Il viaggio qui presentato è il resoconto di quei sette mesi passati in Italia tra il 1803 e il 1804; un breve periodo, forse, per il segretario d'ambasciata; ma non troppo breve per lo scrittore, che riesce a cogliere il profondo incanto delle città italiane, e in particolare di Roma e di Napoli, cosicché il suo diario va ad affiancarsi alle migliori opere del genere, francesi e non solo, che hanno fatto dell'Italia la sognata meta di un gran tour anche letterario.
Il diario si svolge in termini di lettere inviate all'amico Joubert (fratello maggiore dell'avvocato generale della Corte di Cassazione), uomo di raro ingegno, generoso, di piacevole e fidata compagnia.
Partenza da Lione e ingresso in Italia
Uscendo da Lione la strada è piuttosto triste, poi il paesaggio si fa fresco e boscoso.
Il Moncenisio dalla parte della Francia non presenta niente di interessante.
Sono sfavorevolmente colpito all’inizio della discesa verso il Noalese; non so perché ma mi aspettavo di scoprire le pianure d’Italia: non ho visto che una gola nera e profonda, un caos di torrenti e precipizi.
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Milano, giugno 1803
I dintorni di Torino sono belli ma sanno ancora di Gallia.
Torino è una città nuova, pulita, regolare, tutta adorna di palazzi, ma ha un’aria triste.
Ho rettificato il mio giudizio attraversando la Lombardia: l’effetto sul viaggiatore si produce solo alla lunga.
Da principio si vede un paese ricco nel suo insieme e ci si dice: «E’ bello», ma quando poi si comincia a mettere a fuoco i singoli elementi, allora nasce l’incanto.
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Giugno-luglio 1803
Eccomi qui finalmente!
Tutta la mia freddezza è sparita.
Sono sopraffatto, perseguitato, da quello che ho visto; credo di aver visto ciò che nessun viaggiatore ha descritto: stolti! anime di ghiaccio! barbari!
Quando arrivano qui, non hanno attraversato la Toscana, il giardino inglese in mezzo al quale sorge un tempio, Firenze?
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Tivoli e Villa Adriana, dicembre 1803
Forse sono il primo straniero che abbia fatto la gita a Tivoli con una disposizione d’animo che non si ha mai in viaggio.
Eccomi unico arrivato alle sette di sera, il 10 dicembre, all’albergo Tempio della Sibilla.
Il luogo si presta alle riflessioni e alle fantasticherie: ritorno alla mia vita passata; sento il peso del presente e cerco di penetrare il mio avvenire.
La prima vista di Tivoli attraverso le tenebre era abbastanza precisa; ma la cascata mi è sembrata piccola e gli alberi che avevo creduto di intravedere non c’erano affatto.
Dall’altro lato del fiume sorgeva un ammasso di brutte case e il tutto era chiuso da monti spogli.
L’entrata principale di Villa Adriana era all’ippodromo, sull’antica via Tiburtina a poca distanza dalla tomba dei Plauzi.
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Il Vaticano, dicembre 1803
Ho visitato il Vaticano all’una.
Bella giornata, sole splendente, aria dolcissima.
Solitudine delle grandi scalinate o meglio delle rampe sulle quali si potrebbe salire con un mulo; solitudine delle gallerie adorne dei capolavori del genio dove i papi di un tempo passavano con tutta la corte; solitudine delle logge che tanti artisti hanno studiato e tanti uomini illustri hanno ammirato.
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Passeggiata per Roma al chiar di luna
Da Trinità dei Monti i campanili e gli edifici lontani sembrano bozzetti sbiaditi di un pittore, o coste diseguali viste dal mare, da una barca ancorata.
Il Corso: la calma e il bianco degli edifici, profondità delle ombre trasversali.
San Pietro: effetto della luna sulla cupola; una giovane donna mi chiede l’elemosina, la testa avvolta nella gonna rialzata; la poverina sembra una madonna, ha scelto bene il luogo e l’ora.
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Viaggio in Napoli, dicembre 1803 - gennaio 1804
Ecco i personaggi, le carrozze, le cose e gli oggetti che si incontrano più o meno su tutte le strade d’Italia: inglesi e russi che viaggiano con gran lusso in comode berline, portando con sé abitudini e pregiudizi del proprio paese; famiglie italiane che vanno alla vendemmia economicamente, in vecchi calessi; preti a piedi che tirano per la briglia un mulo riluttante carico di reliquie; operai su delle carrette tirate da grandi buoi e con l’immagine della Vergine innalzata sul timone in cima a un bastone.
Si respira un’aria di grande benevolenza ma anche di grande curiosità.
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Pozzuoli e la Solfatara, gennaio 1804
A Pozzuoli ho visto il tempio delle Ninfe, la casa di Cicerone, quella che chiamava Puteolana, da dove spesso scriveva ad Attico e dove compose forse la seconda Filippica.
La villa fu costruita dov’era l’Accademia di Atene; abbellita in seguito da Vetto, divenne un palazzo sotto Adriano che vi morì dicendo addio alla sua anima.
La solfatara: campo di zolfo: rumore di fondo, fontane d’acqua bollente.
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Il Vesuvio, gennaio 1804
Oggi sono partito da Napoli alle sette del mattino; ora sono a Portici.
Mi accordo con un cicerone per andare al cratere del vulcano.
Mi fornisce due muli, uno per me e uno per lui, e partiamo.
Comincio a salire per un sentiero abbastanza largo, tra due vigneti appoggiati ai pioppi.
A destra e a sinistra povere case di vignaiuoli in mezzo ai ricchi ceppi del Lacryma-Christi.
Per il resto, dovunque una terra bruciata, viti spoglie insieme a pini a ombrello, qualche aloe sui bordi, numerosi sassi rotolanti, nessun uccello.
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Patria o Literno, gennaio 1804
Uscito da Napoli attraverso la grotta di Posillipo, ho girellato in carrozza per un’ora nella campagna, dopo aver attraversato dei sentieri ombreggiati, sono sceso per cercare a piedi Patria, l’antica Literno.
La natura è bella ma triste.
A Napoli, come nello Stato romano, i coltivatori sono sui campi solo al tempo della semina e del raccolto, dopo di che si ritirano nei sobborghi delle città o nei grandi paesi.
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Baia, gennaio 1804
Uscito dai bagni di Nerone, ancora in barca giro del promontorio: su una costa abbandonata, giacciono, battute dalle onde, le rovine di bagni e ville romane: templi di Venere, di Mercurio, di Diana; tombe di Agrippina ecc.
Baia fu i campi Elisi di Virgilio e l’Inferno di Tacito.
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Ercolano, Portici, Pompei, gennaio 1804
La lava ha riempito Ercolano come il piombo fuso riempie le parti concave di uno stampo.
Il perimetro di Pompei è di circa quattro miglia.
Per una strada larga quindici piedi, si entra nella parte di Pompei scoperta più anticamente; sui due lati corrono i marciapiedi e il pavimento conserva in più parti i segni delle ruote.
Per passare da una delle parti scoperte della città a un’altra, si attraversa un ricco terreno coltivato a vigna.
Percorrendo questa città di morti, un’idea mi perseguitava.
A mano a mano che si porta alla luce qualche edificio di Pompei, si porta via ciò che lo scavo trova, e lo si accumula Portici.
Secondo me sarebbe meglio lasciare le cose nel luogo dove vengono rinvenute.
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Fine del viaggio, gennaio 1804
Già da molto tempo avrei dovuto parlarvi di questa terra classica, fatta per interessare un’inclinazione come la vostra, ma diverse ragioni me lo hanno impedito.
Tuttavia non voglio lasciare Roma senza avervi detto almeno poche parole di questa città famosa.
Senza altri preamboli, provo dunque a illustrarvi il fuori Roma, la campagna e le rovine.
Sebbene Roma, vista dall’interno, assomigli alla maggior parte delle città europee, tuttavia conserva ancora un carattere particolare: infatti nessun’altra città presenta una simile mescolanza di architetture e rovine.
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