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Vi leggo «Itinerario Italiano» di Corrado Alvaro

Negli anni trenta, per le contraddittorie strade della Penisola Corrado Alvaro, allora giovane ma già noto narratore: in bilico tra disposizione cosmopolita e idillio paesano, la raccolta di prose "Itinerario italiano" costituisce una delle prove migliori di quella stagione letteraria. 

È la ferita ancora aperta della guerra a dare avvio al suo viaggio. 

Dalla Bassa Ferrarese alla Maremma, all'Abruzzo, alle terre napoletane, alla Calabria, attraverso paesaggi, architetture e topografie dei centri minori e delle città, incontrando i mille e faticosi mestieri degli uomini e delle donne, lo scrittore intraprende una ricerca che è storica, etica e autobiografica a un tempo, e giunge a una verità più profonda e universale: è la provincia la chiave interpretativa della civiltà italiana, da tutelare contro ogni eccessivo tentativo di accentramento.

La forza dell'Italia è solo in essa, la sua fortuna futura è esclusivamente affidata alla capacità di conservare, entro un tessuto umano in esposizione, quell'"intelligenza, qualità, tecnica, individualità, personalità che rappresentano l'eredità principale che ogni emigrante porta con sé dal suo piccolo municipio; la rovina della nazione, viceversa, non può non coincidere con la rescissione radicale di ogni legame con la terra d'origine

 
E' il diario puntuale, quasi una sceneggiatura di un film che, agli occhi di un sessantenne come me, pare visto e ricordato ma con un leggero fuori registro per scene ormai scomparse già ai mie tempi, ripercorrendo i luoghi trent'anni dopo.

“Se l’Italia avesse dovuto riassumere in una sola esperienza la sua fatica a vivere, non avrebbe potuto inventare di meglio.
È lo stato naturale del popolo italiano: allo stesso modo e con la stessa fatica si procurano in qualche regione il pane e l’acqua, con la stessa pazienza rimangono dove la natura ha distrutto ogni cosa.
Ricominciamo: enormi e pietosi bambini. Ma il cannone abbrutisce, non rimane che il corpo, e il corpo è abituato a resistere. Hanno inventata una guerra, alla fine, per i contadini e i montanari, per i fabbricatori di case, per i minatori, i facitori di argini, i costruttori di strade. La guerra è diventata una quintessenza della fatica umana più primitiva”.

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L'Acqua (16:39)

Il viaggio comincia da San Luca, un comune calabrese della città metropolitana di Reggio Calabria i cui abitanti son detti Sanluchesi. Il comune è posto sul versante ionico, alle falde del massiccio dell'Aspromonte e il suo territorio è attraversato dalla fiumara Bonamico. Di grande interesse, dal punto di vista naturalistico, sono alcune formazioni di pietra conglomerata, tra le quali Pietra Lunga e Pietra Castello; ma la più monumentale è Pietra Cappa, che risulta essere uno dei più grandi monoliti d'Europa. I miei avevano preparato tutto per lasciare la casa paterna e si può dire che cominciassero la loro vita comune con questa promessa. Questi preparativi per una partenza tanto certa quanto mai avvenuta durarono trent’anni. Tra le ragioni che essi mettevano a questa progettata partenza ve n’era una: “In paese non c’è l’acqua; è una bella cosa l’acqua in casa”. Dunque, il nostro paese pensava all’acqua da centinaia d’anni.


Vedute di Roma (1:23:09)

Si sta formando in Italia una capitale. Per chi vive a Roma da più di dieci anni, è un’emozione quotidiana vederla crescere e complicarsi, prodotto di cento fatti sociali e psicologici. Proprio questa impressione, d’una vita che corre, che ci logora, che c’invecchia da un giorno all’altro, proprio questo è il fascino delle città. Nessun aspetto di essa è familiare, e intanto la vita italiana vi si trapianta con tutti i suoi caratteri. Perché non è soltanto il piccone o l’architetto a fare una capitale. Quando comincia la grande stagione del sole, Roma vive per poco tempo una vita associata. Ma una certa solitudine è propria della Città. I grandi convegni sono quelli delle belle giornate; si fa presto a prendere l’abitudine di Villa Borghese, del Pincio, delle grandi piazze e delle belle strade. Ciò che è stare insieme, ma in una solitudine comune, e in quella grande cerimonia della passeggiata che fece parlare tanto l’Ottocento. Meridionali e settentrionali hanno portato a Roma il loro paesaggio interiore; i meridionali il loro bisogno di espansione e di avventura, i settentrionali il loro senso della vita stabilita e sociale. Roma, scenografica com’è, tutta grandiosamente esteriore, influisce a suo modo sugli animi. Ma chi conosce certe descrizioni della socievolezza romana dell’Ottocento, si ricorderà d’una certa maliziosa e bonaria familiarità. Quando ebbi dormito i primi lunghi sonni romani, svegliandomi di buon’ora, a un tratto udivo la campanella di qualche chiesa, poi un’altra e un’altra. Sul principio mi levavo per sorprendere la strada in quell’ora. Veniva fuori un’umanità speciale, vestita come veste la gente devota in tutti i paesi, scialli e veli neri, che ridavano alla città l’aspetto di certe piccole città antiche e piene di chiese, in cui sembra che la gente non abbia altra occupazione che risponde alla campanella delle preghiere. Poi, al primo squillo del tranvai, appariva gente vestita bene, col cartoccio della spesa. La strada dove abitavo allora era una specie di paese: si conoscevano quasi tutti, e tutti avevano abitudini familiari. Si vedevano calare i cestini dagli ultimi piani per la posta e per il carretto delle verdure. Poi la strada mutò, si fondarono i primi negozi di mode, le sale da tè, e i vecchi abitatori vi stavano come gente annidata che qualcuno tentasse di sloggiare. A Roma si sente lo scorrere dei secoli testimoniati dai quartieri, non soltanto nell’aspetto, ma negli atteggiamenti della vita. Si sentono a Roma le diverse epoche di immigrazione. Questo è specifico in ogni capitale, caratteristico di Roma. Varrebbe la pena di assodare come sia nata l’immagine che circola comunemente sul romano d’oggi: la reputazione di gente facile, festaiola, parassita e cinica, con uno spirito realistico fino al crudo, lato migliore di quest’immagine. Come tutte le capitali, è città che ha una sua maleducazione e una sua volgarità; ha pure una sguaiatezza che ritroverete nel fondo di Berlino o di Parigi. Ho una profonda venerazione per i caratteri popolari, da noi come altrove: sono depositari di vecchi segreti, e una costante osservazione di essi rivela fatti e attitudini antichi e che servono a spiegare le nazioni. Il popolo è lento a muoversi, direi che non muta più presto di quanto non muti un paesaggio. Siccome era domenica, erano salite anche certe ragazze e visitare la stanza del Tasso nel convento di Sant’Onofrio, la stanza dove morì il Poeta, aperta tutti i 25 aprile. La stanza è quadrata, con una mano di calcina ai muri, nuda, chiara, e la luce v’è come un’onda immobile di oblio. Una corona di alloro sul capo dell'immagine Poeta si disfa come una treccia. Una grande corona d’alloro della città di Roma, fresca e cupa, è ai piedi del monumento del Poeta nella chiesa. Egli è là, alto, ispirato, vestito di gala, con una pesante spada accanto. Nel chiostro al pianterreno, dove egli camminò cadente, presso il cancello di ferro, un uomo si guarda intorno. Come accade spesso a guardare l'architettura di vaste proporzioni, specialmente a Roma, dove tutto ricorda il lavoro della fabbrica, quasi che l’uomo col berrettino di carta e il secchio di calce per chiudere le commessure della pietra enorme, fosse andato via da poco. Questo accade, forse, per via delle molte superfici lisce. Nessuna voce; un silenzio che faceva pensare subito all’assenza delle donne e dei ragazzi, un silenzio estatico da uomini solitari. E sotto c’era un orto, prospero, lucido di cavoli, di cipolle, di insalata, con certi fiori semplici e senza odore, orto da convento, dove il mondo vegetale è anch’esso denso e polputo, e una rosa che si sfogli a piè d’un muro ricorda il sangue rappreso. Si mise a suonare una delle campane di San Pietro e volano i piccioni sotto la scossa delle campane dai cornicioni alti.


Gli etruschi e la civiltà popolare (22:54)

Di lassù, da un giardinetto pubblico del Colle Capitolino, si può guardare quella storia della nostra terza elementare, dei lunghi assedi e della Rupe Tarpea, è vera verissima. A guardare dal Teatro Marcello, vengono a mente altre alture come questa, una roccia di questa stessa natura, questo stesso senso; i luoghi delle città etrusche; è un angolo, alla fine, che attesta del primo nucleo di Roma, proprio quello di cui Roma si volle disfare fin nella tradizione: un angolo etrusco. L’altura guardata dalla rupe, il colore della terra, il fiume vicino, il respiro del mare; questa è l’Etruria spenta e distrutta che si riaffaccia a Roma tra le sue innumerevoli memorie. Abituati come siamo a considerare le città etrusche finite e sterili per sempre, ritrovare la loro radice qui, con tutto quanto Roma e il Rinascimento vi hanno saputo fondare, si avverte ancor meglio lo stacco fra una civiltà originale tutta provinciale e paesana, come dovette essere quella di Roma primitiva. Veio è alle porte di Roma, e a vederne il luogo si capisce che guerra dovette essere la sua con Roma, da castello a castello, da famiglia a famiglia, da tribù a tribù. A un certo punto della campagna, sulla via di Bracciano, un mulino scroscia nella valle preso una chiusa; l’albero, la casa rustica, il campo, hanno uno stile fuori del tempo, quello stile popolare che spesso è tutt’uno con lo stile arcaico. Fuori del mulino sono pochi uomini, i bovi che aspettano il carico mentre l’acqua scivola sotto una passerella di legno, e cade a valle. Dopo pochi passi un recinto di filo di ferro chiude la necropoli. È difficile vedere più misere rovine di queste; non c’è un solo rudere in piedi, e con una pianta sono visibili le fondamenta d’un tempio. Ma la voce dell’acqua è là sotto; questa religione dei fiumi, nata da necessità pratiche, dovette esser legata, come accade, a significati occulti e religiosi. Direi che che l’archeologia di Veio è tutta in questo fiume che la circonda.

Cerveteri è oggi un paese, con la sua bella fontana in mezzo alla piazza, la vita minuta delle donne e dei ragazzi, l’odore del mosto e del vino dei vicoli; l’osteria per chi scende a caccia, vecchio svago etrusco. Di qui si vede il mare, deserto come la terra che è intorno; è il mare che si vede nel fondo delle pianure, dei deserti, della maremma. A occidente del paese è la necropoli: di qui il paese nuovo si confonde col vecchio colore della muraglia di tufo su cui è costruito. Nelle tombe si trovano i bùccheri che poi gli antiquari vendono per raccogliere la cenere delle sigarette. Se di qui a molti secoli le cose del nostro tempo e della nostra vita divenissero rare e preziose, non le tombe somiglierebbero più a questi depositi etruschi, ma i grandi magazzini. Ma questi paesani con la memoria dei sepolcri orientali fondavano necropoli che dovevano sopravvivere sotto la terra cui potevano correre le invasioni e l’aratro solcare senza disturbarli.


Porte dell'altro mondo (13:26)

Siamo andati a vedere la Montagna Spaccata che si trova quattro chilometri e mezzo a sud di Orbetello, sulla via Aurelia. È veramente una montagna spaccata, cioè un poggio alto una sessantina di metri e tagliato in due dalla cima alla base. Vi si entra per un passaggio basso, e un corridoio stretto dal macigno. Nell’antro le pietre cadute formano come una assemblea, una luce verde scende dagli alberi che crescono sulla rotta cima del colle e si affacciano sul crepaccio; si vede il cielo, s’odono cantare gli uccelli sulla superficie della terra. Gente di passaggio sull’Aurelia scende verso questa parte, pel viale dei giovani cipressi, perché la Montagna Spaccata comincia ad avere i suoi visitatori. La misteriosa caverna è più accessibile oggi a gente che arriva da trecento chilometri lontano che non anticamente alla gente etrusca della città di Cossa che viveva sul colle accanto. Un luogo dove il potere fantastico degli antichi si manifesta con tutta la sua ingenuità e forza, è l’Antro detto della Sibilla a Cuma. Qui la Sibilla dava i suoi responsi, qui era il passaggio per gl’Inferi, qui le rive del sotterraneo fiume dei morti cui la Sibilla era guardiana. Il passaggio intorno, tra il lago Lucrino e il monte, non ha nulla di singolare se non la solitudine che è propria di luoghi carichi di tanto significato. Stetti a guardare come i due uomini che ci dovevano servire da guida si cavavano i pantaloni per guadare la corrente sotterranea; era un gesto professionale; forse quegli uomini, di padre in figlio, avevano portato sulle spalle per lunga tradizione i visitatori dell’antro. I napoletani hanno a volte atteggiamenti da farvi rimanere a bocca aperta pel modo con cui nobilitano o rendono naturali certi atti di cui chiunque altro si vergognerebbe.


La fiera dell'Impruneta (18:34)

Quel giorno, d’ottobre, la Toscana usciva da un temporale d’autunno, il cielo grigio azzurro, e l’azzurro degli ulivi e degli olmi cui si appoggiavano le viti, e il colore finito delle viti autunnali, facevano di tutta la regione del Chianti un grande specchio del cielo. La piazza dell’Impruneta ha una singolarità: che vi si accede dal dal ciglio d’un colle; la piazza si stende in pendio, laggiù è il famoso campanile con la chiesa raccolta fra due ali di case; sul fondo, dietro il campanile e la chiesa, il monte delle Sante Marie, una collina che ripete l’immagine della chiesa e forma con essa una sola architettura. In certi angoli che parevano piccoli palcoscenici, nelle terrazze delle trattorie, la gente mangiava ai tavoli apparecchiati; sembravano in un interno lontano. Da una parte all’altra della strada, per un buon tratto di cento metri, due figlie di rosticcieri improvvisati manovrano ciascuno quattro o cinque girarrosti.


I pescatori dell'Argentario (1:12:12)

Monte Argentario è un comune sparso della provincia di Grosseto in Toscana, la cui sede comunale e capoluogo è Porto Santo Stefano, situato sulla costa nord-occidentale mentre sulla costa sud-orientale si trova la frazione di Porto Ercole. Il signor Loffredo era il proprietario del motopeschereccio “Montargentaro”, il più reputato peschereccio appunto dell’Argentario, ch’egli aveva fatto costruire secondo le sue idee e i suoi gusti, e soprattutto secondo le sue esperienze, avendo navigato per 25 anni a bordo d’un veliero, conosciuto i mari fino al Levante e alla Spagna. Sette uomini in un’imbarcazione che affronta quotidianamente la sorte, chiedendosi se il mare darà loro i 15 o 20 quintali che occorrono per dare da mangiare ai figli e alla madre di questi. Quelli dell’Argentario hanno armato una trentina di motopescherecci, oltre alle paranze. Veramente sono famosi per la navigazione a vela; questo sarebbe il loro mestiere dopo quello di vignaioli e di agricoltori. Il capitano del peschereccio, dopo avermi visto soffrire il mal di mare durante la burrasca, mi disse: “Ora si va verso Montecristo, soltanto, noi non sappiamo che mare avremo da quelle parti. Non ci sarà da stare allegri. Se volete, siccome passiamo dietro l’isola del Giglio, vi sbarchiamo lì. Ve lo consiglio. Ancora sedici ore di mare peggio di questo, è meglio che ve le risparmiate.” Ora che stavamo entrando in porto all’isola del Giglio, vedevo i marinai l’uno accanto all'altro aspettare di vedermi scendere. E capii che tra le altre preoccupazioni, avevano avuto anche quella d'un estraneo che s’era voluto imbarcare e che soffriva fino a perdere la conoscenza. Il Giglio, sul porto, è una fila di case disposta a semicerchio. Tartane e velieri sono in secco. Io sbarcavo come un naufrago, e fui la novità di quella giornata.


Dalla montagna alla Maremma (16:53)

“Se mi date un po’ di vino - canterò ben benino. Se mi date un po’ di ciccia - si farà un po’ più massiccia”, diceva la filastrocca. Le case erano di cannicci affumicati, e la montagna pistoiese uno dei luoghi inesplorati d’Italia. Una strada tra le più belle d’Italia corre tra Pistoia e l’Abetone, una strada moderna, sorvegliata, curata, sui cui margini sono trapiantati in bell’ordine i ginepri. Ma i vecchi ridono della vecchia lingua e delle capanne affumicate d’un tempo, nel loro dado di cemento tinto di turchino. Il lavoro italiano trasformò soltanto la capanna affumicata in un dado di cemento.

Nella montagna pistoiese, il mestiere è quello del carbonaio.


Riomaggiore (19:16)

Riomaggiore (Rimazzô in ligure, Rimazùu nella variante locale) è un comune della provincia della Spezia in Liguria, i cui abitanti son detti riomaggioresi.

Antico borgo della Riviera di levante, costituisce la più orientale e la più meridionale delle Cinque Terre. Suona bene il rivo di Riomaggiore e fa più allegria che il nome stesso del paese; suona chiaro nel suo letto di pietra per la valle chiusa in cui si raduna l’abitato, e lo riempie della sua presenza; scompare sotto le case fatte a cavalcavia, sfocia in breve nel mare per un delta largo di pietra che è un difficile approdo. Forse l’attitudine italiana alle arti ha inizio nel suo contadino e nel suo lavoratore di terre. Basta guardare come l’opera dei campi è bella dove è nata la nostra arte. La stessa natura del terreno ha costretto il contadino a un ordine architettonico, e la strettezza a un’armonia addirittura formale.


Colori di Genova (16:06)

Il carattere e la struttura di Genova sono fra i più gelosi, e non è strano che molti viaggiatori li abbiano sfiorati senza capirli. Poiché Genova offre monumenti illustri quasi per caso, non gravita intorno ad essi, non s’è fermata ad una stagione della propria vita ma li comprende tutti con tutti i suoi monumenti schierati lungo lo scoglio cui si aggrappa, senza più spazio. In tutto quello che è architettura genovese v’è un’estetica del perpendicolare, del panoramico, la torre domina cilindrica come un silo e dal punto più alto della città, dal Castellaccio, si può studiare bene la struttura di Genova; è difficile scorgere una strada o la facciata d’una costruzione, solo qualche cupola emerge come su uno specchio dell’ardesia grigia e azzurra dei tetti della città che formano un lastrico compatto, edifici che si puntellano l’uno con l’altro, dai colori che li distinguono, vivi colori, superfici lisce, decorate spesso di false prospettive.


Memoria di Lucca (17:26)

Ho veduto Lucca e poi, meglio, l’ho sognata. Raramente accadeva naturalmente, come se nel sogno potessi ravvisarla e capirla meglio. Quello che avevo veduto il giorno prendeva senso da questa memoria notturna, e ogni cosa si rivelava con l’improvvisa facilità con cui i sogni aprono il senso della verità. Lucca è una città che ha il segreto di molti fatti italiani, cioè la capacità di assorbire molte cose del mondo senza lasciarsene turbare. “Morte immortale”, dice in greco una lapida del Duomo di Lucca. Mi parve questo, a un tratto, il compendio di tutto lo sforzo italiano.


Empoli, il popolo, i vetri (17:27)

Uno dei fatti più nuovi dell’Italia d’oggi, è lo sviluppo delle industrie in paesi vecchi, e per esempio in Toscana. Lungi dallo sfigurarvi, donano all’ambiente e al paese, e anziché sopraffare il vecchio colore d’una vecchia vita, lo fanno risaltare meglio. A Empoli mi accade di pensare a queste cose davanti al suo vecchio Duomo. I ragazzi giocavano in piazza, vi si attardavano donne coi bambini in braccio; una fontana ricorda la munificenza d’un signore che dotò la città d’acqua potabile. Il popolo intorno a questi nuclei formò i suoi, fatti di botteghe sotto i portici, di vecchi caffè, di mescite di vino, d’insegne che avevano portato qualche cosa di artisticamente popolare nello zinco verniciato. Il popolo s’è fatto la sua decorazione per la vita quotidiana; ci sono i santi agli angoli, le insegne e le merci, e nulla è tanto eterogeneo che non entri in quest’atmosfera. Empoli è in piano. I fuori porta si vedono dalle sue strade dritte, si dilungano laggiù i quartieri degli operai, perché Empoli ha almeno una quindicina di fabbriche di vetri.


Il marmo (30:33)

Quando scoppia una mina sui monti Apuani, una di quelle grosse mine da qualche quintale d’esplosivo, si vede la montagna gonfiarsi come un petto forte sotto un respiro poderoso, rimane un attimo lungo in quello straordinario atteggiamento che ricorda la sofferenza di un parto immane; crolla poi con una nube, si lacera come un cratere, si vela tuonando in un nembo di fumo e di polvere. Per un pezzo la vallata risuona del rotolare dei massi e dei detriti, la portentosa musica del marmo che chi non l’ha udita non può figurarsela. Questa stessa musica, più o meno intensa, accompagna la vita dei cavatori nelle valli bianche.


Le città di pietra (17:02)

La mia immaginazione è occupata dalle città di pietra: non mi riesce di vedere un uomo pei campi senza pensare al suo campanile, alla sua torre, alla storia del paese italiano, alla sua civiltà moltiplicata per centinaia di luoghi e genti.


La via Emilia (32:20)

La via Emilia, da Bologna a Rimini, traversa paesi in piano che vi convergono tutti come alla via centrale d’una grande città. Non è soltanto una strada di transito, ma una familiare: vi si legge la vita di due regioni, il loro costume, le loro abitudini, una via dove si sentono gli uomini coi loro pensieri.


Torino e l'architettura (29:21)

Nel libro di storia delle nostre scuole, voltata una certa pagina, non più profili taglienti del Rinascimento, né scudi né armature né elmi, ma baffi grandi e capelli corti scoprivano fronti dritte da ragionatori: era il Piemonte dove a Torino ci si è dedicati a erigere palazzi e abitazioni per la nuova civiltà dei re, degli eserciti, degli amministratori. Piazza squadrate come piazze d’armi, città a scacchiera come un campo trincerato.


Casale (22:49)

Casale si svolge a chiocciola intorno al suo centro, rompendo ogni rapporto con l’uniformità del piano. Le sue strade girano come un ragionamento intorno a un tema. Casale Monferrato (Casal Monfrà in piemontese e in dialetto basso monferrino) è un comune piemontese della provincia di Alessandria, i cui abitanti son detti Casalesi o Casalaschi.


Il treno delle mondine (14:01)

Per due giorni, da Vercelli e da Mortara, i treni hanno trasportato 60.000 mondariso, delle 180.000 che lavorano ai trapianti nelle risaie, verso i loro paesi in Lombardia e in Emilia. Erano treni speciali composti soltanto di donne, con tutti i visi le stirpi e le semenze della valle padana.


Sabbioneta (15:57)

Un Gonzaga, in un angolo qualunque della pianura lombarda, in un villaggio di contadini, Sabbioneta, si ostinò a fondare una dimora principesca. Non una villa, ma un palazzo, il castello, la torre, il teatro, il palazzo con giardino, la galleria degli antichi.


I violini di Cremona (11:18)

Fino al Cinquecento, nei quadri e nelle pale d'altare, il violino lo suonano gli angeli, lo strumento che a un tratto diviene parte dell’uomo, ha una voce umana e sconvolge la musica fino a renderla quell’arte che Tolstoj trovò diabolica e penso di proscrivere, che induce il cuore a compiacersi delle sue passioni, che crea tutta un’umanità di patiti della melodia.


Lo spirito della pianura (15:25)

C’è uno spirito italiano proprio nella pianura: facile ad accendersi, curioso di tutte le novità, e nello stesso capace della più stretta regola e ortodossia. Sono le contrade che hanno costruito i palazzi di Mantova e di Ferrara. E poi, l’Opera è padana, come è padano il romanticismo e il futurismo. C’è l’Italia meridionale che indaga sull’uomo nel creato, nell'infinito, nell’assoluto, fin dal tempo dei greci, ininterrottamente, primissima in Europa e ultima voce dei greci fino a noi.


La Bassa (29:33)

La terra nella pianura padana rende oggi, ora i campi sono felici, verdi, abbondanti, ma ogni palmo di terra fu un lavoro di adattamento e un’impresa.


I grandi scenari di Mantova (18:18)

A Mantova fu l’osteria, il vino, gli occhi dell’ostessa, i discorsi dei cacciatori, tutta un’atmosfera di fumo e di cibo, con le sue passioni maiuscole cui si scaldano i cuori degli uomini raccolti insieme dall’inverno. E tutto a Mantova parla un grande linguaggio, torri, castelli e palazzi. Per chi voglia dire di conoscere l’Italia, Mantova è un punto importante, Mantova è un mondo.


Sentimento civile di Bergamo (13:17)

A Bergamo s’arrivò in un treno gremito, tutte persone indaffarate con le loro borse. Ci ritrovammo in folla alla funicolare della Città Alta. Folla della città, ci smarriamo nei meandri della cittadina antica. Le città alte e antiche hanno una logica tutta loro: i dislivelli della loro struttura, le vicende delle loro strade, le prospettive ch’esse creano, sono un carattere imperioso della vita antica. Qua e là le chiese vicine e lontane, con le statue dei santi sui campanili, le ossessioni medievali del diavolo. Una tradizione dice che Bergamo fosse prima etrusca, ed è naturale che dove c’è un’altura dominante il piano si sia soffermato l’etrusco.


Le ore ambrosiane (31:28)

Si parla di Milano in Italia in vari modi ma una cosa è certa: che le parole Milano e milanese indicano, più che un’immagine, un concetto, un modo d’essere, un costume.


La Marca all'ombra dei palazzi (20:38)

Uno degli aspetti più interessanti dell’Italia, a percorrerla per lungo, è la casa colonica. Scendendo per la Penisola, la casa colonica diventa un rifugio in campagna fino a scomparire del tutto. La casa colonica delle Marche ha la sua storia.


Le serpi, il lupo e le vergini d'Abruzzo (18:59)

L’Abruzzo che d’Annunzio ha raccontato portando nell’arte sua molte cose radicate profondamente nel suo popolo. Accade sempre, nella vita popolare abruzzese, che i fatti acquistino un significato superiore; c’è una sensitività naturale di gente che annette a tutte le cose un senso esoterico. L’Abruzzo è ancora legato, nella sua parte, popolare, a fatti supremi, a complessi originari, che si potrebbero definire brevemente: il serpente, il lupo, le forze occulte e nemiche dell’uomo, la violenza della natura. La stessa arte abruzzese partecipa di queste cose. Le forme illustri che qui sono pervenute, architettura, scultura, pittura, sono state riprodotte con una fantasia popolare, rozza, ma piena di un impeto primitivo.


Civiltà di Napoli (41:02)

A Napoli quello che mi colpisce è l’importanza dell’uomo su tutte le cose; a Napoli è la vita coi suoi atteggiamenti fermi a un tempo che non è di ieri né d’oggi, come fissati a un punto che non è nuovo né antico ma di sempre, la media d’una civiltà che è metropolitana e paesana. A Napoli l’uomo ha avuto secoli per adattarsi e per posarsi, vi ha formato i depositi sociali composti d’una vera e propria razza, che regge come certi muri apparentemente decrepiti i grandi edifici storici.


Paesaggi napoletani (31:57)

Quelli che vivono sulle falde del Vesuvio non credono al Vesuvio. Non lo chiamano neppur Vesuvio; lo chiamano la Montagna. Non ci credono, o non ci pensano, come l’uomo non pensa alla morte. E non ci sono che i napoletani, per proporsi soltanto i problemi della vita, e uno per volta, il problema del giorno, il problema dell’ora, e non altro. Non ci pensare. Non te ne incaricare. Questo è antico, è saggio, è longevo. La metà del mondo d’oggi si guasta i nervi e perde troppo presto la vita per pensare alle cose che gli accadranno, e che quando accadranno si presenteranno sotto un aspetto diverso da quello immaginato. E sarà troppo tardi per capire che non valeva la pena. L’ultima capitale di questa saggezza è Napoli.


I costruttori del Gargano (14:45)

S’immagina difficilmente un gruppo di pastori e di contadini che porti preoccupazione architettonica nella sua abitazione, nel suo forno, nel suo rifugio di montagna Da Manfredonia a Monte Sant’Angelo, si va prima per un pendio sul mare, di poche case sparse tra i campi di olivi e di mandorli, di olivi e di pini d’Aleppo. La montagna è una pietraia deserta là davanti. Tutto quello che si scorge, è una immane opera di muri a secco che sorreggono le terrazze degli olivi, dei mandorli, delle vigne, del grano. Un movimento a spirale avvolge monte dietro monte, i viottoli serpeggianti e le strade tortuose.


Calabria (39:29)

Se dovessi citare un altro scrittore che ha capito la Calabria, parlerei di Paul-Louis Courier che ci venne con le truppe napoleoniche. Per quanto egli si soffermi poco sul paesaggio, basta per dargli colore, nelle sue lettere, il colore di quella guerriglia: le bande defilate sui costoni dei monti, l’arrivo improvviso nei paesi dell’altopiano (chi arriva prima spara); i boschi con gl’impiccati agli alberi da cui qualcuno si spiccava facilmente, in quanto si impicca presto e male. E i tribunali rustici: un giorno capitò in uno di questi tribunali uno degli ufficiali invasori, persona colta a quanto pare: fu così che il tribunale ebbe un occhio di riguardo per lui, poiché era un uomo di lettere, e gli offrì di scegliersi lui stesso la morte che meno gli dispiacesse. Non si potrebbe essere più giusti. Figurarsi la discussione. Ci penso spesso. Questa è proprio la Calabria con la sua natura, il suo carattere, e diciamo pure la sua cavalleria e il suo talento cavalleresco.


La Provenza "Introduzione all'Italia" (19:53)

I vecchi libri dei viaggiatori francesi parlano della Provenza come d’una introduzione all’Italia, e non si tratta soltanto di alcuni richiami evidenti, come i ricordi della vita pubblica romana in tutte le città, ma perché il cielo si apre, l’aria diventa più vibrata e viva, si sente il mare, qualcosa rende più vivaci. L’abitato rustico prende l’individualità propria di questa sponda del Mediterraneo, appaiono il cipresso e l’olivo, la piana si anima di fattorie e armenti con un senso di presepe, i fiumi si fanno torrenti.


Estate in Italia (19:16)

Giugno è il mese in cui si vedono molti bambini, poiché il tempo è buono, li portano fuori. Questo è il tempo per coricarsi sulla terra: ricco o povero, potente o debole, questo è il tempo per l’uomo di riprendere contatto con le forze della terra, tornarla ad amare come l’amano i ragazzi, dormirci sopra, risentire il suo antico odore, avvertire come sale in noi la sua forza tranquilla in cui giacciono i minerali e le acque, i semi e le radici, e il millenario lavoro umano.


L'arcipelago favoloso (12:23)

A Milazzo, aspettando il treno per Palermo, avevo in mente tutt’altre cose che di andare a fare esplorazioni. Conobbi in albergo due abitanti delle isole Eolie e si cominciò a discorrere. Mi decisi a chiedergli l’itinerario di un viaggio nelle Eolie. La mattina dopo - pioveva - m’imbarcai con la stessa inquietudine di chi vada alle isole Fortunate. Il bastimento scricchiolava a ogni giro d’elica, una pioggia fitta e sottile irrorava la poppa. Poi improvvisamente, sorpassato il promontorio il cielo si aprì e come spuntato dal mare, l’arcipelago si parò nel fondo, con le sue sette montagne senza riva, a picco sul mare che ad ogni spostamento del naviglio parevano alternarsi e cambiare luogo. Primo, a sinistra, si scoprì il cratere di Vulcano. A destra si scoprivano alternamente le altre isole.


Le strade, il tempo (14:21)

Anche da noi il governo ha fatto belle e comode strade, tanto che da principio non si capì bene se non fosse un lusso straordinario.

Io vidi la strada dei miei luoghi tre anni fa, al principio della sua vita: era gialla e appena fatta, i magri alberelli di acacia piantati sull’argine ancora sollevato come un solco; poi me la ricordo in primavera: le erbe e i fiori l’avevano invasa, la confondevano con la campagna, e solo nel mezzo le peste dei viandanti avevano tracciato un viottolo, né più né meno che se non l'avessero fatta, la strada rotabile. Fu qui che io ebbi l’impressione del tempo e dello spazio, la prima volta, e la costruzione delle strade porta con sé anche la fine di una civiltà della lentezza e del vivere consapevoli della vita che ci circonda e che si annuncia di lontano.



AUTORE
 
Corrado Alvaro nasce a San Luca, un piccolo paese nell'entroterra ionico calabrese, ai piedi dell'Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, primo di sei figli di Antonio, un maestro elementare, e di Antonia Giampaolo, figlia di piccoli proprietari.

Nel 1905 si trasferisce nel collegio gesuita di Villa Mondragone a Frascati, diretto dal famoso grecista Lorenzo Rocci. Corrado passa cinque anni in questo collegio, frequentato dai rampolli dell'alta borghesia romana e quindi dalla futura classe dirigente italiana, studiando avidamente e cominciando a comporre le prime poesie. Nel 1910 è costretto a lasciare Villa Mondragone per aver praticato letture non autorizzate.
 

Compì i suoi studi liceali presso il Galluppi di Catanzaro, dove nel 1913 conseguì la licenza liceale e dove rimase fino al gennaio del 1915, anno in cui partì militare per combattere la Prima guerra mondiale.

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