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Audiolibro L’Italia vuota - viaggio nelle aree interne di Filippo Tantillo

Questo libro, edito per la prima volta nel 2023, racconta di un'Italia dove i paesi si spopolano, la popolazione invecchia è il paesaggio perde la mano dell'uomo. 

È un'Italia vuota, che però contiene - molto più di quanto si pensi - il futuro del nostro paese. 

Terre alle prese con le trasformazioni climatiche, con i mutamenti dell'economia mondiale, percorse incessantemente da flussi di umani. 

Dalle riducenti Valli Occitane del Piemonte al cuore antico della Sardegna, passando per i colori caldi dell'Appennino centrale, nei paesi sabbiosi delle coste del Mar Ionio, sotto il vulcano più grande del continente, tra i migranti del Friuli: un viaggio ai margini del nostro paese, un paese molto più grande e vario di come si auto rappresenta, alla scoperta di uno spazio ancora aperto al possibile. 

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Introduzione

Una parte del nostro Paese negli ultimi anni è sparita dal discorso pubblico e dall'agenda politica. 

Costituisce più della metà del territorio nazionale ed è abitata da almeno 13 milioni di persone, vale a dire circa il 22% di tutti gli italiani. 

Derubricata come l'ultimo residuo dell'Italia rurale, una vandea abitata da una popolazione anziana e antimoderna, oggi appare sulla mappa demografica del Paese come un arcipelago di luoghi, quasi senza più abitanti. 

Delle enclave dimenticate nel secolo delle scintillanti Metropoli globali colte, dematerializzate, creative, libere. 

È sufficiente guardarci dentro per scoprire che sono terre tutt'altro che immobili, sensibili alle trasformazioni climatiche, ai mutamenti dell'economia mondiale, percorsi incessantemente da flussi di umani, e che restituiscono l'immagine di un paese molto più grande e vario di come si auto rappresenti.

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LE VALLI OCCITANE

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La piccola valle

Si raggiunge Valloriate risalendo uno stretto e ombroso vallone, segnato da un reticolo di corsi d'acqua che scendono veloci e limpidi tra due catene ininterrotte di Monti. 

Grandi chiome di castagni nodosi e querce secolari ombreggiano il fiume, che scorre sul letto di enormi pietre, levigate come ossa di animali preistorici. 

Lungo la solitaria strada di fondovalle si allineano ordinatamente piccole case, abitate pochi giorni l'anno, dietro le finestre quasi tutte sprangate si intuiscono stanze spoglie e letti gelati. 

È un comune molto piccolo, un centinaio di abitanti distribuiti, sulla carta, in 40 frazioni. 

Nel censimento del 1931 erano 20 volte tanti.

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La rivoluzione occitana

A partire dagli anni Settanta una piccola rivoluzione culturale investe le valli cuneesi che, tagliate fuori dai traffici dell'economia moderna, sembravano destinate all'oblio. 

La popolazione prende coscienza che il dialetto parlato nelle borgate, disprezzato perché sinonimo di povertà e ignoranza, è diretto discendente della lingua diffusa fino all'evo moderno dalle Alpi occidentali ai Pirenei. 

È una lingua con una sua propria letteratura composta da poemi epici e amorosi, che contiene le descrizioni vivide, immaginifiche del clima cortese dell'XI secolo, e che conta anche traduzioni bibliche e poemetti morali, diffusi in queste valli dai predicatori valdesi.

Questa riscoperta diviene una grande risorsa per la vita collettiva, la cultura, l'arte, la musica, e anche l'economia.

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La strategia d'area: un'agenda per girare pagina

A partire dagli anni Settanta una piccola rivoluzione culturale investe le valli cuneesi che, tagliate fuori dai traffici dell'economia moderna, sembravano destinate all'oblio. 

La popolazione prende coscienza che il dialetto parlato nelle borgate, disprezzato perché sinonimo di povertà e ignoranza, è diretto discendente della lingua diffusa fino all'evo moderno dalle Alpi occidentali ai Pirenei. 

Per questa ragione, i circa 250 cittadini, amministratori, giovani imprenditori, insegnanti, medici che sono stati coinvolti nei tavoli di lavoro promossi dalla strategia nazionale per le aree interne, hanno redatto una proposta centrata soprattutto sull'offerta dei servizi migliori alla popolazione. 

Non una somma di piccoli progetti, ma un'agenda d’interventi di medio e lungo periodo, che sceglie quelli prioritari, e prova ad incastrarli tra loro nella maniera più consona. 

Investire sul benessere della popolazione locale, infatti, è il primo passo verso quel “ritorno al futuro" che auspica, nel titolo, la Strategia d'area.

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Un welfare sostenibile

L'idea contenuta nella Strategia d'aria, non nuova da queste parti, è quella di sostenere le spese di un nuovo welfare di valle facendo leva sulla grande ricchezza di risorse naturali. A cominciare dalle acque. 

La comunità montana della Valle Maira gestisce due piccole centrali idroelettriche, attraverso una società per azioni di cui detiene la maggioranza, e usa i proventi dell'energia prodotta per le strutture pubbliche e per ridurre i costi diretti dei consumi energetici degli edifici di valore sociale, come i rifugi, i ricoveri per anziani, un convitto per gli studenti della scuola secondaria di Stroppo, il centro sportivo di Roccabruna e lo stesso comune di Acceglio, dove si trovano le centrali.

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L'età dell'oro della civiltà alpina

Sappiamo che la fine dell'età dell'oro delle Alpi coincide anche con l'avvento di quella che i metereologi oggi chiamano "la piccola era glaciale", che tra il XV e il XVIII secolo provocò, oltre a un calo delle temperature di oltre due gradi, il modificarsi delle correnti oceaniche e lo sconvolgimento del ciclo delle stagioni. 

L’espandersi dei ghiacciai e la progressiva chiusura dei passi alpini impose una riconversione drammatica dell'agricoltura e dell'economia delle montagne, e le ricadute culturali, sociali, politiche di questo raffreddamento sono ben documentate in molti studi, sollecitati anche da una domanda estremamente attuale: come si trasforma una società quando cambia il clima in cui vive?

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Il sogno delle montagne

A Valloriate si tiene anche il “Nuovi mondi festival, il più piccolo festival di cinema di montagna del mondo", un titolo che suona come un piccolo manifesto mettendo insieme, con umorismo, l'orgoglio dei piccoli, il pragmatismo del cinema e l'ambizione della montagna.

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L'emancipazione dei luoghi

La fondazione Nuto Revelli ha recuperato vecchi edifici cadenti, trasformandoli in un rifugio accogliente. 

C'è un teatro che spazia sulla valle e un piccolo splendido museo dove è raccolta parte delle testimonianze orali che sono andate a comporre “il mondo dei vinti” di Nuto Revelli che raccontano le quattro vite della borgata di Paraloup: dalla civiltà contadina, la guerra la resistenza, il tracollo demografico, fino ai tentativi, attuali, di ripopolamento. 

Dalle interviste raccolte da Revelli emerge come dura forse la vita in queste borgate, dove la donna era considerata proprietà esclusiva dell'uomo e, come ogni altro animale, doveva produrre un figlio l'anno.

Le donne in fuga furono rimpiazzate dalle "calabrotte", ragazze meridionali rimaste sole in paesi svuotati dei giovani che andavano a lavorare nelle fabbriche del Nord, che venivano scambiate dai venditori di animali che viaggiavano per tutto il paese e portate nelle borgate alpine, per sposarsi. 

E proprio in queste montagne ribelli e orgogliose, dove l'antifascismo come progetto politico si è trasformato in senso civico, che nacque l’alpinismo femminile, con l'ascensione, nel 1864, della nobildonna torinese Alessandra Boarelli e di Cecilia Fillia, di soli 14 anni, al Monviso, che per un soffio non fu la prima ascensione in assoluto.

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Il Monviso

È a Enrico Camanni che dobbiamo la più bella descrizione del Monviso, il re indiscusso di quell'arco di montagne che va dalle Alpi Liguri alle Alpi Graie e domina l'Occitania orientale: “È l'archetipo della montagna, una cima perfetta, una splendida piramide triangolare nata, come tutte le grandi cose, non per accumulo ma per sottrazione di materiali geologici ". 

Oggi, la compattezza dei colori rende la piramide del Monviso ancora più simile a quell’enorme lente di pietre verdi, serpentine, anfiboliti, eufotidi, che ci vide il geologo Federico Sacco 100 anni fa. 

E in qualche maniera, ancora più grandiosa, più austera.

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Sul Ponte del Diavolo

Il Ponte del Diavolo a Dronero è un'opera imponente della fine del Quattrocento, ha tre arcate irregolari merlate, la più alta delle quali si stacca di varie decine di metri dal fondo del torrente Maira le cui piene, già dal medioevo, l'avevano più volte abbattuto. 

Per riuscire a dare al ponte una solidità di pietra gotica, capace di resistere alla furia delle acque, ci fu bisogno di ingannare il diavolo in persona.

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L'Adrech e l'Ubac

La sera, nell'aia abbiamo inventato storie con i bambini sulla discussione infinita che impegna lo spirito dell’Adrech, il lato al sole di queste valli, dove si alternano le borgate, i pascoli, i colti, e quello dell'Ubac, esposto a nord e per gran parte dell'anno in ombra, selvaggio è ricoperto di boschi. 

Una disputa che, sin dall'inizio dei tempi, li vede litigare su chi sia il migliore fra loro.

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IL FIUME SIMETO

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Il fiume e il vulcano

Vista dal terrazzo del castello di Paternò, la valle del fiume Simeto appare così immensa che si fa fatica a immaginare che tanto spazio possa essere contenuto in un'isola. 

La Sicilia assomiglia a un piccolo continente, e quello del Simeto è il suo bacino fluviale più esteso. 

L'origine del nome del fiume non è chiara. 

Nel corso dei secoli le sue rive sono state abitate da un gran numero di popolazioni, che lo hanno più volte cambiato. 

Gli arabi durante i secoli della loro dominazione lo chiamavano Wadi Musa, ossia "fiume di Mosè", trovando forse delle somiglianze con il grande Nilo. 

E, "piccolo Nilo" lo chiama Orazio, indicando tutti gli insediamenti preistorici e protostorici che spuntano sui due versanti della valle, incredibilmente diversi sotto il cielo infiammato dell'estate.

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Abitare la valle

Proprio perché ricca, è sempre stata un'area densamente popolata.

Sono circa 300.000 gli abitanti che vivono nei grossi comuni etnei nella parte bassa della Valle del Simeto, quella che sfocia nella piana, dove il paesaggio agricolo organizzato lascia posto a urbanizzazione disordinata, a una campagna senza agricoltura, e finisce col perdersi nella periferia di Catania. 

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Il Presidio Partecipativo

È proprio dall'opposizione al dilagare della criminalità organizzata intorno al ciclo dei rifiuti che nasce l'esperienza del Presidio Partecipativo del Patto del Fiume Simeto, una storia che ha più di vent'anni.

La rivolta contro la mafia qui è un collante fortissimo, per certi aspetti ha una funzione di presidio democratico analoga a quella che ha l'antifascismo nel Nord-Ovest del Paese, e la coscienza civica delle regioni del Sud.

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Come si costituisce una nuova comunità?

Quello che rende particolarmente efficace l'azione del Simeto è il salto di qualità che fa la comunità della società civile nell'organizzare le proprie istanze, che obbliga le amministrazioni locali a un confronto più informato con la società. 

Laura Saija insegna Pianificazione Urbanistica all'Università di Catania, la sua città, ma ha studiato negli Stati Uniti, dove ha appreso i metodi di intervento sociale messi appunto in ambienti di radicalismo democratico americano del dopoguerra, che puntavano al rafforzamento "sindacale" dei cittadini organizzati al di fuori delle fabbriche. 

Sono tecniche che si fondano sull'estremo pragmatismo delle richieste e sul coraggio di rivendicare la non negoziabilità di alcune istanze.

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La fonte

A metà del percorso fra la strada e le gole di basalto tra le quali scorre il fiume, il sentiero si dirama e sulla sinistra un'altra traccia porta una piccola fonte dove, incisa in greco volgare, un'epigrafe anonima ricorda una giornata felice di centinaia di anni fa, trascorsa al fresco e in compagnia, ascoltando le acque gorgogliare. 

Mi lavo il viso con l'acqua gelata della sorgente e la faccio asciugare al calore del sole che sorge da dietro il vulcano.

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Il Ponte dei Saraceni

Simbolo di questa stratificazione è il monumentale Ponte dei Saraceni, realizzato intorno al IX secolo. 

Il ponte dei Saraceni è una delle opere civili più belle del Medioevo siciliano. 

È il vero centro della Valle, quello che connetteva i capoluoghi di Adrano e Centuripe. 

Si alza con il suo arco acuto sulle gole del fiume almeno di una ventina di metri. Furono gli arabi a sostituire all'arte romana i canoni della loro architettura, curandone gli effetti cromatici, l'alternanza di pietre chiare e scure nelle ghiere degli archi. 

La leggerezza quasi seria fa da contraltare con la solidità compatta di un selciato di pietra profondamente segnato dalle tracce dei carri che per secoli lo hanno attraversato nelle due direzioni.

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Centuripe

Centuripe ha poco più di 5.000 abitanti, ne aveva 15.000 nel censimento del 1921. 

Occupa integralmente la cima di una montagna isolata e lavorata dall'erosione, a oltre 700 metri di altezza. 

Dal cielo la pianta della città assomiglia a una stella marina, con un centro e cinque braccia tortuose che si allungano restringendosi fin dove le creste precipitano a valle su costoni un tempo rivestiti di terrazzamenti. 

È una città che ha raggiunto il massimo dell'estensione edificabile, che non può più crescere.

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L'oasi e la ferrovia

Per tornare verso Adrano si traversa nuovamente il fiume e si passa sull'oasi di Ponte Barca, un ampio invaso acquitrinoso, nato nel 1966 dalla costruzione di una chiusa sul Simeto.

La LIPU di Catania, che fa parte del Presidio, ha portato avanti una lunga battaglia perché fosse riconosciuta come Oasi faunistica, facendo appello alla Convenzione internazionale di Ramsar per la tutela della biodiversità delle zone umide. 

L'asse del ripensamento del territorio che propongono le associazioni del Presidio è proprio la valle, e anche la sua ferrovia. 

Il collettivo SUdS (Stazioni Unite del Simeto), che ne fa parte, sta provando a dare forma al desiderio espresso da un gruppo di architetti, artisti e altri soggetti attivi di associazioni culturali locali di combattere la frammentazione e ritrovare l'unità territoriale perduta attraverso la riattivazione della ferrovia delle arance, tra Santa Anastasia e Regalbuto.

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Vita da sindaco

Dice Fabrizio Barca, parlando dei sindaci: "Gli stessi eletti vivono, del resto, un senso di impotenza di fronte alle sfide che impone loro il governo del paese e che deriva dalla complessità del sistema di conoscenze necessario per prendere decisioni.“

Quando si offre loro la possibilità, molti sindaci scelgono con sincerità il cambiamento a prescindere dall'età, dalla provenienza politica, ed è una cosa che ho visto succedere molte volte.

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La pietra nera

Al tramonto andiamo a visitare una cava attiva; a quest'ora i lavoratori sono già andati via, ci apri il custode.

Ci siamo solo io, Orazio e le gigantesche macchine gialle per staccare e spostare i blocchi di pietra, ferme come dinosauri pietrificati. 

In mezzo alla cava, da un deserto di polvere grigia, una palma aristocratica si slancia per una quindicina di metri, e le sue foglie più alte arrivano giusto a livello dove riprendono, alcuni metri più in là, la campagna e i coltivi. 

Quella della pietra lavica è una filiera economica: nei comuni etnei, oltre le cave, ci sono le segherie, i laboratori, le industrie che producono e i marchi che commercializzano.

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Il silenzio degli operai

Davanti alla telecamera un vecchio operaio mostra in silenzio, senza che nessuno gliel'abbia chiesto, cos'è per lui un lavoro fatto bene, i movimenti sicuri, in una relazione di conoscenza intima con la pietra, una cultura del lavoro tacita e dignitosa, di cui intuisco solo una parte. 

Il silenzio degli operai è stato oggetto di una ricca letteratura e anche di tanti studi, alcuni dei quali ne hanno messo in luce i meccanismi e le caratteristiche: un silenzio coltivato come virtù del lavoratore, collegato alla modestia, alla prudenza, al rispetto dei gerarchie, alla buona educazione. 

Il silenzio dell'Artigiano concentrato sul proprio lavoro, della disciplina, del rispetto dei tempi, e quello imposto dal rumore delle macchine. 

In molti posti, come questo, il silenzio di lavoratori è ancora considerato un valore dagli stessi operai, e le "chiacchiere" viste come sospetto dalle imprese. 

Un silenzio che impedisce le lamentele, l'organizzazione sindacale, ma anche la trasmissione dei saperi.

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I pistacchi di Bronte

La zona di Bronte è quasi integralmente coltivata a pistacchi. 

La raccolta avviene solo ogni due anni.

Gli anni pari sono dedicati alla potatura verde, mentre negli anni dispari si raccolgono oltre 30.000 quintali di pistacchi. 

Si tratta appena dell'1% della produzione mondiale, ma per Bronte rappresenta di gran lunga l'elemento economico più significativo sia per la superficie a coltura interessata sia per il valore della produzione stessa. 

Ogni anno i controlli ispettivi mostrano un gran numero di aziende lavoratori in nero, che nei 40 giorni di raccolta manuali di pistacchi vengono impiegati nei campi.

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Stare dalla parte giusta

Per far progredire la democrazia, per dare a tutti coloro che vivono del proprio lavoro l'opportunità di potersi scegliere una vita serena, in zone come il Simeto, è molto scomodo stare contemporaneamente con lo Stato e con la società civile. 

Come spiega Fabrizio Barca: perché avviare le cose dobbiamo militare più con lo Stato o più con la cittadinanza? 

Si può provare a fare anche tutte e due le cose, pur sapendo che se tenti un compromesso tra le due, rischi di non servire né l'una nell'altra causa. 

In ogni caso bisogna essere consapevoli che i due mestieri in questo momento non collimano. 

Nella valle del Simeto il dialogo fra cittadini e istituzioni, per merito di entrambi, ha fatto un passo avanti.

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L’AUTORE

Filippo Tantillo, ricercatore, film-maker e attivista, lavora per università e istituti di ricerca italiani ed europei alla messa a punto di nuovi strumenti di ascolto del territorio e dei fenomeni sociali. 

Fa parte dell'associazione Riabitare l'Italia ed è forum disuguaglianze e diversità. 

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