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Audiolibro In Calabria di Cesare Lombroso

In Calabria, scritto nel 1862 e pubblicato nel 1863, è un ottimo paradigma dell'intera produzione lombrosiana, perché l'autore alterna e mescola interessanti intuizioni, statistiche abborracciate, valutazione sociologiche, “progressiste“, sommarie ricostruzioni storiche, lucide analisi politiche e stereotipi di vario tipo. 
Le pagine più incisive sono quelle dedicate all'esame del folklore etnologico delle popolazioni calabresi, incluse anche le minoranze greche e albanesi. 
Appassionanti pagine sono dedicate alle piaghe che affliggono la regione: la povertà, l'emigrazione, la disastrosa igiene pubblica e l'istruzione. 
Ma il risvolto più significativo di «In Calabria» è quello squisitamente politico. Lombroso, infatti, non perde occasione per indirizzare critiche feroci al governante di turno stigmatizzando che "la sospirata unificazione d'Italia, troppo più formale che sostanziale, non ha arrecato alcun profitto nei rami più importanti della convivenza calabrese”. (Dall'introduzione di Luigi Guarnieri)

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Prefazione

Ho scritto la maggior parte di queste pagine in uno dei momenti più singolari della mia vita, nel 1862; quando ancora giovane, ancora credente e fiduciose fiducioso nei destini e nelle glorie della patria, vestiva, senza arrossirne, la divisa militare; e forzatamente distaccato dai libri e dai malati, mi trovai all'improvviso faccia a faccia ad un mondo nuovo, vivente; e tanto più costretto a scrutarlo e a strapparne quasi il segreto, perché mi era venuta meno ogni altra delle occupazioni intellettuali, di cui mi era, fin da allora, fatta una seconda esistenza. 

L'osservazione, certo, era intensa; ma ha il torto di essere breve, tre mesi, come ha adesso di più quello di essere antica: perché 35 anni sono ormai un secolo per la nostra generazione che in cinque lustri seppellisce intere vite di uomini e di popoli. 

Ma questa grave lacuna è certo in parte scemata dalle aggiunte che con cura amorosa, è scevra da ogni spirito regionale, ha voluto fare alle mie troppo fugaci note un calabrese geniale e coltissimo, il dottor Pelaggi da Strongoli, che è per di più mio collega nell'arte medica. 

Cenni di geografia fisica

Giacciono le Calabrie in quel lembo estremo ed accidentato dalla nostra terra, che per la sua singolare figura merita tutto solo il titolo di stivale. 

Pescano da un lato ne l’Jonio, nel Tirreno dall'altro, per tutta la loro lunghezza e larghezza, fino all'estrema punta del fatale Aspromonte, le attraversano gli Appennini; di cui le due popolose marine formano, si può dire, gli ampi versanti, che tutti sono irrorati e cosparsi da piccoli fiumi e torrettelli, più dannosi all'igiene che utili all'industria, come quelli che impaludano o si asciugano o si ingrossano improvvisamente.

Colonie greche. Canti popolari greci

V’hanno in Calabria, oltre alla piccola colonia piemontese di Guardia sì dottamente illustrata dal Vegezzi-Ruscalla, molte altre colonie altrettanto curiose ed antiche, ed un grande interesse per l'etnografo perché servano le vestigia di due popoli, i quali ripeterono certo per uguali vicende e posizione geografica, la stessa emigrazione che già ne apportavano i loro antenati Elleni e Pelasgi; vò dire dei greci e degli Albanesi. 

I greci, per un singolare sbaglio confusi da molti con gli albanesi, occupano quell'estremo punto della nostra terra, che è l'ultima Tule dell'Italia continentale.

Colonie greche. Canti popolari greci

La venuta degli Albanesi in Italia rimonta al 1462, quando Ferrante d'Aragona assediato in Barletta, e più le insistenze di Pio II (Enea Silvio Piccolomini) chiamarono in aiuto contro Giovanni D'Angiò, Giorgio Castriota o Skanderberg. Dopo la sua morte avvenuta nel 1467 il sultano si impossessò della tanto ambita Albania, il figlio di Skanderberg, Giovanni, poco degno, per valore, del padre, comunque protetto dalla Repubblica Veneta, non sapendo resistere alla potenza ottomana espatriava, rifugiavasi nelle antiche terre napoletane insieme a molte famiglie albanesi, mentre altri toccarono i veneti dominii continentali. 

Il re Aragonese memore dei benefici ricevuti dal padre del fuggitivo principe lo accolse, e gli concesse il comando di San Pietro di Galantina, ed arruolò la gioventù in reggimento; altri li raggiunsero cui il re per tenerli lungi dai grandi centri maggiori, li sparse sul Gargano, ad Otranto e Melfi donde per dissensi insorti emigrarono in Basilicata: gli ultimi profughi in Sicilia e in Calabria vi edificarono 32 villaggi protetti da una pronipote di Skanderberg, sposatasi con un Sanseverini.

Colonie greche. Canti popolari greci

Venendo alle popolazioni proprie delle Calabrie, mi è sembrato dovervi distinguere due tipi speciali. 

Il semitico dal cranio dolicocefalo, dal naso arcuato, a sopraccigli ravvicinati ed occhi neri o castani, predomina nella Marina, ma non così che spesso non venga sopraffatto dal muso prognato, dai capelli neri e crespi e dal derma bronzino del seme camitico o dal purissimo ovale dei Greci o meglio dalla maschia e nobile impronta Greco-Romana, che è la prevalente, la sola anzi nell'interno. 

E il tipo dal fronte levato, ampio, brachice falico, dal naso aquilino, dall'occhio vivace e prominente. 

La statura è media, il temperamento brioso; l'animo fiero, iracondo, testardo, impavido, desideroso di dominio, fino alla prepotenza, amante della lotta, dei piaceri, ma pieno di intelligenza, di vita, e di un senso estetico delicatissimo che si rivela nei proverbi e nelle canzoni degne dell'antica Grecia. 

In onta adunque della tanta mescolanza con popoli Berberi e Semitici, il tipo Greco-Romano prevalse nell'interno, forse perché ribadito su quello ancor più antico degli indigeni Osci ed Opisci. 

Una prova curiosa ce ne offre il dialetto calabrese, in cui non solo spesseggiano le forme lessiche, ma fino alle grammaticali dei Greci o dei Romani, e spesso anche d’amendue fuse insieme come accade della razza.


L’AUTORE
Marco Ezechia Lombroso
, detto Cesare (Verona, 6 novembre 1835 - Torino, 19 ottobre 1909), è stato un medico, antropologo, filosofo, giurista e criminologo italiano, da taluni studiosi hanno definito come padre della moderna criminologia. 
Il suo lavoro è stato fortemente influenzato dalla fisiognomica, dal darwinismo sociale e dalla frenologia.
Esponente del positivismo, è stato uno dei pionieri degli studi sulla criminalità, e fondatore dell'antropologia criminale.

Le teorie lombrosiane si basano sul concetto del criminale per nascita, secondo cui l'origine del comportamento criminale sarebbe insita nelle caratteristiche anatomiche del criminale, persona fisicamente differente dall'uomo normale in quanto dotata di anomalie e atavismi che ne determinavano il comportamento socialmente deviante. 
Di conseguenza, secondo Lombroso l'inclinazione al crimine è una patologia ereditaria e l'unico approccio utile nei confronti del criminale è quello clinico-terapeutico. 
Solo nell'ultima parte della sua vita Lombroso prese in considerazione anche i fattori ambientali, educativi e sociali come concorrenti a quelli fisici nella determinazione del comportamento criminale.

Sebbene a Lombroso vada riconosciuto il merito di aver tentato un primo approccio sistematico allo studio della criminalità, tanto che ad alcune sue ricerche si ispirarono Sigmund Freud e Carl Gustav Jung per alcune teorie della psicoanalisi applicata alla società, la maggior parte delle sue teorie risultano oggi destituite di ogni fondamento scientifico tanto che molti studiosi lo definirono come un visionario.
Al termine di un controverso percorso accademico e professionale, Lombroso fu anche radiato, nel 1882, dalla Società italiana di Antropologia ed Etnologia.

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