Questo libro, edito per la prima volta nel 2023, racconta di un'Italia dove i paesi si spopolano, la popolazione invecchia è il paesaggio perde la mano dell'uomo.
È un'Italia vuota, che però contiene - molto più di quanto si pensi - il futuro del nostro paese.
Terre alle prese con le trasformazioni climatiche, con i mutamenti dell'economia mondiale, percorse incessantemente da flussi di umani.
Dalle riducenti Valli Occitane del Piemonte al cuore antico della Sardegna, passando per i colori caldi dell'Appennino centrale, nei paesi sabbiosi delle coste del Mar Ionio, sotto il vulcano più grande del continente, tra i migranti del Friuli: un viaggio ai margini del nostro paese, un paese molto più grande e vario di come si auto rappresenta, alla scoperta di uno spazio ancora aperto al possibile.
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Introduzione
Una parte del nostro Paese negli ultimi anni è sparita dal discorso pubblico e dall'agenda politica.
Costituisce più della metà del territorio nazionale ed è abitata da almeno 13 milioni di persone, vale a dire circa il 22% di tutti gli italiani.
Derubricata come l'ultimo residuo dell'Italia rurale, una vandea abitata da una popolazione anziana e antimoderna, oggi appare sulla mappa demografica del Paese come un arcipelago di luoghi, quasi senza più abitanti.
Delle enclave dimenticate nel secolo delle scintillanti Metropoli globali colte, dematerializzate, creative, libere.
È sufficiente guardarci dentro per scoprire che sono terre tutt'altro che immobili, sensibili alle trasformazioni climatiche, ai mutamenti dell'economia mondiale, percorsi incessantemente da flussi di umani, e che restituiscono l'immagine di un paese molto più grande e vario di come si auto rappresenti.
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LE VALLI OCCITANE
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La piccola valle
Si raggiunge Valloriate risalendo uno stretto e ombroso vallone, segnato da un reticolo di corsi d'acqua che scendono veloci e limpidi tra due catene ininterrotte di Monti.
Grandi chiome di castagni nodosi e querce secolari ombreggiano il fiume, che scorre sul letto di enormi pietre, levigate come ossa di animali preistorici.
Lungo la solitaria strada di fondovalle si allineano ordinatamente piccole case, abitate pochi giorni l'anno, dietro le finestre quasi tutte sprangate si intuiscono stanze spoglie e letti gelati.
È un comune molto piccolo, un centinaio di abitanti distribuiti, sulla carta, in 40 frazioni.
Nel censimento del 1931 erano 20 volte tanti.
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La rivoluzione occitana
A partire dagli anni Settanta una piccola rivoluzione culturale investe le valli cuneesi che, tagliate fuori dai traffici dell'economia moderna, sembravano destinate all'oblio.
La popolazione prende coscienza che il dialetto parlato nelle borgate, disprezzato perché sinonimo di povertà e ignoranza, è diretto discendente della lingua diffusa fino all'evo moderno dalle Alpi occidentali ai Pirenei.
È una lingua con una sua propria letteratura composta da poemi epici e amorosi, che contiene le descrizioni vivide, immaginifiche del clima cortese dell'XI secolo, e che conta anche traduzioni bibliche e poemetti morali, diffusi in queste valli dai predicatori valdesi.
Questa riscoperta diviene una grande risorsa per la vita collettiva, la cultura, l'arte, la musica, e anche l'economia.
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La strategia d'area: un'agenda per girare pagina
A partire dagli anni Settanta una piccola rivoluzione culturale investe le valli cuneesi che, tagliate fuori dai traffici dell'economia moderna, sembravano destinate all'oblio.
La popolazione prende coscienza che il dialetto parlato nelle borgate, disprezzato perché sinonimo di povertà e ignoranza, è diretto discendente della lingua diffusa fino all'evo moderno dalle Alpi occidentali ai Pirenei.
Per questa ragione, i circa 250 cittadini, amministratori, giovani imprenditori, insegnanti, medici che sono stati coinvolti nei tavoli di lavoro promossi dalla strategia nazionale per le aree interne, hanno redatto una proposta centrata soprattutto sull'offerta dei servizi migliori alla popolazione.
Non una somma di piccoli progetti, ma un'agenda d’interventi di medio e lungo periodo, che sceglie quelli prioritari, e prova ad incastrarli tra loro nella maniera più consona.
Investire sul benessere della popolazione locale, infatti, è il primo passo verso quel “ritorno al futuro" che auspica, nel titolo, la Strategia d'area.
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Un welfare sostenibile
L'idea contenuta nella Strategia d'aria, non nuova da queste parti, è quella di sostenere le spese di un nuovo welfare di valle facendo leva sulla grande ricchezza di risorse naturali. A cominciare dalle acque.
La comunità montana della Valle Maira gestisce due piccole centrali idroelettriche, attraverso una società per azioni di cui detiene la maggioranza, e usa i proventi dell'energia prodotta per le strutture pubbliche e per ridurre i costi diretti dei consumi energetici degli edifici di valore sociale, come i rifugi, i ricoveri per anziani, un convitto per gli studenti della scuola secondaria di Stroppo, il centro sportivo di Roccabruna e lo stesso comune di Acceglio, dove si trovano le centrali.
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L'età dell'oro della civiltà alpina
Sappiamo che la fine dell'età dell'oro delle Alpi coincide anche con l'avvento di quella che i metereologi oggi chiamano "la piccola era glaciale", che tra il XV e il XVIII secolo provocò, oltre a un calo delle temperature di oltre due gradi, il modificarsi delle correnti oceaniche e lo sconvolgimento del ciclo delle stagioni.
L’espandersi dei ghiacciai e la progressiva chiusura dei passi alpini impose una riconversione drammatica dell'agricoltura e dell'economia delle montagne, e le ricadute culturali, sociali, politiche di questo raffreddamento sono ben documentate in molti studi, sollecitati anche da una domanda estremamente attuale: come si trasforma una società quando cambia il clima in cui vive?
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Il sogno delle montagne
A Valloriate si tiene anche il “Nuovi mondi festival, il più piccolo festival di cinema di montagna del mondo", un titolo che suona come un piccolo manifesto mettendo insieme, con umorismo, l'orgoglio dei piccoli, il pragmatismo del cinema e l'ambizione della montagna.
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L'emancipazione dei luoghi
La fondazione Nuto Revelli ha recuperato vecchi edifici cadenti, trasformandoli in un rifugio accogliente.
C'è un teatro che spazia sulla valle e un piccolo splendido museo dove è raccolta parte delle testimonianze orali che sono andate a comporre “il mondo dei vinti” di Nuto Revelli che raccontano le quattro vite della borgata di Paraloup: dalla civiltà contadina, la guerra la resistenza, il tracollo demografico, fino ai tentativi, attuali, di ripopolamento.
Dalle interviste raccolte da Revelli emerge come dura forse la vita in queste borgate, dove la donna era considerata proprietà esclusiva dell'uomo e, come ogni altro animale, doveva produrre un figlio l'anno.
Le donne in fuga furono rimpiazzate dalle "calabrotte", ragazze meridionali rimaste sole in paesi svuotati dei giovani che andavano a lavorare nelle fabbriche del Nord, che venivano scambiate dai venditori di animali che viaggiavano per tutto il paese e portate nelle borgate alpine, per sposarsi.
E proprio in queste montagne ribelli e orgogliose, dove l'antifascismo come progetto politico si è trasformato in senso civico, che nacque l’alpinismo femminile, con l'ascensione, nel 1864, della nobildonna torinese Alessandra Boarelli e di Cecilia Fillia, di soli 14 anni, al Monviso, che per un soffio non fu la prima ascensione in assoluto.
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Il Monviso
È a Enrico Camanni che dobbiamo la più bella descrizione del Monviso, il re indiscusso di quell'arco di montagne che va dalle Alpi Liguri alle Alpi Graie e domina l'Occitania orientale: “È l'archetipo della montagna, una cima perfetta, una splendida piramide triangolare nata, come tutte le grandi cose, non per accumulo ma per sottrazione di materiali geologici ".
Oggi, la compattezza dei colori rende la piramide del Monviso ancora più simile a quell’enorme lente di pietre verdi, serpentine, anfiboliti, eufotidi, che ci vide il geologo Federico Sacco 100 anni fa.
E in qualche maniera, ancora più grandiosa, più austera.
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Sul Ponte del Diavolo
Il Ponte del Diavolo a Dronero è un'opera imponente della fine del Quattrocento, ha tre arcate irregolari merlate, la più alta delle quali si stacca di varie decine di metri dal fondo del torrente Maira le cui piene, già dal medioevo, l'avevano più volte abbattuto.
Per riuscire a dare al ponte una solidità di pietra gotica, capace di resistere alla furia delle acque, ci fu bisogno di ingannare il diavolo in persona.
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L'Adrech e l'Ubac
La sera, nell'aia abbiamo inventato storie con i bambini sulla discussione infinita che impegna lo spirito dell’Adrech, il lato al sole di queste valli, dove si alternano le borgate, i pascoli, i colti, e quello dell'Ubac, esposto a nord e per gran parte dell'anno in ombra, selvaggio è ricoperto di boschi.
Una disputa che, sin dall'inizio dei tempi, li vede litigare su chi sia il migliore fra loro.
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IL FIUME SIMETO
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Il fiume e il vulcano
Vista dal terrazzo del castello di Paternò, la valle del fiume Simeto appare così immensa che si fa fatica a immaginare che tanto spazio possa essere contenuto in un'isola.
La Sicilia assomiglia a un piccolo continente, e quello del Simeto è il suo bacino fluviale più esteso.
L'origine del nome del fiume non è chiara.
Nel corso dei secoli le sue rive sono state abitate da un gran numero di popolazioni, che lo hanno più volte cambiato.
Gli arabi durante i secoli della loro dominazione lo chiamavano Wadi Musa, ossia "fiume di Mosè", trovando forse delle somiglianze con il grande Nilo.
E, "piccolo Nilo" lo chiama Orazio, indicando tutti gli insediamenti preistorici e protostorici che spuntano sui due versanti della valle, incredibilmente diversi sotto il cielo infiammato dell'estate.
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Abitare la valle
Proprio perché ricca, è sempre stata un'area densamente popolata.
Sono circa 300.000 gli abitanti che vivono nei grossi comuni etnei nella parte bassa della Valle del Simeto, quella che sfocia nella piana, dove il paesaggio agricolo organizzato lascia posto a urbanizzazione disordinata, a una campagna senza agricoltura, e finisce col perdersi nella periferia di Catania.
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Il Presidio Partecipativo
È proprio dall'opposizione al dilagare della criminalità organizzata intorno al ciclo dei rifiuti che nasce l'esperienza del Presidio Partecipativo del Patto del Fiume Simeto, una storia che ha più di vent'anni.
La rivolta contro la mafia qui è un collante fortissimo, per certi aspetti ha una funzione di presidio democratico analoga a quella che ha l'antifascismo nel Nord-Ovest del Paese, e la coscienza civica delle regioni del Sud.
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Come si costituisce una nuova comunità?
Quello che rende particolarmente efficace l'azione del Simeto è il salto di qualità che fa la comunità della società civile nell'organizzare le proprie istanze, che obbliga le amministrazioni locali a un confronto più informato con la società.
Laura Saija insegna Pianificazione Urbanistica all'Università di Catania, la sua città, ma ha studiato negli Stati Uniti, dove ha appreso i metodi di intervento sociale messi appunto in ambienti di radicalismo democratico americano del dopoguerra, che puntavano al rafforzamento "sindacale" dei cittadini organizzati al di fuori delle fabbriche.
Sono tecniche che si fondano sull'estremo pragmatismo delle richieste e sul coraggio di rivendicare la non negoziabilità di alcune istanze.
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La fonte
A metà del percorso fra la strada e le gole di basalto tra le quali scorre il fiume, il sentiero si dirama e sulla sinistra un'altra traccia porta una piccola fonte dove, incisa in greco volgare, un'epigrafe anonima ricorda una giornata felice di centinaia di anni fa, trascorsa al fresco e in compagnia, ascoltando le acque gorgogliare.
Mi lavo il viso con l'acqua gelata della sorgente e la faccio asciugare al calore del sole che sorge da dietro il vulcano.
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Il Ponte dei Saraceni
Simbolo di questa stratificazione è il monumentale Ponte dei Saraceni, realizzato intorno al IX secolo.
Il ponte dei Saraceni è una delle opere civili più belle del Medioevo siciliano.
È il vero centro della Valle, quello che connetteva i capoluoghi di Adrano e Centuripe.
Si alza con il suo arco acuto sulle gole del fiume almeno di una ventina di metri. Furono gli arabi a sostituire all'arte romana i canoni della loro architettura, curandone gli effetti cromatici, l'alternanza di pietre chiare e scure nelle ghiere degli archi.
La leggerezza quasi seria fa da contraltare con la solidità compatta di un selciato di pietra profondamente segnato dalle tracce dei carri che per secoli lo hanno attraversato nelle due direzioni.
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Centuripe
Centuripe ha poco più di 5.000 abitanti, ne aveva 15.000 nel censimento del 1921.
Occupa integralmente la cima di una montagna isolata e lavorata dall'erosione, a oltre 700 metri di altezza.
Dal cielo la pianta della città assomiglia a una stella marina, con un centro e cinque braccia tortuose che si allungano restringendosi fin dove le creste precipitano a valle su costoni un tempo rivestiti di terrazzamenti.
È una città che ha raggiunto il massimo dell'estensione edificabile, che non può più crescere.
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L'oasi e la ferrovia
Per tornare verso Adrano si traversa nuovamente il fiume e si passa sull'oasi di Ponte Barca, un ampio invaso acquitrinoso, nato nel 1966 dalla costruzione di una chiusa sul Simeto.
La LIPU di Catania, che fa parte del Presidio, ha portato avanti una lunga battaglia perché fosse riconosciuta come Oasi faunistica, facendo appello alla Convenzione internazionale di Ramsar per la tutela della biodiversità delle zone umide.
L'asse del ripensamento del territorio che propongono le associazioni del Presidio è proprio la valle, e anche la sua ferrovia.
Il collettivo SUdS (Stazioni Unite del Simeto), che ne fa parte, sta provando a dare forma al desiderio espresso da un gruppo di architetti, artisti e altri soggetti attivi di associazioni culturali locali di combattere la frammentazione e ritrovare l'unità territoriale perduta attraverso la riattivazione della ferrovia delle arance, tra Santa Anastasia e Regalbuto.
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Vita da sindaco
Dice Fabrizio Barca, parlando dei sindaci: "Gli stessi eletti vivono, del resto, un senso di impotenza di fronte alle sfide che impone loro il governo del paese e che deriva dalla complessità del sistema di conoscenze necessario per prendere decisioni.“
Quando si offre loro la possibilità, molti sindaci scelgono con sincerità il cambiamento a prescindere dall'età, dalla provenienza politica, ed è una cosa che ho visto succedere molte volte.
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La pietra nera
Al tramonto andiamo a visitare una cava attiva; a quest'ora i lavoratori sono già andati via, ci apri il custode.
Ci siamo solo io, Orazio e le gigantesche macchine gialle per staccare e spostare i blocchi di pietra, ferme come dinosauri pietrificati.
In mezzo alla cava, da un deserto di polvere grigia, una palma aristocratica si slancia per una quindicina di metri, e le sue foglie più alte arrivano giusto a livello dove riprendono, alcuni metri più in là, la campagna e i coltivi.
Quella della pietra lavica è una filiera economica: nei comuni etnei, oltre le cave, ci sono le segherie, i laboratori, le industrie che producono e i marchi che commercializzano.
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Il silenzio degli operai
Davanti alla telecamera un vecchio operaio mostra in silenzio, senza che nessuno gliel'abbia chiesto, cos'è per lui un lavoro fatto bene, i movimenti sicuri, in una relazione di conoscenza intima con la pietra, una cultura del lavoro tacita e dignitosa, di cui intuisco solo una parte.
Il silenzio degli operai è stato oggetto di una ricca letteratura e anche di tanti studi, alcuni dei quali ne hanno messo in luce i meccanismi e le caratteristiche: un silenzio coltivato come virtù del lavoratore, collegato alla modestia, alla prudenza, al rispetto dei gerarchie, alla buona educazione.
Il silenzio dell'Artigiano concentrato sul proprio lavoro, della disciplina, del rispetto dei tempi, e quello imposto dal rumore delle macchine.
In molti posti, come questo, il silenzio di lavoratori è ancora considerato un valore dagli stessi operai, e le "chiacchiere" viste come sospetto dalle imprese.
Un silenzio che impedisce le lamentele, l'organizzazione sindacale, ma anche la trasmissione dei saperi.
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I pistacchi di Bronte
La zona di Bronte è quasi integralmente coltivata a pistacchi.
La raccolta avviene solo ogni due anni.
Gli anni pari sono dedicati alla potatura verde, mentre negli anni dispari si raccolgono oltre 30.000 quintali di pistacchi.
Si tratta appena dell'1% della produzione mondiale, ma per Bronte rappresenta di gran lunga l'elemento economico più significativo sia per la superficie a coltura interessata sia per il valore della produzione stessa.
Ogni anno i controlli ispettivi mostrano un gran numero di aziende lavoratori in nero, che nei 40 giorni di raccolta manuali di pistacchi vengono impiegati nei campi.
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Stare dalla parte giusta
Per far progredire la democrazia, per dare a tutti coloro che vivono del proprio lavoro l'opportunità di potersi scegliere una vita serena, in zone come il Simeto, è molto scomodo stare contemporaneamente con lo Stato e con la società civile.
Come spiega Fabrizio Barca: perché avviare le cose dobbiamo militare più con lo Stato o più con la cittadinanza?
Si può provare a fare anche tutte e due le cose, pur sapendo che se tenti un compromesso tra le due, rischi di non servire né l'una nell'altra causa.
In ogni caso bisogna essere consapevoli che i due mestieri in questo momento non collimano.
Nella valle del Simeto il dialogo fra cittadini e istituzioni, per merito di entrambi, ha fatto un passo avanti.
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L’APPENNINO CENTRALE
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L'Appennino centrale
C'è un Appennino vuoto, fatto di piccole città fragili, in cui abitano pochissimi abitanti e un Appennino che vive nel quotidiano e nella memoria di milioni di romani.
Su 10 persone che si incrociano tutti i giorni per le strade di Roma, 4 sono nate altrove.
Moltissime altre vivono in città da solo una generazione e hanno nonni, case, terreni nei piccoli centri del Lazio, dell'Abruzzo, dell'Umbria, delle Marche, della Campania e del Molise.
Siedono sugli autobus strapieni, in grandi uffici, nei bar delle arterie commerciali della città, ma hanno la testa al paese.
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I rientranti
Marco Leonetti è un giovane attento e riflessivo, è ingegnere e svolge un tirocinio al comune di Petrella Salto.
Mi guida nella valle a incontrare alcuni "rientranti" e a filmarne le traiettorie di vita. Sono giovani che hanno deciso di spostarsi dalla città in campagna ed i borghi semi abbandonati, e sono particolarmente numerosi in questa zona dell'Appennino.
Sono soggetti eterogenei, non riconducibili a uno stereotipo, pionieri o esploratori, mistici o pragmatici, impulsivi o riflessivi, professionisti alla ricerca di spazi protetti dalla competizione violenta, ecologisti che non amano la città, liberi pensatori. Sono in numero crescente, e la pandemia li ha visti aumentare in maniera considerevole.
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Il pescatore del lago del Turano
È all'inizio dell'estate, infilarsi nella valle del fiume Turano che scende gradualmente dalla piana industriale di Carsoli verso Rieti, fino a confluire nel fiume Velino, significa entrare in un cono di silenzio, un mondo di estese montagne silvestri arrotondate, sotto un cielo blu compatto.
Un paesaggio aspro ma senza nulla di minaccioso, senza pareti scure né vette rocciose.
In questa zona dell'Appennino le montagne irradiano calore e benevolenza, seducono con la morbidezza di linee e forme, con l'aria ferma e cristallina, con la pace.
Di primo mattino e fondovalle verde è coperto da una nebbiolina trasparente, un lieve velo chiaro e lucente attraverso il quale si vedono i pioppi e gli anziani al lavoro nei campi.
La strada segue quasi in piano il torrente, fin quando questo si allarga nelle acque del lago artificiale del Turano.
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Le comunità agricole
Quella dei rientranti non è certo una storia nuova.
Dal medioevo comunità religiose, politiche, di intenti hanno lasciato la città per tornare ad avere un rapporto più stretto con la natura e coltivare i nuovi sogni di società egualitari.
Anche in tempi recenti si sono stati tentativi di rientrare in Appennino, esperienze collettive che in pieno boom industriale hanno cominciato a sperimentare una maniera di fare agricoltura sociale che solo dopo molti anni è diventata senso comune.
L'affermarsi dell'Agricoltura biologica, della filiera corta, la riscoperta e il recupero di motivi tradizionali che solo fino a pochi decenni fa sembrava una follia antimoderna, devono molto a quelle esperienze.
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Le forme e l'ambiente dell'Appennino centrale
Percorrendo le poco trafficate e grandi strade che da Roma vanno verso Levante, l'Appennino centrale si presenta come un susseguirsi di catene montuose, intervallate da ampie valli, quelle del Velino e dell'Aniene che confluiscono nel Tevere, e quelle del Tronto, dell’Aterno, del Pescara verso l'Adriatico, dove sorgono splendide città storiche: Spoleto, Ascoli, L'Aquila e Sulmona.
Le linee di cresta si alzano progressivamente come onde pietrificate dalle pianure laziali e calano limpidamente verso est, fino a precipitare, con le altissime pareti dolomitiche dei monti della Sibilla, del Gran Sasso, della Maiella, sulle colline marnacee dell'Adriatico.
Negli ampi pianori carsici sorgono le città industriali di Terni, Rieti, Carsoli, Avezzano.
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Il terremoto e le comunità possibili
L'Appennino nasconde nelle sue viscere il demone del terremoto, pronto a colpire in ogni momento, a volte in maniera devastante, altre smontando i paesi pietra per pietra, scossa dopo scossa, rendendo impossibile fare programmi per il futuro. Vince gli uomini per sfiancamento, o per paura.
Il terremoto del 1944 terrorizzò i soldati tedeschi e fece saltare l'offensiva a tenaglia contro le brigate partigiane che operavano sul Colle San Marco, proprio sopra Ascoli Piceno.
In quel caso fu un terremoto provvidenziale, o forse un miracolo, come quello che salvò Sant'Emidio, il patrono della città, e la sua famiglia dalla persecuzione dei Cristiani alla fine dell'impero romano.
Il 6 aprile 2009 la scossa delle 3:32 si sentì così forte che fece battere le persiane alle mie finestre a centinaia di chilometri di distanza, sul lago di Bracciano.
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Sul fronte del sisma
Alcuni anni dopo, nel 2016, il terremoto torna di nuovo, devastante, poco più a nord, a colpire un'area vastissima tra le valli del Tronto e dell'Alto Velino, con le sue scosse di Amatrice.
In quel momento siamo impegnati con la Strategia nazionale per le Aree Interne nel riorganizzare i servizi scolastici e sanitari del territorio.
L’imperativo militare di "ricostruire tutto come prima" fa saltare il lavoro minuzioso fatto in quasi due anni con le amministrazioni locali e i cittadini nell’individuare i luoghi dove intervenire e le cose più urgenti da fare per cambiare un po' di cose e invertire la tendenza dell'area a perdere popolazione.
Lo sguardo delle persone spaventate si volge indietro, ad un passato di decadenza ma percepito comunque come più rassicurante.
Sembra non ci sia spazio, non sia il momento, per tentare vie nuove.
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Preci
Preci in Valnerina, un paese avvitato intorno a una collina sul fondo di una valle tra Norcia e Amatrice, è un luogo sacro già nel nome.
Siamo in uno dei centri geografici della spiritualità medievale, terra di Benedetto da Norcia, di Francesco d'Assisi, di Celestino V e di molti altri.
Nell'alto Medioevo di monaci eremiti siriani che evangelizzarono la valle fondarono qui un'Abbazia dedicata a Sant'Eutizio che sarebbe diventata, alla fine del Medioevo, una delle più rinomate ricche scuole di chirurgia oftalmica in Europa.
È stata danneggiata dal terremoto del 1997 e successivamente restaurata.
Poi è stata di nuovo colpita dai terremoti del 26 e 30 ottobre 2016 che ne hanno causato la distruzione quasi totale.
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Il Terminillo Stazione Montana
A un'ora di strada da Preci, superata Leonessa, la strada risale una magnifica valle che porta alla Sella di Leonessa, un passo a 1.900 m di altezza, proprio sotto la parete nord del Terminillo.
Il Terminillo è la montagna che il regime fascista regalò a Roma, trasformandola in una stazione sciistica destinata a un turismo di élite e borghese.
L'idea, l'intuizione, ci dice la propaganda, sarebbe venuta allo stesso Mussolini, mentre lo sorvolava durante un viaggio da Forlì a Roma.
La strada di accesso alla Sella dalla Salaria fu fatta sottraendo fondi alla bonifica della Piana di Rieti, richiesta a gran voce dai contadini, e con un contributo personale dello stesso dittatore di 400.000 lire.
La strada si snoda in un bosco destinato ad essere tagliato per fare posto a un grande progetto pubblico e privato in espansione della zona sciistica, il Terminillo Stazione Montana presentato per l'ennesima volta dopo varie bocciature nel 2021.
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I cammini
Molti sono quelli che si sono messi letteralmente in cammino, il lungo in largo per il paese, per tracciare i nuovi sentieri di esplorazione dell'Italia vuota, da fare a piedi, alla ricerca di sguardi diversi.
Per altro, la sensazione che sia indispensabile rallentare è in qualche modo nello spirito dei tempi e ha prodotto negli ultimi anni una rete di sentieri che sono stati disegnati sulle esigenze di riappropriazione dei luoghi, di un'interpretazione dello spazio che ci circonda come mutamento continuo.
Oggi nell'Appennino centrale si incrociano una rete di lunghi trekking storici, che seguono le orme dei santi, percorsi da un pellegrinaggio laico in cerca di spiritualità, o i sentieri dei briganti, amati dai montanari anarchici, quelli delle greggi lungo i tratturi, strade già tracciate in 10.000 anni fa, per il controllo delle quali si combattevano i popoli Italici, i Sanniti, i Sabelli, i Volsci.
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Campo Imperatore
Campo imperatore è uno dei paesaggi più impressionanti dell'Italia peninsulare.
Durante l'ultima glaciazione un'immensa lingua glaciale lunga oltre 25 km ricopriva quello che oggi è un altipiano d'alta quota percorso da venti gelidi che si estende a perdita d'occhio, senza un albero, senza una casa, senza cavi elettrici, circondato dalle pareti della più alta vetta dell'Appennino.
Non so dire quanto l'improvviso affacciarsi della piramide del Corno Grande a una curva dell'unica strada che coraggiosamente l'attraversa abbia determinato la mia passione per la montagna.
È ancora un gioco che faccio ogni volta che ci vado, rallento prima della curva, per farmi stupire dalla caduta di rocce dolomitiche del Corno Grande, come per una sorpresa attesa.
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Radio Precious
Ma il futuro è lo spazio della libertà è radio Precious che trasmette sul web giornali radio dal 2044, quando a Preci, diventata ormai un modello mondiale per una nuova economia, è venuta Madonna a fare da testimonial all'inaugurazione di un centro di trasformazione delle erbe medicinali in un elisir di lunga vita.
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LA COSTA IONICA DELLA CALABRIA
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La luce verrà da oriente a spazzare le tenebre
La minuscola Cattolica di Stile appare in una litografia di Maurits Cornelis Escher durante un viaggio che fece con tre amici in Calabria nel 1930.
Il suo interesse per le costruzioni impossibili, per le interconnessioni fra piani spaziali diversi, che trasformano progressivamente le geometrie dei luoghi, trova nella piccola chiesa semplice ed essenziale una fonte di ispirazione.
Vista dal vivo ci si accorge che la riproduzione è abbastanza fedele.
La base è un cubo di mattoni rossi, e su un lato appoggiata alla ripida rocca da dove domina la valle di una grande fiumara.
Cinque piccole cupole di tegole rosse proteggono come capocchie di chiodi cinque torrette a camino.
È stata edificata durante la dominazione bizantina, tra il X e l'XI secolo, a circa 500 metri di altezza, in forme architettoniche che da Costantinopoli, allora al massimo del suo splendore, si diffusero a tutto l'Impero d'Oriente.
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La costa dimenticata
Stilo e Bivongi fanno parte di un insieme di comuni affacciati sulla costa Ionica, in un'area veramente remota del nostro paese, dove per arrivare ad avere quelli che la Strategia nazionale per le Aree Interne identifica come servizi essenziali, degli ospedali veri o delle scuole superiori, ci vogliono in media più di 51 minuti di auto, anche perché i trasporti locali sono quasi inesistenti.
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La terza vita di Badolato
La notte del 27 dicembre 1997 sulla spiaggia fra Badolato e Santa Caterina approda un barcone carico di migranti, l'Ararat, con 826 persone a bordo, in buona parte curdi iracheni.
È il primo grande sbarco in Italia.
Le autorità vengono colte di sorpresa, non c'è molta esperienza e mancano i riferimenti normativi, è difficile capire chi deve fare cosa e chi chiamare.
Viene affrontato un centro di accoglienza, proprio sulla marina.
Wim Wenders in un piccolo film, il Volo, girato pochi giorni dopo lo sbarco e carico di speranza e umanità, ricostruisce il caos iniziale e la progressiva riorganizzazione, le tensioni fra le autorità, tra il vice prefetto e il sindaco, che nel film vengono risolte in una giornata piena di sole.
Quello che il film di Wim Wenders non coglie è che lo sbarco non avviene in un luogo qualsiasi, ma in Calabria, una regione composta da un mosaico di culture che infatti, non fino a molto tempo fa, era declinata al plurale, "Calabria", e nello specifico a Badolato, un paese dove le lotte contadine hanno lasciato una scia di saggezza civica per lo più sconosciuta, e che è sempre espulsa dal racconto stereotipato di una terra senza speranza.
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La Xenia a Camini. Tra turismo e accoglienza c'è l'ospitalità
Lungo la strada che dalla statale jonica sale a Camini, una trentina di chilometri a sud di Badolato, ci sono delle grandi serre in abbandono.
Negli anni settanta qui operava un'azienda olandese che produceva fiori e che fu tra le prime ad adottare lo statuto dei lavoratori per i suoi 300 dipendenti.
Poi l'azienda ha delocalizzato la produzione e si è spostata altrove, dove il costo del personale era inferiore.
La cooperativa ha avviato nel 2011 un progetto di accoglienza per i richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale.
Per attrarre nuovi abitanti, tra il turismo e l'accoglienza c'è una terza strada, la Xenia, "una parola greca che indica il dono reciproco che si scambiano ospitante e ospitato, e più in generale le regole che sono alla base dell'ospitalità”.
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Lo Stato che produce miseria
Sono circa 500 mila ragazzi fra i 6 e 18 anni che abitano nei comuni periferici e ultra periferici del paese.
La popolazione scolastica nelle aree interne è calata del 3,26% negli ultimi 3 anni. Per andare a scuola i ragazzi stanno fuori dall'alba al tramonto, passano le loro giornate alle fermate e sui bus, come nel dopoguerra.
In molti casi si nutrono di panini, mentre intorno sentono parlare di dieta mediterranea e di eccellenza alimentari, cose che loro nemmeno vedono.
La presenza di mense nell'Italia vuota non raggiunge il 25% delle scuole, con grandi differenze fra Nord e Sud.
Questi ragazzi (mezzo milione di ragazzi) sono fuori dai radar della nostra politica, nazionale o regionale che sia.
Sono del tutto invisibili.
Lo stato in cui versano i servizi pubblici nelle aree interne del Sud è disastroso e su questo aspetto il confronto con il resto del paese, anche con le aree interne del Nord, è impietoso.
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Gerace e il turismo
Scendendo lungo la statale Ionica verso Reggio Calabria, superata Locri, su un dosso dove l’Aspromonte cade ripido verso lo Ionio c'è il borgo di Gerace, edificato nel X secolo su un deposito antichissimo di ossa di balena, che lo ha preservato dai terremoti e che forse il centro medievale più bello della regione.
Gerace ha preso un'altra strada per attirare popolazioni rispetto a Camini, Riace e Badolato, ma questa strada non è stata scelta dai cittadini, l’ha scelta la regione.
Il borgo è stato selezionato per un finanziamento di 20 milioni di euro stanziati con il cosiddetto bando borghi, per la "rigenerazione culturale, sociale ed economica dei borghi a rischio abbandono e abbandonati".
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Bivongi
Da qualche mese Francesco Cuteri è diventato il direttore di un piccolo museo di arte contemporanea a Bivongi, ai piedi del monte Consolino, dove inizia l'area della Serra San Bruno.
Nell'ingresso del museo sono esposti alcuni dipinti che ritraggono il profilo del monte insieme ad alcuni simboli della cultura aborigena australiana.
Sono opera di un artista aborigeno che è stato ospite del museo nel 2000.
Il museo è stato fondato nel 1988 da Angelina Melia, nata a Bivongi ma cresciuta in Australia.
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Riace e la ricerca metapoietica
Ci vediamo con Lorenzo Romito nei giardini di piazza Vittorio a Roma e ricostruiamo il lavoro fatto insieme a Riace, nel novembre 2018.
Lorenzo è un architetto e un curatore, tra i fondatori di Stalker/Osservatorio Nomade: "la situazione migratoria, la cancellazione della missione italiana europea di salvataggi in mare, la guerra dichiarata del Ministro degli Interni Matteo Salvini alle Ong che si sostituivano nel soccorso, e lo scoppiare della guerra civile in Libia stava portando a un disastro umanitario.
E nel frattempo era esploso il caso Riace, il sindaco Mimmo Lucano era stato sospeso e allontanato dal comune.
Tutto comincia quando condividiamo con gli amici l'appello a ragionare sull'ospitalità, a partire dall'editto della Costitutio Antoniana di Caracalla, del 212 d.C. che realizzò il più grande mondo senza frontiere interne; la legge che permetteva a tutti i viandanti che sono nel mondo la cittadinanza romana e il diritto a migrare ovunque vogliano per via diretta e senza impedimento.
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Più potere all'immaginazione
Nella Calabria Ionica, così come nel resto dell'Italia vuota, tutt'altro che invisibili, gruppi di artisti si stanno impegnando a ripensare i luoghi, proiettandoli nel futuro e prefigurando un nuovo valore d'uso a spazi che lo hanno smarrito, attraverso un percorso di immersione, di astrazione, di concretizzazione.
Il più delle volte sono giovani pionieri profughi della modernità, espulsi dalle città, o in fuga da esse, dall'individualismo che non paga, dal mercato dell'arte che percepiscono come una finzione.
Visionari che parlano di arte pubblica, gli oggetti o gesti che diventano fatti sociali, di arte ricorsiva, impegnata, militante, che è passione per il cambiamento.
Altre volte sono ubiqui, sono cittadini temporanei, sospesi tra centri e margini, tra il desiderio di posizionamento nel mercato metropolitano e necessità di sperimentazione, di ricerca di autenticità, in posti "fuori dal mondo".
Gli artisti dei margini ci si rifugiano per intessere relazioni inedite, invisibili al controllo del potere, e fare esperienze creative di riappropriazione.
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LE DOLOMITI ORIENTALI AL CENTRO D'EUROPA
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L'apocalisse contadina
La battaglia fu una carneficina all'arma bianca, ma il plotone comandato da mio nonno finì per scalzare l'esercito austriaco, che, come si racconta lo storico militare Alessandro Barbero, era in condizioni ancora più miserabili di quello italiano.
Un esercito contadino, tenuto insieme solo dalla disperata necessità di difendere le proprie case, spesso poco più a valle, dagli invasori italiani.
Contadini di qui, contadini di là.
Alcuni storici la designano come l'ultima grande guerra contadina dell'Europa del Sud, altri come la prima vera guerra civile del continente.
In tutti i casi La Grande guerra fu un apocalisse per la civiltà contadina Europea, una catastrofe dalla quale non si sarebbe più ripresa.
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Una terra di frontiera
Il Friuli-Venezia Giulia è stato negli ultimi 150 anni una terra di frontiera.
Con la dissoluzione del blocco dell'Est, nel 1991, e l'ingresso della Slovenia e della Croazia nell'Unione Europea si è trovata ad essere al centro del continente, ma ha beneficiato di questa nuova situazione solo in piccola parte.
Lo stato prolungato di servitù militare ne ha profondamente segnato il territorio e la coda lunga delle violenze del Novecento ancora oggi ne determina, almeno in parte, il destino, non solo quello economico.
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La diga
Dopo il castello di Miramare a Trieste, il "Vajont" è l'attrattore culturale più visitato dell'intera regione Friuli-Venezia Giulia, e contava circa 50.000 presenze l'anno fino al confinamento per il Covid.
I turisti, i curiosi, i viaggiatori, che salgono all'invaso lo fanno lungo la strada che parte da Longarone in provincia di Belluno, il paese che nella notte del 9 ottobre 1963 fu investito dalla gigantesca ondata proveniente dalla diga appena costruita con fondi pubblici che provocò quasi 2.000 morti.
La gran parte di questi visitatori, dopo un giro sulla struttura in cemento armato e al centro visite, prende la via del ritorno ripercorrendo la stessa strada di salita, e scende verso le valli venete.
Solo in pochi proseguono la strada che si addentra nell'angolo forse più selvaggio delle Alpi, le Dolomiti Friulane, dal 2009 dichiarate patrimonio naturale dell'umanità dall'Unesco, dove abbiamo lavorato per circa tre anni alla costruzione di una Strategia d'area.
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Nel 2018 tra il 29 e il 30 ottobre, una tempesta di vento e pioggia mai vista si è abbattuta su queste Valli.
Un vento di scirocco ha soffiato tra i 100 e 200 km orari per due giorni buttando giù circa 14 milioni di alberi, causando frane e vittime.
Dopo, filmati dei droni della protezione civile, decine di migliaia di ettari di foreste di conifere di abete rosso appaiono come un tappeto di aghi di pino, allineati ordinatamente gli uni sugli altri come dopo il passaggio di un enorme rastrello.
Il disastro è stato l'esito congiunto di un evento climatico estremo, ascrivibile al surriscaldamento globale, e ha un'economia fondata sulla monocultura, quella dell'abete rosso.
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Una volta liberato il suolo da tutti i tronchi, un bosco nuovo rinascerà su queste aree, e sarà un bosco diverso, che dovrà tenere conto della necessità della diversificazione economica, delle condizioni climatiche cambiate, con la colonizzazione di piante e coltivi che hanno cominciato, da almeno 15 anni, a risalire la montagna col crescere della temperatura.
Ma c'è un elemento nuovo da tenere in considerazione, il bosco, per quanto coltivato, non è solo il prodotto di un intervento umano.
Le variabili indipendenti da questo sono molte di più di quante pensassimo.
Fuggono dal controllo umano.
Stiamo imparando che fattori esterni, come quelli climatici o pandemici, non determinati dalla società, cambiano la storia e i sistemi economici molto più di quanto non siano in grado di fare eventi determinati dagli uomini come le guerre.
Lo dimostra il fatto che gli animali, e noi fra loro, non potranno sopravvivere in un mondo senza piante più di qualche giorno, mentre se domani l'uomo sparisse le piante prenderebbero gli spazi svuotati della presenza umana, seguendo una loro "razionalità” molto più robusta della nostra e capace continuamente di rigenerarsi, come sta succedendo nella zona rossa interdetta agli umani da 25 anni intorno alla città di Chernobyl.
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La casa armonica
Ma i progetti di ricostruzione non sono stati solo culturali.
Alcune esperienze sembrano indicare che è possibile ricostruire in queste Valli una filiera economica completa, quella che va dal boscaiolo allo strumento finito, evitando, come avviene ora, di venderlo per gran parte, oltre frontiera come materia prima per le grandi segherie austriache.
Un'associazione di architette di Santo Stefano di Cadore, appoggiata dal comune, dal CAF della CGIL del Nord-Est, da un gruppo di imprese private che si occupa della filiera bosco-legno, e dalla Regola di Casada, un bosco pubblico di quasi 5.000 ettari, sta costruendo in Val Visdende una “casa armonica”, una casa interamente costruita con legni di risonanza, che possa diventare una residenza e uno studio per musicisti di tutto il mondo, con anche una sala di registrazione.
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Le regole
Questo e altri progetti sul bosco si fanno all'interno delle "Regole” che è come vengono chiamati da queste parti i terreni a "uso civico".
Le regole che in altre aree del paese vengono chiamate "comunanze", “università agrarie“ sono proprietà collettive, dei residui, delle riserve indiane, dell'economia comunitaria del bosco.
"Nel Medioevo non esisteva un concetto di proprietà privata o, almeno, non nel senso moderno con cui è codificata e accettata oggi.
La sovranità sulle terre era in ogni caso in capo a un'entità sovraordinata, quasi astratta, che poteva essere la corona o la chiesa.
Il possesso e l'uso della terra era invece regolato da specifiche regole che, piuttosto che seguire l'attuale logica della massima utilità marginale, cercavano di garantire la massima diversificazione d'uso, in modo da poter permettere la vita della comunità locali".
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La valle Pesarina e Samuele
Samuele, in val Pesarina, ci è andato a vivere.
Dal Veneto vi si accede da un passo di montagna, l’Incros Forcja di Lavardet in friulano, che segna il confine con il Friuli.
Si entra in una regione diversa delle Alpi, dove alle solari valli venete si sostituiscono i colori più intensi e cupi dell'Europa centrale.
I Balcani non sono lontani, i venti che soffiano da Est portano una gran quantità d'acqua, che cade più che qualsiasi altra parte del paese.
Il senso di abbandono e rarefazione umana è fortissimo, accentuato da un'assenza quasi totale di turismo.
Le case di montagna sono rade, vecchie e decadenti, i muri bianchi anneriti dai fumi di combustione, il bestiame brado pascola in boschi dal verde più cupo.
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Il condominio forestale
Con la collaborazione di un'impresa nata da una costola dell'Università di Udine, è stato costruito un “gemello digitale" del bosco della val Pesarina, che con un sistema di rilevazione laser è in grado di fornire a tutti i possessori delle particelle del bosco, anche se vivono in Australia o non sanno neppure di possederne un pezzo, un link attraverso il quale visionare la proprietà, sapere che tipo di alberi la compongono e qual è il valore che da quella proprietà possono ricavare grazie a una sua gestione forestale attiva e condivisa in percentili, come fosse un condominio di città.
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Il paradigma indiziario
Per immaginare il futuro dei luoghi che sembrano non averne, è utile affiancare le evidenze empiriche, i numeri, che stabiliscono una gerarchia fra i fenomeni socio-economici, all'osservazione diretta, nella quale cercare altre tracce, dei sintomi rilevatori di fenomeni che vivono nei luoghi ma sfuggono alle statistiche, o allo studio dei documenti.
Carlo Ginzburg, in uno dei suoi scritti in assoluto più illuminanti, ripercorre la storia di quello che chiama l’affermarsi di un "paradigma conoscitivo" fondato sulla possibilità di arrivare a una “risposta" imparando a decifrare i particolari meno evidenti, gli scarti, i dati marginalizzati, i riflessi inconsapevoli.
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Orologi e occhiali
Pesariis, il paese che dà il nome alla valle, è oggi una frazione minuscola, meno di 200 gli abitanti, con una centenaria tradizione artigiana e industriale collegata agli orologi.
Il centro del paese, semplice, allegro, ben curato, turistico, è pieno di orologi di tutte le forme e alimentati con tutti i meccanismi.
Di Pesariis e anche la ditta Solari, che negli anni Cinquanta diventò leader a livello europeo nell'orologeria industriale con l'invenzione dell'orologio a palette, quello che fino all'arrivo dei display digitale con i suoi scatti e fruscii faceva da sottofondo alle stazioni ferroviarie di tutta Europa e scandiva i tempi, e che oggi ha spostato la sua sede a Udine.
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I nuovi Montanari
A partire dal 2015 queste regioni si sono trovate investite da un flusso di profughi provenienti dai Balcani, afghani, pakistani, siriani, iracheni, e ora ucraini.
Flusso che con la chiusura della rotta mediterranea è ora noto come "rotta balcanica".
L'abbiamo risalita attraversando Slovenia e Croazia e siamo arrivati a Velika Kladusa, la seconda città del cantone bosniaco di Bihac, incuneato nella Croazia, dove un sindaco locale dalle mille vite ha costruito le sue fortune attraendo e usando i profughi, come già faceva durante la guerra di Bosnia quasi 30 anni fa, per ricattare i vicini e ottenere finanziamenti.
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I CONFINI MOBILI DEL MOLISE
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Un fiume umano
L'improvvisa apparizione del mare doveva sembrare un miracolo per i fiumi di umani e animali che per millenni hanno attraversato l'Italia scendendo lungo il tratturo Magno, quello che da L'Aquila giunge fino alle pianure della Capitanata e a Foggia.
Si lasciavano alle spalle gli altipiani gelati della Majella, l'immensa montagne madre dell'Appennino, e davanti il percorso si faceva piano, e piegava verso le pianure della Puglia.
Nomade è stata l'identità per millenni del Molise.
Non solo pastori, ma merci, popoli e persone di tutti i tipi hanno percorso nei due sensi queste grandi vie di comunicazione: discese in tempi storici dai Longobardi, dagli Avari, dagli eserciti di tutta Europa durante le crociate, risalite da monaci Siriani e Saraceni, dai Bizantini, dagli emigranti greci, da fuggitivi albanesi, dai rom, da prigionieri di guerra alleati alla caduta del fascismo.
Le tracce e il loro passaggio si ritrovano ovunque: nei volti, nei mestieri, nelle lingue, nei riti, nelle architetture.
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Southbeach
Proprio a valere su quest'area, tra il 2020 e il 2021, è stato presentato un progetto immobiliare di vaste dimensioni, da parte di un fondo di investimento cinese, denominato Southbeach, da realizzare su circa 150 ettari di superficie sul tratturo, tra le foci del Trigno e del Mergolo, per un totale di 5 milioni di metri cubi.
Nel misero rendering video del progetto si vedono ville di lusso, palazzi da 8 a 25 piani, ristoranti, alberghi e centri commerciali, senza contare le infrastrutture di collegamento.
Si tratterebbe di uno scempio ambientale e di un mega-intervento speculativo, una devastazione che annienterebbe l'economia locale che sta faticosamente cercando nuove strade di valorizzazione sociale e territoriale attraverso piccole attività e la creazione di un sistema costiero integrato.
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Il linguaggio dei corpi
Questa uscita in Molise è la prima dopo il periodo di confinamento imposto per la pandemia, e dopo mesi di lavoro a distanza.
Per chi fa un lavoro che costringe a stare sul campo, i seminari in videoconferenza con i cittadini, gli incontri on-line tra i sindaci di piccoli comuni vicini sono stati difficili ma sorprendenti, hanno permesso di raggiungere un numero impensabile di persone, e soprattutto di persone giovani, più mobili e inafferrabili.
È stato possibile mettere gente di tutta Europa a lavorare insieme sul futuro di un luogo a cui in qualche forma appartiene, ma dove non necessariamente vivere, e questo ha aperto strade tutte da esplorare per chi si occupa di sviluppo dei territori.
Tornare a guardare il linguaggio dei corpi, forse il più veritiero, dopo tanti mesi di distanziamento, ci ricorda che è dal corpo che passa il confine tra scienza e politica, è nella carne viva di ciascuno di noi che i rapporti tra individui e società e ecosistema lasciano il segno.
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La porta d'accesso
La porta d'accesso al Molise, provenendo dal Centro-Nord del paese, è l'uscita di San Vittore sull'autostrada Roma-Napoli.
Al casello, un anziano frate francescano con gli occhiali sporchissimi, sotto il sole, fa la questua e raccoglie il resto dei biglietti di quei pochi automobilisti che pagano ancora col contante.
Non c'è dubbio che se c'è un posto dove lo stacco fra Italia postmoderna e Italia rurale sia ancora visibile, questo è il Molise, forse la regione più antica d'Italia - non in senso anagrafico, anzi è la più giovane, dato che è stata separata dall'Abruzzo solo nel 1976 -, per certi aspetti una delle poche zone del paese che ha conservato quei caratteri così ben descritti dallo storico inglese Paul Ginsborg nell'introduzione del suo storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi uscito nel 1989.
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Una proposta di sviluppo dal basso
Lavoro in Molise almeno dal 2005, da quando la Comunità Montana di Trivento, un grosso comune che per centinaia d'anni è stato centro di grande importanza lungo i traffici di tratturo, avanzò la proposta di un progetto integrato territoriale: si volevano creare concrete opportunità di lavoro facendo leva sulle caratteristiche naturali e sulle risorse culturali di un territorio bello perché poco antropizzato, e su queste basi attrarre turisti alla ricerca di silenzio.
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Quant'è difficile progettare
La difficoltà a immaginare un futuro, prende le forme di una diffusa incapacità a progettare i percorsi per uscire dalla crisi.
Crisi tanto più evidente per dei ricercatori che lavorano nelle aree interne, e che maneggiano quotidianamente progetti locali: oggi ci si ritrova, in molti casi, davanti a strani oggetti, talvolta sproporzionati, talvolta minimali, quasi sempre l'uno identico all'altro, costruiti mettendo insieme conoscenze preconfezionate e slanci futuribili, spesso col solo obiettivo opportunistico di raggiungere un determinato finanziamento, fiduciosi di trovare poi la maniera, con la complicità della politica, di piegarlo alle esigenze locali.
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Una indagine sul turismo
Ci convinciamo che c'è bisogno di una riflessione condivisa più approfondita su cosa significa sviluppare il turismo, mettere a fuoco di quanto e quale turismo stiamo parlando, e come questa informazione può aiutarci a mettere meglio a punto i progetti.
In Italia sappiamo ben poco dei turisti, forse perché siamo stati il primo paese turistico del mondo, siamo abituati a trovarci di qui e non ci facciamo troppe domande su chi sono e cosa possono lasciare sul territorio.
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Soluzioni narrative
La prima ipotesi di utilizzare il racconto come strumento di sviluppo locale nasceva dalla convinzione, mutuata dalle esperienze della psicologia sociale e dalle pratiche dell'orientamento narrativo, che un territorio, così come un individuo, che avesse difficoltà a raccontare la propria storia, la propria provenienza, gli eventi della propria vita, avesse anche difficoltà a immaginarsi, e quindi a proiettarsi nel futuro.
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Forbici e coltelli
Qualche anno dopo mi sono trovata a fare un'indagine per conto della provincia di Isernia nel paese di Frosolone, l'unico tra i poli industriali delle aree interne molisane che ha mantenuto le caratteristiche di un paese.
La lavorazione dei metalli nell'area di Frosolone è un'attività molto antica che risale almeno all'età longobarda.
Questo piccolo centro di meno di 3.500 abitanti, che fino all'inizio del Novecento era la seconda città del Molise dopo Campobasso, rappresenta un caso molto originale di concentrazione e di attività produttive legate alla tradizione dei ferri taglienti, coltelli, forbici ma non solo.
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La moka da uno
È un po' la vecchia battuta di Massimo Troisi in “Scusate il ritardo”.
Gaetano (Troisi) usufruisce dell'appartamento del professore, durante l'assenza di quest'ultimo.
Gaetano nota che la macchinetta del caffè è per una persona.
Come fa una persona, dice Gaetano nel film, a vivere con una macchinetta da uno? Vuol dire che sa che mai nessun amico verrà a trovarlo.
Perché non si compra una macchinetta da sei, così almeno invita qualcuno a casa? Ecco, tutto l'apparato economico molisano, soprattutto quello dei paesi, funziona secondo questa teoria: la moka da uno.
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Il Molise esiste, e resiste
Sembra averlo compreso bene Mirko Venditti, che fa l’odontotecnico a Rimini, ma torna spesso a Carpinone, un paese in una valle fresca risalendo verso l'Appennino, in vista della catena dei monti del Matese.
Con la sua associazione Molise in Action ha deciso di rendere accessibili le cascate del paese sul fiume Carpino, che ha sempre una bella portata d'acqua anche durante le estati più calde.
Solo una delle cascate è in realtà naturale, le altre, le più alte, sono della centrale elettrica dismessa, e per raggiungerle bisogna seguire un cammino aereo con un corrimano che scende lungo una delle pareti della gola nella quale si getta la cascata sono stati loro dell'associazione a ripristinare il cammino, e a segnare e proteggere i nuovi sentieri che risalgono il bosco fino al paese.
Tengono anche pulito un bel prato, sul fiume, dove hanno messo delle fioriere fatte con pezzi di macchinari e arrugginiti della vecchia chiusa.
Per far conoscere la cascata, i ragazzi hanno inviato invitato e ospitato nel bed and breakfast del paese a Carpinone dei fotografi con un buon seguito sui social, una piccola cosa che ha funzionato.
Nelle estati della pandemia, il numero di turisti negli spazi vuoti del paese è cresciuto moltissimo, e anche qui nelle giornate più calde ci sono centinaia di persone.
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L'alternativa nomade
Antonio di Marzio era un agronomo, un uomo colto e mite, che lavorava per la Comunità Montana del Trigno Sinello.
Mi aveva parlato della necessità di ripartire da un pensiero mobile, da una cultura nomade, da sempre repressa violentemente, ma che qui, come negli altri territori di lunga tradizione agro pastorale, non è mai completamente scomparsa, almeno nella testa delle persone.
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LA SARDEGNA CENTRALE
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Il risveglio del vulcano
Dal pomeriggio del 24 luglio 2021 un incendio immenso, come non se ne vedevano da trent'anni, imperversa per tre giorni sul Montiferru, tra i comuni di Santu Lussurgiu, Tresnuraghes e Cuglieri.
L’incendio è apparso quasi come il risveglio dopo milioni di anni, del vulcano del Montiferru.
Corre sospinto verso nord-ovest da venti di scirocco caldissimi bruciando oltre 20.000 ettari di boschi e pascoli, vigne e uliveti.
Avvolge di ceneri tutta Sardegna occidentale, ed entra nei centri abitati come un meteorite infuocato, distrugge abitazioni, aziende e capannoni, fai esplodere una fabbrica di birra.
Appare subito chiaro a tutti che le istituzioni si muovono troppo lentamente, mentre il fuoco corre e macina decine di chilometri in poche ore.
Sono i cacciatori, i pastori, ma anche gli escursionisti e i bikers, le persone che conoscono il terreno, le strade, i venti, a fornire le prime indicazioni su dove andare e che cosa serve.
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Il nuovo lavoro di Silvia
Silvia è una community manager, lavora per un collettivo di architetti, urbanisti e ingegneri.
Insieme hanno sviluppato delle riflessioni sullo spopolamento della Sardegna interna e avviato delle sperimentazioni per contrastarlo; con loro ha da subito condiviso l'idea che possa funzionare inserire anche nei contesti più piccoli una figura professionale come la sua che si occupi di generare processi di comunità.
Sa che non basta però l'azione sul territorio.
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L'Unione dei Felici
I cinque comuni con cui lavora l'Unione dei Felici sono molto diversi fra loro, hanno promosso un'indagine fra i giovani che è stata legata agli indicatori di felicità elaborati da European Social Services, la rete europea degli operatori di servizi sociali.
In alcuni comuni la risposta è stata scarsissima, alle riunioni hanno partecipato pochissime persone, in altri, laddove già esiste una consulta giovanile, come a Siamaggiore, le cose sono andate meglio.
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Siamaggiore
La mia tata Pina è di Siamaggiore, e racconta tra l'altro, che nel paese, quando era bambina, erano bigotti, e per questo allontanavano la famiglia dalla processione perché erano comunisti.
Era anche un paese di maschi capofamiglia, e la mamma si considerava molto sfortunata perché aveva fatto solo figlie femmine.
A Siamaggiore, racconta ancora Pina, a casa avevano l'energia elettrica solo in tre ambienti, avevano poi una lampada ad acetilene, con la quale si girava per casa.
Il gas non c'era, i fornelli erano in muratura, e lei andava a comprare il carbone alla casa del carbone e lo trascinava fino a casa.
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Il progetto Oece
Nella stessa Sardegna povera raccontata dalla tata Pina, che nel 1956 l'Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (Oece), istituita nel 1948 al fine di controllare la distribuzione degli aiuti statunitensi del piano Marshall per la ricostruzione dell'Europa dopo la seconda Guerra mondiale, impianta un suo progetto incentrato sullo sviluppo di comunità.
Con il piano Marshall sbarcano in Italia le scienze sociali americane, il metodo della ricerca azione territoriale, il sostegno pubblico all'organizzazione dei cittadini in tutti gli ambiti.
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Le allevatrici sarde
La presidente della Cooperativa Allevatrici Sarde racconta che la coop nasce nel 1962, all'interno di una scommessa con l’Oece che nel 1956 aveva individuato una zona molto povera in un triangolo da Macomer a Bosa a Paulilatino, che arrivava fino a Seneghe e Bauladu.
Così vennero presi contatti con le autorità del posto, i sindaci, i carabinieri, il parroco, e si cominciò ad organizzare incontri sul territorio; ma i primi andarono deserti.
Ci si convinse che bisognava lavorare soprattutto con le donne, chiedendosi cosa sapessero fare le donne, e nell'allevamento di bassa corte, cioè dei pulcini e galline, individuato l'elemento su cui provare a far leva per coinvolgerle.
Furono solo 28 le donne che fondarono la cooperativa, ma già alla prima assemblea parteciparono in 200.
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Il monte Santa Vittoria
Il pomeriggio salgo sul monte Santa Vittoria, puntando alla chiesetta che avevo visto dal basso.
Volevo farmi un'idea dell'estensione del paesaggio e dell'area sulla quale stavo lavorando, da quello che sembrava a tutti gli effetti il luogo giusto.
Dalla cima lo sguardo è profondo, l'aria è cristallina, il sole sta tramontando sul mare vivono una striscia rilucente oltre Oristano, che dista una ventina di chilometri da qui.
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Il teatro di Paulilatino
Il teatro Grazia Deledda di Paulilatino ha la facciata monumentale nascosta dentro un piccolo cortile, invisibile dal corso.
Il teatro è stato sistemato nel 2005 all'interno di un palazzo storico, in quello che prima era un salone parrocchiale.
Negli anni Ottanta una compagnia teatrale, il teatro Instabile di Varese, lo vide e decise di farne la propria casa, decidendo di dargli le forme di un teatro lirico, proprio nel mezzo della Sardegna, in un paese di 2.500 anime.
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Il tempio e l'acqua
A Paulilatino c'è anche uno dei posti più sorprendenti della Sardegna: un sito archeologico eccezionale immerso in un parco di ulivi e querce da sughero, che in questa fase dell'anno, privato della loro corteccia sino a metà, mostrano il rosso amaranto del loro tronco spoglio.
Il tempio è un intero santuario: abbiamo resti di base di capanne, per pellegrini o mercanti, era un villaggio temporaneo.
Non sappiamo nulla, è chiaro che l'acqua è il punto focale, ma non sappiamo se il tempio per una divinità legata all'acqua o è rituale, probabilmente legato alla fertilità e alla guarigione.
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La pazzia di Séneghe
C'è qualcosa di vero nella famosa pazzia dei seneghesi, mi dice Maria Giovanna Caddeo, responsabile dell'Area Servizi alla persona, affari generali, culturali, sociali, giovanili di Seneghe: è un comune che da sempre stacca i paesi vicini, si è sempre contraddistinto per alto numero di laureati e professionisti.
Adesso è un paese che ha un buon fermento culturale, conta circa una ventina di associazioni giovanili culturali, con un numero di abitanti che si avvicina a 1.700.
È anche vero che in paese c'è un altro tasso di sofferenza mentale, di patologie psichiatriche.
Il centro di Ghilarza offre servizi di sostegno psicologico, certificati bipolari.
Ma qui i matti sono stati sempre considerati persone geniali, delle risorse, non devi pensare al sofferente mentale abbrutito, sono parte del clima festaiolo che caratterizza il paese, soprattutto in estate.
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Problemi social
La questione social è molto sentita, lo stesso Giovanni, che mi ha raccontato l'incendio e la risposta pronta della popolazione che ha saputo usare i social per costituirsi come comunità di fronte all'incendio, è critico: “i social mi fanno paura, sono strumenti di condizionamento fortissimi, vivi con la paura di essere giudicato, tutti si possono mettere a dire la loro sulle tue scelte, distruggere le persone per noia, senza motivo, senza doversene assumere a pieno la responsabilità appunto dire cose che nel confronto diretto non direbbero mai. Ti fanno sentire un emarginato, perché ti raccontano che tutto quello che c'è fuori da qui è meglio, ti senti anonimo, inesistente”.
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Il lago artificiale
Poco prima di cominciare la discesa verso la valle del Tirso e la diga del Lago di Omodeo, sulla sinistra c'è una strada abbandonata che porta al villaggio operaio che la Società Elettrica Sarda fece costruire qui per ospitare gli operai che vennero a costruire la diga negli anni Venti del secolo scorso, completamente abbandonato alla fine degli anni Ottanta, con la dismissione della centrale idroelettrica della vecchia diga.
Con la nuova diga inaugurata nel 1997, il livello delle acque si è alzato e ha sommerso tutte le strutture precedenti, e dall'altissimo ponte che corre sul lago si vede l'ultimo piano della casa del capo centrale della diga emergere dalle acque.
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Il futuro non è scritto
Shelley mi ha parlato con stupore di Marcello, che ha aperto un laboratorio vegano a Bidonì, in un paese di 139 abitanti, nella lista di quelli che spariranno fra i primi. Sembra una follia, perché lo fa? Per costruirsi un nuovo mondo, dice.
In città, sostiene Marcello, sei sempre in ritardo, tutto quello che avevi pensato è già fatto, e invece qui sembra che tutti stiano aspettando.
Nella sua Casa Museo, a Ghilarza, sono conservati i giocattoli di legno che Antonio Gramsci costruiva con grande attenzione per i suoi figli.
L'infanzia, la famiglia, il paese sono state per uno dei più grandi filosofi del XX secolo un pensiero costante e una risorsa inesauribile di sopravvivenza.
È forse la persona che più ha fatto per far uscire la Sardegna dalla marginalità e renderla cosciente del mondo globale.
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L’AUTORE
Filippo Tantillo, ricercatore, film-maker e attivista, lavora per università e istituti di ricerca italiani ed europei alla messa a punto di nuovi strumenti di ascolto del territorio e dei fenomeni sociali.
Fa parte dell'associazione Riabitare l'Italia ed è forum disuguaglianze e diversità.
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