbarcazioni da pesca e di piccolo cabotaggio, reti, argani per trarre le barche in secco, piccoli cantieri per calafati, lavanderie, qualche rudimentale stabilimento di bagni, casotti finanzieri, frotte di ragazzi e ragazze a gambe nude che fanno il chiasso, pescano con la lenza o raccolgono frutti di mare: una spiaggia formicolante di vita come quella ligure.
Il pesce spada
Di mezzo in mezzo chilometro, davanti alla spiaggia, a quattro o cinquecento metri da terra sta ferma una barca, come avamposto di vedetta.
Nella barca due o tre rematori pronti a vogare, sulla prua, ritto, un fiociniere in attitudine di gladiatore che lancia il giavellotto; nel mezzo della barca è infitto un palo alto tre metri, alla cui estremità poggiando i piedi su due denti di legno sta attaccato un uomo che spia.
Scilla e Bagnara
È passando sotto una di queste alte torricelle, che da un pogetto sbocco dinanzi a Scilla.
La cittadina di 7.000 abitanti è ai piedi dello scoglio che l'Odissea rese celebre, simboleggiandolo in un mostro divoratore.
Nel 1783 il terremoto distrusse quasi tutte le case mentre gli abitanti si erano rifugiati in mare; la sera, un'altra scossa gettò il mare sulla terra, e 1.500 persone vi perirono.
L’alta roccia fu quasi distrutta, e oggi solo i suoi ruderi dominano ancora in modo pauroso la marina.
Quadretti
Salgo nel solleone i lunghi zig-zag.
A 300 m di altezza sopra una fonte, e ci vado, ma è acquaccia.
Delle lavandaie mi apostrofano in diversi modi.
Poco ne capisco, tranne che per giavare tutto il mondo è paese.
Rimonto in sella, e via.
Raggiungo i 570 m; è la cima.
Dio come volentieri comincio la discesa!
Poco più avanti, sopra un greto ferrigno, nello sfondo verde che la fa un'aureola agreste, sta, immobile, una figura di donna che mi ha visto venire e mi osserva.
La gonna rossa, il pugno sul fianco, porta in capo una grande anfora di rame; mi guarda con occhio serio e profondo.
- Dov'è l'acqua? Mi fa cenno muovendo le sopracciglia senza proferire verbo né trasalire in una fibra.
Rimonto alla strada.
La figura di donna non è più là sul ciglio, se n'è andata, cammina davanti come un'ombra, lenta, solenne, dondolando le anche, dileguandosi nel ceduo: almea in quella rustica coreografia.
Il Piano di Gioia e la malaria
Eccomi alla Marina di Gioia: una strada incrocia la mia con questa indicazione: strada nazionale dal Tirreno all’Jonio.
Bei nomi, ma tremendo paese.
Qui comincia il Piano di Gioia, di creta alluvionale, sedimento dei fiumi Petrace e Mesima.
Per 20 km si corre nelle macchie, poco lungi dal mare.
La malaria è qui terribile dall'agosto a ottobre.
A Gioia il personale della stazione è cambiato ogni ventiquattr’ore; persino i contadini, livida processione, prima del cadere del sole fuggono verso Palmi. Eppure la vegetazione è meravigliosa, gli uliveti imponenti, bassi campi di fave si alternano a cedui inestricabili, a macchie dense, irte di rovi.
Ma dove il terreno è scoperto, ivi si secca e si rapprende, screpolandosi in grosse e dure zolle friabili, come d'argilla figulina.
Mileto
La borgata si presenta povera e meschina; le case sono tutte a un piano, ricostruite dopo il terremoto del 1783, che le rase al suolo: si vedono ancora le rovine dell'Abbazia della SS. Trinità.
Cerco un albergo. C'è infatti. Che indecenza!
È una bottega di ogni sorta di porcherie vive e morte: porco in salami attaccato al soffitto, porco in sugna negli orci, porco vivo che grufola negli angoli, e il padrone e la padrona ...
Camere da letto ce n'è una sola, ed è occupata da un ingegnere che rileva per il catasto.
Bisogna che cerchi fuori.
Tra altri, vado dal farmacista: francamente piuttosto che prendere una medicina là mi lascio morire: altro che antisepsi!
Credo che sono colture di microbi anche le soluzioni di sublimato di quel farmacista!
Ma le ricerche di alloggio sono inutili.
Conversazione seria
Alla sera conversazione con l'ingegnere - che è in Calabria da quattro anni - col pretore e con qualche altro impiegato.
Ecco il sunto delle loro chiacchiere: i proprietari se hanno un figlio ne fanno un avvocato; se ne hanno due uno è avvocato, l'altro medico; se tre l'ultimo è farmacista.
Ne avessero dieci nessuno studia per essere agricoltore.
IIa Tappa - Da Mileto a Soveria Mannelli
Paesaggio bagnato
Ohimè, piove!
Qui, in questo paese ove sono insicuro dai cappelloni, mi resta ancora un nemico: l'acqua!
Parto da Mileto che vien giù di rotta, fredda, pesante non ci sono scappatoie, bisogna pigliarsela.
Tre chilometri dopo Mileto comincia una salita dura, durissima che va su fino a 520 metri.
I tourniquet si svolgono sotto piante annose in un paesaggio vario ma ... troppo bagnato!
Pizzo - un muro storico
Appena fuori di Mileto la strada ridiscende al mare, che tocca a Pizzo.
Vedo il cimitero di Pizzo, bellissimo, ricco di marmi e di funebri edicole come poche città possono vantarne; vedo in basso le rovine del vecchio castello ove il 13 agosto 1815 venne fucilato Murat.
Caleidoscopio
Dal Capo Vaticano al Capo Suvero sono 50 km di spiaggia dove acqua e terra sono dipinti di tali luci che nessuna tavolozza saprebbe riprodurre: la diversità di tono nell'unità di gamma, il vario nell'uniforme.
Dai pensi ai giardini di Tropea fino all'estremità del Piano dell'Amato è un succedersi di bellezza insieme e di bellezze di dettaglio nella natura varia, imponente e vergine.
Splendidi convolvoli dalle rosee corolle pendono come liane dei sumeri contorti, si allacciano lentischi impenetrabili, cespugli di camomilla quasi arborea mescolano le loro mille margherite al verde dei quercioli; grandi cardi selvatici monocromi, e fichi d'India assiepano il ciglio della strada; rilucono come occhi felini sui frassini le cantaridi; armenti di montoni neri, più sporchi del possibile, le ricurve corna spesso rotte, pascolano sulla scogliera, guardati da cani ringhiosi.
È un caleidoscopio.
Il panorama del Tirreno e dell'Jonio
Questa salita sotto Tiriolo è talcosa che varrebbe da sola la pena del viaggio.
È quello il punto classico donde si vedono a un tempo e l’Jonio e il Tirreno.
Per chilometri e chilometri la strada sulla cresta della catena che come una spina dorsale della Calabria finisce a Reggio, domina un'estensione enorme di paese, tutta la punta dello stivale d'Italia, coi due mari che in quel luogo dista in linea retta solo 27 km.
Ma il luogo più straordinario, quello che mi trattenne mezz'ora estatico è poco sotto il paese di Tiriolo.
Volgendomi a mezzodì, la catena appennina, come un dorso irregolare, dai miei piedi va fino verso Reggio dove si alza e si allarga formando il poderoso Aspromonte, chiomato d’abeti.
Da questa catena medesima, innumerevole valli e valloncelli scendono da una parte al mar Jonio e dall'altra al Tirreno.
Soveria Mannelli ovvero un paese dell'Ottentozia
Tocco gli 800 metri, poi i 900; poi scendo a 700 e risalgo a 800.
Salute! finalmente, all'imbrunire, sono a Soveria Mannelli!
All'entrata del paese, posto su un altipiano che mi ricorda quello di San Marcello Pistoiese, vedo una persona a modo: salto di macchina e gli chiedo come si mangia e si dorme a Soveria.
- Ma, signore, di regola qui non si mangia né si dorme, perché non ci sono osterie neppure di infimo ordine.
- Allora dunque rimarrò qui morto cadavere, poiché se oggi i chilometri che ho fatti sono solo 120, le salite passano i 2.000 metri!
- Ebbene vediamo se posso tenervi in vita - mi risponde sorridendo quel signore (un colonnello dei carabinieri in ritiro, andato lassù perché sua moglie è di Soveria); e a furia di cercare mi trova un angolo per le ossa e una tavola per lo stomaco.
Garibaldi
Nel bosco, in uno spazio donde si riparte la strada per Nicastro, sorge all'ombra degli annosi alberi un alto obelisco di marmo, poggiato sopra un gran dado quadro e una gradinata.
Una sola l'iscrizione, e sono parole di Garibaldi, semplici ed epiche come l'uomo: «dite al mondo che, alla testa dei miei bravi calabresi, qui ho disarmato 12.000 soldati borbonici».
IIIa Tappa - Da Soveria Mannelli a Castrovillari
Grattacapi mattutini
Giù nel fondo della valle, a un gomito della strada, nascosto tra gli annosi alberi, ecco un gruppo di 7 carabinieri intorno a un brigadiere che impartisce ordini. Diavolo! C'è qualche cosa. Mi fermo e interrogo.
Mi rispondono che sono matto, che il paese è sicurissimo.
Forse che lei viaggia armato? - Certo, rispondo, ho il revolver. - Allora avrà anche il relativo porto d'armi? - Certo che sì. - Ce lo faccia vedere!
In sostanza l'individuo più sospetto nei dintorni pare che fossi io stesso, perché subii un interrogatorio in piena regola.
Meglio Calabria o Svizzera?
Stupendo l'intreccio ad andirivieni dei turnichè, i quali a dozzine si inseguono fino al basso ad un gran ponte sul Savuto.
Mi ricordano la Maloja sopra Casaccia o lo Stelvio a Franzenshohe.
Quanto lontani, quanto diversi e quanto diversamente belli!
Là, diligenze Chalet e rompiscatole coi mazzetti di edelweiss, e alberghi sontuosi e abeti e ghiacci e lunghe sfide di alpinisti e di Tartarini: qui la solitudine: qualche donna con l'anfora in capo, che si può scambiare per una statua greco romana; qualche lavoratore dei campi col pizzutello in testa qualche pastore severo, il corpo raccolto di pelli come un precursore, e i chilometri che si devono divorare per non rimanere basiti di fame in strada.
Cosenza
Rieccomi in paese civile.
Me ne accorgo subito: chiedo l’albergo dei Lionetti; un giovinotto si proferisce e mi conduce francamente.
Là domando la mia posta e i miei telegrammi ma non c'è nulla: mi hanno condotto - e a bella posta si intende - in un altro sito.
Cosenza, come tutte le città calabresi, offre ben poco di interessante.
Nella mia fermata di un'ora, facevo però in tempo a notare questo: la pavimentazione è quasi dappertutto orribile: il bicicletto non vi può procedere che lentissimo.
Macchine ve ne saranno ma non ne ho viste, certo non sono in quantità ingombrante.
Un paese per Buffalo Bill
Dei cavallini, saltellanti sulle lunghe gambe magre graziose, il collo irsuto per l’incolta criniera nascente, si affacciano curiosi e buoni, come bambini sorpresi, alla proda del bosco.
Più lontano, in una radura aperta, pasce una mandria di buoi dalle lunghissime corna divergenti.
Poi ecco una distesa d'acqua pantanosa: dalla melma emergono teste colossali di bufali, che se ne stanno a ruminare, il corpo nascosto nella mota, teste sciocche e spaventose che si direbbero di bisonte, corpi neri, gibbosi e glabri; che paiono degli ippopotami.
E guardano la bicicletta a venti, cento, immobili, le corna avvolte in avanti, forse innocenti ma che danno l'ali alle ruote.
Una scena nella macchia. La pietà di un medico
La ferrovia corre anch'essa sul piano.
Ad un passaggio a livello una carrozzella è ferma e un tipo di buon amicone che è dentro, grosso e rubicondo, mi interpella porgendomi un bicchiere di vino.
Alla vostra salute!
È il medico della ferrovia, che attende un malato.
- Ora non vi sono febbri qui, mi dice, vengono solo dopo luglio e allora sono terribili.
Ma intanto dalla macchia ecco sbucare un triste corteo.
Sono quattro uomini che portano una barella; su questa dello strame, sullo strame un'ombra d'uomo che batte i denti e trema tutto come paralitico.
Due fabbri e un carretto
Arrivano di corsa, trafelati, due giovani fabbri che stanno trasognati a toccare e contemplare la macchina.
La gomma per loro «di pesce» al tatto; li colpisce la sottigliezza dei raggi; chiamano briglie il manubrio. Un carretto con un povero mulo e cinque persone sopra, corre davanti a me. Avverto perché sorveglino la bestia, ma non se ne danno per intesi: non sanno neppure che i muli si spaventano con la bicicletta!
Invece gridano e sghignazzano allegramente nel vedermi passare a fianco.
Ma dietro di me odo il mulo, restato un momento indeciso, lanciarsi un galoppo scomposto, mi arrivano delle grida di spavento, un urlo di donna, poi un tonfo sordo.
Mi volto: il carretto è rovesciato in un piccolo fosso sul fianco della strada, col mulo e le persone a rifaccio.
Chi lo avrebbe pensato?
Qui la buona gente visto che nulla c'era di rotto, né carro, né bestia, né persone, neppure inveiscono con male parole, ma si contentano di guardarmi trasognate come a dire: Ma che diavolo c'è capitato?
Sibari!
Immagina un piano tutto verde che finisce al mare: di qua e di là due catene di montagne, verdi alla base, grigie di rocce a mezzo, bianche di neve sulle più alte vette, i due fianchi picchiettati di paesi e cittadine solitarie; il piano sbocca al mare che incontra con un arco di cerchio regolarissimo di 50 km: e un mare di un azzurro intenso d'acciaio temperato, di cui da qui si vede l'orlo bianco della mareggiata sulla sabbiosa sponda.
Né pur mancano i ricordi che ci fanno pensosi: laggiù dove Crati e Coscile confondono le acque fu un tempo Sibari!
Altre meraviglie
Al di là della vallata ricomincia a salire punto sono ancora a 300 metri da montare. Ma come accorgermene intanto è sempre nuovo incanto?
Appena fuori del piano ecco per due o tre chilometri da una parte e dall'altra della strada la vista quasi intercettata da una fitta siepe di agavi.
Dei piccoli ciucherelli portano tre, quattro ragazzi; altri ragazzi corrono dietro i cavalli, attaccati con la mano a un ciuffo della coda, sgambettando allegramente.
Conversazione seria
Passo la sera con un capitano dei carabinieri, un capitano di fanteria, un tenente, due professori e un reduce dal domicilio coatto.
Sunto della conversazione: il paese è mal coltivato, potrebbe rendere di più; l'ignoranza non diminuisce sensibilmente; le ferrovie non sono ancora sufficienti; la sicurezza è completa da molti anni; gli albanesi vanno perdendo rapidamente usi, costumi, isolamento, accadono matrimoni tra loro italiani, il loro culto non differisce dal cattolico romano che in qualche dettaglio; le biciclette sono sconosciute, non credono che uno passi qui per suo diporto ma solo a scopo di lucro; il contadino vive abbastanza bene; i ricchi non spendono nulla; la malaria diminuisce; le condotte d'acqua diventano più numerose; tutto si aspetta dal Governo, meno dal Comune .... perché i contribuenti maggiori sono consiglieri.
IVa Tappa - Da Castrovillari a Lagonegro
Per voi, alpinisti!
Morano si rasenta in basso, lo si contorna girando il colle.
Dietro di esso comincia la salita tremenda della Dirupata.
Invero ci vuole un certo coraggio ad attaccarla in macchina: la valle è tagliata su di un fianco di sbieco dalla strada, che sale diritta diritta, con una pendenza del 10%, e si interna fra il monte Pollino e la Dirupata, dirigendosi verso le nevi.
Tocco gli 800 metri, a stento posso andare avanti, tanto forte soffia il vento; attacco a un mulo una corda e mi faccio trascinare tenendola con una mano, con l'altra tengo la bicicletta, dietro un ragazzo spinge; non ci parliamo più; il vento è troppo forte e comincia a piovigginare, mentre in mezzo alla valle cade l'acqua a torrenti.
A 900 metri la strada è una pozzanghera per la neve caduta nella notte.
A 950 metri un nevischio duro mi flagella.
Ma sono nelle Alpi?
La bicicletta va dappertutto e stupisce tutti
- Ora vi mostro io che cos'è la bicicletta - e, con poco merito, in quanto la pendenza è favorevole, attacco un passetto di 35 km, in cui tutto il mio da fare è di tenere coi piedi i pedali che vanno da sé.
Gridi di ammirazione di allegria che giungono alle spalle: è la sorpresa di questa velocissima corsa, che non hanno mai visto alcun cavallo a fare e non concepiscono possa un uomo raggiungere, ed incosciente entusiasmo di vedere un volo, di cui soltanto l'uccello può fornire il pari!
Lauria e il Lago Serino
Riprendo a salire e ne avrò per un pezzo, perché devo riguadagnare 600 metri del dislivello perduto.
Ma che importa! troppo, troppo meravigliosa è la natura qui, perché possa sentire le fatiche.
A Castelluccio spicco un telegramma
Il telegrafista è persona importata, civilizzata e pertanto come di diritto uno screanzato.
Accidenti sia all'educazione dei forestieri che credono d'essere per bene, in questo paese, dove gli indigeni cosiddetti selvaggi, trattano tanto da galantuomo!
Conversazione seria
Riassunto della serata: trovo un tenente allegro e buontempone, che beve volentieri, un viaggiatore delle assicurazioni generali, un pretore, un geometra, un proprietario e un settentrionale che cerca il luogo opportuno per l'impianto di uno stabilimento d'estrazione di olio dalle salse con solfuro di carbonio.
Opinioni complessive: il paese è da anni di una sicurezza completa e generale, non vi si fanno che risse e vendette affatto occidentali e neppur numerose, furti campestri, ma non molti, raro l'abigeato; il contadino sta discretamente e il latifondo qui non esiste; il proprietario coltiva da sé con i contadini pagati a giornata, la coltivazione è rudimentale, non intensiva, allevamento del bestiame poco meno che nullo e affatto irrazionale, l'iniziativa privata nulla.
Va Tappa - Da Lagonegro ad Eboli
Il Vallo di Diano
Entro nel Vallo di Diano, vastissima pianura, livellata, lunga una trentina di chilometri, circondata di montagne-come la bassa Valtellina.
Al casello che porta alla progressiva 57,398 passa un treno: il macchinista e il fuochista mi fanno dei saluti - capisco che sono settentrionali.
Il treno è lento, la strada ottima, con dolce discesa, il vento favorevole invita a correre.
Acqua e acqua - La grotta delle meraviglie
Intanto si è rimesso a piovere.
Salgo a Sala Consilina a mangiare quattro uova e una costata, e via sotto l'acqua.
Cerco un riparo, e tornato dietro mezzo chilometro, entro in una grotterella scavata nel tufo, sul margine della strada.
Che senso di benessere provai là dentro!
Nel fondo c'era ancora un po' di cenere e un po' di legna lasciata lì da qualche pastore.
Alla preziosa scoperta palpitai di speranza.
Fece un piccolo rogo, il fuoco si mise un po' a scoppiettare, ma prima che io fossi asfissiato del tutto, attaccò; le lingue rosseggianti salirono verso la volta.
Grotta incantata, quanto mi sembrasti bella!
L'ultima tappa
Oramai pochi chilometri - una trentina o poco più - mi separano da Eboli: faro dei paesi civili, quasi ultima tappa del mio viaggio, luogo dove poserò questa notte. Passato lo Scorzo ecco il mare!
E la Riviera di Salerno, l'amica penisola del Capo Campanella, il porto di arrivo. Eccomi ad Eboli!
Il mio compito è finito.
Concludo
Scrivo in un intercolumnio del tempio di Nettuno a Paestum.
Come tutto ciò che dagli occhi ammiratori, nella mia corsa, è penetrato alla mente riflessiva.
A voi giovani che avete occhi in mente, forza e tempo, a voi che mi avete compreso dico: avanti: la via è aperta!
Roberto Giannì: Sulle orme di Bertarelli: Dal Cilento a Reggio Calabria
Concludo
Nella primavera del 1897, Luigi Vittorio Bertarelli fece un viaggio in bicicletta da Reggio Calabria ad Eboli.
Bertarelli seguì l'unico percorso allora esistente, la cosiddetta Strada delle Calabria, un tracciato antichissimo, risistemato agli inizi dell'Ottocento per iniziativa di Giuseppe Bonaparte.
Bertarelli cercava e realizzò una straordinaria esperienza conoscitiva.
La lettura di quel diario di viaggio mi ha molto colpito anche per un'altra ragione: descrive una Calabria molto diversa da quella costiera più nota, dove una natura straordinaria è stata disonorata negli ultimi 30 anni da un dissennato processo di urbanizzazione che ha enormemente impoverito il territorio, senza arricchire nemmeno gli speculatori che si sono resi responsabili di questa manomissione.
E quale mezzo migliore della bicicletta per viaggiare lentamente, la bicicletta consente di conoscere e valorizzare il percorso, non solo le mete, che anzi passano decisamente il secondo piano, diventano la stazione per riposare, per riordinare le idee, per perfezionare il programma della tappa successiva.
È possibile avere un'esperienza come questa nel mezzogiorno ai nostri giorni?
È possibile averla in Calabria?
Qui non c'è niente di quelle attrezzature - dalle carte geografiche specialistiche alle piste ciclabili - che in regioni più evolute consentono di attrarre migliaia e migliaia di viaggiatori in bicicletta.
La Calabria, per parlare del nostro viaggio, presenta indubbiamente molte difficoltà che peraltro - diciamolo - non sono niente a fronte di quelle che si presentarono a Bertarelli.
Il territorio che ho attraversato ha perso la verginità selvaggia che aveva al tempo di Bertarelli, ma non ha ancora acquisito una modernità originale né coerente con la propria storia e le proprie tradizioni.
A fronte di queste difficoltà un viaggio lento nella Calabria interna consente di provare ancora il gusto della scoperta, il piacere di vivere un'esperienza unica e indimenticabile.
Primo Giorno
Da Napoli a Buccino in treno - Da Buccino a Lagonegro, in bicicletta, 77 km
Parto dalla mia casa di Napoli alle 7,30 diretto alla stazione ferroviaria dove prenderò un treno per raggiungere il mio luogo di partenza.
Ho deciso all'ultimo momento di cominciare il viaggio in bicicletta da Buccino invece che da Eboli, per poter essere nel primo pomeriggio a Lagonegro.
Sul treno trovo per fortuna il vagone riservato alle biciclette, come è previsto per questa corsa - cosa non del tutto scontata, per la mia esperienza - ma è privo delle rastrelliere per fissare la macchina, mi devo arrangiare con le cinghie elastiche che ho nel bagaglio sempre a portata di mano.
La SS 19 ter da Buccino a Polla è quasi tutta in salita, ma con pendenze non particolarmente pronunciate.
Sotto di me la Valle del Tanagro.
Dall'alto si può valutare l'urbanizzazione oggi dilagante e il grande numero di automezzi che percorrono la statale, nonostante che questa sia praticamente affiancata all'autostrada, che dovrebbe assorbire tutto il traffico di attraversamento.
Sarebbe un bel tracciato per la bicicletta, è praticamente pianeggiante, consente una buona andatura.
Ci sono momenti in questi viaggi, soprattutto nelle fasi iniziali, prima di aver trovato il ritmo giusto, in cui può venire un certo scoramento, soprattutto quando si viaggia su strade intensamente percorse anche da altri veicoli, quando ci si sente quasi aggrediti dai camion dai Suv, dalle motociclette di grossa cilindrata che viaggiano molto al di sopra dei limiti di velocità imposti.
In quei momenti viene da dire: ma chi me lo fa fare!
Nel Vallo di Diano sono in uno stato d'animo non molto diverso da questo: il traffico è veloce, scomposto, fastidioso: qui comanda l'automobile.
Sala Consilina è una lunga serie di frazioni disposte lungo la strada che procede a mezzacosta, impennandosi e abbassandosi più volte, repentinamente.
Prima di lasciare la Campania noto molti interventi di manomissione nello storico patrimonio edilizio campestre: begli edifici, antichi presidii agricoli, sono fatti oggetto di interventi che sono privi di senso, denotando noncuranza per la risorsa territoriale.
Da Buonabitacolo a Lagonegro troverò molto bosco, poca agricoltura sul fondovalle, pascoli.
Poche case, una sorta di avamposto del Cilento: da qui ai primi centri abitati, come Casaletto Spartano, chilometri di territorio quasi disabitato.
Il traffico ora è quasi inesistente, questo rende più piacevole il percorso.
Lagonegro è a pochi chilometri ma io sono costretto a fare un giro più largo, in un traffico più intenso e fastidioso: una soluzione che agevola gli automobilisti ma penalizza enormemente i ciclisti.
Secondo Giorno
Da Lagonegro a Castrovillari, 90 km
Parto alle 7,30 in punto, quando la piazza è già animata.
La strada che mi consente di evitare il tunnel è in ripida salita ma priva di traffico automobilistico, certamente preferibile, in ogni caso.
Dopo circa un chilometro di dura salita, ecco che si apre una vista magnifica su Lagonegro e la valle del fiume Noce.
La statale gioca a mosca cieca con l'autostrada: passa sotto i viadotti, la supera quando quella si infila in un tunnel, poi l'autostrada si allontana ma si continua a distinguere i viadotti che si snodano sull'altro versante della valle.
Quando l'autostrada si allontana il silenzio torna assoluto, appena rotto dal canto degli uccelli e dal continuo ruscellare di acque.
La strada, che porta al lago Sirino, intorno al quale è nata una piccola stazione di villeggiatura, è disseminata nel primo tratto di seconde case, villette modeste ma ben tenute, la targhetta civettuola con nome assegnato alla residenza al lato del cancello di ingresso.
In questa disseminazione edilizia le seconde case, che saranno aperte un mese o due all'anno durante le feste più qualche domenica, sono certamente un effetto del richiamo del monte Sirino e delle modeste potenzialità turistiche che esso esprime. Penso che questa è una delle ragioni per le quali il mezzogiorno difficilmente riuscirà a sfruttare con vantaggi economici generalizzati le risorse turistiche che possiede.
La strada scende dolcemente, a mezza costa, verso Lauria.
Noto molta agricoltura, pezze coltivate con fatica, insediamenti agricoli sparsi, ma anche qualche fabbricato industriale, scheletri non finiti di edilizia residenziale: un insieme di iniziative individuali incerte, totalmente prive di coordinamento, un territorio alla ricerca di un'identità.
Dopo Lauria la strada riprende a salire "interrandosi", come scrive la Guida Rossa del Tci «in una stretta forra rocciosa in cui scorre il torrente Caffaro».
Il paesaggio è cambiato, è più selvaggio, la vegetazione è molto più rada, prevale la macchia mediterranea.
Per chilometri non si incontra anima viva.
La pendenza è dolce ma continua, inesorabile.
Giunti in cima, 830 metri, si gode un bel panorama sulla valle del fiume Lao, dove mi porta una lunga discesa ristoratrice che si sviluppa per oltre 10 km.
A Campotenese la strada procede in falsopiano per qualche chilometro, leggermente incassata nel piano di campagna.
Il territorio è brullo, coltivata a grano.
Dall'alto del valico di Campotenese si domina la piana del fiume Coscile, l'antico Sybaris, affluente del Crati, nel mezzo Castrovillari.
Terzo Giorno
Da Castrovillari a Soveria Mannelli, 120 km
Parto alle 8,30, dopo un’abbondante colazione con molta frutta raccolta in giardino a prima mattina e i bocconotti fattimi trovare dal mio gentile ospite.
La strada scende ripida e trafficata verso la conca del Coscile.
Davanti a me la piana di Sibari, intensamente coltivata.
L’ingresso nel paese di Spezzano Albanese non è accogliente: lungo la strada che sale a mezza costa, un fronte compatto di villoni di recente costruzione.
Sembrano disabitati, molti non finiti, degradati prima ancora di essere vecchi.
Verso il centro del paese il clima cambia, l’ambiente è più armonioso.
Questo centro fu fondato da profughi albanesi e molte usanze e tradizioni ancora vi sopravvivono.
Superato Spezzano Albanese, si scende verso la valle del Crati, con vive pendenze in un paesaggio segnato da dolci ondulazioni, dove dominano le sfumature del verde e del giallo.
Venti chilometri prima del centro di Cosenza, su un falsopiano, l'edilizia ricomincia a infittirsi intorno ai vecchi centri, lungo la statale.
Dalle parti di Rende e Arcavacata, la SS 19 è stata inghiottita da un dedalo di superstrade, sottopassi, centri commerciali.
Il centro storico di Cosenza è a pochi passi, qui l’ambiente è composto, elegante: un altro mondo rispetto all’inferno di prima.
Salgo seguendo l’indicazione del ponte Pietro Mancini, poi mi dirigo verso il castello Svevo.
Appena si guadagna quota si può godere di una bella vista sul centro storico.
La fatica della salita è compensata da un paesaggio magnifico: grandi distese di boschi, vallate, paesini in lontananza adagiati sulle pendici, poche costruzioni, pochi segni di disordine, anche il traffico sembra più composto.
In fondo alla strada scorgo il viadotto delle Ferrovie Calabro-Lucane, ora Ferrovia della Calabria.
Questa è la tratta da Cosenza a Catanzaro, fortunatamente ancora in esercizio.
Passo per Rogliano, un paese che appare armonioso, con architetture decorose, molta gente per strada, si direbbe una meta di villeggiatura, siamo praticamente sulla Sila.
È una Sila impenetrabile e selvaggia quella che percorro.
Finalmente trovo la discesa.
La strada incrocia i binari delle Ferrovie Calabro-Lucane nei pressi di una stazione con la banchina fiocamente illuminata.
Da qui in poi è una lunga corsa in discesa verso Soveria Mannelli, la mia meta di oggi.
Appena fuori del paese intorno a una fontana monumentale c’è gente che si rifornisce d’acqua.
Ai margini del centro storico, mi fermo sotto la stele che ricorda la resa del generale borbonico Ghio a Garibaldi.
Quarto Giorno
Da Soveria Mannelli a Mileto, 100 km
Tra Soveria Mannelli e Tiriolo sono 26 km di sali e scendi in un paesaggio dolcissimo.
Prima di Tiriolo, ancora salite impegnative, ancora fragole nel bosco.
Aveva ragione Bertarelli quando diceva che la bicicletta è come una cinepresa che consente di montare uno dopo l’altro tanti elementi che compongono il territorio che si attraversano.
A Tiriolo la SS 19 si allarga su un pianoro a formare una piazza che, con straordinari belvedere, guarda da un lato verso lo Jonio e il golfo di Squillace e dall’altro verso il Tirreno e la piana di Sant’Eufemia.
Uscito da Tiriolo, altro repentino cambio di scena nel paesaggio: la strada, orlata di ginestre, segue ampi tornanti immersi nella macchia mediterranea.
Nei pressi del fiume Angitola, ritrovo l’Autostrada delle Calabrie e i binari della ferrovia per la Sicilia.
Davanti a me intravedo la penisola di Tropea, l’acqua del mare è calma, il traffico automobilistico si è fatto più intenso.
Attraverso Pizzo, dove fu giustiziato Gioacchino Murat, che si prepara animatamente alla imminente stagione balneare.
Lungo la strada si nota un’attività edilizia aggressiva, d’assalto, tutta orientata a produrre nuove costruzioni che anche in questo caso appaiono già vecchie prima ancora di essere ultimate.
Nessuno sembra curarsi degli antichi fabbricati, molti di grande eleganza, che in numero discreto costeggiano la statale, e vanno purtroppo in rovina.
Anche qui vecchio e nuovo non riescono a trovare una sintesi conveniente e qualitativamente accettabile.
L’arrivo a Vibo Valentia è faticoso.
Attraversare il centro cittadino non è traumatico come a Cosenza, lungo il viale che percorse Bertarelli, diretto a Monteleone, come allora si chiamava Vibo.
Ai bordi della strada si affastella purtroppo tutto il campionario delle misere funzioni delle zone di espansione speculativa ai margini dei centri urbani meridionali che ho già incontrato tante volte in questo viaggio: un commercio scomposto, costruzioni non completate, insegne pacchiane, traffico sregolato, polvere.
Dormo in un B&B che ha appena aperto i battenti a Paravati, una frazione di Mileto.
Case basse, donne fuori della porta di casa a prendere il fresco: qui un commento, là una risata sommessa.
Ragazze e ragazzi insieme stazionano fuori di un bar con i motorini accesi.
Tre ragazze più giovani, silenziose, siedono fianco a fianco sul marciapiedi, ognuna intenta a pigiare sui tasti del proprio telefonino.
Quinto Giorno
Da Mileto a Reggio Calabria, 90 km
Da Mileto a Rosarno è una lunga discesa in una campagna fertile e ben coltivata; ancora pregiati fabbricati rurali in abbandono.
Quando entro in paese è ancora presto, incontro molti extracomunitari a gruppi, immagino che si preparino a una giornata di lavoro in campagna.
Dopo Rosarno, verso Gioia Tauro, la banchina della sede stradale che diventa più ampia, sarebbe una buona sistemazione per procedere al riparo dal traffico automobilistico che è diventato molto intenso.
Sono nei pressi del grande porto di Gioia Tauro.
Dopo Gioia Tauro si sale da 40 a 570 mt sul monte S. Elia.
Vegetazione mediterranea pini dalle chiome maestose, edilizia come al solito precaria, quasi di rapina, che si dirada a mano amano che si sale.
Sulla vetta, nel punto in cui la strada ricomincia a scendere, si stacca sulla destra un viale che porta a un ampio belvedere da cui si domina un amplissimo panorama: a Nord la piana e il porto di Gioia Tauro, verso Est e Sud-Est, si scorge la costa siciliana, L’Etna, le isole Eolie.
Scendendo verso il mare, a mano a mano che si avvicina alla costa, l’agricoltura lascia il posto alla macchia mediterranea.
Bagnara è una località molto suggestiva, adagiata sul pendio di un monte, tra due speroni rocciosi.
La strada si snoda nell’abitato.
Incontro bancarelle dall’aspetto austero che vendono frutta e ortaggi, spesso fuori dell’uscio dell’agricoltore.
La conformazione del luogo e l’esposizione di queste improvvisate attività ricorda la Costiera Amalfitana e Positano.
Incontro begli esempi di architettura tardo ottocentesca, che si intensificano nella parte bassa del paese.
La strada procede tra salite e discese dolci, l’andatura è buona.
Tra Villa San Giovanni a Reggio Calabria si distende una povera urbanizzazione senza soluzione di continuità.
Costruzioni in gran parte recenti, molte sembrano abusive.
Facciate non intonacate, pilastri che spuntano dal tetto, ringhiere non verniciate: il solito miserabile campionario del non finito del peggiore paesaggio costiero del sud Italia.
È una successione di piccoli centri che si sono saldati l’un l’altro lungo la statale, formando una cortina derelitta e fastidiosa che ha quasi del tutto oscurato il panorama dello stretto, quello che entusiasmò Bertarelli che lo descrisse con parole di straordinaria efficacia.
A Reggio Calabria, nella casa dove sono ospitato, fa molto caldo e l’acqua scarseggia.
Mi sembra incredibile che questo accada in una delle regioni più ricche d’acqua dell’intero paese.
Corso Garibaldi è la via dello struscio dei Reggini.
Dopo cena andiamo a passeggiare sul lungomare; non molto tempo addietro, tra la strada e la spiaggia, correva la ferrovia.
Fu il sindaco Falcomatà, a metà degli anni ‘90 a portare a termine la sistemazione attuale.
Stasera, come tutte le sere, specie d’estate, il lungomare è nero di gente, cioé affollatissimo.
AUTORI
Luigi Vittorio Bertarelli
(Milano, 21 giugno 1859 - Milano, 19 gennaio 1926) è stato un geografo e speleologo italiano.
Bertarelli nel 1894 fu, insieme con Federico Johnson e con altri cinquantacinque velocipedisti, uno dei soci fondatori del Touring Club Ciclistico Italiano, che nel 1900 diverrà poi Touring Club Italiano, di cui fu anche vicepresidente nel 1906 e presidente nel 1919.
Roberto Giannì, architetto, è il coordinatore del Dipartimento di Urbanistica del comune di Napoli, nonché esperto e appassionato cicloturista.
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