Il viaggio a piedi a piedi in Calabria e in Sicilia di Arthur John Strutt, è una raccolta di lettere indirizzate dall’autore alla madre, al padre e alla sorella.
Lettere scritte, spesso, prima di andare a letto, dopo giornate di marce faticose; lettere-diario che avevano unicamente l’obiettivo di fissare le impressioni raccolte dal pittore nel corso del viaggio fra terre e popolazioni del sud, allora poco visitate da stranieri a causa dei disagi e dei pericoli che un’esplorazione del genere comportava.
Strutt è un puro artista e viaggiatore visuale, senza preoccupazioni scientifiche, sociali e politiche.
Lo interessano il paesaggio e i costumi popolari in quanto sono linee e colori, singolarità di forme e di atteggiamenti.
Anche in lui, come nei viaggiatori dell’epoca, l’ossessione dell’avventura brigantesca è continua.
Per il pittore la Calabria e la Sicilia sono le mete più desiderate e più sognate.
La perfetta aderenza alle persone e alle cose rende prezioso il libro di questo ventenne, assetato di vita e di arte.
Strutt non era solo, aveva un compagno di viaggio nella persona di Williams Jackson.
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Albano, 30 aprile 1841
Eccoci qua.
Siamo arrivati felicemente ad Albano senza nemmeno quel tanto di pioggia che, credo, voi pensavate noi avremmo avuto all’inizio del nostro viaggio.
All’arrivo ad Albano nostra prima cura fu, da saggi viaggiatori, quella di ordinare il pranzo; seconda cura fu, mentre veniva preparato il pasto, affilare l’appetito che già si faceva sentire, esplorando i dintorni.
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Torretreponti, 1 maggio 1841
I boschetti di Albano sono densamente abitati da usignoli.
Andai a letto con le loro deliziose note nelle orecchie e nello stesso modo fui svegliato all’alba.
Ci allontanammo un po’ dalla nostra strada per visitare il lago di Nemi che rassomiglia a quello di Albano per tranquillità e modesta bellezza.
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Terracina, 2 maggio 1841
A quattro miglia da Terracina, il canale o corso d’acqua è abbastanza largo e fummo così fortunati da assistere ad una pesca annuale che in quel momento si stava svolgendo, una pesca con sistemi piuttosto singolari, che utilizzavano anche i bufali.
Arrivammo a Terracina, in bella posizione sul mare, ai piedi di un monte roccioso, ed esplorammo immediatamente la città, che formicolava di contadini in poveri mantelli.
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Mola di Gaeta, 3 maggio 1841
Stamane, alle 6, lasciammo Terracina.
Otto miglia per una strada che sale e scende e passa per un paese ricco di ulivi e vigneti, ci portarono a Mola di Gaeta e alle spiagge del bellissimo Mediterraneo.
La città di Gaeta, con collina e fortezza, offre una piacevole vista attraverso la baia, mentre nella direzione opposta potevamo distintamente scorgere le isole di Ischia e di Procida, e il Monte Vesuvio.
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Capua, 4 maggio 1841
Mola di Gaeta è così bella che non fu senza rimpianto che ce ne allontanammo stamane.
Salimmo su uno dei caratteristici mezzi napoletani chiamati «caratelli» e, col cocchiere dietro di noi, procedemmo per la nostra via, finché non scendemmo perchè, saggiamente, non avevamo impegnato il nostro mezzo per il resto del percorso, per evitare di pagare il pedaggio a cui i mezzi di trasporto sono sottoposti alla barriera, a tre miglia da Capua: avremmo pagato più per questa tassa che per il trasporto da Sant’Agata a Capua.
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Napoli, 5 maggio 1841
Eccoci finalmente qui.
Un proverbio italiano dice: Vedi Napoli e poi muori!, ma io dico: Vedi Napoli e vivi, perché c’è molto qui degno di essere vissuto.
Dopo la pace di Roma, il fracasso di Napoli appare insopportabile.
Napoli gode fama di essere la più rumorosa città d’Europa, e, direi, del mondo.
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Pompei, 7 maggio 1841
Come vedete dalla data della lettera, non abbiamo resistito al desiderio di visitare questo interessantissimo luogo, e siamo rimasti entusiasti per quanto abbiamo visto.
Sotto molti aspetti la città è assai meglio conservata di quanto ci aspettassimo, e mentre andavamo un po’ a caso per le tortuose viuzze tra le file di botteghe con i segni e le iscrizioni delle varie merci, rimasti ancora visibili dopo 1800 anni.
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Vesuvio, 9 maggio 1841
Salimmo ieri sul Vesuvio, secondo gli accordi presi.
L’escursione ci interessò immensamente.
Lasciata la vettura, fra i mezzi offertici - un cavallo, un asino e un mulo - scegliemmo per ciascuno la bestia che meglio si adattava alle nostre persone, e dopo una breve sosta all’Eremo, raggiungemmo la base del cono e iniziammo l’ascesa.
Nostra prima cura fu di vedere come esattamente fosse fatto il cratere, e guardando verso l’interno ci rendemmo conto che laggiù si accendevano fiamme come si preparasse un gran banchetto per Sua Maestà Satanica.
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Salerno, 10 maggio 1841
Eccoci a Salerno, una graziosa città in riva al mare, in una baia come Napoli.
Oggi abbiamo percorso più di 26 miglia, quasi sempre fra case, poiché in questa regione fertile e densamente popolata, città e villaggi si succedono quasi ininterrottamente.
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Salerno, 11 maggio 1841
Come vedete, siamo ancora qui.
La bellezza dei dintorni ci ha indotto a concederci un giorno di relativo ozio per meglio esplorare queste bellezze.
Passai l’intera giornata disegnando, poiché, quantunque qui non vi sia alcun costume locale, il paese attrae un pittore di paesaggi.
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Paestum, 13 maggio 1841
Al nostro arrivo nella città deserta di Pesto, si impossessò di noi una cenciosa guida che ci condusse ad una squallida casa di campagna, l’unica locanda e anzi l’unica casa di Pesto.
Depositammo i nostri sacchi di montagna nella stanza destinataci e ci muovemmo per visitare i templi.
Quello di Nettuno è senza dubbio il più perfetto e quello che colpisce di più, sia per le proporzioni che per il colore.
Tirai fuori il mio album in uno stato di estasi.
Cominciai a lavorare, ma - ecco! - il mio entusiasmo viene soffocato sul nascere dalla disgustosa apparizione di un funzionario che con tono autorevole, mi chiese se avevo avuto da Governo il permesso di disegnare «la pianta», come si espresse, delle rovine.
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Castellabate, 14 maggio 1841
Procedemmo lungo una mulattiera che, dopo essersi inerpicata su per alte rocce costeggianti il mare, continua attraverso la campagna, e qui comincia un assolata strada di montagna per circa otto miglia durante le quali non incontrammo alcuno, tranne, a distanza, due o tre pastori con le loro greggi: una strada che ci portò di nuovo in vista del mare e di Castellabate, località da noi scelta per riposare.
Questo villaggio è situato su di un’alta collina.
Esso fu fondato, come il nome dice, da vassalli che costruirono le loro abitazioni intorno al castello del loro signore, un potente abate.
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Castellabate, 15 maggio 1841
Stamane, per tempo, l’amico Guerci ci informò, raggiante, che il Signor Barone Parotti, il gran signore del luogo, avendo saputo del nostro arrivo, ci pregava di concedergli il favore della nostra compagnia.
Perciò, verso le otto del mattino, ci recammo nella sua residenza, uno dei vecchi forti della costa.
Ci fece ammirare la vista bellissima, che si gode dall’alto della torre: il villaggio dello stesso nome, sulla collina, con la sua baia, il promontorio e l’isola di Licosa e vasta distesa del Mediterraneo.
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Pioppi, 16 maggio 1841
Arrivammo sani e salvi, senza alcuna protezione, al piccolo gruppo di case chiamato Pioppi, dopo una faticosa marcia di tre miglia su sentieri pietrosi.
A Pioppi non ci fu facile procurarci cibo e alloggio.
Però finalmente ci riuscimmo, era una specie di palazzo, una volta proprietà di un’antica e nobile famiglia ora estinta.
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Pisciotta, 17 maggio 1841
Proteso con le sue rocce nel mare, scorgevamo l’enorme promontorio di Capo Palinuro, il cui solo nome risveglia ricordi virgiliani ed associazioni del mondo classico.
Appena la natura della costa ce lo permise, scendemmo al mare ed arrivammo ad Ascea e da qui altre quattro miglia di simpatici ciottoli ci portarono a Pisciotta, grande villaggio situato su di una collina a mezzo miglio dal mare.
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Camerota, 18 maggio 1841
Camerota, posta sul cocuzzolo di una altura isolata e rocciosa, esaspera lo stanco viaggiatore che continuamente s’imbatte in un burrone per cui discendere e in una ripida salita da scalare.
Tuttavia, finalmente raggiungemmo la meta, e cioè ci trovammo in un paesino quanto mai squallido.
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San Giovanni, 19 maggio 1841
Dopo avere asceso varie colline ed attraversato molti boschi arrivammo a un villaggio assai sporco: San Giovanni.
Questi villaggi di montagna hanno in comune alcune caratteristiche generali: costruiti su ripide rocce, la superficie accidentata forma un pavimento bell’e fatto; le strade sono strette e le case sono rese nere dal sudiciume.
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Sapri, 20 maggio 1841
Raggiungemmo il grazioso piccolo porto di Sapri, nel quale, con nostra grande sorpresa, vedemmo all’ancora un elegante brigantino.
Non avevamo visto una cosa che fosse, come questa, espressione del mondo civile dal momento in cui avevamo lasciato il porto di Napoli.
Il panorama che da qui si godeva era magnifico.
Stavamo su di una piccola punta di terra, avendo alla sinistra numerose rovine, e davanti a noi la baia in miniatura di Sapri, l’alto e immoto brigantino, il villaggio e le sue case sparse, mentre una imponente catena di montagne che costeggiava il mare per un lungo tratto, formando la parte meridionale del golfo di Policastro, completava lo scenario.
Il villaggio differisce dall’aspetto generale delle cittadine e dei villaggi che abbiamo visto finora.
E’ costruito piuttosto all’inglese e consiste di «cottage» irregolarmente disseminati su di un piano verde fra i piedi delle montagne e il mare.
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Lauria, 21 maggio 1841
Eccoci qua, a Lauria, sulla grande strada della Calabria.
L’accesso è pittoresco.
Una cosa in particolare mi colpì per la sua bellezza: Lauria Superiore ci apparve al sommo di una roccia da un lato della quale un torrente, precipitando, formava una cascata, a dieci metri da noi.
La grande catena di montagne che arriva fino ai punti estremi della Calabria formava, in distanza, uno sfondo imponente.
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Osteria della Rotonda, 22 maggio 1841
Arrivammo a La Rotonda, uno sporco villaggio dove trovammo alloggio in una casa privata.
E’ qui la frontiera della Calabria e quindi l’ultima località della provincia della Basilicata.
La padrona di casa ci avverte che domani non saremo più in grado di comprendere la lingua del luogo, tanto è difficile il dialetto calabrese: «Non parlano italiano come noi» - ci dice con sufficienza - pur non essendo, certamente, il suo italiano il più puro toscano.
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Castrovillari, 23 maggio 1841
Siamo finalmente entrati nell’autentica Calabria: e fino a questo momento il suo aspetto ci appare selvaggio e talvolta grandioso.
Una strada, allontanandoci dalla regione montagnosa, ci portò finalmente a Castrovillari, dove abbiamo proprio la fortuna di trovare cinque letti.
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Tarsia, 24 maggio 1841
A Tarsia abbiamo esplorato il villaggio che pullula di uomini, sembra di trovarsi in una adunata di briganti.
Nell’Osteria nella quale abbiamo preso alloggio abbiamo avuto difficoltà a tener lontani dal nostro dormitorio i maiali, che attratti dal foraggio fresco, ammucchiato per l’appunto accanto al letto, tentano continue irruzioni.
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Cosenza, 25 maggio 1841
Eccoci qua, nella capitale della Calabria Citeriore, e niente affatto spiacenti di trovarci in una città che presenta alcuni segni di civiltà.
L’ingresso di Cosenza - una specie di giardino pubblico - è piacevole, ma l’interno della città è sporco e mal costruito.
La locanda però è in bella posizione: domina la vista della strada principale, del mercato degli asini, del fiume Basento, il letto del quale fu la tomba di Alarico Re dei Goti, e del ponte che lo attraversa.
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Rogliano, 26 maggio 1841
Continuammo per la nostra strada fino a notte.
Percorremmo altre dieci miglia nell’oscurità, in una zona collinosa, e finalmente scorgemmo luci che risultarono essere quelle del villaggio di Rogliano, dove subito trovammo da dormire e ordinammo la cena.
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Tiriolo, 27 maggio 1841
La zona che attraversammo prima di arrivare a Tiriolo presentava soltanto montagne senza coltivazione, alcune volte con boschi e felci, altre volte nude e sterili.
Le continue salite e discese della strada ci impedirono, carichi come eravamo, di raggiungere la nostra meta prima che calasse la notte.
Fummo perciò obbligati a fare il nostro ingresso al buio e dopo avere, con qualche difficoltà, scoperto la Locanda.
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Catanzaro, 28 maggio 1841
Scendemmo, e subito fummo in vista di Catanzaro, che sorge in posizione quasi inespugnabile, su di una roccia che domina un vertiginoso burrone attraversato da un torrente spumeggiante.
Attraverso curve serpeggianti, la strada scendeva dalle alture dove ci eravamo goduto il panorama e, tagliando il burrone, saliva verso l’altro versante, un po’ a zig-zag, per tutto il percorso.
Le strade sono pulite e ben pavimentate, e questa è la più linda città calabrese che abbiamo finora incontrata.
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Catanzaro, 29 maggio 1841
Siamo stati occupati, oggi, con la visita delle attrazioni che offre la città.
Soltanto il «Collegio» abbiamo trovato degno degno di speciale attenzione.
Questo Istituto è organizzata su larga scala.
L’edificio è uno dei più belli del genere nel Reame di Napoli.
Ogni cosa è in esso è organizzata su larga scala.
L’edificio era alle origini un convento di Gesuiti.
Era mezzogiorno passato quando uscimmo dal Collegio, e fummo colpiti dal silenzio e dall’assenza di movimento nelle strade.
Tutti i negozi erano chiusi ed ognuno, avendo pranzato, si stava godendo il lusso della siesta.
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San Floro e i briganti, 30 maggio 1841
Ho esitato, mia cara madre, prima di inviarvi il racconto delle avventure, o dovrei dire delle disavventure, di oggi: ho esitato per paura che un tal racconto potesse costituire per voi un motivo di preoccupazioni per il resto del nostro viaggio.
Jackson ed io scendemmo verso una specie di capanno nella valle sottostante: ci sembrava un rifugio di pastori, quando da dietro un muretto vedemmo sbucare numerosi individui, alcuni dei quali armati di fucile, e quando vedemmo uno di loro, il più vicino, sollevare il cane dell’arma e tenerla come fa il cacciatore quando attende che si levi la selvaggina, cominciò a balenarci nella mente qualcosa delle sinistre intenzioni.
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Cortale, 31maggio-6 giugno 1841
Cortale vide l’autore costretto a un fermo obbligato di ben sei giorni, a causa delle conseguenze dovute all’assalto subito da parte dei briganti.
Mentre completavamo la nostra toletta don Domenico ci ha informato che dovremo metterci subito a contatto con il giudice e le autorità per sistemare le formalità necessarie prima di prendere concrete misure contro i nostri assalitori e rapinatori, gli albanesi di Caraffa.
Ciò ha dato luogo a una chiacchierata circa l’origine di questi villaggi greci che si trovano così singolarmente sparsi nelle varie province calabresi.
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Monteleone, 7 giugno 1841
Otto miglia, principalmente fra orti coltivati ad aranci, limoni e melagrani, ci portarono in vista della città di Pizzo, ci portarono in vista della città di Pizzo, sulla costa del Golfo di Sant’Eufemia.
Attraversammo le sue sudice strade, passando davanti a file di banchi di pesce, e andammo a visitare la città, che non offre assolutamente nulla di interessante e di bello.
Naturalmente i francesi erano desiderosi di vedere la tomba di Murat, perciò ci recammo alla chiesa dove egli è seppellito, ma invece del monumento sepolcrale che ci aspettavamo ci fu mostrata una pietra quadrata nella navata centrale, che copre una delle buche della tomba comune.
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Palmi, 8 giugno 1841
Lasciammo stamane Monteleone senza rimpianti, in quanto non so perché, ma questa cittadina non mi piacque dal primo momento in cui ci misi il piede.
Di recente abbiamo mostrato di preferire le scorciatoie: ad ogni svolta della strada ci siamo buttati in qualche sentiero che non ha sempre risposto alle nostre aspettative.
Una strada secondaria su di una breve discesa ci portò a Palmi.
La città rassomiglia a Pizzo, ma è meglio costruita e ha miglior aspetto: strade più larghe e una pubblica piazza che non dispiace.
Il costume degli abitanti, sia uomini che donne, è pittoresco.
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Reggio, 9 giugno 1841
L’ingresso a Reggio è festoso.
La vegetazione lussureggiante, lo schieramento di aranci, limoni, melograni, alberi vari, pini, palme orientaleggianti e agavi rivelano la fertilità del terreno degradante verso il mare su cui Reggio è costruita.
Entrati in città, ci dirigemmo verso il molo che è molto lungo e largo.
Le case di fronte al mare sono uniformi: sono costruite su ordini di portici.
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Messina, 10-12 giugno 1841
L’autore passa tre giorni a Messina, partendo da Reggio Calabria.
Magnifica la vista che si godeva dallo Stretto.
Davanti a noi era Messina col suo porto pieno di natanti, difeso dalla fortezza di San Salvatore, e sullo sfondo le brulle montagne dell’interno, mentre a sinistra si innalzava maestosamente l’Etna.
La prima impressione di Messina fu decisamente favorevole.
Lo splendido molo era affollato di eleganti equipaggi con gente che vestiva con grande distinzione.
I numerosi balconi delle case erano decorati dalle più graziose donne.
L’uniformità delle case, le arcate, le strade regolari e ben costruite, la pulizia e soprattutto l’atmosfera animata e gaia della città erano ben calcolate per colpire il viaggiatore che per un mese aveva viaggiato nelle monotone terre calabre.
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Ai Giardini Naxos, 15 giugno 1841
Attraverso un’ampia baia scoprimmo - protesa nel mare - una fila di colline rocciose, la cui sommità era fantasticamente coronata da villaggi e castelli.
Fra questi, l’antica Taormina orgogliosamente occupa una posizione dominante, mentre l’Etna, visibile da ogni punto, s’innalza su tutto come un gigante.
Ad un certo momento, il sole al tramonto incominciò ad avvolgere il paesaggio in gloriosi colori di porpora, noi scorgemmo il luogo di riposo che avevamo scelto per la notte: il villaggio di Giardini, situato sulla costa, ai piedi delle rocce di Taormina, a trentacinque miglia da Messina.
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Giarre, 14 giugno 1841
Verso il tramonto arrivammo a Giarra, bella cittadina con una splendida strada: larga, lunga e diritta.
Tutta la strada era affollata da gruppi di sfaccendati indossanti i migliori vestiti.
La nostra apparizione provocò tale meraviglia e curiosità fra la gente locale che ci fu una vera lotta alla porta della locanda fra i ragazzi di Giarra, che cercavano di entrare con noi, e l’indignato locandiere e i suoi assistenti i quali, gridando, minacciando e spingendo, si sforzavano di mantenerli fuori.
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Catania, 15-18 giugno 1841
Quattro giorni a Catania iniziano con una leggera brezza che si levò mentre ci avvicinavamo, eccitando le onde e ostacolando la nostra avanzata.
Si accelerava invece lo speronare e di altri battelli a vela che rapidamente ci passavano accanto.
Grazie però alle vigorose braccia dei nostri marinai, raggiungemmo il porto e doppiando un frangiflutti di lava, ci mettemmo all’ancora nel porto di Catania, fra vascelli scozzesi carichi di zolfo.
La città di Catania è ben costruita, secondo un piano regolatore.
Le strade sono sorprendentemente lunghe, larghe e diritte e oggi presentano un volto allegro che si manifesta con soldati, marinai di tutte le nazioni, contadini catanesi e damigelle che, avvolte in lunghe mantiglie di seta nera, si muovono per la città mostrando di godersi pienamente e la bella serata e la festa.
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Siracusa, 19-21 giugno 1841
Tre giorni a Siracusa iniziano alle dieci e mezza di ieri sera, quando ci imbarcammo per Augusta, nella nostra «speronara», un battello lungo e basso con un albero corto prodiero, sul quale furono issate due vele.
Secondo i termini dell’accordo, il padrone della «speronara» doveva trasportarci a Siracusa per mezza piastra ciascuno, tutto incluso; così che, avendo egli deciso di fermarsi ad Augusta, dovette noleggiare un altro battello per il resto del viaggio.
Fummo molto lieti quando, verso mezzogiorno, dopo una remata di dieci miglia, le massicce fortificazioni di Siracusa furono avvistate.
Giunti a destinazione sbarcammo immediatamente e, passando sopra i ponti levatoi, attraverso posti di guardia, cancelli e tutte le postazioni militari che separano l’isola, su cui è Siracusa, dalla riva entrammo in città.
La sera uscimmo per visitare la città.
Siracusa manca terribilmente di quella pulizia e di quell’ordine urbanistico che avevamo tanto ammirato in altre parti della Sicilia.
Ciò che mi piacque maggiormente fu il numero e la ricchezza dei balconi, alcune volte con balaustre di pietra, ma più frequentemente con ringhiere a ferri battuti ornamentali fantasiosissimi.
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Napoli, 26 giugno - 6 luglio 1841
Eccoci qui di nuovo, rapidamente, grazie a un’invenzione moderna.
Siamo arrivati dalla Sicilia in circa quattro giorni col piroscafo, che era affollatissimo, e le comodità per i passeggeri poche.
Qui a Napoli, la figura umana e altri soggetti offrono qui caratteristici temi ad un pittore: i carri trainati da bellissimi buoi bianchi, i venditori di frutta e di pesce, i marinai, i lazzaroni e una infinita varietà di natanti spingono la matita a un continuo esercizio.
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Palermo, 30 ottobre - 11 dicembre 1841
Finalmente posso datare da Palermo.
Sono arrivato qua il 25 ottobre, dopo una traversata piuttosto tempestosa.
L’ingresso a Palermo colpisce il visitatore, non tanto per la città in sé (la quale è piatta e perciò non si presenta come Napoli con l’imponente castello di Sant’Elmo) quanto per lo stupendo anfiteatro di montagne che formano la baia, e specialmente per la collina di Santa Rosalia, generalmente chiamata Monte Pellegrino, dall’eremo che sorge al sommo.
Questo monte, che ha una sagoma singolare, scende a picco sul porto.
La città è sporca nelle strade secondarie, ma due nobilissime strade, la Strada del Cassero o Toledo e la Strada Nuova, che si tagliano ad angoli retti secondo due linee dritte, sono due arterie spaziose che danno tono alla città.
Dove le due strade s’incrociano, i quattro angoli formati sono ornati di quattro fontane e quattro statue.
Quando piove, un provvisorio ponte di legno mette i passanti in grado di attraversare questo spazio aperto su cui convergono torrenti d’acqua rovesciati dalle grondaie.
Le case hanno tutte balconi.
Intorno ai piani superiori corrono balconi appartenenti a monache di diversi conventi che li prendono in fitto o li comperano, insieme col piano a cui appartengono, allo scopo di seguire, da lassù, le sontuose processioni religiose per le quali Palermo è famosa.
La Marina è una bella passeggiata.
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Zucco, 15 dicembre - 24 dicembre 1841
La data della lettera vi dice che ho cambiato residenza.
Abbiamo percorso una strada in pianura per attraversare la valle per sei miglia, partendo da Palermo.
Comincia poi la salita di un’alta desolata catena di montagne, da dove, ad ogni svolta, si gode una magnifica vista della pianura, della baia, delle rocce e della città.
I venerandi vecchi ulivi che sono ai limiti della proprietà del Principe Partana apparvero subito e alla loro ombra ponemmo fine al nostro viaggio.
I fattori e i vassalli del Principe hanno un gran da fare con la raccolta delle ulive.
Egli possiede più di ventiduemila dei preziosi alberi.
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Palermo, 17 dicembre 1841
Lasciai, non senza dispiacere, la casa del Principe Partana, ma mi consola l’idea che rivedrò la famiglia a Palermo, fra pochi giorni.
Nell’attraversare la Piazza del Mercato, mi son fermato un po’ ad ascoltare un monaco francescano che stava eloquentemente tessendo gli elogi di una certa immagine.
Veramente sbalorditivi i miracoli operati dalla figurina, che vendeva a un tarì la copia.
Toledo è una strada molto animata ed alcune volte offre gruppi molto pittoreschi.
Una lettiga (una specie di grande «sedan chair», rassomigliante all’interno di una carrozza a sedili opposti, sostenuta da stanghe e trasportata da due muli) si vede frequentemente arrivare da qualche luogo di montagna con dentro due preti o delle signore.
Gruppi di contadini provenienti dalle province più interne creano spesso un singolare contrasto con gli elegantoni palermitani.
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A bordo del «Duca di Calabria», 22 gennaio 1842
Il fatto che io possa scrivere la presente dal brigantino vi dice che il tempo è bello.
Regna una calma completa; fa molto caldo.
I nostri passeggeri consistono in un distaccamento della fanteria siciliana: il capitano, che è grasso e russa in maniera atroce; i suoi luogotenenti e le mogli.
Il capitano ci tratta molto meglio dell’orribile padrone del «Costanza», la quantità di verdura fresca che ha immagazzinato per noi è veramente edificante: addirittura un battello sospeso a poppa è adoperato come deposito per insalate, broccoli e finocchi.
Ascolta "A bordo del «Duca di Calabria», 22 gennaio 1842 di A. J. Strutt" su Spreaker.
San Germano
Dal luogo dove scrivo constaterete che sono sulla strada di casa.
La traversata è stata ottima e siamo arrivati a Baia delle Baie nel pomeriggio di ieri in una gloria di sole e di azzurro che faceva risplendere Napoli agli occhi dell’ammirato viaggiatore come una radiosa creatura d’incanto.
Eppure l’impazienza di rivedervi mi diede forza per resistere ai richiami di questa Circe.
Partimmo proprio mentre l’orologio suonava le dodici.
Tra i viaggiatori una persona cortese con modi da «gentleman», ha lettere di presentazione per l’Abate di Montecassino, il Monastero benedettino che sorge su di un alto colle che sovrasta San Germano.
Lo visiteremo domani.
Ascolta "San Germano, da «Un viaggio a piedi in Calabria e in Sicilia» di A. J. Strutt" su Spreaker.
Ceprano e Montecassino, 2 luglio 1842
Eccomi di nuovo negli Stati romani.
Abbiamo speso tanto tempo al Monastero di Montecassino che oggi abbiamo potuto percorrere più di diciotto miglia.
Montammo sugli asinelli e ci dirigemmo verso Montecassino seguendo un sentiero in salita.
Il panorama sempre vario, il minaccioso vecchio castello che domina San Germano, la piatta campagna attraversata da numerosi corsi d’acqua e circondata da alte montagne e l’impervio colle di fronte a noi resero questa passeggiata bella e interessante.
Entrammo nel nobile Convento passando sotto un portale basso, attraverso un lungo ed oscuro corridoio di rozze pietre, secondo la tradizione, fu un tempo abitato da San Benedetto.
Uscendo da questo oscuro ingresso, ci trovammo in un vasto e bel cortile con portici di colonne di granito, sotto i quali, ai piedi di una bella gradinata conducente alla Chiesa, sono statue colossali del fondatore dell’Ordine e della sorella, Santa Scolastica.
Ascolta "Ceprano e Montecassino, 2 luglio 1842 di A. J. Strutt" su Spreaker.
Valmontone, 3 luglio 1842
Lasciammo Ceprano per tempo e in un paio d’ore arrivammo alla pittoresca città di Frosinone e subito dopo a Ferentino, antica città posta su di un’altura.
Da lì la strada per Valmontone lunga diciannove miglia passa da un piano brullo le cui linee piatte acquistano qua e là rilievo per la presenza di alte, semi distrutte torri di osservazione.
Arrivammo a Valmontone verso sera.
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Arthur John Strutt (Chelmsford, 12 giugno 1818 - Roma, 1888) è stato un pittore, incisore, viaggiatore, scrittore ed archeologo inglese.
Nato in Inghilterra, ma avendo vissuto a lungo in Italia, avendo sposato due gentildonne italiane, finché visse, partecipò attivamente alla vita della sua cara vecchia Inghilterra - alla quale lo legavano tenaci tradizioni familiari e nazionali - e alla vita dell’Italia del suo tempo, a cui lo legavano nuove esperienze, nuovi interessi e impulsi del suo temperamento assetato di conoscenza e ricco di un generoso spirito di adattamento.
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