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Vi leggo «Sulla Riva dello Jonio» di George Gissing

Questo diario di un Viaggio nella Calabria Jonica di 31 giorni, è il libro-guida «By the Jonian Sea» (Sulla riva dello Jonio) di un compagno di viaggio nato 100 anni esatti prima di me, George Gissing, ma con la mia stessa passione e amore per la Magna Grecia; il viaggiAutore scrisse il suo diario di viaggio alla conclusione del suo secondo viaggio in Italia nel 1897 nel quale in 100 pagine descrive la ricerca dei luoghi nei quali fiorì la Civiltà Magno Greca, alla luce del suo interesse umano e letterario per il mondo classico.

Il Meridione caldo, assolato e luminoso, Gissing sceglie di visitarlo nel periodo invernale, forse abituato alle atmosfere piovigginose inglesi.

Siamo in presenza, come spesso avviene per i viaggiatori del Grand Tour, di un uomo colto, vero specialista di storia e letteratura italiana, infatti in gioventù lo scrittore ha studiato con passione Orazio, Virgilio, Omero, Pitagora, Dante e Boccaccio, così come ama leggere in Greco, Latino e perfino in Italiano, i capolavori letterari composti in questi idiomi e, quando finalmente, dopo averlo tanto sognato, riesce a visitare l’Italia e la Grecia, ammaliato dal Paesaggio Mediterraneo e dai Luoghi dove sono vissuti gli Scrittori Greci e Latini che ama.

Passeggiare per le stradine dove avevano passeggiato gli antichi scrittori, di quel mondo di sapienza e pensiero, lo scrittore avverte l’indispensabilità come difesa dalla modernità e dei conflitti della sua epoca.

Dell’Italia ammira gli aspetti umani e della natura, l’atmosfera musicale e vibrante di luoghi che evocano un mondo magico in cui perdersi e ritrovarsi.

È sufficiente leggere le ultime righe del libro per rendersene conto:

«Solo e silenzioso ascoltavo lo sciacquio dell’onda; vidi scendere la sera sull’Etna ammantata di nubi, e tremule luci apparire su Scilla e Cariddi; e mentre davo un ultimo sguardo in direzione dello Jonio avrei voluto potermi aggirare senza fine nel silenzio dell’antico mondo, dimenticando il presente ed ogni suo suono.» 

ASCOLTA LA LETTURA INTEGRALE DEL LIBRO

Riflessioni sugli italiani e la musica dal «Viaggio sulla Riva dello Jonio» (05:08)

Questo podcast è una riflessione dedicata al rapporto tra gli italiani e la musica, estratto dal diario di viaggio sulla Riva dello Jonio.

Questi pensieri gli vennero ascoltando la musica popolare che proviene dalla  piazza Cotrone, l'odierna Crotone, mentre stava costretto a letto, colpito gravemente di malaria; la musica di un organetto seguita da una e più voci, lo riporta alla vita, e gli fa riconsiderare ed apprezzare i crotonesi e la storia degli italiani.


NAPOLI la partenza - Tappa 1 (16:07)

È il terzo giorno di scirocco: nuvoloni, niente sole.

Napoli ha perso tutto il colore; le strade sono polverose e soffocanti.

Certo lo scirocco scolorisce tutto in un tetro grigio, ma è scoraggiante sotto qualunque cielo osservare i cambiamenti di Napoli.

Lo sventramento prosegue e intere zone sono trasformate.

Il mare è stato scacciato a una disperata distanza e tra non molto Santa Lucia sarà una strada qualunque, chiusa fra alti caseggiati, senza nessuna veduta.

Rimangono gli odori: bancarelle di frutti di mare sono ancora indisturbate, come le brocche degli acquaioli; le donne ancora si pettinano e si fanno le trecce per la strada, e i pasti vengono cucinati e consumati al fresco come in passato.

Quando venni a Napoli per la prima volta non si stava mai senza sentire un organetto; e questi organetti avevano un timbro particolarmente armonioso suonavano le arie più brillanti. 


TORRE ANNUNZIATA la Capitale dell'arte bianca - Tappa 2 (15:59)

Partimmo con un’ora di ritardo.

Un tempo perfetto.

Cantavo di gioia, dentro di me, sul ponte assolato, mentre il vapore oltrepassava la Baia, oltrepassava Portici e Torre del Greco ed entrava nel porto di Torre Annunziata per fare il carico.

Ero l’unico passeggero, e la solitudine mi piace.

Per tutto il pomeriggio caldo e sereno rimasi seduto a guardare i monti, cercando di non vedere quel gruppo di ciminiere che mandavano volute di fumo nero sulle case multicolori.

Per un piacevole contrasto, il Vesuvio quel giorno esalava vapori rosa delicato, che si spandevano lontano e si rompevano, dalla parte del mare, in tenere lanugini di cirri.

Il cono, rivestito di zolfo, spiccava col suo lucente giallo contro l’azzurro senza una nube.


Davanti all’ISOLA DI CAPRI - Tappa 3 (30:22)

Il viaggio fu ripreso all’ora di pranzo; quando tornai in coperta, era notte.

Eravamo nelle vicinanze di Sorrento: avevamo alle spalle la lunga curva di deboli luci sulla riva di Napoli: davanti, Capri.

In una tenebra profonda, anche se il cielo era gremito di stelle, passammo fra l’isola e il Capo Minerva; dal porto di Capri veniva appena un tenue luccichio; sopra, torreggiavano potenti scogliere, un’oscurità spaventosa, un vuoto fra le costellazioni.

Dal mio sedile a poppa della nave non potevo distinguere nessuna figura umana; era come se viaggiassi solo nel silenzio di questo mare incantato.


PAOLA sbarco sulla spiaggia - Tappa 4 (38:34)

Dormii poco, e prestissimo ero in coperta a scrutare alla luce dell'alba una costa montuosa. 

Quando spuntò il sole seppi che eravamo in vista di Paola; e mentre il giorno invadeva glorioso la terra e il cielo, la nave si fermò e si preparò a scaricare. 

C'era davvero il paesino giallastro che avevo così a lungo immaginato; si trovava notevolmente più in alto della riva; di porto non vi era traccia, solo un'ampia spiaggia ghiaiosa dove si frangevano le onde e dove un gruppo di uomini, donne e bambini fissava intento il vapore. 

Ebbi piacere di trovare quella località così piccola e primitiva.


COSENZA e la tomba di Alarico - Tappa 5 (37:22)

Sarebbe stato prudente chieder consiglio al mio cocchiere sugli alberghi di Cosenza.

Anche a Cosenza c’è un progresso, e le guide per le zone meno conosciute d’Europa possono facilmente perdere attualità.

Ma, prima di tutto, il dazio.

Certo, tutta la faccenda del dazio è spregevole e ridicola; non conosco spettacolo più degradante di quello di ufficiali in uniforme che frugano i miseri fagottini di contadine mezze morte di fame, strapazzando un pugno di cipolle, o punzecchiando con lunghi ferri una cartata di paglia.

Nessuno avrà mai confrontato le spese con i risultati.

Ero venuto qua per pensare ad Alarico e per vedere con i miei occhi il luogo della sua sepoltura.

Quante volte avevo desiderato di vedere questo fiume Busento che «la fatica di una moltitudine di schiavi» deviò dal suo letto perché le sue acque in piena ricoprissero e nascondessero per sempre la tomba del Conquistatore!


SIBARI - Tappa 6 (12:53)

Mangiammo a Sibari: cioè alla stazione ferroviaria così chiamata, benché fino a poco tempo fa portasse il più modesto nome di Buffaloria.

Gli italiani fanno del loro meglio per riesumare i nomi classici dove sono andati perduti e capita che il viaggiatore incauto sia tratto in errore.

Di Sibari non resta una pietra sul terreno; cinquecento anni prima di Cristo, essa fu distrutta dalla popolazione di Crotone, che deviò il corso del fiume Crati per sommergere le rovine della città.

Questa grande pianura fra i monti e il mare diventa molto suggestiva; è così silenziosa, così squallidamente desolata, così piena di ricordi di una gloria passata.


TARANTO - Tappa 7 (34:12)

Cosenza è sulla linea ferroviaria che risale a nord la valle del Crati e si congiunge alla lunga ferrovia litoranea da Taranto a Reggio.

Poiché desideravo di vedere tutta la costa, potevo scegliere se cominciare la mia spedizione dall’estremità settentrionale o da quella meridionale; per diverse ragioni decisi di puntare direttamente su Taranto.

Avendo intenzione di fermarmi una settimana o due, cercai una bella vista sulla città e sul porto.

La Taranto dell’antichità, che era chiamata Taras e più tardi Tarentum, sorgeva su una lunga penisola che divide un braccio interno di mare dal grande mare aperto.

Percorsi tutta la parte insulare della città; mi persi nel labirinto delle sue strade, o meglio i vicoli, perché in molti punti allargando le braccia si potevano toccare i muri di qua e di là, e mi riposai nella cattedrale di San Cataldo.


TARANTO, dulce Galaesi flumen - Tappa 8 (32:27)

Taranto ha un interessantissimo museo.

Mi recai a visitarlo con una lettera di presentazione per il direttore, che non si risparmiò nel mostrarmi tutto quello che valeva la pena di vedere.

Ero solo con lui, e alla seconda o alla terza visita ebbi il museo tutto per me, salvo la presenza di un custode che sembrava considerare un visitatore una piacevole novità.

L’ingresso è libero, eppure nessuno entra.

Cè un corso d’acqua che sbocca nel Mare Piccolo chiamato Galeso.

Fiume? Sarà lungo appena mezzo miglio.

Il fiume amato da Orazio, sulle cui rive trovava pascolo una famosa razza di pecore con un vello così pregiato che veniva protetto?

Questo ruscello deve sempre avere avuto la stessa lunghezza ed è difficile pensare che il Galeso fosse così insignificante.

Deluso e pensoso seguii la corrente fino al mare e sulla riva, tra un profumo di menta e rosmarino, sedetti a riposarmi.


METAPONTO, la tavola dei paladini - Tappa 9 (18:23)

Metaponto è una stazione ferroviaria e nulla più.

Appresi che a Metaponto non esisteva nessuna vettura e nessun animale da sella.

Mi dissero che a tenere un cavallo ci rimettevano; capitava un forestiero a chiederlo solo «una volta ogni cent’anni».

Comunque, si presentò un ragazzo che mi avrebbe fatto da guida alle rovine.

Fu una passeggiata di due o tre miglia, attraverso campi appena arati per la semina del grano.

La città cadde in rovina prima dell’èra cristiana e non fu più ricostruita.

Un ricordo delle guerre coi Saraceni dura ancora nel nome che ha la più importante reliquia di Metaponto, la tavola dei paladini.

Questo monumento dev’essere stato, in passato, molto imponente nel vasto paesaggio.

Si entra nel recinto passando da un cancello di ferro, con una serratura.

Particolare pittoresco, la serratura è in disuso da molto tempo.

La mia guida aprì il cancello con una semplice spinta.


CROTONE Cotrone - Tappa 10 (35:50)

Cominciò a cadere la pioggia, e quando, verso le dieci, scesi a Cotrone, come allora si chiamava, la notte era densa di tempesta.

C’era una sola vettura alla stazione, una specie di diligenza sconquassata, scricchiolante e incrostata di mota.

Giunti all’albergo Concordia, una buia scala di pietra che si apriva sotto il portico: dentro, un lungo corridoio, di qua e di là porte di camere e, in una stanza in fondo, una parvenza di tovaglia.

Questo era l’albergo, tutto l’albergo.

Cotrone sorge nel luogo dell’antica necropoli, su un piccolo promontorio sporgente sul mare; in alto, e di fronte alla città, si erge il castello costruito da Carlo V.

Da una strada che costeggia la riva intorno alla base della fortezza, si vede una larga baia.

Fissai gli occhi a sud sul Capo dov’è una colonna dorica, l’unica rimasta del grande tempio di Hera.


CROTONE, volti per la via - Tappa 11 (36:01)

Un cielo senza nuvole; un sole splendente, caldo come in un’estate inglese; ma la ruggente tramontana dava un freddo sgradevole.

Gli abitanti di Cotrone, cioè quei pochi che non stavano in casa o al riparo dei portici, andavano in giro pesantemente imbacuccati, e io mi stupivo della loro bravura nell’indossare tali panni sotto un sole così caldo.

Il tipo di faccia più comune a Cotrone è rozzo e goffo; più rozzo mi parve, di qualsiasi fisionomia vista nelle altre tappe del mio viaggio.

Un fotografo aveva esposto una quantità di ritratti, ed era una mostra che faceva paura; alcuni visi raggiungevano un grado incredibile di bruttezza e di volgarità.

Gli abitanti sono tutti più o meno malati, sfigurati da una malaria cronica.

Non trovai nessuno disposto a dir bene del suo luogo natìo; tutti si lamentavano della mancanza d’acqua.


CROTONE, il mio amico dottore - Tappa 12 (26:36)

La mattina mi alzai come al solito, ma con difficoltà.

Ricordo con sorpresa che uscii, scesi alla spiaggia e guardai le grosse onde che si frangevano contro il molo del porto.

Rivolsi lo sguardo al promontorio Lacinio, avrei mai raggiunto la colonna sacra?

Poi mi ritrovai all’albergo Concordia, senza sapere esattamente come avessi fatto a tornarci.

Non passò molto tempo che non riuscii più a reggermi in piedi.

Evidentemente dovevo far venire un dottore.

La padrona mi disse che Cotrone aveva un grande medico, di nome Dottor Scurco, che traducendo il nome dal dialetto in italiano, era Sculco.

Dopo una visita di cui capii il risultato, osservò con la sua maniera amabile e vivace che avevo «una passata di reumatismo».

Andare a letto e prendere il chinino in dosi forti.

Della seconda visita ho solo un ricordo confuso, ero oppresso da un senso di estrema stanchezza.


CROTONE, figli della terra - Tappa 13 (24:39)

Qualsiasi settentrionale che soggiornasse al Concordia ne riporterebbe una forte impressione.

Il personale dell’albergo gli parrebbe poco meno che selvaggio: tipi sporchi nella persona e nelle abitudini, dai modi assolutamente rozzi, sempre a litigare e a canzonarsi; privi di qualsiasi requisito per le incombenze che fingono di esercitare.

Avendo una più ampia occasione di giudicarli, superai il primo naturale impulso di antipatia, vidi i loro lati buoni e imparai a scusare gli errori naturali in uno stato di evidente primitivismo e dopo due tre giorni il loro comportamento sbrigativo si addolcisce in cordialità veramente umana.

È legittimo condannare i dirigenti dell’Italia, quelli che plasmano la vita politica e sconsideratamente la caricano di pesi insopportabili.

Ma fra la gente semplice che vive sul suolo italiano, uno straniero di passaggio non ha nessun diritto di coltivare sentimenti di superiorità nazionale, di indulgere a una sprezzante impazienza.

È segno di volgarità turistica.


CATANZARO Lido, il monte del rifugio - Tappa 14 (36:53)

Così salii di nuovo, incespicando, a farmi sballottolare dalla diligenza sporca e sconquassata, percorsi la strada polverosa fra i magazzini sbarrati e inchiavardati e arrivai per tempo alla stazione.

Appena fui lungo i binari provai un immenso sollievo.

Alzai gli occhi verso i monti e mi parve di sentire le brezze di Catanzaro.

Nei secoli che seguirono alla caduta di Roma, il continuo pericolo spinse la popolazione costiera della calabria verso l’interno ed i monti.

Il nostro tempo assiste ad un movimento inverso; la ferrovia litoranea porterà alla creazione di nuovi centri nelle vecchie zone abbandonate.

Un esempio di tali formazioni è Marina di Catanzaro, un piccolo porto allo sbocco di una larga vallata percorsa da una linea che porta a Catanzaro, o meglio alla base dell’alta collina su cui sorge la città.


CATANZARO - Tappa 15 (47:16)

Per mezz’ora il treno sale lentamente.

All’arrivo in stazione, alzai gli occhi sul pendio di una montagna, tanto erto che verso la sommità pareva un precipizio e là in alto, fiocamente illuminata da un ultimo riflesso del tramonto i miei occhi distinsero qualcosa che poteva essere il profilo di mura e di case.

Tuttavia c’era la diligenza che in qualche modo doveva portarmi a Catanzaro.

Salendo, la cima era ora circondata di puntini luminosi, come se un diadema di stelle le fosse caduto sopra dal cielo.

Dovevo guardare Catanzaro semplicemente come una città italiana con dei dintorni meravigliosi.

La salute riacquistata dopo la malaria crotonese, mi dispose a una gran benevolenza verso tutti i suoi abitanti.

Per esempio, in un negozio, il commesso, mentre parlavamo, fece senza parere un pacchettino, ma non riuscii, malgrado tutta la mia insistenza, a pagare quegli articoli; sorridendo dietro il banco il commesso rifiutava di dire il prezzo.


CATANZARO, la cima ventosa - Tappa 16 (31:44)

Catanzaro dev’essere una delle località più salubri dell’Italia Meridionale.

I venti furiosi che mi erano stati sinistramente preconizzati, non tirarono mai durante il mio soggiorno, ma vi fu sempre più o meno brezza, e proprio quel genere di brezza che dà refrigerio.

L’albergo non mancava di elementi caratteristici.

Per esempio, trovai nella mia camera un avviso stampato in cui il proprietario scriveva di aver saputo, con grandissimo dispiacere, che certi viaggiatori, ospiti dell’albergo, avevano l'abitudine di consumare i pasti in altri ristoranti.

Desiderava rendere noto che tale comportamento non solo feriva i suoi sentimenti personali, ma danneggiava la reputazione del suo albergo.

Assicurando che avrebbe fatto del suo meglio per conservare un alto livello di perfezione culinaria, concludeva pregando i rispettabili clienti di concedere i loro favori al ristorante dell’albergo, e quindi si firmava: Coriolano Paparazzo.


SQUILLACE - Tappa 17 (32:18)

Squillace, la virgiliana “Scylaceum” dei naufraghi, era la dimora scelta da Cassiodoro, illuminato uomo politico del vecchio mondo romano, che fu il suo rifugio quando si fece monaco.

Da Catanzaro, in carrozza, il sole non lo vidi per tutto il resto della giornata, mentre la pioggia ci sferzava, il vento agitava tutto il fogliame come le onde di un mare in tempesta.

Arrivammo in cima, poi vi fu una brusca: «Ecco l’albero signore».

Eravamo all’inizio di una strada priva di lastrico, con ai lati squallidi tuguri, una strada che la pioggia aveva trasformato in un fiume di fango.

Davanti a me una baracca, una misera capanna di breccia intonacata, con macchie di vecchio sudiciume.

Sopra la porta lessi: “Osteria centrale” e una scritta più pretenziosa: “Albergo nazionale”.

Dalla porta si entrava in una lurida cucina e fui introdotto in una stanza che fungeva da sala da pranzo, ma in tempi normali era una camera da letto.


SQUILLACE, miseria - Tappa 18 (24:23)

«Cosa fa la gente qui?» chiesi una volta in paesino del meridione,

e il mio interlocutore, con un’alzata di spalle mi rispose «C’è miseria»

La stessa risposta potrebbe esser data in innumerevoli città e paesi di tutta Italia.

Ne avevo già vista di miseria e di squallide condizioni di vita, ma il più brutto e repulsivo agglomerato di case che mai abbia incontrato fu Squillace.

Ammetto l’effetto deprimente della pioggia e del nuvolo, hanno parecchio influito su di me, ma in qualsiasi circostanza mi sarebbe ugualmente parsa un’offesa alla vista e all’olfatto.

Dalle porte spalancate dappertutto, all’interno delle case la vita, in un paese che si chiama civile non avrebbe potuto essere più primitiva che sotto questi tetti sciagurati.

Gli abitanti avevano un aspetto triste e depresso; per quanto l’apparizione di un forestiero debba essere rara, nessuno mostrò la minima curiosità al mio passaggio e nessuno chiese l’elemosina (cosa che torna a onore del paese).


SQUILLACE, Cassiodoro - Tappa 19 (25:01)

Magnus Aurelius Cassiodorus Senator nacque nel 480, lo stesso anno di Boezio, poeta e filosofo, e Benedetto, il Santo.

Accanto a Teodorico in veste di primo consigliere, contribuì a determinare quella saggia e clemente condotta per cui il regno dell’Ostrogoto fu un periodo di tregua e di speranza per il popolo italiano.

Aveva una sessantina d’anni quando la sua vita pubblica era terminata, non volle divenire l’Abate del Vivariense.

La nota caratteristica della sua regola era la santificazione del lavoro intellettuale.

Grande importanza egli dava al lavoro dei suoi Antiquari, copisti che lavoravano per conservare i manoscritti che correvano il rischio di una completa distruzione.

Perché i copisti scrivessero correttamente, compendiò le opere di cinque o sei grammatici in un trattato di ortografia.

Inoltre, perché i libri del monastero avessero «un abito nuziale» (sono le sue stesse parole) ideò una grande varietà di rilegature che venivano prese a modello.


SQUILLACE, la grotta - Tappa 20 (18:24)

Un miglio, circa, dopo Squillace la ferrovia entra in un tunnel sotto il promontorio di Mons Moscius.

Mi era stato detto che in questo punto, sulla superficie della roccia che guarda il mare, avrei trovato una grotta, una delle caverne alle quali, secondo alcuni, allude Cassiodoro quando parla dei suoi vivai di pesci.

Mi accompagnarono nella visita due ferrovieri che lavoravano sui binari.

Finita la visita, pensai, che il silenzio dei due amici meditabondi, come era abbastanza naturale, significasse anche desiderio di un ringraziamento tangibile, e feci un’offerta appropriata.

Ricusarono con assoluta dignità - gravi, cortesi, fermi - e ci salutammo cordialmente con una stretta di mano.

Quando fui tornato a piedi alla stazione ero sfinito dalla fame e, non essendoci buffet, rivolgendomi al facchino, venni a sapere che aveva lui l’abitudine di rifocillare i viaggiatori sbandati, nella sua casa, a un prezzo onesto.


REGGIO CALABRIA - Tappa 21 (22:20)

Dalla sua posizione naturale Reggio è stata destinata a una storia inquieta.

Dapprincipio non si hanno occhi e pensieri che per il paesaggio.

La ricostruzione ha reso Reggio pulita e piacevole. 

Vi è un’aria mista di montagna e di mare, sempre rinnovata, pura e apportatrice di vigore.

Ma, fuori dal porto, si notano pochi segni di attività; la sola strada lunga che vi sia, Corso Garibaldi, ha poco movimento; quasi tutti i negozi chiudono poco dopo il tramonto; e allora non si ode più nessun rumore.

Era domenica, che a Reggio è giorno di mercato.

Gruppi di contadini erano venuti in città con i prodotti del campo e dell’orto; nelle vicinanze erano innumerevoli asini, legati per la cavezza finché gli affari non fossero terminati.

E mentre davo un ultimo sguardo in direzione dello Jonio avrei voluto potermi aggirare senza fine nel silenzio dell’antico mondo, dimenticando il presente ed ogni suo suono.


Scoprire la bellezza pittoresca del Sud Italia, cercare la serenità contemplativa tra la classicità delle rovine di Taranto o Crotone, riesce a perdonare ogni cosa agli abitanti del Bel Paese:

«Tutte le colpe degli Italiani sono perdonate appena la loro musica risuona sotto il loro cielo.

Ci si ricorda di tutto quello che hanno sofferto e di tutto quello che sono riusciti a fare malgrado i torti ricevuti.»

Infatti,  a differenza della maggior parte degli altri Viaggiatori del Grand Tour i quali, che nei loro resoconti del Viaggio nell'Italia Meridionale, ai commenti sulla bellezza paesaggistica aggiungono spesso giudizi negativi sugli Abitanti, Gissing mostra, al contrario, costantemente, simpatia per le genti del Sud Italia, soprattutto per i più poveri Calabresi di cui descrive con ammirazione la dignità e la gentilezza. 

Pur nelle innegabili difficoltà del nostro peregrinare e di fronte all’altrettanto innegabile arretratezza dei luoghi, il mio compagno di viaggio inglese ha sempre una forte ammirazione per le genti Calabre: «I calabresi, tuttavia, si distinguono per la loro dignità» scrive lui e sottoscrivo io ancor oggi, anche quando a giustificare l’Arretratezza del Costume e della Civiltà di molti Luoghi, ricorda che la «sottomissione e la schiavitù sono state, attraverso i secoli, il destino di questo popolo».

Come avviene per tutti i suoi colleghi e connazionali viaggiatori, è portato talvolta a fare paragoni con i propri connazionali e arriva ad affermare, esaltando il carattere dei Calabresi, che «questa gente ha un rispetto innato per le cose dello spirito, che manca nell’Inglese tipico», il più bel complimento di Gissing alla terra visitata ed alla gente incontrata.

In questo itinerario, condotto dall’Autore attraverso la Calabria, si fondono l’ammirazione per il territorio con l’amorevole riscoperta, attraverso la visita dei Luoghi e l’incontro con i Monumenti, di frammenti di Storia Antica.

Il Narratore, ammaliato dal Meridione (e come potrebbe essere altrimenti), è un viaggiatore acuto, tutt’altro che banale, a cui la Cultura consentì di stare lontano da luoghi comuni e pregiudizi.

Guarda la Natura con l’occhio magico del pittore, i Paesaggi lo stregano e lo incantano.

Non mancano argute annotazioni sul tempo presente dell'Italia Meridionale Post-Unitaria a cavallo tra 1800 e 1900, nel quale avverte una sorta di decadenza del Sud in confronto rispetto agli splendori e all'autenticità del passato; decadenza dalla quale non è toccato il Popolo Calabrese, descritto nel suo quotidiano faticare, elevato da tratti di autentica dignità e gentilezza; le vessazioni dello Stato con i "dazi" e il "focàtico" [o fuocàtico, dal latino medievale focatĭcum, derivato dal latino focus «focolare, fuoco» - in epoca medievale, l’imposta diretta personale riscossa per fuoco o famiglia, in genere in misura uguale qualunque fosse il numero dei componenti della stessa o il loro reddito; il termine è rimasto in uso in alcuni Comuni fino ai nostri giorni, per indicare tradizionalmente l’imposta di famiglia applicata in luogo dell’imposta sul valore locativo]; l'arroganza delle classi dirigenti; la modernizzazione che avanza anche nell'Italia Meridionale, di cui la Ferrovia è il segno più vistoso.

Quindi con l'Autore mi imbarco a Napoli, una città diventata squallida e malinconica, per Paola, con i padroni di casa Napoletani allibiti all’idea che noi si possa affrontare un viaggio “nel selvaggio Sud”, per loro Calabria equivale a Marocco; facciamo quindi tappa innanzitutto a Cosenza, attratti dalla leggenda di Alarico [Re dei Visigoti, secondo leggenda qui morto per malaria e per tradizione sepolto], e facciamo conoscenza con il Dazio, un’imposta che per molti decenni rappresentò la faccia occhiuta e la longa manus di uno Stato che nel Sud, da sempre è conosciuto soprattutto come esattore; a Crotone, incredulo Gissing sentirà parlare anche di Fuocatico, un’imposta su ogni cucina nella quale si preparava il cibo.

Ma il nostro amico viaggiatore è altresì attirato da ogni recipiente di terracotta, utensili domestici che i Contadini utilizzano quotidianamente per usi comuni, ma che rimandano ai temi classici:

«Qui si vede ancora traccia dell’antica civiltà.

Devono esservi grandi capacità in un popolo che ha conservato questa esigenza di bellezza attraverso secoli di sofferenza e di schiavitù.»

Passando per Sibari, nell’itinerario verso Taranto, percepiamo l’importanza di questi luoghi più che a Pompei mentre ci immergiamo nelle testimonianze lasciate dal passato che fanno fantasticare su come i grandi dell’antichità avevano saputo contemplare questi luoghi del vivere umano.

E troviamo conferme alle fantasie nella parlata e nei gesti remoti delle popolazioni dei posti visitati: a Taranto, dove ci rechiamo in treno, il lavoro paziente dei Pescatori e il loro dialetto, che conserva molte parole Greche, fanno pensare a Platone quando visitò Taras [la Taranto di allora] e in una sorta di deja vu vediamo gli stessi personaggi «dalle gambe brune, con un abito quasi identico, intente al loro raccolto marino».

Tra le rovine dei templi, l’ammirazione per capitelli, colonne e pietre scolpite, la simpatia umana per i Calabresi è pari nella ricerca delle impronte dell’antichità. 

Quindi torniamo in Calabria, a Cotrone, l'odierna Crotone, dove Gissing ha un grave attacco di malaria che ci permette di conoscere il Medico Riccardo Sculco e la Guardia Civica, Responsabile dei Giardini Pubblici Giulio Marino, a cui vengono dedicate belle pagine.

Convalescente Gissing, ci rechiamo a Catanzaro, una Città di origine Bizantina e quindi sulla carta poco interessante agli occhi di un Classicista, dove però la bellezza della natura e l'ospitalità degli Abitanti facilitano il recupero della salute. Successivamente, da Catanzaro ci rechiamo a Squillace, dove rendiamo omaggio a Cassiodoro, e proseguiamo, infine, per Reggio Calabria, nel cui Museo Archeologico troviamo traccia del passaggio del suo mito e guida Lenormant [Charles-François Lenormant (Parigi, 17 gennaio 1837 - Parigi, 9 dicembre 1883) è stato un Assiriologo e Numismatico Francese; nel 1866 venne in Italia allo scopo di studiare le antichità della Lucania e della Puglia, soprattutto l'antica Terra d'Otranto. 

A Lecce e in provincia, guidato da Filippo Bacile, rilevò e disegnò alcuni trulli o 'truddhri' salentini, conosciuti come 'pajare'.

Nel 1879 visitò la Calabria partendo da Taranto; nel 1882 attraversò la Basilicata partendo da Catanzaro con destinazione Napoli. 

I suoi viaggi nel Sud Italia sono descritti nei suoi reportage di viaggio: «À travers l'Apulie et la Lucanie» e «La Grande Grèce»; quest'ultima opera ne ispirò almeno altre 2: «Sulla riva dello Jonio» di George Gissing e «Old Calabria» di Norman Douglas.

Sia Gissing sia Douglas ripercorsero, infatti, lo stesso itinerario di Lenormant, alla ricerca dei luoghi e dei personaggi descritti dall'Archeologo Francese].Per terminare, una nota: da fotografo, questo libro di Gissing mi ha attirato alla lettura per un aneddoto: infatti ha ispirato Federico Fellini ed Ennio Flaiano per il soprannome «Paparazzo» al fotoreporter del film «La dolce vita» [che da allora diventò sinonimo del fotografo di gossip]: Coriolano Paparazzo era il nome del proprietario dell’Albergo di Catanzaro nel quale venne ospitato lo Scrittore Inglese.

IL VIAGGIAUTORE

George_Gissing-ridGeorge Gissing nacque a Wakefield nello Yorkshire il 22 novembre 1857, da una famiglia della classe media: il padre, farmacista, appassionato di botanica, influì molto nella sua formazione.

A 13 anni, alla morte del genitore, fu mandato a scuola a Alderly Edge assieme ai fratelli.

Nel 1872 vinse una borsa di studio triennale presso l'Owens College (odierna Università di Manchester) dove iniziò come studente per continuare come docente ed ebbe una Carriera Universitaria assai brillante, vincendo numerosi premi. Quando sembrò diventare sempre più illustre come Accademico, la sua carriera fu condizionata da un infelice episodio sentimentale che ebbe ripercussioni su tutta la vita futura: si innamorò di una Prostituta, Marianne Helen Harrison alla quale, nell’intento di redimerla, comprò una macchina per cucire, procurandole un lavoro onesto; ma avendo sottratto denaro ai suoi compagni per raggiungere lo scopo, venne scoperto ed espulso, facendosi anche un mese in carcere ai lavori forzati. Quando uscì la sua carriera scolastica era stroncata per sempre e con essa la possibilità di una qualsiasi attività più consona al suo temperamento.

Così si trasferì per 6 mesi negli Stati Uniti, tra Boston e Chicago, dove patì delusioni di ogni genere; si guadagnò, poco, da vivere scrivendo racconti brevi su quotidiani, non riuscendo ad adattarsi ad altri mestieri per la mancanza di senso pratico.

Tornato in Inghilterra, sposò la sua Marianne e si trasferì a Londra a scrivere romanzi.

Quando però nel 1880 il suo scritto d'esordio si rivelò un clamoroso fiasco, Gissing dovette lavorare anche come insegnante privato per scacciare i fantasmi della povertà.

Nel 1883 divorziò dalla moglie, divenuta nel frattempo alcolista, ma la mantenne per 5 anni fino alla morte di lei.

Si risposò, ma anche il secondo matrimonio fu infelice e si concluse con la separazione.

Nettamente migliore per stile e caratterizzazione, nel 1884 il suo 2° romanzo, incontrò un moderato successo di critica.

Dopo questo, Gissing continuò a pubblicare all'incirca un romanzo all'anno, ma per gli scarsi guadagni dovette continuare a lavorare anche come precettore.

Sebbene molto sfruttato dai suoi editori, nel 1889 riuscì a recarsi in Italia.

La reputazione di Gissing pare crescere sempre più e viene messo da alcuni critici tra i 3 migliori romanzieri dell'epoca.

Nel 1890, morta la moglie, si risposò, ma anche il secondo matrimonio fu infelice e si concluse con la separazione.

Tornò in Italia e visitò anche la Grecia, ma cominciò ad accusare problemi di salute: alla fine gli venne diagnosticato un enfisema.

Incontrò Gabrielle Fleury, Francese Traduttrice delle sue opere, e si sposò per la terza volta: clandestinamente, non avendo ottenuto il divorzio dalla seconda moglie.

Morì in Francia il 28 dicembre 1903 per gli effetti dell'enfisema, dopo aver contratto un raffreddore durante una passeggiata.

Gissing è da considerarsi un autore di transizione, oscillante tra il Romanzo Vittoriano e il nuovo Romanzo Realistico Documentario.

L'opera di Gissing è incentrata sull'esperienza della sua stessa vita, ossia quella dell'intellettuale che la povertà ha condannato alla degradazione e alla corruzione degli ideali.

Ideatore di personaggi tormentati dall'orgoglio e dal rancore nei confronti della propria sorte, ha anche fornito descrizioni molto amare della Londra proletaria. Particolarmente interessante è l'espressione «Extracts from my reading» (Estratti dalla mia lettura), utilizzata da Gissing e recante la data 1° aprile 1880, la quale ci induce a ritenere che egli si appuntasse con grande passione ed interesse i passaggi dei testi che lo colpivano particolarmente per la loro rilevanza.

Motivo scatenante quest'abitudine era la piacevole soddisfazione che scaturiva nell'aver avuto per puro caso la fortuna di incappare in un pensiero elaborato e scritto anni prima in circostanze del tutto diverse da quelle nelle quali si trovava egli stesso e tra le citazioni di autori antichi ritroviamo anche Omero, Gissing, infatti, durante la sua Carriera Artistica, ha colto in Omero l'esempio di eccellenza letteraria, venendo in contatto con i suoi scritti con entusiasmo fin da studente leggendolo di sua libera volontà mentre soggiornava in America, e continuando fino alla morte.

Infatti lo scrittore inglese George Gissing possedeva una vasta Cultura Umanistica e manifestò sempre un interesse letterario e umano per il mondo classico.

In «Sulla riva dello Jonio» narrò le impressioni del viaggio da lui compiuto nel 1897 sulle Coste del Mar Jonio cercando inizialmente di ripercorrere l'itinerario descritto dall'Archeologo Francese François Lenormant nell'opera «La Grande Grèce».

L'itinerario di Gissing sarà invece ripercorso qualche anno dopo da Norman Douglas in «Old Calabria».

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