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Il nostro viaggio in Italia

Un viaggio molto speciale nel nostro Paese, scritto a più mani da narratori che, per il Touring, hanno composto testi originali dedicati a tutte le regioni, a qualche città ad alcuni territori. 
Un’antologia ricca che restituisce colori, sapori, profumi ed emozioni. 
Il bello della nostra penisola oltre i luoghi comuni.

GLI AUTORI

Milena Agus, Roberto Alajmo, Franco Arminio, Antonia Arslan, Adelchi Battista, Cristina Battocletti, Gianni Biondillo, Isabella Bossi Fedrigotti, Piera Carlomagno, Giuseppe, Gino Cervi, Giuseppe Culicchia, Giovanni D’Alessandro, Paolo Di Paolo, Giorgio Falco, Vins Gallico, Lorenzo Marone, Rosa Matteucci, Andrea Molesini, Claudio Morandini, Bruno Morchio, Gianluca Morozzi, Paolo Nori, Massimo Onofri, Stefano Piedimonte, Alcide Pierantozzi, Vittorio Russo, Vanni Santoni.

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Valle d'Aosta, un gigante come guida

di Claudio Morandini

Il compagno di viaggio ideale, per questa flanerie valdostana, bisogna andare a scovarlo tra le ombre di una piccola e colorata chiesa della città, Saint-Etienne, dove si è infrattato perché non ama i riflettori: è il San Cristoforo, una statua in legno del XV secolo alta quasi cinque metri.

Fidatevi, è un gigante pacifico e non del tutto incivilito che vedrà prima di voi il pericolo, l'imprevisto, l'inconveniente, l'inciampo. 

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Mille sfumature di Piemonte

di Giuseppe Culicchia

Piemontese. In Piemonte sono nato. 

Piemonte si sa è una parola composta: Pié Monte, ovvero terra e piedi dei monti. 

È dunque terra di confine. 

Una terra generosa e dura, con un incredibile varietà di sfumature, paragonabili a quelle dei suoi boschi all'arrivo dell'autunno. 

Sfumature nei mille toni del giallo, dell'arancione, del rosso, del marrone, a seconda delle zone e della prossimità a corsi e specchi d'acqua. 

Perché il Piemonte non è solo terra e dunque campi coltivati e pascoli e prati e rive sabbiose.

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Canzoni in partenza. La Città lunga di Gian Maria Testa

di Gino Cervi 

Forse sarà perché per anni ha fatto il capostazione e passato il tempo a veder passare locomotori e vagoni, viaggiatori e viaggiatrici; e ha immaginato viaggi i lavoratori e di cuori innamorati, passaggi di nuvole e corre di acque e posti lontani da lì, da quella città lunga, che sembra la prua di un bastimento pronto a salpare, sulle acque della Stura e del gesso, fino al mare.

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Torino, il capitale di un'ex capitale

di Giuseppe Culicchia 

Torino è una città che non smette mai di sorprendere, perfino chi vi è nato o vi abita da anni: io stesso a volte per lo stupore della sua bellezza inciampo per strada, distratto da certe altezze Liberty-gotiche in via Pietro Micca o dalle meraviglie Art Nouveau in Corso Francia. 

E chiunque la visiti per la prima volta resta immancabilmente sbalordito per l'eleganza e il verde di quella che, nell'immaginario collettivo, era fino a pochi anni fa una città industriale, la famosa capitale dell'auto. 

Oggi invece Torino è cento capitali in una: del libro, grazie al perdurante successo del salone omonimo, alla fantastica programmazione del circolo dei lettori, alla presenza di innumerevoli librerie storiche e non, e di una casa editrice come l'Einaudi; della cultura, per merito di istituzioni come il Museo Egizio, secondo solo a quello del Cairo e da poco rinnovato e ingrandito sposando reperti millenari a tecnologia avanzatissime; il Museo del Cinema oggi ospitato dalla mole Antonelliana, uno tra i più visitati in Italia, per non dire del teatro stabile e del teatro Regio, capace di esportare le loro produzioni nel resto del paese e anche al di fuori dei confini nazionali.

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Liguria, l'amica vera

di Bruno Morchio 

Nella mia vita ho conosciuto molte donne, ma pochissime sono diventate mie amiche. 

Ma nessuna di loro è diventata amica, amica vera intendo. 

Questo per me è stata Anna: originale ed eccentrica quanto si vuole, forse anche un po' pazza. Ma un'amica vera. 

Lei amava le storie e concepiva il viaggio come una perenne ricerca, mossa da curiosità o nostalgia, inseguendo il filo di una storia. 

Amava la sua terra, la Liguria, e la città possa al centro di quella sottile lingua di terra che si allunga tra Ventimiglia e la foce del Magra. 

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Lombardia, la patria di tutto

di Gianni Biondillo 

Avevo un problema da bambino. Anzi, a essere precisi, due. 

Il primo era a Milano, la città dove era nato. 

Figlio del sottoproletariato meridionale, emigrato al nord, vivevo il mio quartiere come fosse il centro del mondo, abitavo in una periferia popolare, e già andare al Castello Sforzesco o in Duomo era come fare una gita fuori porta. 

La Lombardia non esisteva, insomma.

La Lombardia, per me bambino, era un'immensa Milano operaia.

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Milano, la cultura del futuro

di Gianni Biondillo 

C'è stato un momento in cui Milano ha creduto di poter dare del tu all'Europa, anzi al mondo. 

Quando cioè ha organizzato l'esposizione universale.

No, un attimo, cosa avete capito? Non intendo Expo 2015. 

L'altra expo, ché Milano ne ha avute due nella sua storia, come Chicago, Londra e poche altre città del mondo: l'esposizione internazionale del Sempione del 1906. 

Fu lì che Milano fece dei prove generali per sentirsi davvero moderna, a passo con i tempi. 

L'Italia esisteva da meno di cinquant'anni, Milano, a fine Ottocento, si stava convertendo la città legata al commercio agricolo a polo industriale.

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Veneto caldo e segreto

di Antonia Arslan 

Non è facile scrivere del Veneto. 

È una parte d'Italia forte, importante e ricca di un originale e affascinante storia culturale e politica, che tuttavia non gode di buona fama presso le altre regioni del nostro paese. 

La sua antica è nobile lingua viene usata nei film o nelle produzioni televisive solo come pennellata ironica per dipingere carattere meschini o ridicoli, ossessionati dagli "schei" o credenti in una fede limitata e asfissiante, abili solo nel gestire astuzie miserabili ricoperte da un velo di ipocrisia di cattivo gusto. 

Perfino la pronuncia dei nomi del Veneto viene comunemente storpiata dalla televisione, con quasi automatica supponenza, senza che nessuno dei veneti abbia a protestare. 

Stretto fra le due vivaci regioni a statuto autonomo, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia verso nord e verso est, e il modello Lombardia a ovest, il Veneto soffre oggi di un'eclissi di visibilità e di importanza che dura da molti anni, e non sa più proiettare un'immagine di sé che sia coerente con la sua meravigliosa storia. 

Eppure è un caldo nido di affetti e di luminose intelligenze, un luogo che da 3.000 anni si evolve con autonomia e sapienza.

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Venezia, dove l'acqua riflette sui secoli

di Andrea Molesini 

Venezia si trova ai margini del mondo conosciuto, ai confini della probabilità; è abitata da leoni alati che squadrano il viandante con la coda alzata a mo' di frusta o punta di domanda, ed esigono si risponda al quesito che ogni bambino si pone non appena prende coscienza di sé: «che ci faccio qui?»

I maestosi felini hanno occhi umani e lo sguardo ora minaccioso, ora smarrito: intimano di camminare leggeri, perché camminiamo sul luogo sognato. 

Così i leoni montano di vedetta sulle facciate dei palazzi, ma anche sopra le porte di dimore umile, sulle chiese, in cima alle colonne, sul gonfalone dell'antica Repubblica, sulle gondole, sugli sportelli del gavone di prua delle barche a remi. 

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Trentino-Alto Adige, due anime per una terra

di Isabella Bossi Fedrigotti 

La mia regione ha qualcosa di speciale, che altre non hanno: a metà circa della sua estensione cambia di nome, i colori, le architetture, la lingua.

È una regione doppia la mia, anche se lo sa bene soltanto chi vi abita o vi ha abitato. 

Chi non la conosce, o vi è stato solo come turista, difficilmente se ne rende conto: è capace di pensare, per esempio, che dappertutto si parli anche tedesco, o che speck e wurstel siano, da nord a sud, piatto regionale per eccellenza. 

Ancora oggi, come quando ero piccola, viaggiando mi piace cercare - invano - il punto preciso del cambiamento, lo spartiacque dove le case non sono più di pietra soltanto ma anche di legno, dove i campanili delle chiese finiscono in cielo con il tetto appuntito, dove i contadini portano il lungo grembiule blu - la falda - per lavorare nei campi. 

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Friuli-Venezia Giulia, la solitudine e la libertà

di Cristina Battocletti

Il treno cigolava e nella carrozza legnosa Pier Paolo Pasolini era caduto in uno stato quasi ipnotico: la testa e il corpo magro obbedivano ai piccoli sussulti, gli occhi si erano chiusi sotto la litania del taran taran taran taran.

Ma poi, come accadeva ogni volta, "l'odore di terra “ lo aveva risvegliato. 

Alzò il corpo magro e teso da calciatore e vide dal finestrino il Tagliamento. 

Migliaia di sassi scagliati da un Dio indifferente giacevano come un enorme letto bianco su cui il fiume si spingeva pigro fino al mare. 

"Una sconfinata intimità", questo sentiva Pier Paolo: l'odore di muschio, il fruscio delle foglie larghe quasi secche, l'asprezza del vino evaporato dalle fiaschette sottratte alla cantina di casa per fare baldoria. 

Se fino alla stazione di Casarsa della Delizia sapeva d'estate, quella di provincia morbida, con gli orari slentati, lontana dal saliscendi polveroso della sua Bologna, percorso da madri e ragazzi che stipavano il desiderio di fuga nelle valigie. 

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Emilia-Romagna, misterioso erotico tour

di Gianluca Morozzi

Com'è che faceva quella canzone dei Perturbazione? 

«Erika tu eri l'unica ma soprattutto nelle ore di ginnastica ...»

Me la canticchio mentalmente mentre vado verso la libreria, cambiando il nome Erika con Elena. Elena è una mia accanita lettrice. 

«Angela, serata libera dentro al silenzio nella camera dei tuoi», ecco: mentre guido verso Ravenna per la seconda tappa del tour continuo a cantare i Perturbazione, ma senza cambiare il nome della ragazza. 

Già, perché la lettrice che sta venendo a vedere la mia doppia presentazione, arriva dalle Marche per conoscermi, è innamorata di Dante, delle interpretazioni dantesche e un pochino anche di me, mi pare di intuire. 

Con la terza ragazza che devo incontrare non mi viene da cantare i Perturbazione, perché "Maddalena" è un nome troppo lungo per farlo stare in metrica. 

Non ho neanche elaborato una strategia di approccio con questa bella ragazza di Parma tanto lei mi sembra piena di spirito di iniziativa e, ne sono convinto, ha già studiato tutto.

Convinzione errata: Maddalena mi dà due bacetti sulle guance, mi saluta sorridente e se ne va. 

Caspita, però, è come se un uomo ti invitasse a vedere la collezione di farfalle perché vuole farti veramente vedere la collezione di farfalle. 

Partecipo col mio romanzo alla rassegna letteraria Montagne di Libri, stavolta in compagnia di Bianca. 

E se sembra che certi scrittori siano come dei marinai che hanno una donna in ogni porto, in effetti è perché certi scrittori sono come dei marinai, e hanno effettivamente una donna in ogni porto. 

C'è anche la volta in cui il marinaio sbarca e va in taverna a bere da solo. 

E infatti alla presentazione a Castelnuovo ne' Monti, nell'Appennino Reggiano, non ho lettrici o ammiratrici ad accompagnarmi. 

Però, quando sto per ripartire in direzione di Bologna, apro Facebook e c'è la richiesta d'amicizia di una certa Monica che non sembra affatto male, dalla foto del profilo. 

Accetto l'amicizia, e un attimo dopo mi scrive un papiro su quanto l'ha affascinata tutta la mia storia sul canto sostituito della Divina Commedia, lei che ha sempre avuto un grande amore per Dante eccetera eccetera. 

Mentre torno a casa mi rimetto a canticchiare i Perturbazione, cambiando il nome: «Monica tu eri l'unica ...»

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Emilia-Romagna, frammenti di Novecento

di Giorgio Falco

Innanzitutto, il nome: Emilia-Romagna.

Mi piacciono le parole composte. 

Mi piacciono le parole definite da un trattino, da un minuscolo tratto ancor più breve di una lineetta. 

Se è vero che un trattino divide due o più elementi lessicali autonomi, è anche vero che li unisce. 

Capita a volte che l'unione sancita attraverso un trattino possa risultare da un'imposizione politica, amministrativa, fiscale, un'invenzione vissuta come una soperchieria da una delle due controparti; in questi casi, bene che vada, la presenza del trattino manifesta l'artificio per creare qualcosa che prima non esisteva. 

L'Emilia-Romagna non appare come una forzatura, ma la naturale estensione dei due nomi collegati dal trattino. 

Il trattino emiliano-romagnolo non è quindi un capriccio burocratico ma è come se rappresentasse la Via Emilia, la spina dorsale della regione. 

Mi piace la solidità della storia centenaria sedimentata nelle città edificate lungo la Via Emilia, eppure amo anche considerare la Via Emilia e l'intera regione come un luogo provvisorio, uno spazio mobile, di transito, in continuo movimento, e non potrebbe essere diversamente, poiché la Via Emilia è una delle aree più urbanizzate del continente; mi piace considerare questo inquieto movimento indispensabile per ricercare qualcosa che non sia soltanto l'esistente, la mera rappresentazione di sé, ma anche qualcosa che si possa manifestare soltanto attraverso l'insistenza dell'osservazione, della nostra continua interrogazione. 

Non è un caso se in Emilia-Romagna, più che in ogni altro luogo d'Italia, abbiano lavorato alcuni tra i migliori artisti-fotografi della seconda metà del Novecento, molto spesso americani, ma anche tedeschi e francesi.

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Vado a trovare la luna: un forestiero a Bologna

di Paolo Nori

Sono dieci anni che tengo dei corsi di scrittura, a Bologna, e tutti gli anni il numero dei bolognesi che partecipano a questi corsi è sempre inferiore al numero dei non bolognesi e una volta, nel 2018, delle 15 persone che frequentavano il corso, nessuno era nato a Bologna, nemmeno io, che abito a Bologna dal 1999 ma son nato a Parma. 

E, da bolognese d'adozione, mi sento in diritto di dare qualche consiglio ai non bolognesi che dovessero visitare questa città, e indicherò alcuni posti che per me sono posti incantevoli anche se frequentati da gente che non sa cosa vuol dire salviettone.

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Toscana, la bellezza fuori dalle cartoline

di Vanni Santoni

Dopo aver finito il testo su Firenze, lo stampo e lo faccio leggere a un'amica e collega, ottima critica perché severissima e particolarmente utile in questo caso, proprio perché né fiorentina né toscana. 

Lo finisce e appoggia i due fogli sul tavolo.

Dalla sua espressione, che negli anni ho imparato a leggere, capisco che lo approva, e ne sono sollevato. 

Poi però dice: «Facile, comunque, trovare la poesia in Santa Croce, in San Miniato al Monte, nelle logge del pesce e del grano, o a dal Duomo, tra i fraseggi di Arnolfo, Giotto e Brunelleschi!».

«Forse non ti rendi conto del fatto che in realtà è più difficile».

«Che intendi?»

«Intendo che Firenze e i suoi sassi, in quanto sovra rappresentati, sono difficili da riportare in opera senza essere pedanti, lo puoi fare, al massimo, dopo decenni di frequentazione costante. Guarda i quadri dei pittori che si appostano sul lato del Duomo. O i disegni che schizza l’occasionale studente d'arte americano, appollaiato sul ponte di Santa Trinita.»

«Fanno orrore, ma cosa c'entra ...»

«C'entrano, perché non è colpa di chi li fa: è colpa del fatto che troppe volte Firenze, che è opera compiuta, è stata passata e ripassata, rappresentata e celebrata.»

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Ciò che non è Firenze

di Vanni Santoni

Mi do le forze per l'ultima tratta di salita, noto alla mia destra il sistema di scale che porta alla basilica, ma me lo tengo per dopo, giro a sinistra, cammino sull'asfalto e a ogni passo ho qualche turista in più intorno, e poi orribili bancarelle, furgoni, autobus, finché giungo al piazzale e mi avvio verso San Miniato al Monte. 

Lì capisco che per certi versi avevo ragione, ai tempi in cui non ci capivo niente, quando dicevo che quella non era Firenze. 

Riflessa nei marmi ogni preoccupazione è sopita, ogni furia placata, ogni ambizione appare per nulla urgente. 

Apro un basso cancelletto e in uno sbuffo di gelsomini entro al cimitero delle Porte Sante. 

Cammino tra le lanterne di bronzo e i sansovini, tra gli ovali con le foto fumè e le lapidi coperte di licheni, tra un “fulmineo malore" e un "tragico investimento”, tra i “crudi morbidi“ e gli "avversi destini", tra selve di croci in brevi serragli - una di esse, in mezzo, la guarda un busto d'uomo col cappello - onesti commercianti, mogli ottime, figli integerrimi, coscienze dritte, compendi di bontà, anime delicate, un pugno di balle messe su marmo, e chi oserebbe contestarle, qui, sotto gli occhi della basilica? 

Non chiedo un mausoleo di Santa Croce, ma almeno, sbattetemi qui e spendete due bugie, quando verrò per rimanere.

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Marche, la marca dell'anima

di Alcide Pierantozzi

Quando il mare Adriatico non recalcitra e ci sono belle onde dritte e giubilanti, i Marchigiani sono dotati di una straordinaria intelligenza comica. 

Scherzano con tutti, provocano gli amici per gioco, impugnano la felicità della vita senza darsi pensiero di nulla. 

Se invece le onde si appiano e prendono un ritmo così monocorde da mesmerizzare i loro animi, i Marchigiani, anche quelli che non abitano sulla costa ma a ridosso dei Sibillini o del Conero, anche i pastori del Piceno che non si levano mai il cappotto nemmeno a luglio, sono presi da un allegria languorosa. 

Ma...... Apriti cielo quando la marea s’alza, perché i Marchigiani tumultuano insieme al fluttuare e riffluttuare dell'acqua, litigano e sono incazzosi: un'Iliade dei suoni stregoneschi irrita i nervi dei contadini anziani, dei conciatori di pelli del Fermano e, ovviamente, di tutti i pescatori. 

Qua, il mare funge da barometro delle condizioni atmosferiche dell'anima, e il luogo della fatalità, mentre la terra è il luogo dell’intermittenza. 

Anche se non lo dice mai nessuno, e le Marche passano per la più placida delle regioni italiane.

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Umbria, la felicità del cammino

di Rosa Matteucci

Al viaggiatore che si accinga a visitare la mia regione, intimo di partire da Piazzale Flaminio a Roma per imboccare l'omonima Via Flaminia, che attraversa l'Umbria per buona parte della sua lunghezza.

È la Flaminia la porta d'accesso trionfale all'Umbria. 

Percorrendo la terza via consolare incapperete in dettagli, presagi e suggestioni architettoniche di luoghi da ricordare e da cui congedarsi, mescolerete le visioni umbre con quelle di altre città lontane, in cui non siete mai stati e che mai raggiungerete, per trasformare infine il ricordo in uno soltanto, immagini in cui saranno ricompresi tutti gli scenari visti e le emozioni provate. 

La mia terra ha il privilegio di esaudire un desiderio bruciante antico di ciascuno: sentirsi ancora, per una volta, bambini puri, anime non sporcate dai compromessi della vita. 

L'Umbria è una terra aspra e gentile, povera e dolce, mistica e plebea, defilata e strana, una terra dove non c'è mai stato il sale e il pane è da sempre sciapo, una terra che si può guardare e sentire fino a non poterne più senza essere mai sazi, ognuno pensando a cose tanto diverse, personali e nascoste, ma d'accordo, ciascuno nel suo intimo, senza saperlo, sul senso di pace e di completezza che elargisce, da secoli, a chi vive e a chi ci soggiorna; perché in Umbria una donnetta curva che rincasa passando lungo un fosso con un mazzetto di asparagi selvatici in mano, ovvero il carminio che fuma il rosa antico di una nuvola che sembra dipinta dal Pinturicchio, ribadisce da secoli che si deve continuare a vivere: perché vivere è l'unica felicità possibile.

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Lazio, le radici cristiane

di Massimo Onofri

Sarà perché il colle di San Lorenzo, ove ora si ergono il Duomo e il Palazzo dei Papi con la sua loggia, è uno dei luoghi ricordati dalla nella donazione di Sutri tra i possessi che Liutprando promise alla chiesa nel 729: e che tale restò a lungo. 

Sarà per il fatto che, nel 1164, il Barbarossa fece di Viterbo la sede dell'antipapa Pasquale III.

Sarà pure per la ragione che, nei primi anni del Duecento, la città divenne focolaio dell'eresia carrara e, come tale, scomunicata. 

Sarà perché Federico II, del 1240, la consegnò ai ghibellini, i Tignosi oriundi di Magonza. 

Sarà perché si ricorda che, nel 1243, la popolazione si sollevò resistendo al suo assedio: sollevazione che l'agiografia vuole ispirata da Santa Rosa, la santa bambina mite e guerriera, nata priva di sterno è morta a soli diciotto anni, dopo molti miracoli, non senza aver previsto esattamente l’atroce fine del negletto e ateo imperatore. 

Sarà che, dal 1257, e fino al trasferimento ad Avignone, Viterbo rimarrà più o meno continuativamente sede papale: conducendo instancabile guerra contro gli Svevi, culminata nella scomunica di Corradino. 

Sarà, infine, perché, morto Clemente IV, a causa del ritardo quasi triennale dei cardinali che dovevano eleggere il successore, il popolo viterbese poco devotamente insorse, niente meno che su consiglio di San Bonaventura di Bagnoregio, sotto la guida del capitano del popolo Raniero Gatti: il quale fece chiudere a chiave i cardinali stessi nella sala dell'elezione, a pane e acqua, non senza far scoperchiare il tetto per lasciarli in balia delle intemperie, finché non avessero eletto il nuovo papa. 

Sarà, insomma, in forza di tutti questi motivi e molti altri ancora, di questo magma ribollente i sentimenti e risentimenti, di devozioni furiose e odi e faste, che il passeggere, arrivato a metà di via Mazzini, proprio davanti al Palazzo della Provincia, potrà forse spiegarsi con la specie di doppia intitolazione della piazzetta che, oggi, porta il nome del viterbese Mario Fani, il fondatore del circolo Santa Rosa e del nucleo originario della futura azione cattolica, a suo tempo dedicata a Giordano Bruno ucciso dalla Santa Inquisizione.

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Roma. Finta e vera com'è

di Paolo Di Paolo

Un pomeriggio di agosto del 2011, sulla spiaggia di Ostia - il mare dei romani - c'era Woody Allen in persona. 

Il grande regista americano aveva scelto un vecchio stabilimento elegante, con le pedane in legno, le cabine colorate - come una scenografia piovuta lì da mezzo secolo prima -; e tutto questo faceva al caso del suo film, di ambientazione contemporanea - in quanto girato a Roma - con una patina vintage.

È stato bello trovarsi lì, per puro caso, e osservare Allen mentre bisbigliava qualcosa alle orecchie degli autori, mentre faceva ripetere tre, quattro, cinque volte lo stesso ciak. 

Mentre si assopiva su una curiosa poltrona ergonomica assumendo una postura quasi zen.

Stava girando una scena di To Rome with love: tre storie o storielle incrociate sul fondale della città eterna.

Grande attesa dei romani, grande delusione: nessuno spettatore mio concittadino sembrava, dopo la visione, nemmeno vagamente soddisfatto: troppi Cliché! Musichetta invadente! 

Una cartolina in piena regola, con gli stereotipi su romanità e italianità messi in fila uno per uno.

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L'Abruzzo è un colore

di Giovanni D’Alessandro

L'Abruzzo è un colore, il verde.

Presente già nella denominazione che da mezzo secolo segue, come in un’endiadi, il suo nome, con le parole "regione verde d'Europa”, al punto che le si pensano tutte, oramai, come indistinguibili. 

Oltre il 70% del territorio è infatti costituito da parchi nazionali, parchi regionali, riserve e aree protette: un immenso, respirante manto di verde. 

A un parco nazionale, quello d'Abruzzo (il più antico d'Italia, istituito circa un secolo fa, e che vent'anni or sono ha mutato il suo nome in Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, per le adiacente nelle contigue regioni), sono andati affiancandosi nei decenni il parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga e il parco della Majella, nome che pare rievochi la dea Maja, richiamante quello di madre e di mammella, per la forma tondeggiante dell'omonimo massiccio montuoso. 

Molti sarebbero i nomi del verde abruzzese di cui dar conto, ma non avrebbe senso, perché tutti li supera una constatazione: che il verde non ha confini.

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Molise, il transumante

di Adelchi Battista

Una volta qui c'era una città.

Sotto questo grano verde, seminato a perdita d'occhio lungo il declivio e fino al margine del fiume, riposano ancora le spoglie di mille guerrieri, che combatterono una battaglia di questo luogo magico. 

Qui c'era una dogana, poi un borgo, infine il paese chiamato Civitate. 

Da laggiù, al di là del fiume, comincia il Molise. 

Le bestie lo sentono, riconoscono il corso d'acqua, si affannano a superarlo nel guado conosciuto e si bagnano in fretta, perché l'acqua è ancora gelida. 

Poi riprendono la strada millenaria che le riporta a casa, muggiscono euforiche, belano esaltate, tanto che i cani fanno fatica a tenerle insieme. 

La strada è sempre stata qui: gli animali l'hanno tracciata prima ancora che l'uomo li allevasse. 

Adesso si chiama tratturo, una parola che viene dal latino trahere, perché l'uomo è convinto di essere lui a tirare gli animali. 

La strada invece è un monumento naturale; larga più di un'autostrada a quattro corsie, esisteva ai tempi di mio padre e di mio nonno, esisteva ai tempi di Civitate, percorsa dai truppe normanne e da quelle del Papa Leone, ormai mille anni fa, e ancora prima quando il passaggio delle mandrie guidate dal solo istinto ha modellato le colline, ha aperto i boschi e le foreste, ha creato le forme del paesaggio. 

Il transumante non dimora. 

Gli è impossibile l’affezione al luogo, e la generazione e la successione, che pure esercita per istinto di natura, venivano da attrazione di luna e orrore del vuoto.

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Campania, il vivido mosaico delle bizzarrie

di Stefano Piedimonte

La Campania è un territorio non soltanto enorme, ma così diverso al suo interno, così contraddittorio fra una provincia e l'altra, fra una città e l'altra - ma anche semplicemente fra una strada e l'altra! -, che raccontarla in un'unica soluzione, fosse anche un romanzo di mille pagine, è un'idea balzana: ne verrebbe fuori un mosaico di tasselli stonati: uno rosso sbiadito, preso a Pompei dalla Villa dei Misteri; uno azzurro screziato di verde, preso dal mare di Massa Lubrense; un nero, polveroso, che vira al cinereo, raccolto dalla cima del Vesuvio; un altro verde come una bottiglia, ma forse non proprio ... forse non è il paragone più azzeccato. 

Il verde che ci serve qui non è un verde riflettente, ma immersivo: non riflette, risucchia. 

Questo tassello dovremmo raccoglierlo nel Parco degli Astroni. 

Poi ne servirebbero altri porosi e amorfi, come i tartufi che stanno sepolti nel casertano; altri ancora sarebbero marroni come il cuoio, o come la cappella di porcini che trovi nei boschi a Benevento; ancora tasselli di pietra durissima, come il marmo addomesticato da Sanmartino nel suo Cristo velato; tasselli bianco latte, come la mozzarella pannosa che trovi solo dalle parti di Eboli, Paestum, Capaccio, e che devi far presto a comprarla perché finisce subito. 

Poi servirebbe un tassello meticcio e caciarone, come le punte dei palazzi che scorgi a Napoli dal ponte della Sanità. 

L'impossibilità di imbrigliare tutta questa materia, di mettere insieme tutti questi tasselli ottenendone qualcosa di omogeneo, è sancita dalla frammentazione delle nostre menti di campani. 

La disputa fra i napoletani e salernitani, fra beneventani, casertani e avellinesi è reale e sacrosanta; e non perché uno sia migliore dell'altro, ma perché veniamo da mondi distanti.

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I sensi di Napoli

di Piera Carlomagno

Quando arrivai a Napoli, il primo senso che si attivò fu l'udito, l'informazione sonora; ricodificata, viaggiò veloce come il caffè che mi piazzarono sul bancone di un piccolo bar di via Toledo, in una tazzulella bollente come la lava del Vesuvio. 

Giù, in un unico sorso, e subito su al cervello, come una bomba. 

Le frasi, i suoni, i rumori, il frastuono, mi invasero allo stesso modo, facendo esplodere la bolla di protezione che mi ero soffiata intorno per inopinabile paura.

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Pillole di napoletanità

di Vittorio Russo

Qui il tempo si arriccia e si scioglie, si inabissa e si inalbera, corre e scorre: un pendolo perpetuo. 

A Napoli se uno guardando l'orologio dice dice «vaco ‘e pressa», ossia ho fretta, immediata l’eco di un'altra voce replica, «conce conce», ovvero piano piano. 

Le cose sono sempre uguali ma anche contrarie, manca il riferimento cui rapportarle perché sono costantemente un'altra cosa. 

Il napoletano cioè deve arrangiarsi a convivere con i paradossi, eredità dei capricci divini: creazione d'arte o artificio del ripiego? Poesia o filosofia? Ozio o negozio? 

Come si dice da queste parti, i vesuvi sono sempre due: quello fuori è quello che il napoletano si porta dentro.

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Chiaroscuri di Procida, la più isola fra le isole

di Lorenzo Marone

A vedere da lontano, Procida assomiglia al profilo di un balenottero appena sbucato dall'acqua, una lingua di terra piatta cinta da due Monti: Capo Miseno e il ben più massiccio Epomeo, la cima più alta di Ischia. 

Da sopra Terra Murata, invece, Procida sembra profilarsi come un insieme di monti e asperità, di falesie precarie che ne sostengono a fatica il peso prima di sprofondare nel Tirreno. 

Da lassù l'isola, a dire il vero, non sembra nemmeno un'isola, perché ovunque ti giri vedi terra: Napoli è a un passo, Monte di Procida un paio di bracciate e la tocchi, Capo Miseno solo un po' più in là, il Vesuvio svetta imponente in lontananza. 

Se invece abbassi lo sguardo oltre il muretto che cinge il pendio, incroci le case della Corricella arroccate sul fianco della collina, addossate una all'altra come in un presepe, con le rampe di calce viva a “dorso d'asino“ che conducono a porte di legno blu, in un impasto di colori pastello che calma la vista: pistacchio e beige, rosa e azzurro, giallo e albicocca.

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Avellino e l'Irpinia

di Franco Arminio

L'Irpinia è il pezzo d'Appennino che comincia quando bruscamente finisce la pianura Campana e va avanti fino a quando cominciano i dolci profili dei Monti Dauni. Dunque tra il capoluogo Campano e la Puglia. 

Terra di mezzo, ma non terra media, terra di alture ruvide e spinose, terra conosciuta per il terremoto e non per la sua straordinaria bellezza. 

L'Irpinia non somiglia alla vicina Lucania e neppure al Sannio e al Cilento o all'Abruzzo interno. 

È un luogo unico dal punto di vista orografico del nostro Appennino. 

L'Irpinia è una provincia senza mare. 

Sono pochissime nel Sud delle province non bagnate dal mare. 

Ma in compenso è una provincia con tanta acqua da Caposele partono le sorgenti che dissetano la Puglia e dal Serino quelle che dissetano Napoli. 

Come tante province italiane anche l’Irpinia dà il suo contributo alla straordinaria diversità geografica del nostro paese. 

Zone di fitti boschi e vaste alture dove gli alberi li puoi contare sulle dita di una mano.

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La Puglia non ti lascia mai solo

di Franco Arminio

Amo la Puglia perché amo la luce e la Puglia è sempre piena di luce. 

Due colori: il bianco e giallo. 

E poi il colore della terra a seconda delle stagioni.

Amo la Puglia perché c'è aria di terra, e non ci sono luoghi turistici, ma luoghi veri dove arrivano i turisti. 

In Puglia mi sento bene. 

Non ti porta alla mestizia, alla cupezza, stare in Puglia in effetti significa sottoporsi a una cromoterapia. 

E forse anche il carattere degli abitanti ha il suo ruolo. 

Il pugliese, per esempio, non è spinoso come l’irpino. 

E poi ci sono le differenze enormi, dovute alla storia più che alla geografia.

La Puglia non dovrebbe essere solo una meta, ma una sorta di seconda regione, così come alcuni possiedono una seconda casa.

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Basilicata, la vertigine della lontananza

di Franco Arminio

In Basilicata gli occhi fanno una vita spericolata.

Ovunque sei, puoi correre con lo sguardo senza trovare molti ostacoli. 

Ci sono posti in cui lo sguardo si ferma presto, c'è una bellezza che vuole tenerti con sé.

La bellezza Lucana ha un altro codice, è una bellezza scontrosa, che non ha voglia di farsi raggiungere. 

Qui non trovi nessun paese in mezzo alla strada che stai percorrendo, devi sempre prendere una via secondaria, devi andarlo a cercare il paese, e ti assale la sensazione che sia più lontano di quanto indicato dai segnali, come se il paese a un certo punto si mettesse in fuga per non farsi raggiungere. 

Che c'è da vedere in Basilicata? La risposta è semplice: tutto. 

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Calabria in bianco e nero, e altri colori

di Vins Gallico

Maurits Cornelis Esher, a scuola, era un disastro. Talentuoso nel disegno, nei pomeriggi liberi si dedicava alle incisioni su linoleum, che non gli venivano niente male. 

Nella primavera del 1923 Maurits visitò la Toscana e poi, ascoltando i consigli di un'anziana villeggiante, il Sud Italia: se era veramente innamorato del paesaggio, della compiutezza architettonica, non poteva ignorare i luoghi dove gli elementi magnogreci e romani si erano fusi all'influenza cromatica ed estetica araba. 

Approdò in uno dei miei paesi preferiti: Pentidattilo. 

Poi si mise in cammino e sul sentiero verso la costa incontrò un uomo a cavallo che si rivelò un vignaiolo, e che lo invitò a casa, per una visita alla cantina. 

Visita, che evidentemente può accompagnata da un abbondante degustazione.

La Calabria è questo: un posto meraviglioso e contraddittorio, di grande bellezza e di grande ignoranza.

«Chi vive in Calabria», cantava Rino Gaetano in uno dei suoi pezzi più famosi, inserendo la tipologia in un elenco di umiliati e resistenti rispetto alla vita. 

Che forse è il modo più giusto per vedere la Calabria e visitarla, sapere che si è davanti a una regione fatta a strati, a doppi fondi, infiltrazioni, dove "una rosa non è una rosa è una rosa”". 

E dove, comunque sia, c'è il cielo sempre più blu di tutta l'Italia.

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Sicilia, terra metafisica

di Massimo Onofri

Quando si parla di Sicilia, sarà forse bene tenere a mente la battuta che Fabrizio Corbera, Principe di Salina, rivolge nel Gattopardo al contino Carlo Cavriaghi, l'amico carissimo del giovane Tancredi: «Senta, conte; lei credeva che in Sicilia non piovesse mai e può vedere invece come diluvia. Non vorrei che credesse che da noi non ci sono le polmoniti e poi si trovasse a letto con 40 di febbre». 

In effetti, sulla Sicilia, non c'è niente di più comune dei luoghi comuni: con il rischio, appunto, di trovarsi del tutto impreparati a qualsiasi viaggio, e magari arrivare a morire di freddo come in una città del Nord non accadrebbe mai.

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Sicilia, terra metafisica

di Roberto Alajmo

Magari siete a Palermo per lavoro e non avete avuto il tempo di girare per la città, e ora avete la benedetta seccatura di cinque o sei ore senza niente da fare. 

Ecco: supponendo di restare incastrati in una situazione del genere, dovendo neutralizzare la controra senza poter contare su ombra e aria condizionata, il meglio possibile forse è affittare una Lapa e farsi portare a spasso. 

Si chiama Lapa, a Palermo, quella che altrove nel mondo è Ape Piaggio, il mezzo a tre ruote che si adopera per piccoli trasporti, per vendere frutta o altri prodotti muovendosi con leggerezza ed efficacia.

In Sicilia L'Ape ha subito una mutazione genetica che fin dal nome, la Lapa appunto, l’ha resa qualcosa di diverso. 

Senza possedere la protervia dell'automobile, la Lapa si armonizza all'anarchia del traffico cittadino, aggirando pure la strafottenza dei mezzi a due ruote, che poco si adattano alle prestazioni di fatica.

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Sardegna, la resistenza dal cuore antico

di Milena Agus

Arrivando dal mare, Cagliari, come dice Herbert Lawrence, potrebbe farvi pensare a Gerusalemme. 

I cagliaritani dicono che Cagliari è la città più bella del mondo, perché c'è il mare dentro. 

E non è un caso se parlando di Porto Torres diciamo che la nostra isola sorge dalle acque nella foschia rosata e mai che scompare. 

Con i forestieri siamo ospitali. Ma restiamo dei solitari. 

A Lawrence siamo apparsi i soli veramente educati che avesse mai conosciuto. Nessuno sfoggio di noi in nessun senso, come se sapessimo che nel principio e nella fine un uomo è solo. 

E gli artisti? Si affollano d'estate nei numerosi festival.

Soprattutto gli scrittori sognano che si dica di loro quello che tanti lettori forestieri dicono di Grazia Deledda: «Ah, sì, questo, della Sardegna, lo so! L'ho letto nei suoi libri!»

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