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Audiolibro «Memorie del Sud» pagine di scrittori europei del 1700 e 1800

I curatori di questa Memoria del Sud, che io preferirei chiamare Memorie del Sud in quanto appartenenti a più scrittori europei del 1700 e 1800, si sono mossi attraverso brani scelti, allo scopo di stimolare i curiosi di periegetica, ovvero della letteratura di viaggio, a rendere meno convenzionale l'immagine dei protagonisti del Grand Tour educati per generazioni a tuffarsi, almeno una volta, verso le luci del mezzogiorno d'Italia.

Poeti, artisti, vedutisti, archeologi, intellettuali a tutto tondo, riscontrano, e, senza eccezioni, il fascino che era stato loro promesso, che loro glorificano a piena gola; fremono di piacere alla scoperta delle palme, degli ulivi, di limoni che accarezzano un fregio corinzio o una testa di Venere; percepiscono commossi nel silenzio del Tavoliere delle Puglie e lungo le Rive dello Ionio segnali misteriosi di un tempo remoto che sembra irridere gli affanni della storia; ma assai spesso i medesimi cultori dell'ineffabile si rivelano preziosi cronisti di fenomeni molto più vicini alla identificazione sociologica, etnologica, demografica, antropologica, che a quella estetica.

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Lecce, la città del buon gusto di George Berkeley - aprile 1717

George Berkeley, filosofo irlandese, capostipite della scuola empirista, visitò l'Italia tra il 1717 e il 1721 soggiornando a Roma, Napoli, Ischia e in Puglia. Questi appunti si riferiscono alla visita fatta a Lecce tra l'aprile e il maggio 1717. 

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Ad aprile 1717 scrive: sono appena rientrato da un viaggio per le terre più remote e sconosciute in Italia.

Vostra Signoria conosce perfettamente le città più decantate, ma forse per la prima volta senti dire che la più bella città italiana si trova in un lontano angolo del tacco.

Lecce è, per i suoi ornamenti architettonici, la città più fastosa che abbia mai visto.

Devo, poi, anche ricordare oltre alle antichità viste in molti posti, chi ci guardava fisso come uomini più utili dal cielo e che talvolta ci seguivano a frotte, e non solo per curiosità ma per assisterci lungo la strada.

Non visitare questi paesi interessanti per paura dei banditi è solo una cosa da vigliacchi.

Lecce, la città del buon gusto di George Berkeley - 27 maggio 1717

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[...] Anche le abitazioni più povere sono di gusto. In nessun'altra città ho visto tante porte, finestre, logge, pilastri, balaustrate, tutti in pietra.

[...] In nessuna parte d'Italia si trova un gusto così compatto di forme architettoniche.

I dintorni sono ben abitati. Le porte della città sono corinzie e composite.

Si ha l'impressione che architetti e scultori abbiano ereditato lo spirito e l'ingegno dedicato dei Greci che anticamente hanno abitato queste zone.

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Onori a santa Rosalia di Patrich Brydone - Palermo, 12 luglio 1770

Patrich Brydone, scienziato e viaggiatore irlandese, visitò l'Italia dal 1767 al 1771.

Nel 1770 da Napoli si imbarcò per la Sicilia e il diario di questo viaggio riscosse un enorme successo, venne tradotto in francese e divenne un punto di riferimento fondamentale per i successivi viaggiatori. 

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Il 12 luglio 1770 si trova a Palermo e racconta la festa che ha avuto inizio verso le 5 del mattino con la processione di Santa Rosalia, portata in giro con grandissima pompa attraverso tutta la città. 

Uno squadrone di cavalleria con trombe e timballi e tutti i notabili vestiti allo stesso modo precedevano il carro trionfale: una macchina enorme, lunga 70 piedi, larga 30 e alta più di 80, cioè molto più alta di più alti palazzi di Palermo.

Un grande castello semovente che occupa interamente la strada da un verso all'altro, e non sempre a spazio sufficiente per muoversi.

Questa prodigiosa architettura è trainata da 56 robustissime mule addobbate in modo singolare, disposte su due file e montate da 28 palafrenieri abbigliati di stoffe in tessuto e d'oro e di argento, i cappelli guarniti con piume di struzzo.

Finestre e balconi da ogni parte della strada sono gremiti gli spettatori ben vestiti, e il carro è seguito da circa 2.000 popolani.

Questa processione trionfale è durata sino alle tre, in seguito si sono avute magnifiche luminarie.

Onori a santa Rosalia di Patrich Brydone - Palermo, 15 luglio 1770

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Ieri si sono svolte tre corse di sei cavalli ciascuna, come la prima volta. 

Tutti hanno detto di essersi molto divertiti; io non posso dirvi altrettanto.

Un uomo è stato travolto e - credo - ucciso, mentre uno dei cavalieri è caduto da cavallo.

La conversazione della nobiltà si è tenuta questa volta nella casa del Giudice della Monarchia, ufficiale che riveste una carica di fiducia e di grande distinzione.

Ottima la colazione, accompagnata da un pregevole concerto.

Alle 11, insieme a tutta la compagnia e seguito da un corteo favoloso, il Vicerè si è recato a visitare la piazza e il Duomo.

Immaginate una delle nostre grandi cattedrali addobbata a questo modo e illuminata da 20.000 candele e comincerete a farvi una debole idea di questa visione.

Devo riconoscere che essa ha superato ogni mia aspettativa, benché fossi preparato a vedere qualcosa di veramente sorprendente.

Quando si pensa a queste splendide decorazioni che abbelliscono tutta intera una chiesa, è difficile collegarvi un'idea di grandezza e di maestà, e fu questo che mi venne di pensare quando sentii parlarne la prima volta.

È sorprendente che essi affrontino così grandi spese e si diano tanta pena per un apparecchio di qualche ora; da stamani, infatti, hanno cominciato a sguarnire la chiesa, e si dice che questa operazione si protrarrà ancora per molte settimane.

Onori a santa Rosalia di Patrich Brydone - Palermo, 16 luglio 1770

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Ieri, al sopraggiungere della sera, tutte le strade furono completamente illuminate.

Non vi dico che, già trascorsi due o tre giorni al termine stabilito per il nostro ritorno a Napoli, avevamo noleggiato un battello, preso congedo dal viceré e ricevuto i nostri passaporti.

Il nostro bagaglio e le provviste per il viaggio erano già a bordo, quando i nostri amici ci hanno pregato con tale insistenza e cordialità di passare ancora 15 giorni con loro, che non siamo stati capaci di rifiutare; e così abbiamo dovuto far scaricare il bagaglio.

Riferisco questo particolare per mostrarvi come qui, molto più che nelle altre città del continente, sia sviluppato il senso dell'ospitalità per gli stranieri.

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Amorose rovine di Henry Swinburne

Henry Swinburne scrittore e viaggiatore inglese, insieme alla moglie Marta Backer, visitò la Sicilia e l'Italia del Sud tra il 1777 e il 1779. 

Da questo soggiorno ricavò due grossi tomi dei suoi Travels pubblicati a Londra nel 1783. 

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Qui lo ritroviamo appunto in Sicilia, a due miglia da Selinunte dove si scorgono le rovine che fanno pensare a due vasti cantieri in cui è allineato il materiale atto a costruire una città. 

Viste da vicino lasciano la stessa impressione. 

A prima vista non se ne scopre la pianta; qua e là sono sparsi fusti di colonne, alcuni scanalati, altri no; capitelli, trabeazioni, alcuni appaiati, altri che sembrano non esserlo ancora. 

Il tempio più grande appare come un'opera di giganti; ci si scopre tanto piccoli accanto ai più piccoli particolari, da non credere che li abbiamo realizzati degli uomini e che degli uomini abbiano rimosso questi massi che l'occhio stesso è sconcertato a misurare. 

Ogni colonna è una torre, ogni capitello una roccia. 

Sembrava che qui si sia voluto intimidire gli dei o spaventare gli umani, più che edificare un tempio a gloria degli uni e ad ammirazione degli altri.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Napoli 1787 di Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe poeta, scrittore e scienziato tedesco, viaggiò in Italia dal 1786 al 1788.

Soggiornò a Napoli e in Sicilia dal febbraio al giugno 1787.

Il suo Viaggio in Italia, pubblicato tra il 1816 e il 1829, segna un punto fermo nella stessa concezione della visita al nostro Paese.

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Andando e tornando nelle Due Sicilie - Napoli, 25 febbraio 1787 di Johann Wolfgang Goethe

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Man mano che ci avvicinavamo a Napoli l'atmosfera si faceva sempre più pura; ormai ci trovavamo davvero in un'altra terra.

Le case dai tetti piatti ci annunciano la diversità del cielo, anche se all'interno non devono essere molto comode.

Tutti sciamano per la strada, tutti siedono al sole finché non cessa di splendere.

Il napoletano è convinto di avere per sé il Paradiso e si fa un'idea ben triste delle terre del settentrione.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Napoli, 5 marzo 1787 di Johann Wolfgang Goethe

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Abbiamo approfittato dalla seconda domenica di Quaresima per fare un giro delle chiese. 

Così come a Roma tutto è estremamente serio, qui tutto invece improntato ad allegria e a buon umore.

Anche la scuola di pittura napoletana è qualcosa che si capisce solo a Napoli. 

Qui, per esempio, c'è da meravigliarsi nel vedere un'intera facciata di chiesa dipinta da cima a fondo.

Ma quello che non si può raccontare né descrivere è la magnificenza di una notte di plenilunio, quale l'abbiamo goduta vagando per vie e per piazze, sull'interminabile passeggiata di Chiaia e poi su e giù lungo la Riviera. 

Qui si ha veramente la sensazione dell'infinità dello spazio.

Senza dubbio, vale la pena di sognare così.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Napoli, 5 marzo 1787 di Johann Wolfgang Goethe

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Debbo darvi qualche breve ragguaglio di carattere generale circa un uomo egregio che ho conosciuto in questi giorni: il cavaliere Filangieri, noto per il suo libro sulle legislazioni. 

Egli fa parte di quei giovani degni di stima che hanno di mira la felicità degli uomini, non disgiunta da un onorevole libertà.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Napoli, venerdì 9 marzo 1787 di Johann Wolfgang Goethe

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Ciò che rende piacevoli i viaggi è che anche le cose consuete, grazie alla novità e alla sorpresa, acquistano il sapore di un'avventura. 

Verso sera, di ritorno da Capodimonte, feci ancora una visita in casa Filangieri, e mi trovai, seduta sul canapè accanto alla padrona di casa una signora il cui aspetto esteriore non mi parve del tutto confacente ai modi confidenziali cui si lasciava andare senza alcuna soggezione.

Seppi che era una principessa, parente prossima dei miei ospiti.

I Filangieri, non ricchi, vivevano in signorile ristrettezza, e immaginai che altrettanto fosse di quella principessina, tanto più che di codesti alti titoli non ve né certo penuria a Napoli.

Sì accomiatò, si affrettò verso la porta e passandomi vicino disse: «I Filangieri pranzeranno da me uno di questi giorni; spero di vedere anche lei!».

Presi nota del nome, del giorno e dell'ora, ben deciso a presentarmi puntualmente al luogo stabilito.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Napoli, lunedì 12 marzo 1787 di Johann Wolfgang Goethe

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Oggi andai in giro a mio modo per la città e osservai diverse cose che intendo descrivere a suo tempo e su cui per il momento non posso dir nulla. 

Tutto induce a credere che una terra felice come questa, dove ogni elementare bisogno si trova copiosamente soddisfatto, produca anche gente d'indole felice, capace di aspettare fremente dall'indomani ciò che le ha portato oggi e di vivere, quindi, senza pensieri.

Appagamento istantaneo, moderato godimento, lieta sopportazione di effimeri mali!

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Caserta, mercoledì 14 marzo 1787 di Johann Wolfgang Goethe

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Ho visitato Hacker nella comodissima abitazione che gli è stata prestata nella vecchia reggia. 

Quella nuova è in realtà un palazzo enorme, somigliante all’Escoriale, costruito a pianta quadrata e con numerosi cortili; degno invero d’un Re.

La posizione è di eccezionale bellezza, nella più lussureggiante piana del mondo, ma con estesi giardini che si prolungano fin sulle colline; un acquedotto induce un intero fiume, che abbevera il palazzo e le sue adiacenze, e questa massa acquea si può trasformare, riversandola su rocce artificiali, in una meravigliosa cascata.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Napoli, 19 marzo 1787 di Johann Wolfgang Goethe

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Basta girare per le strade e aprire gli occhi per vedere spettacoli inimitabili. 

Sul molo, uno dei punti più rumorosi della città, vidi ieri un Pulcinella: in piedi su di un assito, era intento a litigare con una scimmia, mentre su un balcone sovrastante, una gran bella figliola faceva offerta delle sue grazie; vicino al palco della scimmia un vendicastro magnificava i propri specifici, rimedio per tutti i mali, davanti a una folla di baggei.

Raffigurato da Gerard Dou, un quadro del genere avrebbe potuto mandare in visibilio contemporanei e posteri.

Oggi era anche la festa di San Giuseppe, patrono di tutti i frittaroli, cioè dei venditori di pasta fritta, bene inteso della più scadente qualità.

E poiché sotto il nero olio bollente arde di continuo una grande fiammata, della loro sfera fa parte anche il tormento del fuoco; perciò ieri sera avevano fatto, davanti alle loro case, una parata di quadri di anime del purgatorio e di giudizio universale entro un lingueggiare e divampare di fiamme.

Sulle soglie delle case grandi padelle erano poste su focolari improvvisati.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Palermo, aprile 1787 di Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe poeta, scrittore e scienziato tedesco, viaggiò in Italia dal 1786 al 1788.

Soggiornò a Napoli e in Sicilia dal febbraio al giugno 1787.

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Andando e tornando nelle Due Sicilie - Palermo, giovedì 5 aprile 1787 di Johann Wolfgang Goethe

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Abbiamo fatto un giro delle cose più rilevanti della città. 

Lo stile architettonico somiglia in generale a quello di Napoli, ma nei pubblici monumenti - certe fontane ad esempio - si nota più ancora l'assenza di buon gusto.

Qui non è, come a Roma, lo spirito dell'arte a improntare di sé i lavori; forma ed essenza delle costruzioni dipendono da circostanze fortuite.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Palermo, sabato 7 aprile 1787 di Johann Wolfgang Goethe

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Nel giardino pubblico vicino alla marina ho passato ore di quiete soavissima.

E’ il luogo più stupendo del mondo.

Nonostante la regolarità del suo disegno, ha un che di fatato; risale a pochi anni orsono, ma ci trasporta in tempi remoti.

Verdi aiuole circondano piante esotiche, spalliere di limoni e si incurvano in eleganti pergolati, alte palizzate ed oleandri screziati di mille fiori rossi, simili a garofani, avvincono lo sguardo.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Palermo, 13 aprile 1787 di Johann Wolfgang Goethe

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L’Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell’anima: qui è la chiave di tutto.

Del clima non si dirà mai bene abbastanza; ora è tempo di acquazzoni, che però non sono mai abbastanza insistenti; quest’oggi tuona e lampeggia, e il verde si fa più acceso ...

Dei cibi e delle bevande locali non ho ancor detto nulla, eppure è un argomento non trascurabile.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Girgenti, martedì 24 aprile 1787 di Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe poeta, scrittore e scienziato tedesco, viaggiò in Italia dal 1786 al 1788.

Soggiornò a Napoli e in Sicilia dal febbraio al giugno 1787.

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Mai in tutta la vita ci fu dato di godere una così splendida visione di primavera come quella di stamattina al levar del sole. 

Sull'alto spiazzo dell'acropoli originaria sorge la nuova Girgenti, in una cerchia di sufficiente ampiezza per contenere gli abitanti.

Dalle nostre finestre lo sguardo spazia su grande, largo clivo della città antica, tutto giardini e vigneti, sotto la cui verzura, chi mai potrebbe supporre alcuna traccia dei vasti e popolosi quartieri ora scomparsi?

Solo verso l'estremità meridionale di questo altipiano verdeggiante e fiorito si vede levarsi il tempio della Concordia, mentre a oriente stanno i pochi ruderi del tempio di Giunone; le rovine da altri edifici sacri, tutti in linea retta con i precedenti, non sono visibili dall'alto, ma l'occhio digrada rapido verso la pianura costiera a sud, che per un'altra mezz'ora di strada si estende fino alla riva del mare.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Taormina, lunedì 7 maggio 1787 di Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe poeta, scrittore e scienziato tedesco, viaggiò in Italia dal 1786 al 1788.

Soggiornò a Napoli e in Sicilia dal febbraio al giugno 1787.

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Per buona sorte tutto ciò che abbiamo visto oggi è già stato abbondantemente descritto da altri; d'altra parte Kniep si è proposto di rimanere lassù a disegnare per l'intera giornata di domani. 

Superata l'altra parete di roccia che si innalza a picco non lontano dalla spiaggia, si trovano due roccioni collegati da un semicerchio, la cui forma, qualsivoglia fosse per natura, è stata trasformata dall'arte in modo da farne un emiciclo ad anfiteatro destinato agli spettatori; con l'aggiunta di muri e da altri annessi e mattoni si ottennero i corridoi e i porticati necessari.

Ai piedi e trasversalmente all'emiciclo a gradini fu costruita la scena, unendo le due rocce e completando così una gigantesca opera d'arte e di natura.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Sulla costa sotto Taormina, martedì 8 maggio 1787 di Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe poeta, scrittore e scienziato tedesco, viaggiò in Italia dal 1786 al 1788.

Soggiornò a Napoli e in Sicilia dal febbraio al giugno 1787.

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Kniep è un regalo che mi ha fatto la fortuna, e non lo loderò mai abbastanza: mi allevia da un peso che non potrei sopportare e mi restituisce alla mia propria natura. 

È salito lassù per prendere vari schizzi di singole vedute che avevamo notate ieri.

Avrà da appuntire più volte i suoi lapis e non so come riuscirà a sbrigarsi.

E anch'io sarei potuto tornare a vedere tutte quelle cose!

Da prima pensai di seguirlo, ma poi mi sedusse l'idea di restare qui, di cercarmi un angoletto come un uccello che voglia farsi il nido.

In un misero, abbandonato orto contadino, mi sono seduto su dei rami d'arancio e mi sono immerso nelle mie fantasie.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Dal mio ricordo di Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe poeta, scrittore e scienziato tedesco, viaggiò in Italia dal 1786 al 1788.

Soggiornò a Napoli e in Sicilia dal febbraio al giugno 1787.

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Certo com'ero che grazie alla presenza e all'operosità di un valente artista, Kniep, unite ai miei più sporadici e deboli tentativi, avrei potuto conservare una serie di immagini precise e benché scelte delle contrade più interessanti e di loro particolari, i bozzetti oppure - a mia richiesta - in quadri compiuti, di buon grado cedetti a un desiderio che sempre più forte sorgeva in me: quello di dar vita in figurazioni poeticamente degne del meraviglioso paese che mi circondava, al mare, alle isole, ai porti e, stando in questo luogo, di trarne ispirazione per comporre qualcosa che possedesse un senso e un tono quali nessuna mia opera aveva avuto.

La chiarità del cielo, il soffio del mare, i vapori che sembrano dissolvere monti, mare e cielo in un solo elemento, tutto rinfocolò il mio proposito; e mentre in quel bel giardino pubblico erravo tra le siepi di oleandri in fiore, tra il fogliame degli aranci e dei limoni carichi di frutti, mentre indugiavano immenso in mezzo ad altri alberi cespugli sconosciuti, mi sentii pervaso con somma delizia da quell'influsso esotico.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Napoli, venerdì 25 maggio 1787 di Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe poeta, scrittore e scienziato tedesco, viaggiò in Italia dal 1786 al 1788.

Soggiornò a Napoli e in Sicilia dal febbraio al giugno 1787.

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Probabilmente non rivedrò più la mia frivola principessina; è proprio andata a Sorrento, e prima di partire mi ha onorato dei suoi rimproveri per avere io osato preferire a lei l'arida e deserta Sicilia. 

Da alcuni amici ho avuto maggiori notizie intorno a questo curioso personaggio.

Nata di famiglia nobile ma poco abbiente, educata in convento, si era acconciata a sposare un vecchio e ricco principe, decisione cui era stato facile indurla dato che aveva sortito da natura un'indole non cattiva, ma totalmente incapace e l'amore.

La nuova posizione che assicurava bensì la ricchezza, ma la costringeva in una rete di rapporti familiari, alla quale cercò di ovviare ricorrendo all'intelligenza di cui era dotata e rifacendosi della poca libertà d'azione col dare libero sfogo alla sua parlantina.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Napoli, venerdì 28 maggio 1787 di Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe poeta, scrittore e scienziato tedesco, viaggiò in Italia dal 1786 al 1788.

Soggiornò a Napoli e in Sicilia dal febbraio al giugno 1787.

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L'ottimo è utilissimo Volckmann mi costringe di tanto in tanto a divergere dalle sue opinioni.

Dice per esempio che a Napoli vi sarebbero da trenta a quarantamila fannulloni: e quanti non lo ripetono!

Dopo aver acquisito qualche conoscenza delle condizioni di vita del Sud, non tardai a sospettare che il ritenere fannullone chiunque non s'ammazzi di fatica da mane a sera fosse un criterio tipicamente nordico.

Rivolsi perciò la mia attenzione preferibilmente al popolo, sia quando è in moto che quando sta fermo, e vidi, bensì, molta gente malvestita, ma nessuno inattivo.

Chiesi allora ad alcuni amici se veramente esisteva questa massa di oziosi, desiderando conoscerli io pure, ma nemmeno loro furono in grado di indicarmeli; sicché, coincidendo la mia indagine con la visita della città, mi misi io stesso sulle loro tracce.

Andando e tornando nelle Due Sicilie - Napoli, sabato 2 giugno 1787 di Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe poeta, scrittore e scienziato tedesco, viaggiò in Italia dal 1786 al 1788.

Soggiornò a Napoli e in Sicilia dal febbraio al giugno 1787.

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È anche quest'altra bella giornata posso bensì dire di averla trascorsa piacevolmente e utilmente in compagnia d’elette persone, ma contravvenendo ai miei piani e con l'ansia nel cuore. 

Guardavo con struggimento la colonna di vapori che digradava lenta dal monte verso il mare, segnando il percorso via via imboccato dalla lava.

Barletta, Morano, Reggio Calabria, Mileto, Resina - Dalle lettere di un ufficiale di Napoleone, Paul-Louis Courier

Paul-Louis Courier scrittore, filosofo e polemista francese (1772-1825), si fermò a lungo in Italia come ufficiale dell’esercito napoleonico.

Nel biennio dal 1805 al 1807 fu di stanza nel mezzogiorno e partecipò alla repressione dell'insurrezione in Calabria.

Lasciò nelle sue lettere un vero e proprio memoriale sulle condizioni della Calabria e dell’intero Mezzogiorno.

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Barletta, 24 maggio 1805 - Dalle lettere di un ufficiale di Napoleone, Paul-Louis Courier

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Attraverso Loreto, arrivai a Giulianova, che è il primo villaggio del Regno di Napoli; eravamo al 19 di ottobre; fui alloggiato e nutrito molto bene dai Padri Francescani, il cui convento è la sola casa abitabile del posto; sono stato trattato allo stesso modo in tutto il regno, sempre alloggiato nella casa più bella e servito nella miglior maniera permessa dal luogo. 

Tutto il paese è pieno di briganti e la colpa è del governo che si serve di loro per angariare e derubare i propri sudditi. 

Ne ho incontrati molti, ma siccome allora non volevano mettersi in urto con l'esercito francese ci lasciarono passare indisturbati. 

Figuratevi che in tutto questo regno una carrozza non può arrischiarsi in campagna senza una scorta di almeno 50 uomini armati, che spesso svaligiano essi stessi quelli che accompagnano.

Morano, 1 marzo 1806 - Dalle lettere di un ufficiale di Napoleone, Paul-Louis Courier

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Nella città si saccheggia molto, e si ammazza un poco. 

Anche io saccheggerei, perbacco! Se sapessi dove trovare qualcosa da mangiare. 

Ritorno sempre sull’argomento, ma senza speranza. 

Vedo il maggiore Stroltz che almeno si dà da fare ad accendere il fuoco; se ci riesce smetto di scrivere.

Da Reggio, in Calabria, 15 aprile 1806 - Dalle lettere di un ufficiale di Napoleone, Paul-Louis Courier

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Per poco che vi ricordiate, signora, le più devoto dei vostri servi, non vi rincrescerà, immagino, sapere che io sono vivo a Reggio, in Calabria, in fondo all'Italia, mai tanto lontano da Parigi e da voi. 

Dopo sei mesi che ci avremmo molte cose da scrivervi, ma mi mancano il tempo e la tranquillità. 

Noi trionfiamo correndo, e se ci siamo fermati qui e perché la terra ci è mancata. Ecco, direi, un regno conquistato con molta rapidità, e voi dovreste esser fiera di noi. Ma io no, non sono contento. 

L'Italia per me non ha senso se non vi aggiungo la Sicilia. 

Ma essere arrivati tanto vicino e non potervi mettere il piede, non vi sembra una cattiveria? 

Il canale non è certo largo, eppure non si sa come passarlo. 

Lo credereste? 

Grazie a Dio il vento c'è, sono le barche che mancano, e questo è il guaio.

Mileto, 2 ottobre 1806 - Dalle lettere di un ufficiale di Napoleone, Paul-Louis Courier

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Dopo il nostro ricongiungimento con Massena procediamo più sicuri alla nostra situazione non è più tanto infelice. 

Ritorniamo sui nostri passi formando l'avanguardia di questo piccolo esercito e muovendo agli insorti la più atroce delle guerre. 

Ne uccidiamo pochi, ne catturiamo ancor meno. 

La natura del paese, la conoscenza è l'abitudine che ne hanno fanno sì che, anche sorpresi, ci sfuggono facilmente, ma non altrettanto noi a loro.

Resina, presso Portici, 1 novembre 1807 - Dalle lettere di un ufficiale di Napoleone, Paul-Louis Courier

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Un giorno viaggiavo in Calabria. 

È un paese di gente cattiva che credo non ami nessuno e ce l'abbia soprattutto con i francesi. 

Spiegarvi perché sarebbe troppo lungo; basterà dire che ci odiano a morte e che quando si cade nelle loro mani non si passano certo bei momenti. 

In queste montagne le strade sono precipizi; i nostri cavalli procedevano con molta fatica. 

Un sentiero che al mio compagno sembrò più breve ed agevole ci fece smarrire. 

Colpa mia che volli fidarmi di un ragazzo di vent'anni. 

Tutto il giorno cercammo di ritrovare la strada attraverso quei boschi, ma ogni nostro tentativo si dimostrava inutile, ed era notte fonda quando giungemmo nei pressi di una casa nerissima. 

Vi entriamo, non senza sospetto; ma che fare? 

Troviamo tutta una famiglia di carbonai, che subito ci invitano a dividere la loro cena. 

Il mio giovane amico non si fa pregare; eccoci a mangiare e a bere, lui almeno, perché quanto a me scrutavo il luogo e l'espressione dei nostri ospiti. 

Ma se costoro avevano proprio l'aspetto di carbonai, la casa l'avresti scambiata per un arsenale: dovunque fucili pistole sciabole coltelli e coltellacci. 

Niente mi andava a genio e vidi bene che nemmeno io andavo a genio ai miei ospiti.

La vita teatrale a Napoli e Capua, febbraio 1817 di Stendhal

Tra il 1816 e il 1817, lo scrittore francese Stendhal (al secolo Henri Beyle, 1783-1842), visitò diverse località italiane, tra cui Napoli, ricavandone, sotto forma di diario di viaggio, il volume Roma, Napoli e Firenze 1817.

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La vita teatrale a Napoli, 7 febbraio 1817 di Stendhal

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A Terracina, nel magnifico albergo costruito da quel Pio VI che sapeva regnare, ci propongono di cenare con i viaggiatori provenienti da Napoli. 

Distinguo, fra sette o otto persone, un bellissimo giovane biondo, un po' calvo, di venticinque o ventisei anni. 

Gli chiedo notizie di Napoli e soprattutto della musica: mi risponde con idee precise, brillanti e piacevoli. 

Gli domando se posso sperare di vedere ancora a Napoli l'Otello di Rossini; risponde sorridendo. 

Gli dico che ai miei occhi Rossini e la speranza della musica italiana, e il solo a possedere del genio innato; egli fonda i suoi successi non sulla ricchezza dell'accompagnamento ma sulla bellezza delle melodie. 

Il mio uomo mostra una sfumatura di imbarazzo, i suoi compagni di viaggio sorridono: insomma, è proprio Rossini. 

Per fortuna, e per caso stranissimo, non ho accennato né alla pigrizia di questo bel genio né ai suoi numerosi plagi.

La vita teatrale a Capua, 8 febbraio 1817 di Stendhal

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Chiedo se c'è spettacolo: alla risposta affermativa, mi precipito. 

Ho fatto bene: le Nozze in Campagna, musica piena di brio del freddo Guglielmi (figlio del grande compositore) è stata suonata e cantata, con tutto il calore e con tutto lo slancio possibile, da tre o quattro poveri diavoli che guadagnano otto franchi per recita.

L'opera finisce a mezzanotte: all'una ripartiamo. 

Gli austriaci hanno stabilito posti di guardia ogni quarto di lega e fanno disperare i ladri, che muoiono di fame.

La vita teatrale a Napoli, 9 febbraio 1817 di Stendhal

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Ingresso grandioso: si scende per un'ora verso il mare su una larga strada incisa nella tenera roccia sulla quale è costruita la città. 

Solidità delle Mura. 

Albergo de’ poveri, primo edificio. 

Assai più notevole di quella bomboniera millantata che è la porta del Popolo a Roma. 

Eccoci al palazzo degli studi, giriamo a sinistra ed ecco via Toledo.

Uno degli scopi del mio viaggio è proprio questa strada, la più affollata e allegra del mondo. 

Ci credereste? 

Siamo stati in giro per gli alberghi per cinque ore; è evidente che devono esserci due o tremila inglesi; alla fine riesco a trovare un posticino al settimo piano, è proprio di fronte al San Carlo e vedo il Vesuvio e il mare.

La vita teatrale a Napoli, 12 febbraio 1817 di Stendhal

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Eccolo, infine, il gran giorno dell'inaugurazione del San Carlo: follia, fiumi di gente, la sala è abbagliante. 

È necessario dare e prendersi qualche pugno e qualche rozzo spintone. 

Ho giurato a me stesso di non arrabbiarmi e ci sono riuscito, ma ho perduto due falde della mia giacca.

La vita teatrale a Napoli, 13 febbraio 1817 di Stendhal

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Entrando, stessa sensazione di rispetto e di gioia. 

In Europa non v’è nulla, non dirò che somigli, ma che possa anche lontanamente dare un'idea di ciò che vedo.

La sala, ricostruita in trecento giorni, è un vero e proprio colpo di stato: riavvicina re e popolo più di quella costituzione data alla Sicilia, e tanto desiderata a Napoli, che del resto vale quanto la Sicilia. 

Tutta Napoli è ebbra di gioia.

Sono tanto entusiasta dell'ambiente che di riflesso mi è piaciuto anche lo spettacolo.

La vita teatrale a Napoli, 20 febbraio 1817 di Stendhal

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Trovo pochissimo tempo per scrivere, forse perché Napoli è una grande capitale, come Parigi. 

Passo piacevolmente il tempo ma, grazie al cielo, la sera non ho da dire nulla di nuovo e posso andare a letto senza lavorare. 

Napoli, fra le città italiane, e la sola vera capitale: tutte le altre grandi città sono altrettante Lione rinforzate.

La vita teatrale a Napoli, 23 febbraio 1817 di Stendhal

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Sono stato tanto ingenuo, ancora all'età che ho, da credere che in un'opera pubblica si possano curare due cose contemporaneamente. 

Se la sala è superba, la musica deve essere cattiva; se la musica è deliziosa, la sala deve far pietà. 

Il merito di aver ricostruito questo teatro spetta interamente a un certo signor Barbaja: si tratta di un milanese, garzone di caffè che con locali da gioco ha fatto milioni: ha costruito la sala con i profitti futuri del suo banco.

Anapo e la sua sposa, il Ciane, il papiro di Joseph-Antoine de Gourbillon

Joseph-Antoine de Gourbillon, letterato francese e buon italianista, venne spesso in Italia e nel 1819 raggiunse Napoli, da dove si imbarcò per la Sicilia.

Nel suo diario di viaggio propone un interessante ritratto dell’Isola all’indomani della restaurazione.

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Anapo e la sua sposa di Joseph-Antoine de Gourbillon

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Un miglio oltre Ortigia, dal lato opposto al grande porto che, aprendosi dapprima in semicerchio, si estende poi quasi in linea retta fino al promontorio Plemirio - promontorio che nella più bella delle cornici racchiude il più incantevole dei quadri -, là dicevo, come posato sulle rive dello Jonio, vi è un luogo sereno e incantato, un angolo di terra sfuggito alla generale rovina, soggiorno favorito del cielo, che certo lo sottrasse ai furori del tempo e degli uomini, per offrirlo alla nostra ammirazione. 

Qui scorre l'Anapo; qui, uscito incautamente da un letto angusto ma sicuro, da una riva modesta ma fresca e ridente, ornata di verzura, e abbandonandosi ancor più incautamente al perfido pendio di una spiaggia sabbiosa e infuocata, il tranquillo e umile fiume riconosce presso il suo errore e si getta come disperato nei flutti agitati e verdastri del grande mare Jonio.

Il Ciane di Joseph-Antoine de Gourbillon

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A circa un quarto di lega oltre alla foce del fiume, si scorge improvvisamente sulla destra un altro grazioso canale la cui acqua è ugualmente limpida e circondata di verde perenne. 

Il suo corso appare più sinuoso dell'Anapo, nel quale confluisce; nasce da un'altra sorgente, non meno pura e profonda; è la sposa del dolce Anapo, quell’amabile ninfa che i poeti siciliani, di Grecia e di Roma, hanno così sovente cantato sotto il nome di Ciane e che gli isolani di oggi non cantano più da tanto tempo, e tuttavia conoscono sotto il nome ridicolo di Pisma.

Il papiro di Joseph-Antoine de Gourbillon

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Finalmente la vedo, questa pianta celeberrima, questo povero giunco, più famoso e forse assai più utile dell'orgoglioso cedro del Libano! 

Con immenso rispetto le mie mani si posano sul più prezioso tesoro dell'Egitto e della Sicilia, la foglia umile modesta alla quale dobbiamo il nome, i fatti, gli scritti degli uomini insigni, il ricordo delle imprese gloriose, l'esempio delle virtù e dei vizi, le arti, le scienze, i mestieri e le lettere; la pianta senza il cui soccorso poesia e storia non esisterebbero per noi e senza la quale forse neanche sapremmo leggere! 

Una foresta di papiri è ora davanti a me, mentre quelli che li coltivavano sono scomparsi per sempre. 

Questa rara è preziosa piantagione è senza dubbio il più bell’ornamento delle rive dell'Anapo e del Nilo.

«Finalmente ti abbiamo, o Sicilia» di Charles Alexis Henri de Tocqueville

Charles Alexis Henri de Tocqueville, pubblicista e uomo politico francese (1806-1859), viaggiò negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Algeria, visitò la Sicilia nel 1827.

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«Finalmente ti abbiamo, o Sicilia» di Charles Alexis Henri de Tocqueville

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Si procedeva lentamente, dinanzi a noi il superbo spettacolo della baia di Napoli, l'orecchio ancora risonante degli ultimi rumori di vita che si levavano dalla popolosa città. 

Costeggiamo la spiaggia di Ercolano e presto scorgemmo la collina che nasconde Pompei. 

Era già notte quando fummo vicini alle rocce di Capri. 

Il vascello che veleggiava la volta di Palermo, non riuscì a raggiungere la città, e finalmente in vista del piccolo porto di Olivieri, nel circondario di Messina. 

Il 12 marzo, effettuato il controllo, approdammo infine a una piccola spiaggia. «Finalmente ti abbiamo, o Sicilia!» esclamammo felici, saltando sul lido, e subito ci demmo a percorrere la terra che si apriva dinanzi a noi. 

Mai prospettiva più deliziosa si offrì a dei miseri ai quali ancora sembrava sentire sotto i piedi il ponte vibrante di un vascello. 

Assenti le lunghe dune di arida sabbia che fanno così tristi le rive dell'oceano e che del resto ben si inseriscono nel paesaggio grumoso di quelle contrade, qui, invece, a trenta passi dalla riva potevi scorgere aloe di enorme grandezza, lunghe spalliere di fichi d'india e ogni specie di arbusti fioriti.

In Italia avevamo lasciato l'inverno.

La carovana giunge a Palermo di Charles Alexis Henri de Tocqueville

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Percorsa una parte dell'isola, la carovana giunse a Palermo. 

Primo a scorgersi nell'avvicinarsi alla città e il Monte Pellegrino, la cui mole quadra e isolata ripara Palermo dai venti di nord-ovest, ma rende perciò ancor più terribile lo scirocco. 

Si dice che quindici anni orsono il popolo era convinto che se Napoleone si fosse impadronito della Sicilia avrebbe fatto sprofondare nei flutti questa montagna. 

Il 17 marzo lasciamo Palermo.

Dopo due ore di marcia per queste Terre desolate la guida ci fa cenno di guardare qualcosa che si staglia lontano, sul dorso di una collina. 

Grande è il nostro stupore nello scorgere ritto e isolato un tempio greco conservatosi intatto: Segesta. 

Chi trascorre per mare lungo le coste siciliane facilmente sarebbe portato a credere l'isola ricca e fiorente, mentre non vi è al mondo paese più miserabile; la direbbe popolata, e le sue campagne sono invece deserte e tali resteranno fin quando il ridimensionamento della proprietà e il libero commercio non daranno al popolo un interesse sufficiente per farvi ritorno. 

I viaggiatori puntano su Agrigento di Charles Alexis Henri de Tocqueville

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Attraversata Sciacca e Siculiana, i viaggiatori puntano su Agrigento.

Qui giunti ci si trova dinanzi all'immenso anello formato un tempo dalle mura di Girgenti, e che, a quanto possiamo giudicare, non doveva avere un perimetro inferiore alle cinque o sei leghe. 

Quasi tutti i resti dell'antica città sono sistemati su questo bastione naturale a cospetto del mare. 

Scorgiamo anzitutto il tempio di Giunone Lacinia; il fregio e numerose colonne dell'edificio sono crollati. 

Passiamo poi al tempio della Concordia: mai visto niente di più straordinario in quanto a conservazione. 

Questi templi, a parte la dimensione più ridotta, somigliano in tutto e per tutto a quelli di Selinunte: lo stesso modulo di colonne, la stessa semplicità di linee, la stessa disposizione degli accessori. 

È straordinario che i greci, la cui immaginazione era tanto irrequieta, non abbiano mai pensato a mutare sia pure in qualche dettaglio il sistema architettonico, una volta adottato.

Da Agrigento a Catania di Charles Alexis Henri de Tocqueville

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Da Agrigento i nostri viaggiatori si muovono alla volta di Catania attraversando la fertile piana dei Lestrigoni. 

Arrivati a Catania volemmo subito rimetterci in cammino per Nicolosi e tentare durante la notte la grande ascensione all'Etna. 

Partimmo alle quattro.

Uscendo dalla città si traversa qualche campo coltivato, si entra poi in una zona di lava, antica ma ancora nuda ed orribile. 

E da qui che si ha la migliore visuale su Catania, circondata da boschetti e da colate di lava. 

Con uno sforzo eccezionale raggiungiamo l'orlo del cratere, che contempliamo con una sorta di terrore. 

Dovunque intorno a noi il mare, e la Sicilia è distesa ai nostri piedi. 

Eccola finalmente, ci diciamo, questa Sicilia, meta del nostro viaggio, per tanti mesi oggetto dei nostri discorsi, eccola tutta intera ai nostri piedi. 

In queste valli Apollo ha guardato le greggi; questi boschetti che si estendono sino a toccare la riva del mare hanno risuonato del flauto di Pan; le ninfe si sono perdute tra le loro ombre e hanno respirato il loro profumo. 

Qui Galatea cercava di sfuggire a Polifemo, mentre Aci, vicino a soccombere sotto i colpi del suo Rivale, ancora faceva liete queste spiagge legate per sempre al suo nome.

Più lontano si possono scorgere il lago di Ercole e le rocce dei Ciclopi. 

Terra degli dei e degli Eroi! Povera Sicilia! 

Che cosa sono divenute le tue brillanti chimere?

Il salotto lucano di Crauford Tair Ramage

Crauford Tair Ramage, pubblicista inglese (1803-1878), precettore dei figli di sir Henry Lushington li accompagnò nel loro viaggio in Italia e si fermò tre anni a Napoli, dal 1822 al 1825.

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Per andare verso sud avevo lasciato Napoli senza un preciso itinerario da seguire; non avevo deciso se prendere la via Nazionale che conduce all'interno, oppure seguire la costa il più dappresso possibile. 

Mio intento era vedere quanti più usciti di antiche località potesse consentirmi il tempo a mia disposizione. 

Chiesi notizie al sacerdote, mio compagno di viaggio, sulle terre dell'interno che egli conosceva molto bene, ma le sue informazioni non mi incoraggiarono a seguirne il consiglio. 

Mi pare di non avervi ancora descritto il mio abbigliamento: giacca chiara di lana, abbondantemente fornita di tasche per le carte geografiche e i miei quaderni di appunti, pantaloni di lana robusta, cappello di paglia a larghe tese, scarpe bianche e un robusto ombrello per proteggermi dai cocenti raggi del sole che sarebbero certamente andati aumentando man mano che avrei proceduto verso sud.

La transumanza di Richard Keppel Craver

Richard Keppel Craver, viaggiatore inglese (1779-1851), figlio di un nobile inglese viaggiò a lungo in Europa e nel 1805 si stabilì a Napoli.

Nel 1834 una cospicua eredità gli consentì di acquistare un grande convento tra le montagne salernitane dove trascorse molti anni ospitando viaggiatori e politici.

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Uno dei laghi tratturi o sentieri per le pecore corre parallelo alla strada provinciale per L'Aquila, ed io ebbi la fortuna di vederlo occupato da una lunga fila di greggi, che passarono lentamente accanto alla mia carrozza per un tratto di un miglio o forse più.

Dire che fui fortunato a vedere un simile spettacolo farà forse sorridere i lettori; ma devo confessare che ogni volta che ho visto questi armenti innumerevoli attraversare le pianure della capitanata e le vallate dell'Abruzzo, coprendole fino a perdita d'occhio, ho provato una sensazione nuova ed eccitante, affine alla gioia, ma che non tenterò di analizzare.

Via Toledo e Via Chiaia di Alexander Dumas

Alexander Dumas, romanziere francese (1802-1870), visitò Napoli nell’autunno del 1835 ricavandone una serie di «quadretti» nei quali a vivaci immagini della città si alternano numerosi luoghi comuni.

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Toledo è la via di tutti; e la via dei ristoranti, dei caffè, delle botteghe; è l'arteria che alimenta e attraversa tutti i quartieri della città; è il fiume in cui vanno a confluire tutti i torrenti della folla. 

L'aristocrazia vi passa in carrozza, la borghesia vi vende le sue stoffe, il popolo vi fa la siesta. 

Per il nobile è una passeggiata, per il mercante un bazar, per il lazzarone un domicilio. 

Chiaia, invece, non è altro se non una strada e quindi non può offrire di curioso più di quanto di strada offra, cioè una lunga fila di edifici moderni più o meno di cattivo gusto.

Del resto Chiaia sotto questo punto di vista ha, come la strada di Rivoli a Parigi un vantaggio: quello di presentare una sola linea di porte, di finestre di pietre più o meno felicemente collegate una sull'altra.

Cuore di scrivano e ascensioni vesuviane di Charles Dickens

Charles Dickens, scrittore inglese (1812-1870) soggiornò in Italia dall’estate del 1844 all’estate 1845.

Dai suoi taccuini di viaggio fu tratto Picture from Italy.

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Ecco un galeotto in catene che vuol farsi scrivere una lettera per un amico. 

Si avvicina a uno che ha l'aria di poterlo scrivere, là sotto l'arco dell'angolo, e combina l'affare. 

Il galeotto bisbiglia all'orecchio dello scrivano quel che desidera dire e, non sapendo leggere, gli pianta gli occhi sul volto per capire dall'espressione di questi se lui scrive fedelmente quanto gli viene detto. 

Dopo un po', il galeotto si fa incoerente, tira fuori troppe chiacchiere. 

Il segretario fa una pausa, si gratta il mento. 

Il galeotto è loquace ed energico. 

Il segretario afferra alla fine l'idea e, col piglio di chi sa come metterla sulla carta, la butta giù fermandosi ogni tanto a dare uno sguardo ammirato allo scritto. 

Il galeotto tace. La guardia frantuma storicamente le sue noci. 

Poco conta che neve ghiaccio mantengano una spessa coltre in cima al Vesuvio e che tutto il giorno noi siamo andati girando a piedi per Pompei e che inoltre certi uccelli di malaugurio dicano che gli stranieri non dovrebbero salire sulla montagna in questa insolita stagione. 

Approfittiamo del bel tempo e andiamocene subito a Resina, il paesino che le sta ai piedi; prepariamoci alla meglio, nel breve tempo che ci rimane, a casa della guida; saliamo senza indugio, con la certezza di essere sorpresi dal tramonto a mezza corsa, di arrivare su con la luna e di tornare a mezzanotte!

I filosofi dell'Abbazia di Ernest Renan

Ernest Renan, storico francese (1823-1892) dall’ottobre 1849 al luglio 1850 fu in Italia per una missione scientifico-letteraria.

Si fermò a lungo a Napoli e sulla via del ritorno sostò per dieci giorni nell’abbazia di Montecassino ospite dei Monaci.

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Montecassino è la più dolce fra le sorprese di questo viaggio. 

Da qualche giorno siamo ospiti della sua nobile Abbazia e le impressioni che ci ispira sono più delicate delle stesse gioie intellettuali e morali che avvertimmo a Roma nel primo mese. 

Montecassino uno dei posti più singolari del mondo dove si può meglio conoscere nella sua poeticità e nobiltà lo spirito italiano. 

Montecassino è ora in questo paese il centro più attivo e brillante del movimento moderno e offre uno spettacolo davvero stupefacente: i monaci che sono perseguitati dal potere temporale per i loro patriottismo e l'altezza del loro sentimento religioso.

Sceherazade in terra di Bari di Ferdinand Gregorovius

Ferdinand Gregorovius, storico tedesco (1821-1891) dopo gli studi e le prime pubblicazioni si recò in Italia dove fu conquistato dal fascino di Roma.

Qui divenne un infaticabile ricercatore di memorie storiche.

Da quel lavoro nacque la Storia della città di Roma nel medioevo.

Tra le sue opere più significative Pellegrinaggi in Italia, nella quale racconta anche i suoi soggiorni nel Sud.

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Il 18 maggio abbiamo proseguito nel nostro viaggio lungo la costa Adriatica. Mezzogiorno a Barletta. 

Questa città, come del resto anche tutte le altre sul mar Adriatico, è pulita e moderna. 

Contiene poche cose monumentali tranne i due Duomi ed alcune altre chiese. 

A nessuna di queste città manca un castello. 

I paesaggi sono come tanti giardini di mandorli, ulivi e viti. 

Il redattore del giornale di Barletta, La Terra, amico di Mariano, ci ha condotto in vettura a Trani.

Abbiamo trovato una località ben costruita e uno dei più bei luoghi dell'Italia del sud, vicino al porto. 

Dopo una misera notte nella locanda, La Terra e Guglielmi ci hanno condotto, il 19 maggio, ad Andria, città vasta ma senza cultura, di cui sono stati duchi un tempo i Balzi, poi i Caraffa.

Arriviamo a Bari. Il paesaggio è un continuo giardino.

La città commerciale di Bari va incontro a un futuro importante. 

Il castello, al porto, esiste ancora, costruzione grandiosa con torri ottuse. 

I monumenti più singolari del passato sono il Duomo e San Nicola. 

Abbiamo visto i due porti di Bari, il vecchio e il nuovo, quest'ultimo in via di costruzione. 

Nel vecchio si trovano molte imbarcazioni dalmate e greche e sulla spiaggia abbiamo trovato grandi mucchi di tartarughe vive. 

Il 21 Maggio siamo partiti per Taranto.

La diligenza di Francois Lenormant

Francois Lenormant, archeologo francese (1837-1883) venne in Italia per la prima volta nel 1866 per studiare il patrimonio artistico della Puglia e della Basilicata.

Tornò nel Mezzogiorno altre due volte nel 1879 e nel 1882 per lunghe visite in Calabria, Basilicata e Campania.

I resoconti dei suoi soggiorni sono raccolti nella Grande Grèce, un’opera in tre volumi che suscitò un grande interesse in tutta Europa.

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Alle sei di una bella mattina dei primi d'ottobre montiamo in vettura sulla piazza principale di Catanzaro. 

Il nostro veicolo, che è rimasto lo stesso per tutto il viaggio e ci ha portato fedelmente fino a Reggio, è tanto originale, tanto ricco di colore locale, da meritare subito una descrizione. 

Potrei tuttavia farne a meno se tutti i miei lettori avessero visto il delizioso quadro di De Nittis intitolato la diligenza di Barletta; giacchè la nostra vettura rassomiglia singolarmente a quella rappresentata dal pittore, anch'essa in mezzo alla polvere bianca di una strada argillosa, sotto un sole di cui è reso mirabilmente il bagliore accecante. 

Comunque, se ci si vuol fare un'idea della vettura alla quale avevamo affidato per parecchi giorni le nostre quattro persone e che ci condusse attraverso i paesaggi più belli del mondo, si immagini un carrozzone della cassa ricurva a mo' di barca e sospesa a più di un metro d'altezza su certe balestre antiquate sopra ruote enormi. I finestrini si aprono ampiamente sui lati, come quelli di un'americana, ma se il vento freddo o la pioggia costringono a chiuderli, si scopre con disappunto che le imposte sono di legno e che hanno in alto soltanto un piccolo vetro, appena sufficiente a lasciar passare un po' di luce, di modo che si è rinchiusi come in una scatola senza vedere più niente del paesaggio. 

È vero che il vetro è quasi sempre rotto e l'imposta fermata così male che, quando è chiusa, c'è quasi lo stesso vento e la stessa acqua di quando è aperta; perciò si rinuncia subito a chiuderla.

La linea ionica di Francois Lenormant

Francois Lenormant, archeologo francese (1837-1883) venne in Italia per la prima volta nel 1866 per studiare il patrimonio artistico della Puglia e della Basilicata.

Tornò nel Mezzogiorno altre due volte nel 1879 e nel 1882 per lunghe visite in Calabria, Basilicata e Campania.

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Torremare, che dà il nome all'attigua stazione ferroviaria, è un'antica roccaforte medievale, rimaneggiata nel 1500, oggi da molto tempo smantellata e trasformata in masseria. 

Tutta la superficie della pianura circostante, tra il Bradano e il Basento, è coltivata dai contadini che scendono a lavorare dal grosso paese di Bernalda, situato a circa otto chilometri, sulle prime falde della montagna. 

Qui non esiste un solo sentiero battuto o coperto di ghiaia; si è costretti a camminare attraverso le campagne, il cui suolo grasso è naturalmente irrorato dalle infiltrazioni dei due fiumi, che dopo qualche giorno di pioggia si trasforma in un mare di fango. 

Se in tali condizioni si vogliono visitare le antichità di Metaponto, non c'è altro modo che prendere a nolo da un massaro un carretto altissimo, appoggiato su due grandi ruote, che ad ogni momento ci ricoprono di fango dalla testa ai piedi, e farsi trasportare su questo veicolo non molleggiato (particolare di cui ci si accorge fin troppo presto), da un paio di cavalli fisici, di cui uno, attaccato fuori dalle stanghe, sta lì soltanto per forma e non può tirare un bel niente; senza poi considerare la possibilità di vedere il carretto affondare in una palude, cosicché si è costretti a scendere, la mota fino al ginocchio, per dare una mano al carrettiere a spingere la ruota. 

Ma non è il moderno comfort che si è venuto a cercare nelle rovine di Metaponto, e chi non sa prendere con allegria queste piccole miserie del viaggio ha una sola cosa da fare, restare a Napoli e non azzardarsi mai ad abbandonarla per spingersi più a sud.

Pranzo di archeologi alla Certosa di Padula di Francois Lenormant

Francois Lenormant, archeologo francese (1837-1883) venne in Italia per la prima volta nel 1866 per studiare il patrimonio artistico della Puglia e della Basilicata.

Tornò nel Mezzogiorno altre due volte nel 1879 e nel 1882 per lunghe visite in Calabria, Basilicata e Campania.

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Per guadagnare tempo, evitare la fatica di salire fino a Padula e diminuire di altrettanto la strada che avremo da percorrere domani prima di raggiungere la ferrovia, decidiamo di dormire alla Certosa di San Lorenzo. 

Il custode ci autorizza ad accompagnarci nelle celle deserte e al cader della notte vediamo incedere una processione di donne dall'aspetto quanto mai pittoresco, che portano sul capo i nostri bagagli e in grandi ceste, coperte di panni bianchi, il necessario per un pranzo di addio che i signori Romano e i loro amici ci offrono in una delle sale dell'antico appartamento del Priore. 

Benché senta fortemente di colore locale, si tratta di una buona tavola e soprattutto i vini sono squisiti.

Templi e odore di zolfo di Guy de Maupassant

Guy de Maupassant, scrittore francese (1850-1893) nel 1890 pubblicò La vie errante, in cui raccolse memorie di viaggi nel Mediterraneo quasi sempre compiuti a bordo del suo piccolo veliero.

Le pagine sulla Sicilia sono considerate tra le più felici di quest’opera.

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Tutti hanno visto Paestum e ammirato le tre superbe rovine gettate nella pianura spoglia, prolungata e in lontananza dal mare, e circondata, dall'altra parte, da un'ampia scelta di montagne azzurrine. 

Tuttavia, se il tempio di Nettuno è più perfettamente conservato e più puro - così si dice - dei templi di Sicilia, questi ultimi sono al centro di paesaggi così meravigliosi, talmente imprevisti, che nulla al mondo può dare un'idea dell'impressione che suscitano nella mente. 

Quando si lascia Palermo, si trova dapprima il vasto aranceto denominato La Conca D'Oro; poi la ferrovia segue la costa, una costa di montagne rossicce e di rocce rosse.

La strada ferrata volge infine verso l'interno dell'isola e si scende alla stazione di Alcamo-Calatafimi. 

Niente Boschi, pochi alberi, in compenso vigneti e messi; la strada sale tra due file ininterrotte di agavi fiorite. 

Il teatro di Segesta, in cima ad una montagna, costituisce il centro di un anfiteatro di monti la cui circonferenza raggiunge per lo meno dai 150 ai 200 km.

L'indomani del giorno in cui si vede Segesta, è possibile visitare Selinunte, enorme mucchio di colonne crollate, cadute ora allineate ed affiancate, come soldati morti, ora precipitate in maniera caotica. 

Girgenti invece, l'antica Girgenti, posta, come Selinunte, sulla costa sud della Sicilia offre più stupendo insieme di templi che sia dato di contemplare. 

Sembrano eretti nell'aria, in mezzo ad un paesaggio magnifico ed isolato. 

Tutto è morto, arido e giallo, attorno ad essi, dietro e davanti ad essi. 

Il sole ha bruciato, mangiato la terra.

Ma è veramente il sole che ha corroso così il suolo, oppure il fuoco profondo che brucia sempre le vene di quest'isola di vulcani? 

Poiché dappertutto, attorno a Girgenti, si stende la singolare contrada delle miniere di zolfo. 

Qui tutto è zolfo: la terra, le pietre, la sabbia, tutto.

Gli dèi di Cotrone di Paul Bourget

Paul Bourget, narratore e saggista francese (1852-1935) come Accademico di Francia viaggiò nel nostro paese nel 1890, e il suo Sensations d’Italie fu tra le opere dedicate all’Italia, quella che raccolse il maggior successo di pubblico nei primi anni del novecento.

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Per quanto al ricordo dell'antica Crotone, divenuta Cotrone per una semplicissima corruzione di linguaggio, sia legato un grande interesse filosofico e archeologico, oggi la cittadina è visitata soltanto dai viaggiatori di commercio o da mercanti di limoni e di arance. 

Eppure qui fu tentata, e nella maniera più completa, una esperienza unica nella storia: quella di Pitagora, che mirò ad organizzare tutta una città sotto la guida di una aristocrazia di metafisici. 

Qui ancora, all'estremità del lungo promontorio che protegge il porto, il Capo delle Colonne, si ergeva il tempio venerando di Giunone Lacinia di cui parla Virgilio. 

Cotrone riposa laggiù, bianca e gialla, con la linea del suo porto dove le navi di cabotaggio dormono all'ancora. 

Qui solitaria si erge una colonna, tutto quanto resta del tempio di Hera Lacinia, la dea protettrice dei casti sponsali; qui Pitagora conduceva le donne di Cotrone a offrire i fiori e le loro cinture, il misterioso Pitagora, che pronunciò, fra tante altre, questa massima, singolarmente profonda per un moderno, per uno di quegli appassionati di intima sofferenza come siamo noi tutti: «Non bisogna divorare il proprio cuore!».

La colonna dorica di George Gissing

George Gissing, narratore e saggista inglese (1857-1903), per i suoi interessi umanistici e il culto del mondo classico si spinse due volte nell’Italia meridionale nel 1887 e nel 1897.

Da questo secondo viaggio nacque By the Jonian Sea, Sulla Riva dello Jonio, un'opera considerata tra le migliori scritte da viaggiatori stranieri nella seconda metà dell’Ottocento.

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Cotrone sorge nel luogo dell'antica Acropoli, su un piccolo promontorio sporgente sul mare; in alto, e di fronte alla città, si erge il castello costruito da Carlo V, con immensi spalti, e domina il porto. 

Da una strada che costeggia la riva intorno alla base della fortezza, si vede una larga baia, limitata a nord dai cupi fianchi della Sila, e a sud da un promontorio lungo e basso, che lentamente degrada fino alla punta remota in cui finisce fra le onde. 

Fissai gli occhi su questo capo, aguzzandoli finché non mi parve di distinguere qualcosa, un puntolino sporgente contro il cielo, proprio sull'estremità più lontana. 

Allora ricorsi al cannocchiale, e subito quell’incerto puntino divenne una prominenza chiaramente visibile, qualcosa di molto simile a un faro.

E’ una colonna dorica, alta una decina di metri; l'unico sostegno che sia rimasto del grande tempio di Era, famoso in tutto il mondo ellenico, e ancora sacro quando la dea portava ormai da secoli un nome latino. 

«Colonna» è il nome più frequente di questo capo, ma esso è noto anche come Capo di Naù, nome che conserva la parola naos ossia tempio.

In onore della Vergine di Norman Douglas

Norman Douglas, narratore e saggista inglese (1868-1952), di padre scozzese e madre tedesca, visse a lungo in Austria.

A vent’anni venne per la prima volta in Italia.

Nel 1896 abbandonò la carriera diplomatica e si trasferì a Napoli dove acquistò una villa sull’isolotto de «La Gajola».

Successivamente si trasferì a Capri dove morì quasi novantenne.

Fu un profondo conoscitore della Calabria che visitò più volte a partire dal 1907.

La sua opera più conosciuta sul tema è Old Calabria, Vecchia Calabria, pubblicata nel 1915.

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Lasciati, la mattina seguente, gli ospitali pastori, giungemmo dopo mezzogiorno alla Madonna di Pollino, lungo remoti sentieri del bosco. 

Il tempio solitario sta appollaiato, come un nido d'aquila, sull'orlo di una rupe a piombo sul torrente Frida. 

Grazie alla posizione è l'altitudine, il panorama verso l'interno della regione è splendido; specie verso sera, quando la violenta luce solare si attenua in lontananza e le montagne si rivelano, catena dietro catena, le creste disegnate l'una contro l'altra in morbide gradazioni di malva e di verde. 

Pochissimi forestieri, dicono, hanno assistito a questa festa, che cade nel primo sabato nella prima domenica di luglio e che merita un lungo cammino per essere vista. 

È un grande pic-nic in onore della Vergine.

Duemila persone si accampano intorno alla cappella, con un esercito di muli e di asini, i cui ragli si mischiano alle musiche pastorali delle zampogne e delle cornamuse. 

L’ondeggiare della folla in movimento riempie la visuale; si accendono i fuochi sotto improvvisati ripari e si divora una pazzesca quantità di cibo, secondo l'uso prescritto in queste occasioni: «si mangia per divozione».

Da tutte le parti pittoreschi gruppi di danzatori, al suono delle cornamuse, si abbandonano a una vecchia danza locale, la Pecorara, una sobria tarantella in cui l'uomo volteggia con atteggiamenti fauneschi di invito e schioccar di dita, mentre la donna sfugge all'invito con gli occhi bassi. 

La chiesa è affollata fino all'inverosimile; riti e preghiere si susseguono senza interruzione e i sacerdoti hanno senza dubbio il loro da fare.

Cagliari di David Herbert Lawrence

David Herbert Lawrence, narratore e saggista inglese (1885-1930), autore tra l’altro di Lady Chatterly partì assieme alla moglie alla scoperta della Sardegna.

Il soggiorno in quest’isola è narrato nell’opera Mare e Sardegna.

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Scendemmo fino alla stradina ma vedemmo affiorare altri panieri da un'ampia scalinata di pietra, coperta.

Perciò salimmo, e ci trovammo nel mercato della verdura. 

Qui l’a-r (ape regina: come lui chiamava la moglie Frieda) si divertì ancora di più. 

Dietro i mucchi di verdura sedevano le contadine, scalze alcune, nei rigidi corpetti, nelle voluminose sottane variopinte, e mai mi accadde di vedere più deliziosa mostra. 

Pareva predominare il verde-cupo e intenso degli spinaci, da cui sorgevano monumenti di cavolfiori bianco-ricotta e viola scuro: ma cavolfiori meravigliosi, come fasci di fiori, intensi e purpurei come grandi massi di violette. 

Su questa massa verde, bianca, spiccava l'acceso rosa-scarlatto e l'azzurro-cremisi dei rapanelli, grandi rapanelli a mucchi, come piccole rape. 

Poi le lunghe, slanciate gemme grigio-porpora dei carciofi, e oscillanti grappoli di datteri, e mucchi di fichi bianchi coperti da una polvere zuccherina e cupi fichi neri, e lucenti fichi tostati: ceste di fichi. 

E tanto altro.

«Oh!» grida l’a-r.

«Se vengo ad abitare a Cagliari e non faccio la spesa qui morirò con un desiderio insoddisfatto».

In Trenino verso il Gennargentu di David Herbert Lawrence

David Herbert Lawrence, narratore e saggista inglese (1885-1930), autore tra l’altro di Lady Chatterly partì assieme alla moglie alla scoperta della Sardegna.

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I vari treni erano inerti a fianco a fianco della stazione di smistamento, e si fecero lunghissime chiacchierate prima che si partisse finalmente! 

Ma come era magnifico poi correre nella chiara mattina verso il cuore della Sardegna, sul piccolo treno che ci era così familiare. 

Viaggiavamo ancora in terza, con alquanto disgusto degli impiegati della stazione di Mandas. 

Da prima, campagna abbastanza aperta, con i soliti lunghi speroni di monti dai fianchi ripidi, ma non alti.

E dal nostro trenino guardavamo la campagna, i monti, le valli. 

Lontano su un basso pendio, si scorgeva una piccola città. 

Se non fosse stato per il suo aspetto compatto, fortificato, avrebbe potuto essere una città della regione collinosa dell'Inghilterra meridionale. 

Un uomo del nostro scompartimento si sporse dal finestrino con un panno bianco in mano, come per annunciare il proprio arrivo a qualcuno nella città lontana, il vento agitava il panno bianco, la città lontana scintillava, piccolo e sola nel suo incavo. 

E il trenino correva via.

Messina, Taormina, Enna di Bernhard Berenson

Bernhard Berenson, storico e critico d’arte americano (1865-1959), compì gli studi all’università di Harvard dove si laureò nel 1887, conseguendo una borsa di studio per un viaggio in Europa.

Il soggiorno in Italia fu fondamentale per la sua decisione di dedicarsi alla storia dell’arte e stabilirsi definitivamente in Italia (a Settignano, presso Firenze).

Berenson visitò diverse volte il Mezzogiorno e in particolare la Sicilia.

Le sue memorie di viaggio sono contenute in “Pagine di diario”, pubblicato nel 1958.

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Messina, Taormina, Enna di Bernhard Berenson

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La principale ragione del mio fermarmi a Messina per tre giorni è la mostra dei dipinti di Antonello da Messina, l'unico pittore universalmente famoso della Sicilia, anzi di tutta l'Italia Meridionale, tra quelli del Quattrocento. 

La mostra non contiene che una parte delle sue opere. 

Mancano i quadri di Londra, di Parigi, di Washington, e manca, purtroppo, il suo capolavoro: il San Sebastiano della galleria di Dresda, che vogliamo sperare sia scomparso solo temporaneamente.

Intanto, le autorità sovietiche avrebbero dichiarato di non sapere nulla circa la sua presente ubicazione; ma ciò può venire detto per motivi di carattere diplomatico.

Taormina, 23 maggio di Bernhard Berenson

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Quando io venni qui per la prima volta, l'unico albergo era una casetta dipinta in rosa proprio sotto al Teatro Romano.

Che differenza con l'attuale caravanserraglio costituito dagli alberghi e dalle pensioni, che ora formano il nucleo della piccola città! 

Piccola, ma già con una sua parte importante nella storia antica della Sicilia. Sempre in guerra, al pari delle consorelle, contro l'una o l'altra di loro: perfino contro il villaggio di Mola, che le sta sopra in vetta a un alto picco ad obelisco. 

Il suo richiamo e maggior titolo di gloria risiede nella vista al cosiddetto Teatro Romano.

Taormina, 24 maggio di Bernhard Berenson

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Stamani mi son levato alle 4:45 e mi sono messo al balcone della mia stanza per vedere l'alba sull'Etna. 

Il suo colore era argento e viola sopra un delicato rossore, che sembrava venirgli di dietro. 

In vetta, un diadema di neve, e, sotto, la collana delle nubi. 

La grande altezza della montagna non appariva tale, per via dei suoi morbidi e lunghi fianchi. 

Il mare era uno specchio che rifletteva i colori del cielo, via via pervaso di rosso per il sorgere dal basso del sole, sempre più presente, sebbene non fosse ancora scoperto al mio occhio. 

Una calma senza suoni, eccetto quello vasto e subito spento della grande distesa del mare rompendosi al suo toccare la riva.

Taormina, 25 maggio di Bernhard Berenson

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Che cos'è che mi spinge a lasciare questo luogo così bello, comodo, riposante? 

Forse la coscienza di non aver io nulla da fare, qui, specie adesso che cammino male, con gambe appesantite, e che non riesco più a compiere lunghe passeggiate. 

Una permanenza protratta potrebbe ricondurmi, trascorso un periodo di non spiacevole noia, ad uno stato abbastanza creativo e quindi atto a procurarmi in maggiore soddisfazione cioè di quella prevista nel passare da un disagio all'altro per vedere cose che s'erano mirabilmente esaltate nella mia memoria di visite giovanili e che ora posso trovar figurate da aggiunte e volgarità di ogni sorta.

Taormina, 26 maggio di Bernhard Berenson

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Mi sono levato alle quattro e trenta per mettermi di nuovo al balcone a contemplare, seguendola di attimo in attimo, l'alba sopra il Teatro Romano e il suo lento diffonder chiaro in cielo, sul mare, e sulla campagna, fino all'Etna incappucciata di neve. 

Mentre guardavo le case di Taormina, strette a grappoli entro il semicerchio delle sue colline, lo spettacolo mi ha ricordato qualcosa, ma in modo vago, impensabile al momento. 

Dopo un certo sforzo per conquistarne la coscienza, ho riconosciuto che il ricordo mi riportava a Mantegna, al Mantegna del «Cristo Dell'Orto» della National Gallery di Londra.

Enna, 27 maggio di Bernhard Berenson

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Enna è una città situata su un colle tanto superbamente bella da farmi ritenere che per la sua stupenda posizione superi Edimburgo, Toledo, Siena, Perugia e tutte le altre città in vetta a un colle io conosca in Europa e nel mondo Mediterraneo non europeo. 

La direi un luogo ideale per trascorrere giorni e settimane se vi fosse modo di alloggiarvi più comodamente di quanto non capiti al forestiero, il quale, per questo riguardo, non è certo allettato a rimanervi, come sarebbe nell'interesse dei suoi abitanti.

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