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Vi leggo il «Breve Viaggio in Italia» di Enzo Siciliano

Questo «Breve Viaggio in Italia» in compagnia del libro-guida del viaggiAutore Enzo Siciliano, narra in 6 racconti dedicati a Capri, Al Castello Corsini, Sabaudia, La Versilia, Castiglioncello, Cortina, pubblicati ne «La bella estate» apparsa su “La Repubblica” nell’estate del 1994, note di un breve viaggio in Italia sono lampi di memoria per paesaggi, personaggi, amici, di un passionale e attento testimone del nostro tempo.

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Al Castello Corsini

«Cosa è - una telecamera?». 

Era il mio piccolo registratore Sony, che avevo tirato di tasca dopo aver chiesto se potevamo fare insieme una chiacchierata da trascrivere. 

«Giornalista?» mi aveva domandato il più affabile dei due, il meno sudato; e aveva aggiunto subito ridendo, «anche giornalaio?». 

Dico, «forse soltanto giornalista» 

E lui, «che tipo quel Funari!» ma lasciamo Funari al suo destino. 

Li avevo sentiti parlare di cavalli, fonia romanesca ma calata in un italiano il più possibile pulito.

Intorno, comune di Baschi, ci sono alcuni poderi trasformati in aziende agrituristiche, per esempio "il pomurlo vecchio", quattro cinque casali sparsi per 200 ettari, maneggio, cena in comune la sera sotto una tettoia. 

Gli italiani hanno scoperto il verde punto c'è da chiedersi come lo vivono.

La mattina dopo ho attraversato la diga che chiude il lago di Corbara e lungo la strada che da Orvieto porta a quadro sono salito fino a Titignano. 

Titignano è un castello Corsini al centro di una grande azienda agricola di 2.000 ettari. 

Il castello è da otto anni un centro agrituristico. 

Costruzione originaria quattrocentesca, l'edificio, affacciato su una corte di squisita architettura spontanea, ha palesi aggiunte seicentesche e anche ottocentesche. 

La posizione è bellissima: scruta La Vallata del Tevere dall'alto del Forello.

Cosa offre Titignano? I boschi. 

«Noi abbiamo, come tutta l'Umbria, 30 posti letto: numero che per legge non si può superare in nessuna azienda. I nostri clienti sono per lo più fissi. Vengono anche nei week-end d'inverno. Quello che c'è a Titignano si sa. Non c'è bisogno neppure di fare pubblicità: proprio non ne abbiamo bisogno.»

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Capri

Fra i tavolini dei quattro bar della piazzetta è aperto un corridoio disegnato a ipsilon. 

La gente ci si pigia, in coda, spostandosi lentamente come dentro un autobus. Sono le undici e mezza della mattina: i residenti sono quasi tutti al mare per il bagno, e Capri accoglie i visitatori giornalieri con un’aria distratta, un cipiglio dall’alto in basso, da aristocratica cui le miserie del volgo non possono che dare noia. 

Quelle miserie sono la sua ricchezza: Capri lo sa, si adatta benissimo ai tempi, storce vistosamente la bocca, ma allunga la mano - lo fa con discrezione, ma insieme con un briciolo di perentorietà simulata che le assicura redditi sempre crescenti.

Raffaele la Capria - Capri non più Capri non è forse tra i suoi libri più felici? - mi ha portato a nuoto alla Grotta Verde, un arco di roccia fra due baie, o fra una piscina naturale e una spiaggia di scogli, e mi ha mostrato come la trasparenza dell'acqua, spingendo l'avambraccio in avanti, dalla piscina alla spiaggia, nella mezza luce sotto la pietra, si faccia smeraldo, e all'inverso, dalla spiaggia alla piscina, si faccia turchese, un turchese che si accende di azzurro orlandosi di bianco neve. 

Quel verde e quell’azzurro, per una obliqua rifrazione di sole, offrono all'occhio una dura consistenza, quasi si stesse nuotando nel cristallo: e il tuo corpo, se lo scruti, pare calato in una teca trasparentissima dove non c'è più niente di liquido.

Talune faccende finirono anche in tragedia, come quella che toccò con il 1902 a Krupp, famoso industriale tedesco, per il quale il viaggio a Capri era solo una cura dalla depressione - e la sua filantropia, vestita nei panni di una scontrosità singolare diede il via a chiacchiere perfide, a beghe invidiose. 

Era un uomo di 44 anni e ne mostrava per lo meno venti di più. 

Dissero che era un redivivo Tiberio. 

Ne nacque una cannibalica sceneggiata conclusa con un misterioso suicidio, che secondo Douglas fu invece assassinio.

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Castiglioncello

Mi dice Sandro D'Amico: «la storia di Castiglioncello “est omnis divisa in partes tres”, come la Gallia di Giulio Cesare». 

Il mattino nella pineta è dolcissimo, e l'aria è profumata di mortella, di resina. 

Il verde va dalla tinta brunita dei lecci alla delicatezza dorata dei pini. 

Sotto, al di là degli scogli, il mare, fra tante piccole insenature, si dilata celestino. 

La costa è quella del film il Sorpasso, con la strada, l'Aurelia tutta curve, che si inarca da Rosignano, coi pennacchi grigi della Solvay, verso Quercianella e Calafuria. 

Castiglioncello sta lì, un'isola di quiete, e i villini primi Novecento che sporgono sopra gli alberi con le torrette merlate hanno un tono da romanzo d’anteguerra per ragazzi e signorine.

Quando a Castiglioncello arrivò la ferrovia - venne costruita una stazioncina sempre in stile fiorentino, e c'è ancora. 

Il frastuono del treno dette noia al critico d'arte Diego Martelli, che lottizzò fra i suoi amici l'intero promontorio prima di abbandonarlo. 

Arrivarono allora ricche famiglie toscane.

E il fascismo a Castiglioncello? 

«C'era Attilio Teruzzi, che aveva una villa sul mare, stile razionalista, vistosissima - spiaggia privata; nessuno lo vedeva. Si sapeva che era sempre accompagnato da belle ragazze, e si malignava. Veniva a Castiglioncello in rapido, e il rapido doveva fermarsi per lui senza che la fermata fosse contemplata dall'orario ferroviario». 

Eternità di gerarchi all'italiana. 

«Quando poi i Ciano erano a Livorno, tutte le aragoste della costa venivano sequestrate. Le mangiavano loro e noi no».

A Castiglioncello i bagni si fanno ancora in due tre stabilimenti, l’Ausonia, il Miramare, con i casotti di legno allineati su una linguetta di sabbia rosicchiata dal mare. 

C'è pochissimo spazio per tutto. 

Dice ancora D'Amico: «Non ce l'ha fatta nessuno a lanciare mondanamente e turisticamente Castiglioncello. Sul promontorio, la misura degli spazi non permette di fare “affari”. In acqua manca il fondo per barche di prestigio. Oppure, è mancato il cosiddetto ricambio. C’è una tradizione di comportamenti che non si lascia scalzare. Fatto sta che, dal punto di vista montano, Castiglioncello offre soltanto due bar in piazza, il Ginori e il Piazzetta, il bar degli intellettuali, diciamo così.»

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Cortina

Il nome di Ampezzo fu segnato per la prima volta nell'atto di compravendita di un terreno nel 1156. 

La conca ampezzana, quasi inutile a dirlo, è la più bella di tutte le Alpi: il verde tenero dei prati a contrasto con il verde cupo delle abetaie, e in alto il cielo, steso sulle cime screziate delle Dolomiti, che nel passare delle ore del giorno prendono tutti i colori del diaspro, dal rosato al topazio, al perla, fino al fosco magenta.

L'Antica cultura ampezzana è sparita, la cultura, appunto, del pascolo e dell'allevamento. 

Ma, d'estate, se si sale oltre Ra Stua, se si va ancora più in su verso un prato fatato dove le marmotte saltano fra le pietre che nascondono stelle alpine, ci si può riposare lungo lo stradello nelle alte baite di qualche pastore.

Dormono lì, la notte che d'agosto scende sveltissima, sui letti di assi di legno, e l'odore di formaggio e del latte cagliato è così forte da stordire.

La strada d'Alemagna sale, attraverso il Cadore di Tiziano, alle Dolomiti. 

Ci sono giornate estive in cui la coda delle auto satura i tornanti dell'asfalto in modo tale che si cammina a passo d'uomo, o si resta fermi, imbottigliati. 

Si rivelò, La vallata ampezzana, con l'aggettivo «incantevole» agli occhi di un fraticello tedesco, Felix Schmidt, di ritorno dalla Terra Santa verso la sua Germania, a metà gennaio del 1484. 

Frate Felice trovò già allora la strada del Cadore intasata da muli e mercanzie, ma Cortina, nel suo latino chiamata «platinum», gli apparve luminosa e innevata.

Ma è del 1862 una precisa descrizione del costume femminile ampezzano: «grandi grembiuli di un blu intenso sulle vesti nere orlate di rosso, bianche le maniche, rosse le calze, uno splendido fazzoletto di varie tinte annodato al collo, merletti un po' ovunque ...».

Amelia Edwards scrive un libro, Cime inviolate e valli sconosciute, che, stampato nel 1873 conosce, per il grande successo ottenuto altre ristampe. 

Allora, inglesi, americani, si precipitano, su quella scorta, a Cortina, e anche i tedeschi, oltre agli italiani. 

Allora c'erano nell'abitato alcune locande: la famosa Aquila Nera di Ghedina, aperta fin dal 1785, mentre quella della Posta, aperta dalla famiglia Manaigo, data alla metà degli anni Trenta del secolo scorso. 

Il turismo ampezzano è dunque, subito un turismo di qualità.

La conca ampezzana era da sempre un confine veneto, per area linguistica e antropologica. Arrivare, comunque, da nord, da sud, a Cortina era arduo. 

Chi ci arrivava, è Comisso a dirlo, «faceva sfoggio a voce alta», negli alberghi, nei caffè, dei propri attributi e dei propri titoli nobiliari: «ai grandi appelli di commendatore e di professore riecheggiavano quelli di contessa e di baronessa».

Negli anni Cinquanta diventò segno di privilegio per i pariolini dire di aver prenotato la carrozza letto, d'inverno e d'estate, per Calalzo, destinazione ultima, un grande albergo dell’ampezzano. 

C'è una mitologia sulle passioni scatenate dai maestri di sci o dalle guide per le passeggiate estive «su, in alto» - e sono passioni differenti da quelle scatenate dai bagnini in spiaggia. La montagna trasuda di romantici turbamenti in montagna, sul cuore, ci scorre sempre un po' di tramontana; al mare, invece, scorre lo scirocco infuocato e di respiro corto. 

Dicono che il corso di Cortina, fra l’albero Posta e la libreria dei Sovilla, fosse diventato negli anni, la passerella del potere: molta politica, con frange cospicue di giornalismo.

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La Versilia

La Versilia è un lungo arco di mare coronato di pinete (un tempo più fitte di ora), che da Bocca di Magra raggiunge Marina di Pisa, il Tombolo sull’estremo sud, con le sue leggende legate ai campi delle forze americane nel 1945.

Versilia, terra ospitale di poeti, pure se a Sarzana, poco più all’interno, Guido Cavalcanti si ammalò di malaria e bisogna pur dire che quel mare, per un’improvvisa tempesta, strappò alla vita Shelley sul limite dei trent’anni; il poeta tornava a Lerici su un piccolo yacht che aveva chiamato Ariel, troppo leggero già dal nome, per resistere all’urto delle onde. 

Shelley aveva amato quel mare e aveva pagato il suo amore con la vita. 

Ma altre storie sono ormai quelle della Versilia. 

Le lunghe file di capanni sulla spiaggia, la solerzia dei bagnini che esibendosi in posa atletica ai remi del sandolino di salvataggio affiancano chiunque si tuffi in acqua, mostrano quanto questo mare sia ormai un placido mare per famiglie, anche se talvolta può infuriarvi una tromba d’aria che risucchia e atterra gli ombrelloni, tegole e pini con una imprevedibile e fulminea perfidia da felino.

Quella Versilia era la terra dei «vàgeri» di Lorenzo Viani, gli erratici matti Versiliesi né toscani né liguri, abituati a esprimersi in una lingua che, più si sale a nord, verso Sarzana e il Magra, più si impasta in una asprezza fitta di sigle invece che di parole. 

Le pagine di Viani, tessuto di cronaca minore, di paesaggi, di storia e di invenzioni, così intrise di sensibilità e espressionistica, sono la memoria vera di quel tempo eroico eppure desolato: dietro vi si intravedono sia le estasi di un ospite coronato di estetiche candeline come il vate dell'alcyone, sia le esuberanze scandite da malinconia di un residente tutto sommato popolano come Puccini che, in quegli stessi anni, ricco dei successi di Bohème e Tosca, alle spalle della pineta, lungo il lago di Massaciuccoli, inseguiva folaghe, anatre selvatiche e qualche gonnella.

In avan scoperta, fra il 1913 e il 1914, arrivarono a Fiascherino, David Herbert Lawrence e la sua Frida: affittarono una piccola casa rosa fra viti e ulivi. Gli anni Venti e gli anni Trenta portarono il fox-trot e il jazz in Versilia e anche il gran turismo intellettuale. 

Tutto cambiò. 

Erano anni, perciò, di grande e anche sommessa eleganza. 

I letterati Fiorentini d'estate traslocavano proprio lì, fra il Poveromo e il Cinquale, e il pomeriggio al Forte, al caffè del Quarto Platano, avrebbero sorbito granite in cinese silenzio.

Il premio Viareggio, con Leonida repaci sacerdote indiscusso, celebrava i suoi trionfi. 

Era l’albergo Royal il luogo deputato del premio, ed ecco, sull'ingresso dell'albergo, litigare Repaci, Pasolini e Moravia.

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Sabaudia

Sabaudia, quel dorso di spiaggia che si stende all'apparenza infinito oltre il lago con una striscia di eriche, lentischi, ginepri, lecci, e si schiaccia a Torre Paola sotto il masso del Circeo, negli ultimi anni Trenta, fu stimata come la Polinesia del Lazio.

Negli anni Cinquanta, per i romani, il mare aveva altri nomi. 

Alcuni avevano scelto Fregene: per esempio Moravia, Ercole Patti, Franco Rosi, in case, poco più che cabine, al villaggio dei pescatori. 

La violenza della proliferazione cementizia anni Sessanta cacciò un po’ tutti da Fregene. 

Si disegnò allora l’idea di Sabaudia.

Ricordo che a Sabaudia, di luglio, ed era l’estate del 1968, lavorai, ospite con Andrea Barbato in una casa sulle dune presa in affitto da Monica Vitti, ad una sceneggiatura per un film, un film da un mio romanzo che poi io stesso girai. 

La spiaggia era deserta anche in quella stagione: rare le case.

Abbandonato il capanno di Fregene, assediato non solo dai gitanti ma anche dalle piene ricorrenti e distruttive dell’Arrone, Moravia contrasse l’abitudine estiva di Sabaudia, che significava: accanirsi sui tasti della Olivetti, poi della Olympia portatile, ino verso le undici della mattina, quindi scendere in spiaggia e intraprendere una lunga passeggiata con l’acqua alla vita tirando su la rena le telline che apriva a infallibili colpi d’unghia e succhiava.

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AUTORE

Nato a Roma nel 1934, amico di Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Siciliano è stato uno dei protagonisti della vita letteraria italiana.

Critico d'arte e del costume, è stato direttore di Nuovi Argomenti e collaboratore dell'Unità, dell'Espresso, di Repubblica.

Nella sua lunga e straordinaria carriera ha anche ricoperto il ruolo di Direttore del Gabinetto Viesseux di Firenze, nonché di Direttore  dell'Enciclopedia Treccani del Cinema, un campo - quello della cinematografia - dove Siciliano aveva grandi competenze.

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