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Viaggio per l'Italia nel 1833 della Marchesa Giulia di Barolo

Le lettere d’amicizia a Silvio Pellico dal 2 novembre 1833  al 16 aprile 1834, permettono al lettore di viaggiare nell’Italia dell’Ottocento rivedendo le atmosfere delle nostre grandi città con gli occhi vivaci e il cuore di Giulia di Barolo.

In queste lettere a Silvio Pellico è rivelato gusto e piacere descrittivo.

La marchesa di Barolo oltre a dipingere con le parole e innestarvi considerazioni morali, non ha mai i toni cattedratici o saccenti dell'erudito. 

Si intuisce piuttosto un'emozione vera e profonda. 

Il suo stile epistolare intanto è esteticamente valido in quanto suscita sensazioni che prescindono dalla forma e vanno nella profondità del cuore o attraggono nella altitudine della mente. 

Un senso di meraviglia per il bello aleggia nei racconti e nelle riflessioni, o si insinua negli stupori di scoperte archeologiche: tutto è così vividamente tratteggiato che ci si sente coinvolti e immersi in quelle atmosfere.

Diremo brevemente che si tratta del puntuale resoconto di un viaggio in Italia, che inizia a Firenze il 2 novembre 1833 e si chiude a Forlì l'11 Aprile 1834. 

Queste lettere, che comprendono descrizioni di luoghi di accadimenti, sono notevoli per lo stile letterario sobrio e incisivo, così come efficaci per le molte riflessioni di carattere filosofico, religioso, artistico, ecc., da parte della marchesa.

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Santa Croce - Firenze, 2 novembre 1833

Voi sapete quanto io abbia desiderato di fare questo viaggio per l’Italia in vostra compagnia.

Le condizioni di famiglia non vi permisero di appagare il mio desiderio.

Quanto mi sarei goduta vedendovi rapito d’ammirazione dinnanzi a quei luoghi e monumenti, a cui tante volte si è ispirato il vostro ingegno!

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Boboli - Firenze, 4 novembre 1833

La passeggiata a Boboli questa mattina l’ho fatta in vostra compagnia.

Ricordo che, avendo visitato altra volta questo famoso giardino, non erami piaciuto molto.

Avevo in esso trovato troppo studio ed artifizio.

I viali allineati sempre, e come tirati a squadra; le siepi monotone nel loro verde non interrotto e tutte ad un’altezza; le file degli alberi troppo serrate. 

Sicché i viali hanno l’aspetto di corridoi lunghi e pesanti.

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I forestieri di Firenze - Firenze, 6 novembre 1833

La folla di forestieri di cui quest'anno rigurgita Firenze è straordinaria.

Si direbbe un’invasione dei popoli del Nord.

Essi non discendono più in Italia per opprimere e far sangue.

Molti vengono da noi col fine innocente di rallegrarsi, e godere del cielo beato della Toscana, sebbene, a dir vero, a pochi poi rischiari la mente e scaldi il cuore questo sole veramente splendido ed ispiratore.

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S. Maria Maddalena de' Pazzi - Firenze, 22 novembre 1833

Ieri sono stata al convento di Santa Maria Maddalena de' Pazzi.

Avevo desiderio di visitarlo, credendo che fosse quello già abitato dalla Santa.

Le Religiose mi dissero che vi riposa bene il corpo di lei, ma che la casa abitata dalla Santa fu abbandonata pochi anni dopo la sua morte, perché malsana.

Il convento dunque perdeva ai miei occhi non poco del suo interesse: devo assicurarvi tuttavia che ne trovai di molto nel farne la visita.

Vige in esso, in tutta l'estensione della parola, l’ordine più perfetto; e pur mettendo piede in quelle sacre soglie, siete colpiti del profondo silenzio che vi regna, non interrotto che dalla preghiera.

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San Miniato - Firenze, 6 dicembre 1833

Da ben quindici giorni non mi son fermata a ragionare con voi.

Sebbene vi scrissi ogni di qualche linea, e vi ho messo a parte dei miei crucci.

Stamattina siamo andati insieme a San Miniato.

Voi vedreste volentieri San Miniato, soprattutto la cappella che è di sotto.

La luce vi entra debole ed incerta; gli ornamenti hanno qualcosa di fantastico e di vario, come i secoli che li hanno ammontati.

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Tristezza e rimpianti nel lasciar Firenze - Arezzo, 12 dicembre 1833

Partendo da Firenze io ero tutta triste.

Avevo in essa lasciate persone care.

Il primo tratto del nostro viaggio è stato penoso.

Le vie sono orribili, e poi si è provato un po’ di tutto nel breve tragitto: pioggia, vento, lampi, tuoni; anche un nevischio così fitto, che in poco di un’ora fece biancheggiare la campagna.

Tali contrarietà mi resero sempre più triste.

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Il lago Trasimeno - Perugia, 13 dicembre 1833

Oggi traversammo con un tempo delizioso, un bellissimo paesaggio.

Annibale non avrebbe potuto desiderare maggiore pompa di sole.

Abbiamo costeggiato, per tutta la sua lunghezza, il lago Trasimeno.

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Il tempio di Clitunno - Civita Castellana, 15 dicembre 1833

Valicato appena l’Appennino, parvemi ritornato l’autunno.

Le colline, per cui si discende verso Roma, meglio che altro paese, armonizzano in questi mesi colla condizione presente d’Italia.

Splende in essa ancora della bellezza e dell’incanto; ma quasi ricordo di un'altra bellezza maggiore, passata.

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La Campagna Romana - Roma, 16 dicembre 1833

Prima di arrivare a Roma caminammo una buona giornata per una campagna quasi affatto deserta.

Solo qua e là nella vasta solitudine: d’altra opera umana nessuna traccia.

Numerosi branchi di capre, tutte di pelo bianco, e buoi grigiatri dalle lunghe corna, coi loro custodi, sono i soli esseri viventi che s’incontrano.

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San Pietro e il Colosseo - Roma, 17 dicembre 1833

Restando a Roma una giornata soltanto, che devo consacrare alle mie devozioni, non mi fermerò a parlari dell’eterna Città.

Abbiamo tuttavia fatta una corsa a San Pietro, dove meglio che altrove (sebbene tutte le chiese a Roma siano splendide e maestose), si sente la grandezza di Dio.

Fummo anche un momento al Colosseo, dove non si può frenare la meraviglia al pensiero che sono bastati pochi anni per innalzare una mole così smisurata.

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La tomba di Nerone - Velletri, 18 dicembre 1833

La campagna di Roma, per dove passa la via che conduce a Napoli, è piena di grandiose rovine di monumenti ed acquedotti; mentre dalla parte opposta non si vede che la tomba di Nerone.

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Le Paludi Pontine e poi Terracina - Terracina, 19 dicembre 1833

Gradisco le Paludi Pontine, quell’immenso pieno di verzura, a cui il solo confine è il mare da una parte, dall’altra le montagne.

E queste popolate di mandre numerosissime di buoi, di bufali, di cavalli allo stato selvaggio, che anno, vengono, volteggiano e corrono in libertà.

Siamo giunti a Terracina prima del cader del sole, e restando del tempo, ci siamo fatti condurre alla parte alta del caseggiato.

Qui mi bisognerebbe il pennello per darvi un’idea della piccola e ridente cittadina, e della vegetazione che le fa da cornice, così diversa da quella delle campagne.

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La città ed il golfo di Napoli - Napoli, 21 dicembre 1833

Siamo a Napoli da cinque giorni: ma io ero così stanca, e con tante lettere da scrivere, che lasciai in dimentico la vostra corrispondenza.

Difficilmente potreste farvi un'idea della moltitudine infinita, di cui brulica questa grande città, del lusso e della miseria che per tutto in essa si spiega, del numero stragrande di veicoli d’ogni forma e qualità, dalle carriole a mano ai superbi equipaggi ed ai cocchi splendenti d’oro, che s’incalzano incessantemente per le vie tra una plebaglia quasi nuda, che passa la vita nel fango, come nel suo elemento.

Tutta questa gente vocia, grida, s’agita, si sospinge; credebbesi in orgasmo per qualche grande avvenimento: nulla affatto; si urtano, si abbattono, si calpestano, per giungere prima a vendere un piccolo pesce, od un pugno di legumi.

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Il teatro di Ercolano e le catacombe di S. Gennaro - Napoli, 28 dicembre 1833

A pochi giorni d’intervallo sono stata a visitare due resti di antiche rovine, le quali produssero in me un effetto assai diverso l’uno dall’altro: il teatro di Ercolano e le catacombe di San Gennaro.

Nel teatro di Ercolano tutto è desolazione: la rimembranza stessa degli spettacoli e delle feste, onde quel luogo fu già lieto, concorre a fare più grave il senso di terrore che invade l’anima sotto le oscure volte della lava distruggitrice.

Ieri siamo stati alle catacombe di San Gennaro, che, come pare, furono costruite come comunicazione tra una città e l’altra, a Nola a Portici.

Poi vennero utilizzate dai Cristiani nelle persecuzioni.

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Pensieri al cominciare del nuovo anno - Napoli, 1° gennaio 1834

Pensavo guardando il mare ed i suoi flutti che si incalzano senza posa, senza lasciare traccia di sé, come molti dei miei giorni passati.

Quello d’oggi non tarderà ad aggiungersi alla serie lunga degli altri!

Quali fantasie corrono al pensiero quando si è soli, non distratti da cosa che interessi, quando nessuna voce amica rivolge una parola dolce che risponde a ciò che si ha nel cuore.

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A Mugnano del Cardinale - Napoli, 9 gennaio 1834

Intrapresi una specie di pellegrinaggio a Mugnano del Cardinale, ove si venera il corpo di Santa Filomena, martire nella persecuzione di Diocleziano.

I prodigi e le grazie operate da questa Santa sono tanti, e così universalmente confessati, che chi dubitasse dell’intercessione dei Beati a nostro vantaggio, sarebbe forzato a credervi.

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A Villa Reale e a Posillipo - Napoli, 10 gennaio 1834

Le lettere d’amicizia a Silvio Pellico dal 2 novembre 1833  al 16 aprile 1834, permettono al lettore di viaggiare nell’Italia dell’Ottocento rivedendo le atmosfere delle nostre grandi città con gli occhi vivaci e il cuore di Giulia di Barolo.

Più che la città, mi piacciono i dintorni di Napoli.

Ogni volta che sono libera esco a fare la mia passeggiata a Villa Reale, o sullo stradone a Mergellina e Posillipo.

Villa Reale è senza dubbio uno dei giardini più deliziosi che abbia mai visto.

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A Pozzuoli e a Baia - Napoli, 12 gennaio 1834

Abbiamo fatto una corsa a Pozzuoli sopra di una barchetta, che ci portò pure a vedere il porto di Miseno ed il grande serbatoio onde rifornivasi d’acqua la flotta romana; opera veramente ammirabile e ben conservata.

Abbiamo visitato anche i luoghi dell’antica Baia, e percorso una dopo l’altra le rovine dei suoi templi, delle sue ville, un dì così famose per il lusso e i vizi dei loro padroni.

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La Malibran al San Carlo - Napoli, 14 gennaio 1834

Sono stata al teatro San Carlo per sentirvi la Malibran: e a dir vero non sono scontenta di una straordinarietà come questa.

Essa possiede la più bella voce che io udissi mai.

Ridereste, non è vero, se vi dicessi che trovai il suo cantare sublime?

Eppure ho conoscenza di non esagerare, affermando che mi è parso così appunto.

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Pompei - Napoli, 15 gennaio 1834

I dipinti e le descrizioni che corrono a Pompei danno un’idea esatta di quello che si vede: cose parecchie della vita intima, piuttosto meschine: profusione di ornati di stucco, non sempre di buon gusto: pitture aggraziate, immaginose e fresche ancora di colorito: un’infinità di gingilli ed oggettini fragilissimi, ben conservati, mentre giacciono rasi al suolo i più bei monumenti di pietra e marmo.

E’ un popolo, una città intera che fu annientata in un istante!

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A Benevento - Napoli, 19 gennaio 1834

Ieri abbiamo fatto una corsa a Benevento per visitarvi un monumento d’antichità romana, assai ben conservato.

E’ un arco trionfale eretto in onore dell’imperatore Traiano; non grande, ma di giuste proporzioni, e con ornati di bellezza ammirabile.

Ben diciassette secoli hanno battuto le ali su quelle pietre, senza lasciare quasi il segno di loro.

In Benevento andammo pure a visitare il chiostro di Santa Sofia: monumento di architettura lombarda, convertito ora in caserma, ma colle colonne e gli archi perfettamente conservati.

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Cuma, Linterno e la Via Campana - Napoli, 24 gennaio 1834

Siamo tornati un’altra volta a Pozzuoli, ma dalla spiaggia opposta a quella che avevamo già visitata.

Il suolo è ingombro di rovine: sotto i piedi di chi passa sta sepolta la città di Cuma.

Lontano si vede il colle dove sorgeva l’antica Linterno, detta ora Patria.

Lasciando poi i dintorni di Pozzuoli, con lunga passeggiata ci portammo alla Via Campana, detta pure dei Sepolcri, dove si cammina sul battuto romano, e per quasi sette miglia le tombe fanno ala allo stradone.

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Gaetano e la sua banda - Napoli, 4 febbraio 1834

Pochi giorni e poi lasceremo Napoli, ma non voglio tuttavia metter mano alle valigie senza raccontarvi un’avventura, che meglio di cento discorsi gioverà a farvi conoscere l’indole di queste popolazioni, buone senza dubbio, ma per mancanza di educazione capaci di qualunque più sfrenato ardimento.

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La Basilica di San Pietro - Roma, 8 febbraio 1834

La Basilica di San Pietro è l’opera dell’uomo che meno si discosta da quelle di Dio.

Nell’insieme del vastissimo tempio, come nei minuti suoi particolari, c’è una grandezza, un’abbondanza, una finitezza che non si ammira se non nelle produzioni della natura.

Tuttavia, a ben osservare ci si scorge l’imperfezione della mano dell’uomo.

Non pochi dei lavori lasciano qualche cosa da desiderare.

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A Villa Pamfili - Roma, 9 febbraio 1834

Una passeggiata a Villa Pamfili, per riposare dal chiasso e dallo stordimento del carnevale, fa del bene al corpo ed allo spirito.

Non è tuttavia nella parte più ammirata del vasto giardino ch’io amo di recarmi a diporto.

Ricchezze senza fine ivi si sono profuse per dare ordine e varietà al terreno, per farvi radicare le piante più rare e pellegrine, per rallegrare il visitatore di zampilli, di getti, di giuochi d’acqua in tutte le direzioni, per far pompa insomma di opere e di danaro.

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Le Gallerie Colonna e Doria - Roma, 10 febbraio 1834

Stamane ho visitato le Gallerie Sciarra Colonna e Doria, e non finirei se volessi dirvi tutte le cose belle in esse vedute; tele, paesaggi, madonne, ritratti degli autori più celebrati.

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Il carnevale e la corsa dei barberi - Roma, 11 febbraio 1834

Debbo farvi parola del carnevale di Roma, ora che sono oltremodo lieta che sia finito?

Il chiasso e la folla di questo tempo mi hanno sempre dato tristezza, ma in nessun luogo per avventura di più che a Roma.

Il numero dei mascherati era ieri grandissimo: giovani, vecchi, ricchi, poveri, tutti vogliono darsi spasso e mostrarsi diversi da quello che sono; non è cosa che fa pena a pensarvi?

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San Giovanni e San Paolo - Roma, 15 febbraio 1834

Oggi si è visitata la chiesa di San Giovanni e di San Paolo, due fratelli martiri.

Alla medesima è unita una casa di religiosi, la quale fu innalzata sulle rovine del Vicario di Domiziano.

In esso il crudele imperatore faceva pascere e guardare le fiere destinate a sbranare i Cristiani: ora è un luogo di orazione!

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Il Colosseo - Roma, 22 febbraio 1834

Ho riveduto ieri sera al chiaror della luna il Colosseo, e sono stata, come anni orsono, presa da un sentimento di terrore.

La mole dell’immenso edificio, quando v’entra per le innumerevoli arcate il raggio della luna, sembra lo scheletro di un mostro immane divoratore dell’umana famiglia.

E gli accrescono terrore il color funereo della costruzione, e il profondo silenzio della solitudine all’intorno.

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Premiazione al Campidoglio - Roma, 24 febbraio 1834

Mi sono dimenticata d’informarvi a suo tempo di una solennità, a cui ho preso parte in Campidoglio.

Nei primi giorni che ero a Roma vi si fece la distribuzione dei premi vinti in pubblico concorso da cinque pittori e scultori.

In quell’occasione parecchi accademisti lessero delle poesie, e primo di tutti il presidente fece un prolisso e poco intellegibile discorso.

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Il tramonto del sole da Monte Pincio - Roma, 26 febbraio 1834

Ogni volta che posso mi reco a far la passeggiata della sera a Monte Pincio, per vedere di là tramontare il sole.

A Roma il cielo non è meno bello che a Napoli, e brilla quasi sempre a color porpora e di rosa, con una varietà e un’armonia di luce, che è un incanto.

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Le terme di Caracalla e il Palazzo dei Cesari - Roma, 4 marzo 1834

Dopo il Colosseo le più belle rovine di Roma sono senza dubbio quelle del palazzo dei Cesari e delle Terme di Caracalla.

Quando queste si aprirono per concederci l’entrata, vedemmo un branco numeroso di capre bianche, scorte da tre pastori, i quali muovevansi lentamente tra quelle rovine, facevano un momento di sé mostra contro i muri rossi, quà e là coperti di verzura, poi disparivano dietro i pilastri delle volte, ornate ancora di cornice e di cassettoni, dando luogo ad una serie di vedute veramente pittoresche.

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Le Catacombe di S. Sebastiano - Roma, 6 marzo 1834

Le catacombe di San Sebastiano, benché siano le più ampie di Roma, e si estendano per molte miglia, non sono varie e pittoresche come quelle di S. Gennaro a Napoli.

Le volte sono basse, i corridoi stretti ed angusti.

Ma la venerazione che provasi per questi luoghi li aggradisce a meraviglia, ed a misura che il pio visitatore prova in sé, ed argomenta le privazioni e le angosce ivi sostenute, sente riempirsi l’animo d’ammirazione, e sollevarsi fino a Dio.

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Le Gallerie del Vaticano - Roma, 11 marzo 1834

Vorrei potervi scrivere ogni giorno quello che vediamo e facciamo: ma spesso mi manca il tempo e la lena.

Siamo stati a visitare un tratto del Vaticano; museo senza pari nell’universo, non solamente per i capolavori che esso accoglie, ma anche per la magnificenza e l’eleganza delle sale in cui sono ordinati e disposti.

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Tivoli e le sue cascate - Roma, 12 marzo 1834

La mitezza della stagione invita all’aria libera dei campi: ieri, lasciata Roma, siamo andati a Tivoli.

Fino ai pié della collina, su cui s’innalza la piccola città.

Senza fermarci ci avviamo alle cascate ad ammirare le acque loro famose.

Quando si è al ponte sull’Aniene, cominciai a vedere il lungo serpeggiare della corrente per la montagna.

Un poco sopra al medesimo la massa argentea delle acque si precipita giù nell’abisso, e le rocce sottoposte la dividono e la rimbalzano in cento direzioni, non senza l’opera dell’uomo, il quale ne trae vantaggio per le sue industrie.

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Il Museo del Campidoglio - Roma, 14 marzo 1834

Un’altra volta ieri sono tornata al Campidoglio.

Là sono veri tesori per la storia e per le arti.

I Fasti consolari e parecchie piante e rilievi di Roma nei varii suoi periodi storici adornano lo scalone dell’entrata.

In due vaste sale è la collezione completa dei busti degli antichi Cesari, dei filosofi e d’un gran numero di poeti e scrittori illustri.

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Il Miserere della Cappella Sistina - Roma, 26 marzo 1834

Più d’una volta, senza dubbio, avete sentito parlare del Miserere della Cappella Sistina.

Io vi posso assicurare però che per quanto dicasi, non si dirà mai abbastanza in lode di questa musica.

Mentre si recitano gli uffici, l’occhio volgersi e spazia per gl’immensi affreschi del Giudizio Universale di Michelangelo.

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La Pasqua a San Pietro - Roma, 30 marzo 1834

La Pasqua è veramente un giorno glorioso e grande per Roma: tutto è qui magnifico in tale solennità.

Il Papa pontificia a San Pietro: quarantamila persone pregano a loro agio, e s’aggirano senza intoppo nella immensa basilica, la quale giammai non appare così smisurata come oggi, accogliendo tutta quella moltitudine di gente, che alla sua volta quasi compare paragonata colla mole del tempio.

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I fuochi d'artificio a Castel Sant'Angelo - Roma, 1 aprile 1834

Con molta ragione il Papa felicemente regnante ha stabilito che non dovessero più accendersi il giorno di Pasqua, ma la sera dopo, i fuochi d’artificio a Castel Sant’Angelo.

Essi non sono che uno spettacolo ..., sebbene unico nel suo genere.

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Le tele delle Gallerie Romane - Terni, 4 aprile 1834

Al Campidoglio nulla mi meravigliò gran fatto, tranne la Sibilla del Guercino.

E’ al Vaticano che sono i capolavori, tra cui primo la Trasfigurazione, opera davvero ammirabile nella parte sua superiore.

Al Palazzo Spada, in una galleria punto ben tenuta, ho osservato una Giuditta di Guido Reni.

Nel Palazzo Corsini è notevole anche una Erodiade dello stesso Reni, e nella stessa galleria Corsini ho trovato un Ecce homo del Guercino, così bello che non pare opera d’umano pennello.

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La Santa Casa di Loreto - Ancona, 7 aprile 1834

Pur tacendovi di Ancona e del suo arco di trionfo ho gusto di parlarvi di Loreto.

I cosiddetti spiriti forti ridono della sua credenza, che ivi sia stata recata ed ancora sussista la casa che fu già del nostri Signore e della sua santa Madre.

Tali risa loro non invidio; parmi più desiderabile un’ora di devoto raccoglimento.

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Rimini. La Repubblica di San Marino - Rimini, 9 aprile 1834

Stamattina siamo andati a San Marino.

Uscendo da Rimini si corre un po’ di tempo una via ombrata di alberi e di siepi fiorite, le quali s’inerpicano serpeggiando su bellissime colline.

Poi comincia a vedersi da lontano un alto monte, sulla cui punta s’eleva la città.

Oggi però non scorgevasi il caseggiato, ravvolto in un velo di fitta nebbia.

Questa mi sembrò che stesse a meraviglia su quel paese di calma e di pace imperturbabile.

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Ravenna: la pineta e la basilica di Sant'Apollinare - Ravenna, 10 aprile 1834

Abbiamo lasciato Rimini e le rovine romane per accostarci ai monumenti del medioevo; quelli della prima epoca cristiana che hanno per me un interesse che non quelli dei tempi più recenti.

Le terre per cui si passa entrando in Ravenna sono incolte ed abbandonate; di qualcuna appena si trae partito per farne delle saline.

A cinque miglia dalla città verdeggia la famosa pineta dove tanto piacevasi di passeggiare e meditare Lord Byron.

Due miglia all’incirca prima di giungere in Ravenna il visitatore si arresta alla chiesa di Sant’Apollinare che fu il primo vescovo della città, consacrato da San Pietro.

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Altri monumenti di Ravenna - Forlì, 11 aprile 1834

Abbiamo passato tutta la mattina a visitare i monumenti di Ravenna.

Non sarebbe troppo un lungo viaggio soltanto per visitare questa città.

Mi certo con piacere ed interesse vedreste la chiesa di San Vitale, la cui architettura è un misto bizzarro di colonne antiche nella parte superiore, e di colonne gotiche in basso, fregiate queste di sculture fine e leggere, con ornamenti d’oro, che fanno quasi dubitare se siano di marmo.

Uno dei monumenti che più mi colpì è la piccola cappella a forma di croce, che l’imperatrice Galla Placidia fece costruire per suo sepolcro.

Il mausoleo di Teodorico, innalzatogli dalla sua figlia Amalasunta, è una costruzione a grossi blocchi, senza legamento, con un masso enorme di volta, che tiene insieme tutto l’edificio.

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Il mendìco di Santa Croce - Piacenza, 16 aprile 1834

Essendo da alcuni giorni presso il confine della Toscana, non posso levarmi dalla mente una pietosa storia, la quale udii in Firenze da un’illustre mia amica, larghissima Mecenate delle arti e delle artisti.

Oggi anzi cedo alla tentazione di metterla in carta, mandandovela come annunzio del mio prossimo arrivo in Torino.

Più volte dunque, dacché trovavami a Firenze, io ero andata a Santa Croce, e sempre mi aveva dato nell’occhio un mendico alla porta di essa.

Uscendo di chiesa io lo trovavo costantemente allo stesso posto, e nello stesso atteggiamento.

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Juliette Francoise Colbert nacque nel castello di Maulevrier, nella cattolica Vandea il 26 giugno 1876, secondogenita di una famiglia aristocratica francese, che tuttavia si occupava della vita e dei problemi della povera gente.

La giovane Marchesa, dopo il matrimonio col conte di Barolo, fu ben accolta nella famiglia del marito e nella società torinese, suscitando simpatia per l’operosa carità, l’invidiabile cultura, la semplicità, la conversazione piena di arguzia e di brio.

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