Con tutti i suoi incanti la letteratura di viaggio non sempre si rivela una fonte attendibile per chi voglia indagare l'altro, composito volto del viaggio, quello in tessuto di aspettative e di angosce del viaggiatore, e quello prosaicamente quotidiano, legato al suo svolgimento materiale.
A sentirli narrare, gran parte dei viaggiatori sembra che siano mossi senza ingombro del corpo e senza il fardello dei desideri, e che non siano mai rimasti esposti alle intemperie, né abbiano subito incidenti, né siano stati costretti a imbarazzanti i promiscuità.
Una volta dismessa la veste letteraria, tuttavia, i toni cambiano in maniera radicale lasciando emergere il versante nascosto del viaggio.
E’ a questo inedito aspetto del viaggiare, tradizionalmente rimosso, che è dedicato questo libro.
Attraverso lettere e diari privati illustri viaggiatori vengono messi in luce, da un lato, umori, reticenze e brame segrete che il viaggiatore non oserebbe rendere pubbliche, e dall'altro pene e delizie nell'uso della diligenza di posta o della carrozza privata, nonché delle soste nelle locande dai letti “abitati" o amabilmente "guerniti".
Non manca una rassegna completa del guardaroba e del bagaglio del viaggiatore, dai funzionali ”nécessaires de voyage" per le signore, alle biblioteche, agli scrittoi e alle farmacie portatili, agli utensili professionali come la camera ottica per il pittore di paesaggi.
Il tutto per poter affrontare con piacere e con agio l'eterna avventura del viaggio e in particolare del viaggio in Italia.
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IL LATO OSCURO DEL VIAGGIO
Reticenze e umori saturnini - Aspettative nascoste - Prima di esporsi al viaggio - Compagni di viaggio e d’avventura - Mappe reali e montagne immaginarie - Rimesse di denaro e messe «pro itinerantibus»
I giorni di pioggia, gli albergatori rapaci, i vetturini menzogneri, i pranzi immangiabili, i letti che mandavano via il sonno ... tutte queste ombre del quadro non servono che a porre le luci del viaggio in maggiore evidenza e sulla meridiana della memoria restano soltanto le ore del sole. (George Stillman Hillard, 1847)
Reticenze e umori saturnini
Con tutti i suoi stimoli, gli incanti, gli umori, l’immenso corpo della letteratura di viaggio non si dimostra adatto a chi voglia indagare l’altro volto del viaggio, quello intessuto di improvvisi sbalzi di umore, di reticenze e di ubbie, e quello prosaicamente quotidiano, fatto di occorrenze materiali, il versante occulto tradizionalmente rimosso o confinato nell’ombra.
Questo perché nel viaggio in Italia, sin quasi dal suo nascere, la tradizione oleografica si è data, ergendosi a genere letterario.
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Aspettative nascoste
Il vero interesse di tanti viaggiatori diretti in Italia andrebbe ben oltre la vetusta beltà dei monumenti e l’inclita tradizione delle arti e si volgerebbe a scopi quasi sempre inconfessati, protraendosi in soste di cui non si sa, o si fa finta di non sapere assolutamente nulla.
D’altra parte, quando sulla scorta di un ampio dibattito sugli aspetti positivi e negativi del viaggio in Italia s’afferma che il giovane parte dall’Inghilterra, dalla Germania o dai Paesi Bassi con il fare impacciato e imberbe del ragazzo e ritorna a casa con atteggiamenti e movenze di maturo gentiluomo, non si può non considerare questa esperienza alla stregua di un fondamentale rito di passaggio che implica la stessa iniziazione sessuale come parte del rito.
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Prima di esporsi al viaggio
Un caso è il fantasticare sui viaggi a venire, ben altro è il predisporsi, anche mentalmente, alla partenza e magari preparare, come si dice, armi e bagagli.
D’altra parte qualsiasi aristocratico o ricco borghese europeo che avesse deciso di partire per l’Italia, o vi avesse spedito il proprio rampollo, sapeva bene che avrebbe dovuto impostare una solerte opera di progettazione del viaggio e adempiere a lunghi preparativi.
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Compagni di viaggio e d'avventura
Alla complessa fase preparatoria apparteneva, specie quando a partire per l’Italia era il giovane che intendeva conferire il tocco finale al proprio corso di studi, la scelta di uno o più compagni di viaggio.
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Mappe reali e montagne immaginarie
La preparazione del più o meno giovane esordiente viaggiatore, includeva altre incombenze, oltre la predisposizione di schemi generali di riferimento in cui articolare la materia d’osservazione, o la ricerca di idonea compagnia.
Per cui il lettore dovrà aspettarsi un capitolo in prevalenza un regesto di guide, di vademecum, di stradari utili per affrontare con una qualche consapevolezza l’Italia.
Manuali che bisogna comunque conoscere perché è loro tramite che il viaggiatore si prefigura il paese nel suo insieme, si fa un’idea degli italiani, assimila i primi stereotipi e si predispone alle incombenze alle quali adempiere.
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Rimesse di denaro e messe «pro itinerantibus»
I preparativi per la partenza possono essere esaltanti, ma anche terribilmente noiosi.
La burocrazia segnala infatti la propria torbida e intransigente invadenza anche nei preparativi del viaggio in Italia, sin dal suo nascere.
C’era inoltre il problema della salvaguardia del denaro che il viaggiatore si portava appresso; infatti il denaro contante è «d’impiccio e pericoloso» per cui si consigliava: «non si carichi il viaggiatore di minuta moneta, ma ne’ confini di ciascuna città si provveda soltanto di quel denaro che sarà necessario ... e portando denaro in oro, procuri di tenerlo in qualche bastone concavo, dentro le suole delle scarpe, oppure coperto in forma di bottoni nella camiciola».
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IL CORREDO DEL VIAGGIATORE
Elogio del baule e della valigia - Un paio di maneggevoli pistole - Cofanetti di delizie - Scatole magiche - Il guardaroba del viaggiatore
Elogio del baule e della valigia
Se potessimo aprire il bagaglio di Goethe poco dopo che lo scrittore ha varcato il Brennero, cosa vi troveremmo?
Più o meno lo stesso corredo troveremmo nel sacco Hernri Beyle si da quando scorrazzava per la penisola con l’esercito napoleonico, con l’aggiunta di un paio di scarpe con dentro una borsetta contenente un rasoio, forbici, ago e filo.
Ci sono viaggiatori che percorrono l’Italia a piedi con un bagaglio ancora più spartano, e altri che invece si portano dietro la casa.
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Un paio di maneggevoli pistole
Appena salito in carrozza, il viaggiatore fissa con una catena a un apposito gancio del pavimento una cassetta ferrata; giunto alla locanda, la prima cosa che fa è legare la medesima cassetta alle gambe del letto.
Il piccolo forziere portatile custodisce il suo futuro poiché contiene la documentazione che ne certifica l’identità e la possibilità di movimento, le lettere di presentazione e il denaro contante.
Coricarsi con a fianco la spada o tenendo il pugnale sotto il cuscino è poi il consiglio che il Misson, come tanti altri redattori di guide, rivolge al viandante che alloggia in una comune locanda nel corso del Seicento, mentre il Reichard gli suggerisce di avere sempre a portata di mano un paio di pistole cariche, o, per dirla con il gergo dell’epoca, una coppia di maneggevoli terzaroli.
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Cofanetti di delizie
Per gli innumerevoli utensili che contiene e per le funzioni alle quali adempie, il nécessaire de voyage è lo strumento che più di ogni altro è connesso all’arte del viaggiare.
Anzi è l’oggetto prediletto del viaggiatore, il confidente segreto dei suoi desideri, il lenimento delle sue ansie, il suo trastullo preferito.
Questo straordinario feticcio compare alle soglie dell’età moderna e non cessa di perfezionarsi sin quasi agli inizi del Novecento.
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Scatole magiche
Alla confidente e rassicurante famiglia del nécessaire appartengono, da un lato, le dispense per la cucina o contenitori per oggetti d’uso quotidiano e di conforto, e dall’altro le farmacie portatili.
Una serie di utensili elencati dai manuali di viaggio mettono in evidenza come il nécessaire riunisca in maniera razionale ciò che troviamo alla rinfusa nelle sacche del viaggiatore.
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Il guardaroba del viaggiatore
Attorno alla metà dell’Ottocento più di un «monitore della moda» sentenzia che è passato il tempo in cui si mettevano da parte, riservandoli ai viaggi, vestiti stinti o cappelli sformati; gli abiti della nuova itinerante borghesia non devono essere né troppo eleganti, né troppo trasandati, ma assumere un proprio stile e una propria fisionomia.
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IL FRAGORE DELLE RUOTE
La berlina di Napoleone - Metamorfosi della carrozza - Il vetturino non è uno stinco di santo - Un sonno sballottato - La carrozza di famiglia - La vettura attrezzata - La danza delle ore - Avviso ai naviganti - Il fumo della vaporiera - Il ritorno della carrozza, ma senza cavalli - Una bizzarra appendice, il velocipede
La berlina di Napoleone
Un tempo il viaggio era un’esperienza irripetibile che esigeva un’accurata preparazione, oculatezza, prudenza e soprattutto - volendolo rendere il più possibile gradevole - organizzazione, a cominciare dalla scelta e dall’allestimento del mezzo di trasporto.
Tale era la passione per le carrozze da viaggio opportunamente attrezzate e modificate, quando nel 1816 - con la ripresa dei viaggi verso l’Italia, dopo il Congresso di Vienna - venne esposto al pubblico londinese il veicolo con cui Napoleone s’era spostato «come folgore» da un angolo all’altro del continente, tutti i giornali registrarono l’evento.
Si giunse a presentarla come il prototipo della moderna carrozza da viaggio e l’incarnazione dei sogni dei viaggiatori.
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Metamorfosi della carrozza
L’asperità che, in ogni parte d’Europa, caratterizza le vie regie e i percorsi battuti dalle messaggerie postal, prima del Settecento, rende assai più frequente l’impiego del cavallo o di ancor meno nobile cavalcatura, rispetto a quello del carro a due ruote o della carretta a quattro ruote.
Le caratteristiche della carretta, goffo antenato della carrozza, ne limitano l’impiego a zone pianeggianti e a tratti relativamente dritti.
A partire dal Cinquecento, la più importante innovazione concernente la carrozza è l’isolamento del corpo centrale, con l’abitacolo dei passeggeri, dalla struttura del veicolo per mezzo di catene o di cinghie che lo tengono in sospensione, neutralizzando per quanto possibile le scosse della strada.
Con l’avvento del secolo d’oro dei viaggi, il Settecento, le descrizioni di carrozze sono moltissime e non si limitano a istituire una continua relazione tra l’evoluzione tecnica e la comodità del veicolo.
Agli inizi dell’Ottocento le carrozze di posta subiscono sostanziali modifiche, sia per quanto concerne il trasporto dei passeggeri, sia pe quanto riguarda le caratteristiche tecniche.
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Il vetturino non è uno stinco di santo
Imprenditori e inservienti italiani sono sempre in combutta fra loro per defraudare i viaggiatori, scrive Mariana Starke con la consueta diffidenza britannica, per cui il valet-de-chambre che corre a noleggiare un calesse per vostro conto riceve dal proprietario del calesse un salario mensile che grava sul noleggio; il prezzo per ogni artista o artigiano che è assunto, nonché per ogni articolo acquistato, viene maggiorato in maniera illecita dal corriere incaricato di organizzare il viaggio.
Nemmeno il vetturino è uno stinco di santo, se non altro per i continui rapporti di intermediazione che ha con i locandieri, i maniscalchi, gli agenti di posta e la multiforme genia degli inservienti.
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Un sonno sballottato
La diligenza postale, mezzo pubblico ed emblema della mobilità per eccellenza, annulla ogni diversità nell’atmosfera sospesa del viaggio e spinge di per sè ad assumere un atteggiamento liberale e tollerante verso il prossimo.
Tutto predispone il viaggiatore incapace di dormire a raddoppiare la percezione di quel poco che gli resta da vedere.
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La carrozza di famiglia
L’impiego della carrozza privata per il viaggio in Italia è un lusso che pochi viaggiatori si possono concedere, anche se chi si muove per studio e per diporto fra il XVII e il XIX secolo non può che appartenere a famiglia agiata.
Inoltre la carrozza di proprietà va soggetta a tasse doganali che variano da stato a stato.
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La vettura attrezzata
La costruzione di una carrozza è un prodotto di alto artigianato, alcune parti della quale possono essere il risultato di lavorazione in piccola serie.
Nella seconda decade dell’Ottocento molte riviste si prodigano in consigli circa la scelta della carrozza per viaggi lunghi e faticosi.
D’altronde non sono né il cibo scadente, né la mancanza di riposo a rendere sgradevole il viaggio, bensì la carenza di spazio.
Se si potessero assumere tutte le posizioni possibili e immaginabili, potremmo fare il giro del mondo in carrozza.
Oltre al posto per gli occupanti, bisogna pensare a quello per gli effetti personali.
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La danza delle ore
Talvolta si manifesta un senso insopportabile di noia a cui seguono stati di irrequietezza e di disagio.
I frequenti tratti accidentati, le avverse condizioni meteorologiche, la polvere soffocante e la pioggia che penetra ovunque mettono a dura prova la pazienza e la stessa salute del viaggiatore.
Una vera e propria tortura era poi costituita dalle dogane e dalle gabelle con le relative lungaggini vessatorie e, come annota Leopardi, col sentirsi addosso le mani del doganiere.
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Avviso ai naviganti
Fino alla metà dell’Ottocento, il viaggio in Italia di formazione o del viaggio italiano di piacere esclude una permanenza in mare troppo prolungata.
I vascelli che compaiono nei diari e nelle relazioni sono feluche e tartane, scafi agili e leggeri, adatti a bordeggiare sotto costa o a percorrere tratti relativamente brevi di mare aperto.
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Il fumo della vaporiera
Verso la metà dell’Ottocento diverse località europee, compresi alcuni centri italiani, vengono collegate da un nuovo mezzo di locomozione destinato a incidere in maniera determinante sui vari generi di viaggio, ad abbattere costi e tempi di percorrenza, e ad annullare i tradizionali inconvenienti e le non poche scomodità dei viaggi in carrozza.
Per il viaggiatore straniero che percorre l’Italia unita, il treno costituisce una notevole comodità, pur con qualche residua nostalgia.
Da un lato infatti la ferrovia ricalca per tratte sempre più lunghe l’itinerario postale rimasto immutato nel corso degli ultimi due secoli, dall’altro inaugura nuovi tronchi che percorrono anche trasversalmente la penisola consentendo di raggiungere località da sempre escluse nel tradizionale viaggio in Italia.
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Il ritorno della carrozza, ma senza cavalli
Sulla scia del solidale richiamo che si instaura fra la carrozza e la sua versione meccanica - la carrozza senza cavalli, appunto - si considera sempre più di frequente il treno come un mezzo antitetico allo spirito più autentico del viaggiatore.
Nel suo viaggio in Italia del 1903, Otto Julius Bierbaum annota che, se si escludono stazioni e grand hotel, il treno non ha affatto avvicinato città e culture come ci si sarebbe aspettato.
D’altra parte, colui che usa il treno si limita a scambiare la propria stanza con uno scompartimento che chiunque può altrettanto legittimamente occupare.
Nel 1907, tessendo l’elogio dell’automobile, Octave Mirbeau insiste nel sostenere che la ferrovia, con le sue strade prigioniere, non può favorire la conoscenza dei paesi che attraversa.
Il disprezzo per la ferrovia manifestato dai neofiti del cavallo meccanico rivela, oltre a un indomito spirito di libertà e d’avventura, anche la latente insofferenza nei confronti di un turismo sempre più diffuso e invadente.
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Una bizzarra appendice, il velocipede
C’è anche chi, nella seconda parte dell’Ottocento, viaggia con maggiore fatica, sollevando meno polvere e facendo molto meno strepito.
a due posti e portabagagli.
Antesignano della bicicletta, il triciclo si presenta sin dall’inizio come uno straordinario generatore di storie, infatti la sua comparsa sollecita curiosità e meraviglia.
Se si escludono i protagonisti di rinomati viaggi a piedi, è la prima volta che il viaggiatore straniero si trova gomito a gomito con il campagnolo, il mercato ambulante, il saltimbanco e il frate cercatore.
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NEL CORSO DEL VIAGGIO
Le vie del Signore sono infinite - Acqua sul mozzo fumante - Incidenti ed emergenze di stagione - Di gran carriera, scontri e incontri - Voci di briganti - Via mare, l’incubo della quarantena
Le vie del Signore sono infinite
La carrozza di cui abbiamo parlato può sembrare come La diligenza di Tarascona di Vincent Van Gogh, pittoresco, esausto veicolo esibito senza cavalli sotto il sole impietoso della Provenza, o può apparire come la carrozza di Napoleone, ambito trofeo di guerra dato in pasto alla curiosità e all’immaginazione dei londinesi.
E’ giunto quindi il momento di lasciar libero il veicolo e di vederlo percorrere finalmente le strade del viaggio in Italia.
L’impiego delle slitte viene poi sostituito dall’uso di leggeri sedili di vimini montati su stanghe su cui prende posto il viaggiatore.
La portantina ritorna anche se molto differente e con diversa funzione, nelle Calabrie e in Sicilia, in quelli che vengono considerati fino a tutto l'Ottocento i tratturi più pittoreschi e accidentati del continente.
Alexandre Dumas ce la descrive nel 1835 come una lettiga per due persone le quali, invece di sedere a fianco l’una all’altra, si trovano faccia a faccia o, sarebbe il caso di dire, muso contro muso.
La lettiga è montata su stanghe fatte in modo da adattarsi al groppone di una coppia di muli.
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Acqua sul mozzo fumante
L’incidente è il sale del viaggio poiché ne mette in luce l’insicurezza, l'aleatorietà e l’appartenenza al reame dell’avventura.
Quando poi si verifica l’usura concomitante della ruota e dell’assale, il viaggio può trasformarsi in un vero e proprio tribolo.
Ce ne parla con straordinaria competenza e dovizia di particolari, in una lettera del 1845, John Ruskin il quale se la prende con il venditore della carrozza che gli ha affibbiato delle ruote talmente difettose che il legno si è consumato girando sul mozzo dopo essere saltata la guarnizione.
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Incidenti ed emergenze di stagione
Gli incidenti di viaggio, specie quelli più inconsueti, vengono tramandati dalle guide che ne fanno l’oggetto prediletto di narrazione.
Se i guai maggiori per le carrozze derivano, in periodi di secco, dalle strade sconnesse, incise da carrarecce, e soprattutto dalle pietre vaganti che possono mandare in frantumi una ruota, in periodo di pioggia sono le inondazioni di vie e campagne a costituire l’intralcio più grave del viaggio.
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Di gran carriera, scontri e incontri
La velocità sembrerebbe una prerogativa legata ad altri e più moderni mezzi di locomozione che non siano le diligenze di posta o le padronali, emblemi di un viaggio senza fremiti, lento e quasi sempre regolare.
I viaggiatori parlano di rado della velocità e di incidenti a essa connessi nei loro memoriali, e men che meno nelle relazioni di viaggio con qualche ambizione letteraria.
Eppure una scorsa ai disegni e alle incisioni di umoristici illustratori dimostra che esiste un altro aspetto del viaggio, che ci sono occasioni nelle quali anche le più corpulente carrozze sembrano scosse da un brivido improvviso, mentre i più sfiancati ronzini ritrovano una vitalità insospettata.
La strada è anche il luogo degli incontri fortuiti, spesso piacevoli e qualche volta divertenti.
Talora può essere un incidente a provocare l’incontro fra due veicoli.
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Voci di briganti
Nella trama narrativa, l’avventura quasi sempre a lieto fine dell’incontro coi briganti conferisce un’aurea romanzesca ai racconti dei viaggiatori.
Due sono i luoghi dell’avventura della quale ogni viaggiatore può attendersi di diventare protagonista e attore: la strada e la locanda.
Nella prima si annuncia e si consuma l’evento, nella seconda se ne favoleggia: rara è la narrazione del dramma in presa diretta o in prima persona.
Tutti narrano di storie assolutamente veritiere, ma sempre capitate ad altri.
Il sentito dire è il consueto veicolo di trasmissione, l’iperbole è la figura retorica dominante e il tono a metà via fra il melodramma e l’opera buffa.
La minaccia dei briganti è un ingrediente che rende sapido il viaggio e lo movimenta nei tratti più sonnolenti, un’emergenza in vario modo annunciata e quasi sempre provvidenzialmente differita.
Non c’è viandante che non ne abbia sentito parlare e non si senta a sua volta in obbligo di diffondere la notizia.
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Via mare, l'incubo della quarantena
Ai pericoli dei pirati, ai dirottamenti e alle dilazioni dovute alle tempeste di mare, al mutare o al repentino cadere dei venti, quanti ricorrono ai navigli devono spesso aggiungere l’incubo della quarantena.
Nei periodi di pestilenza non c’è bolletta o patente di sanità che possa evitare al malcapitato navigante un soggiorno coatto nel lazzaretto del porto di approdo.
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LA TRADIZIONE OSPITALIERA
Alberghi e camere locande - Le sale dei dei cavalieri erranti - Incognite e sorprese della camera da letto - Borbottii della cucina - Caffè degli artisti - Viaggiatori alle terme
Alberghi e camere locande
Affidarsi all’ospitalità privata mediante il sistema delle lettere commendatizie è un modo ricorrente messo in voga dai viaggiatori del Grand Tour e poi usato in maniera indiscriminata nel viaggio italiano.
Il viaggiatore che non ricorre all’ospitalità privata, al beau monde felice di accogliere un suo pari di un altro paese, giunto in un centro di media grandezza, può rivolgersi alle comuni osterie e agli alberghi, oppure alle così dette camere locande.
Meno costose degli alberghi e più decorose delle scalcinate osterie postali, le camere locande garantiscono vitto e alloggio, compreso il servizio di lavanderia.
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Le sale dei cavalieri erranti
La locanda nella quale fanno sosta i viaggiatori nel corso dell’Ottocento è passata attraverso due fasi.
In una prima fase si separa la cucina dalle camere da letto e si fa recedere nella mitologia dei viaggi il tempo in cui la locanda consisteva in uno stanzone unico, buio come una spelonca, abitato da uomini e bestie in totale promiscuità.
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Incognite e sorprese della camera da letto
Per il viaggiatore che, stanco e frastornato da un lungo viaggio, smonta a una locanda, la camera da letto rappresenta l’agognato porto di requie, lo spazio chiuso, a suo modo protettivo, da opporre per la durata della notte alla fuga interminabile della strada, allo sballottamento della carrozza, all’inclemenza degli elementi atmosferici.
Eppure l’ospitalità delle locande, specie se fuori mano, riserva talora qualche incognita e può rendere la sosta ancora più turbolenta della tappa appena conclusa.
Viene consigliato, per rimediare ai pessimi alloggi, se non ci si porta appresso un lettuccio smontabile completo di tutto, bisogna almeno rifornirsi di lenzuola e di coperte, e «non per essere schizzinosi», ma per salvaguardare la propria salute.
Si ricorda poi che nelle locande postali, per mancanza di serrature e chiavistelli, le porte delle singole camere restano sempre aperte.
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Borbottii della cucina
Richiesto di informazioni sulla cucina italiana, un viaggiatore straniero del Settecento non potrebbe che rispondere con le parole di un autore di una diffusissima guida: «In Italia il cibo è buono e abbondante. Eccellente la vitella mongana così come la carne di maiale. Più scadente è quella di montone. Hanno anche carne di capretto, di cervo e di capriolo che però risulta troppo magra. Pollame e volatili sono di ottima qualità».
Le guide turistiche delle città offrono, dalla fine del Settecento, veri e propri elenchi di alberghi e di trattorie con i menù più caratteristici.
Talora le predilezioni e le stesse ricorrenze dei cibi vengono interpretate dai viaggiatori come manifestazioni del temperamento locale, alludendo a veri e propri condizionamenti climatici.
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Caffè degli artisti
Ci sono poi locali urbani nei quali l’arte e la letteratura hanno pigramente indugiato e dove, in certi momenti della storia, si sono concentrati personaggi della cultura internazionale.
Fra questi meritano particolare attenzione le sale dei caffè delle maggiori città, specie nei casi in cui diventano punti di riferimento della vita culturale.
Grazie alla loro fama, queste non tardano a trasformarsi in veri e propri santuari per i nuovi venuti e in tappe d’obbligo per i forestieri in visita alla città.
Non c’è viaggiatore che non faccia cenno ai caffè alla moda e non c’è guida che non li annoveri fra i luoghi celebri della città.
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Viaggiatori alle terme
Per quanto il recupero della salute sia uno dei motivi che spingono a effettuare il viaggio in Italia, fino alla fine dell’Ottocento non esiste un’effettiva tradizione di turismo termale sul tipo di quello di altre nazioni europee.
Ciò non toglie che sino dal Cinquecento si faccia sosta presso quelle che venivano chiamate locande termali.
Ma come è noto, la fortuna di queste stazioni anche presso i viaggiatori stranieri è un fenomeno tipicamente borghese, allorché la sosta alle terme acquista un’articolata valenza edonistica e un'implicita componente erotica.
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Viaggi di ritorno
C'è una sorta di richiamo a distanza nel renitente silenzio del viaggiatore.
Così come nulla ci dice nella sua relazione delle aspettative più intime che prefigurano in viaggio, nulla ci narra del suo ritorno, del rientro nel tempo scandito dalle incombenze, dalle necessità e dagli obblighi quotidiani: in una parola, del suo riassorbimento nell'alveo delle abitudini.
Giunto al termine dell'itinerario peninsulare, il viaggiatore si affretta verso casa nella consapevolezza che il ritorno è solo veloce spostamento, tappe forzate verso la conclusione, cecità e disinteresse nei confronti dei luoghi attraversati, accumulo crescente della fatica.
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L’AUTORE
Attilio Brilli (Sansepolcro, 29 marzo 1936) è un anglista, critico letterario e traduttore italiano, storico della letteratura di viaggio.
Professore ordinario di Letteratura angloamericana all'Università di Siena e di Arezzo, si è occupato di letteratura anglofona (in particolare Swift e la satira inglese, Stevenson, James, Ruskin e altri scrittori inglesi, scozzesi, irlandesi e statunitensi), ma soprattutto di memorie di viaggio e del mito del Grand Tour, diventando uno dei più esperti e prolifici ricercatori nel campo della letteratura di viaggio. È stato presidente della Fondazione Museo civico di Sansepolcro. Ha collaborato a riviste come "Studi urbinati di storia, filosofia e letteratura" e alle pagine culturali di giornali, come "Il Sole 24 Ore".
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