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Audiolibro «In viaggio con Leopardi»

Non fu un grande viaggiatore Giacomo Leopardi, che mostra un lato di sé insicuro e tutt'altro che amante dell'infinito: un cataplasma ipocondriaco, che dimostra di non saper godere delle bellezze che lo circondano, sempre preso dalle sue paure per la salute, da malanni veri e presunti, e gli spazi grandi delle città.
Uscì da Recanati per la prima volta a venti e rotti anni, e non soggiornò che nelle principali città: Roma, Bologna, Milano, Firenze, Pisa, Napoli.

Leopardi percorse l’Italia per più di un decennio - fra il 1822 e il 1833 - con le carrozze postali dell’epoca, e la giovanile esperienza del «natio borgo selvaggio» colorò di aspettative i suoi viaggi di desideri di evasione e di inevitabili frustrazioni.

Nel libro si descrive con maestria il quadro materiale del viaggiare (le carrozze, le soste alle locande, gli incidenti), e si rileggono le notazioni leopardiane, nelle quali l’acutezza dello sguardo riesce a cogliere in pochi tratti la fisionomia dei luoghi più diversi e l’indole degli abitanti, in quel sovrapporsi di immaginazione e realtà che caratterizza la sensibilità del poeta.

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INTRODUZIONE - L'ultimo orizzonte

Il trauma della partenza - Lo sguardo immaginativo - Città senza mappe

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Il trauma della partenza

L’immaginario che si forma nel corso degli studi scolastici e, per quanto sia possibile dirlo, quello popolare hanno inchiodato Leopardi al «natio borgo selvaggio» di Recanati.

Seppure con notevole ritardo nei confronti del desiderio d’indipendenza e fuga, Leopardi percorre di fatto non poche strade della penisola e si ferma nelle più importanti città.

Quello che più conta inoltre, è che viaggia sugli itinerari tradizionalmente battuti dagli epigoni del Grand Tour e soggiorna nelle città più amate dai viaggiatori stranieri.

Leopardi investe il viaggio di una valenza tipicamente metaforica.

Le sue partenze sono di certo dettate dal bisogno di liberarsi dalla «gabbia», dal «carcere», dalla «prigione» recanatese, eppure costituiscono sempre degli autentici, delle sfide del destino, delle provocazioni del fato e in ultima istanza, la morte.

Né è meno significativo che l’atto stesso del partire si tramuti allora, esaurita ogni possibile procrastinazione, ogni indugio fantastico, in un gesto scomposto, talora forsennato, proprio di chi per prima cosa deve fare forza a se stesso, alla propria paralizzante incertezza.

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Lo sguardo immaginativo

In un passo dello Zibaldone datato 30 novembre 1828, Leopardi scrive che «all’uomo sensibile e immaginoso che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo e immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita ... che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione».

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Città senza mappe

Nel novero dei suoi viaggi Leopardi non conosce approdo effettivo, poiché i luoghi nei quali soggiorna esistono non in sé e per sé, con le loro fisionomie e le loro caratteristiche, ma come lacerazione e distacco dal luogo natìo e quindi come manifestazione della sua mancanza.

La stessa sua tendenza a classificare le città in grandi e piccole e a comunicare lo spaesamento ingenerato dalle prime è strettamente connesso ad un’idea di città che è venuta modellandosi sul proprio luogo d’origine.

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Recanati, luogo nativo per antonomasia

Recanati è sopra un colle amenissimo, che gode un orizzonte e dalla parte del mare e da quella de’ monti. 

L'aria è pura e salubre. 

Poco lungi e il fiume Potenza, luogo attissimo ai bagni anche negli antichi tempi, essendoci ancora i rottami di certe terme che chiamano anfiteatro. 

Poco lungi il mare medesimo. 

Cosicché, se credesse che il mutar aria e i bagni vi potessero giovare, venite, venite qua da me e staremo qualche mese insieme. 

Qua non dico che trovereste una società colta come ci avete in Cesena, ma nel governatore Mazzanti, nel dottor Giulio Podalieri e in qualche altro trovereste dottrina, amore alle buone lettere e un tratto leale ed ameno. 

Vi trovereste poi quel mirabile ingegno del conte Giacomo Leopardi, tanto meritatamente lodato dal Giordani vostro, e la sua compagnia certo che sopra le altre mi piacerebbe. 

Venite a dunque e presto, che non passi stagione. 

Questa bella e singolare descrizione di Recanati pure proprietà termali del Potenza e del medico Francesco Puccinotti che il 9 maggio 1825 la invia al collega Maurizio Bufalini. 

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Da Recanati a Roma

Quando per la prima volta in vita sua Leopardi si mette in viaggio, all’alba del 12 novembre 1822, ha davanti a sé la catena degli Appennini, «In viaggio con quei monti azzurri / ... che varcare un giorno / io mi pensava». 

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Roma, città che non finisce mai

Roma! grida il postiglione con enfasi stereotipata, facendo seguire un melodrammatico schiocco del frustino nell’aria della Campagna solitaria, allorché ad una svolta della strada compare la linea irregolare delle torri, chiese, palazzi su cui s’erge una cupola immensa.

Diari e guide di viaggio salutano in questi termini il fatidico avvistamento.

Al rito non si era sottratto nemmeno Leopardi, come s’è detto, anche se il suo avvistamento non ha tanto la funzione di riconoscere un’immagine simbolica a lungo attesa, quanto quella di impostare sin dagli esordi una singolare chiave di lettura della città.

Leopardi si ferma a Roma dal 23 novembre 1822 al 27 aprile 1823, quindi di nuovo tra l'ottobre del 1831 e il marzo del 1812 e infine per pochi giorni nel settembre del 1833.

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Da Recanati a Bologna

Per quanto desiderata da tempo, la separazione dalla famiglia e dal mondo recanatese è come sempre traumatica per Leopardi.

Il viaggio per Bologna e Milano era stato progettato nel mese di aprile del 1825.

Poco prima di partire tuttavia s’ammala agli occhi.

A luglio, con i primi miglioramenti, la decisione repentina e come sempre forsennata di partire per Bologna.

Leopardi avrebbe rifatto il viaggio da Recanati a Bologna dal 29 aprile al 3 maggio e in una lettera al padre scrive: «Arrivai qui ieri, ma non a tempo per iscrivere. Sto bene, e il viaggio (fuorché agli occhi e alla testa) mi giova tanto, che mi pare il mio stato naturale».

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Da Bologna a Milano

Il viaggio da Bologna a Milano corrisponde ad una delle direttrici viarie più importanti della penisola, battuta dai protagonisti del viaggio in Italia; si tratta di un lungo percorso coincidente con la via Emilia, che viene solo genericamente descritto dai viaggiatori per la monotonia che lo caratterizza.

Se da un lato si presenta come una strada ben tenuta, scorrevole e priva di asperità, gabelle e dogane fanno di tutto per infastidire il viaggiatore.

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Milano e la gran copia del bello

Sin dagli anni della prima giovinezza l’immagine di Milano s’era associata in Leopardi a quella delle fortune editoriali e implicitamente all’idea della gloria letteraria.

«A Milano si stampa quel che si vuole da chi ha la fortuna di trovarvisi, e tutto a conto degli stampatori e con sicurezza degli esiti», così scriveva il poeta con qualche ingenuità nel 1816.

Resta il fatto che Milano è di gran lunga la città con il più alto numero di periodici.

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Bologna ospitalissima

Leopardi è a Bologna in tre momenti diversi.

Della città parla a più riprese nel corso del secondo soggiorno, con toni meno enigmatici di altri viaggiatori stranieri.

A Bologna il poeta spera di poter vivere in relativa indipendenza dai suoi, guadagnandosi l’esistenza con il proprio lavoro intellettuale.

Per Leopardi una città una città e un luogo si caricano di suggestione soltanto nell’assenza o nella lontananza, allorché i loro profili si dissolvono nel ricordo e il loro vagheggiamento non trova impacci nel rapporto quotidiano.

La misura urbana di Bologna e l’atmosfera di calda umanità che vi si respira costituiscono ancora una volta elogio del borgo in opposizione allo spaesamento della grande città dove la gente ignora quella bontà di cuore che a Bologna si trova effettivamente, anzi vi è comunissima.

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Ravenna e le sue antichità

Nell’agosto 1826 Leopardi si trova a Ravenna ospite del marchese Antonio Cavalli che vuol fargli vedere le antichità.

Dopo un viaggio faticoso, i giorni trascorsi a Ravenna dovettero essere abbastanza intensi e sereni per Leopardi.

Di Ravenna, scrive al padre: «Qui si vive quietissimi e con ogni sicurezza, quanto ai privati», forse in relazione ai timori di Monaldo che paventava le turbolenze delle terre pontificie a nord della pacifica Marca d’Ancona.

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Da Bologna a Firenze

Il viaggio da Bologna a Firenze non viene descritto dal Leopardi, ma è agevolmente ricostruibile attraverso le testimonianze dei viaggiatori e le guide coeve.

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Firenze, labirinto d'ombre

«Il vetturino indicò fra le colline la piana dove stagnava una bruma azzurrina e disse: “Ecco Firenze!”»

Guardai ansioso nella direzione indicata e scorsi la cupola che emergeva dalla caligine e l’ampia valle nella quale giaceva la città.

Questo raccontava Felix Mendelssohn Bartholdy nel 1830.

E’ inutile invece cercare in Leopardi un qualche cenno alla cupola o all’avvistamento di Firenze, città nella quale giunge un fulgido mattino del 1827, perché nei suoi occhi si è riacutizzata la cronica infiammazione che lo costringe a cercare il buio come un pipistrello.

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Da Firenze a Pisa

Negli anni venti dell’Ottocento il viaggio da Firenze a Pisa dura otto ore, compresa una fermata intermedia di ristoro.

Lungo i paesaggi e i luoghi della «via lattea nel cielo d’Esperia», case, vigne, villaggi si susseguono quasi senza interruzione per arrivare a Pisa che si può dire sia un sobborgo di Firenza, sebbene ne disti una cinquantina di miglia.

Le fattorie e le ville sono separate le une dalle altre da giardini appena lunghi come passi; e lo stesso si può dire dei villaggi.

Per paura del caldo, Leopardi compie il viaggio al buio.

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Pisa, un misto di città grande e di città piccola

Chissà se viaggiando in direzione di Pisa, in «una di quelle piccole diligenze toscane, che fanno pagar meno che le vetture», Leopardi abbia pensato che la sua strada s’incrociava con quella di Byron.

Pisa era considerata allora dagli stranieri, specie dagli inglesi, un’ottima summer resort «di clima tanto accreditato», come scrive Leopardi alla sorella.

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Da Firenze a Recanati. Da Firenze a Roma per la via di Perugia

Il viaggio di ritorno a Recanati, dopo un anno e mezzo di assenza è ripetutamente annunciato da Leopardi ai familiari, quasi volesse prefigurarlo: «Il mio viaggio, se a Dio piace, no sarà del tutto continuo, perché mi fermerò qualche giorno a Perugia».

L’intero tratto viario fra Firenze e Roma per la via di Arezzo e Perugia sarebbe stato percorso da Leopardi dal 2 all’8 settembre 1833 per non tornare più, infatti, come scrive al padre: «Alla mia salute, che non fu mai così rovinata come ora, avendomi i medici consigliato come sommo rimedio l’aria di Napoli, un mio amicissimo che parte a quella volta ha tanto insistito per condurmi seco nel suo legno ch’io non ho saputo resistere e parto con lui domani».

Il viaggio della durata di sette giorni indica sette tappe nelle migliori locande postali: la prima a Levante, la seconda a Cortona, la terza a Perugia, la quarta a Spoleto, la quinta a Terni dove si sarebbero fermati per vedere la cascata, la sesta a Civita Castellana e la settima a Roma.

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Da Firenze a Roma per la via di Siena

Sia all’andata che al ritorno, Leopardi fa la via di Siena, la celebre via Francigena dei pellegrini, dei mercanti e dei protagonisti del viaggio in Italia.

Ma siccome Leopardi non viaggia mai da turista, non dice nulla di Siena, benché vi sosti sia all’andata che al ritorno.

Invece, pur nella sobrietà delle sue note di viaggio, riferendosi al viaggio di ritorno scrive: «Arrivai qua iersera, dopo sei giorni di prospero viaggio ... e non mi par poco vero, aver superate le alture degli Appennini nei giorni equinoziali senza prender punture, ed aver attraversate quelle orride vie tra Roma e Siena senza essere assassinato».

Proseguendo per le orride vie, passata Bolsena si scavalca l'altura di Montefiascone e, dopo un tratto di strada abbastanza agevole, si giunge a Viterbo di cui non si esaltava molto di più delle fontane.

La tappa successiva è Ronciglione, cittadina situata romanticamente sull’orlo d’una profonda gola dalle pareti scoscese, ma dalla pessima locanda.

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Da Roma a Napoli

La strada fra Roma e Napoli, percorsa da Leopardi e da Antonio Ranieri nell’autunno inoltrato del 1833 in una comoda carrozza a due piazze, costituisce il tratto più meridionale del Grand Tour dell’Europa.

Così ci viene preannunciata da Stendhal «Il primo giorno si va a dormire a Velletri dopo aver attraversato il più bel bosco presso Ariccia, da Roma si sarà andati a Castel Gandolfo, a Frascati e a Tivoli. Il secondo giorno si va a dormire a Terracina, dopo aver attraversato le paludi Pontine. Il terzo giorno a Capua e a mezzogiorno del quarto s’arriva a Napoli».

Alle indicazioni sommarie di Stendhal si deve aggiungere che, poco dopo Ariccia, ha inizio uno dei tratti di strada più infidi del viaggio in Italia, sia per le esalazioni miasmiche della piana paludosa, che per la minaccia dei briganti.

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Napoli

Sulla soglia dell'Ottocento Creuzé de Lesser ricorda il detto che recita: «Vedi Napoli e poi muori», e quindi prosegue dicendo: «Dupray ha cambiato il proverbio in “Vedi Napoli e poi vivi”, da parte mia oserei proporre la variante “Vedi Napoli e poi parti”».

Leopardi ebbe un contatto relativo con la città partenopea e con la sua gente e, malgrado i reiterati riferimenti ad un’imminente partenza, non la lascia più se non per avvicinarsi alle falde del Vesuvio, al volto primigenio della natura.

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L’AUTORE

Attilio Brilli
 (Sansepolcro, 29 marzo 1936) è un anglista, critico letterario e traduttore italiano, storico della letteratura di viaggio.
Professore ordinario di Letteratura angloamericana all'Università di Siena e di Arezzo, si è occupato di letteratura anglofona (in particolare Swift e la satira inglese, Stevenson, James, Ruskin e altri scrittori inglesi, scozzesi, irlandesi e statunitensi), ma soprattutto di memorie di viaggio e del mito del Grand Tour, diventando uno dei più esperti e prolifici ricercatori nel campo della letteratura di viaggio. È stato presidente della Fondazione Museo civico di Sansepolcro. Ha collaborato a riviste come "Studi urbinati di storia, filosofia e letteratura" e alle pagine culturali di giornali, come "Il Sole 24 Ore".

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