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Vi leggo «Sulla Tiburtina in cammino» di Pino Cornacchia

Questo è il diario di un viaggio a piedi lungo l'antico tracciato dell'antica via consolare romana Tiburtina Valeria, in un viaggio che, con partenza dal Museo Archeologico di Chieti, in 256 chilometri circa, in 8 giorni, ci porta alla Porta Tiburtina che si apre nelle mura Aureliane di Roma, in compagnia del viaggiAutore Pino Cornacchia e del suo libro-guida «Sulla Tiburtina reportage di un cammino».
Una grande strada consolare è molto più di una via di comunicazione tra luoghi, è insieme generatore e simbolo di territori.
Risalire una strada consolare è anche ripercorrere il tempo, riscoprire i segni lasciati dalle generazioni e percepire l'attuale stato delle cose e delle relazioni le persone che la utilizzano.
Una consolare attraversa vari territori, che sono la somma di storie di paesaggi, processi produttivi soprattutto agricoli, dialetti, tradizioni, religiosità, patrimoni architettonici e artistici delle comunità che vi abitano.

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Tappa 1 - 22 aprile: da Chieti a Scafa

Il nostro cammino parte da Chieti, città preromana, marrucina, da cui il nome Teate Marrucinorum. 

Già fiorente nel 200 a.C., dominante una vasta area tra la Pescara e la costa adriatica, crebbe la sua importanza quando divenne municipio romano; da qui la necessità del collegamento stradale con Roma. 

Il tratto successivo della Tiburtina Valeria era di fatto un raccordo cittadino che collegava il centro di Teate con il suo porto Ostia Aterni, dal fiume Aternum, antico porticciolo di pescatori conteso tra Vestini e Marrucini, che rappresenta il nucleo originario dell’odierna Pescara.

L’uscita dalla città è segnata dalla Chiesa di Santa Maria Calvona, piccola e un po’ anonima cappella settecentesca. 

Lasciamo Chieti ed entriamo nel Comune di Manoppello. 

Sulla sinistra, su un colle si scorge la Basilica di Santa Maria Arabona, che i monaci Cistercensi costruirono nel 1100. 

Manoppello è cittadina di santuari dato che ci troviamo sul Cammino del Volto Santo.

La maggior parte dei terreni ormai non è più coltivata: macchie, piccole alberate, olivi semiabbandonati. 

Dal lato destro si scorge dall’alto la Val Pescara, una delle zone più cementificate d’Abruzzo insieme alla costa. 

Dopo alcuni chilometri la strada si immette in Via Aterno e di fatto si entra nel tracciato principale della ex Strada Statale 5 Tiburtina, iniziando una sovrapposizione con il percorso della consolare che con varianti e qualche incertezza ci accompagnerà fino a Roma. 

La statale è stata istituita nel 1928 ed è lunga circa 216 chilometri. 

Nel tardo pomeriggio, dopo una prima tappa di circa 20 Km, arriviamo a Scafa, prima località di pernottamento. 

Scafa era un antico borgo nell’area della confluenza tra il fiume Pescara e il torrente Lavinio e deve il suo sviluppo alle cave e al cemento, piccolo simbolo del boom economico italiano.

Ascolta "22 aprile: da Chieti a Scafa - Tappa 1 «Sulla Tiburtina reportage di un cammino»" su Spreaker.

Tappa 2 - 23 aprile: da Scafa a Popoli

È mattina, una bella giornata di primavera. 

Lungo la Tiburtina lasciare Scafa significa allontanarsi dalla zona industriale-commerciale della Val Pescara ed entrare in un’area collinare, verde. 

Seguendo la statale passiamo a poche centinaia di metri dall’Abbazia di San Clemente a Casauria, che dà il nome alla zona. 

All’inizio il paesaggio è quello dell’ulivo e della vite, con appezzamenti frammentati, tipici di un’agricoltura familiare contadina, ora in forte abbandono.

In queste aree, prima sono scomparsi gli allevamenti di animali e poi le coltivazioni.

Entrando nell’area comunale di Tocco da Casauria si è accolti dalla scritta “Città dell’olio”, ma la sorte dell’ulivo non ha seguito quella della vite, è mancata in questi decenni la capacità organizzativa e commerciale. 

La statale scorre tranquilla, qui e là qualche cipresso sulla banchina ricorda antiche alberate.

Come ci avviciniamo alle gole di Popoli il territorio sembra convergere, come in una rappresentazione delle curvature dello spazio-tempo della relatività generale. 

La statale, la ferrovia e l’autostrada, che per chilometri hanno proceduto parallele ma distanziate, ora finiscono per sovrapporsi, a pochi metri dal fiume. 

Una gola è anche un tratto di confluenza di corsi d’acqua, e nella Gola di Popoli confluiscono tre corsi d’acqua: il Sagittario, l’Aterno e le sorgenti del Pescara. 

La straordinaria ricchezza d’acqua è stata alla base anche dell’interesse industriale di questa zona, dalla produzione di energia elettrica alla manifattura con la produzione di cloro ed alluminio, ma anche sostanze pericolose durante la guerra e dopo, da parte della Montecatini poi Montedison.

È tardo pomeriggio quando entriamo a Popoli, obiettivo del giorno del nostro cammino, nobile cittadina, antica Pagus Fabianus e poi capitale e roccaforte del feudo ducale dei Cantelmo. 

Popoli e paese nativo dell’ingegner Corradino D’Ascanio, progettista della “Vespa”.

Ascolta "23 aprile: da Scafa a Popoli - Tappa 2 «Sulla Tiburtina reportage di un cammino»" su Spreaker.

Tappa 3 - 24 aprile: da Popoli a Castelvecchio Subequo

La terza mattina promette ancora una bella giornata. 

Lasciamo popoli ma continuiamo a seguire il corso del fiume Aterno entrando nel cuore profondo dell’Abruzzo. 

Presto incontriamo Corfinio, ora un piccolo borgo, silenzioso e pulito, poche persone, tranne un piccolo gruppo di anziani in piazza a godersi l’ozio e la primavera. 

Ma Corfinio ha una grande storia, la Corfinium, capitale dei Peligni, Pentima per i Romani, fu il punto di arrivo della Tiburtina Valeria nel 286 avanti Cristo. 

Qui si riunì e si formò la Lega Italica, coniando la prima moneta con la scritta Italia.

A Corfinio la concattedrale ci aspetta all’uscita del paese: la grande Basilica di San Pelino. 

La visita è surreale, non c’è nessuno, ma una signora compare all'improvviso, riesce a procurarsi la chiave e aspetta pazientemente che noi terminiamo la visita, mentre lei parla sottovoce con una suora nascosta tra i banchi.

Solo tre chilometri dopo Corfinio entriamo a Raiano, storicamente fortunata per la sua posizione lungo la Valle dell’Aterno e lungo la Tiburtina, ma anche attraversata da grandi tratturi. 

Scopriamo di essere a solo 170 chilometri dall’arrivo. 

Usciti da Raiano la strada torna a salire. 

Siamo nelle Gole di San Venanzio, scavate dall’Aterno.

Il nome deriva da un antico eremo dell’alto medioevo e poi da una chiesa, tuttora luoghi di devozione e culto dedicati a Venanzio da Camerino.

I Paesi che attraversiamo hanno nomi indicativi, come Castelvecchio Subequo e Castel di Ieri. 

In questi posti è difficile trovare da dormire o anche un ristorante, tanto più fuori stagione.

Ascolta "24 aprile: da Popoli a Castelvecchio Subequo - Tappa 3 «Sulla Tiburtina reportage di un cammino»" su Spreaker.

Tappa 4 - 25 aprile: da Castelvecchio Subequo a Celano

È il 25 aprile, giorno della Liberazione, si sale a Forca Caruso, non è il punto più alto del nostro cammino, ma il maggior dislivello: dai 500 metri di Castelvecchio Subequo ai 1.100 metri del passo che collega l’area Subequana e Peligna con il Fucino. 

Ci inoltriamo nel Parco Regionale del Velino Sirente, cugino minore dei tre grandi parchi nazionali d’Abruzzo. 

Seguiamo il tracciato della Statale 5, che probabilmente non coincide con la consolare romana. 

Il tempo e la ramificazione dei tratturi hanno complicato le cose. 

Non c'è nessuno e non passa nessuno. 

Nulla lascia immaginare che fino alla costruzione dell’Autostrada A25 alla fine degli anni Settanta, questo valico abbia rappresentato per oltre due millenni, uno dei principali collegamenti stradali tra il Lazio e l’Abruzzo, tra Roma e l’Adriatico Centrale.

Il vero dominatore di questi è il vento che si fa sentire fresco sul volto e con un sibilo diffuso. 

Non a caso la presenza antropica più evidente in questi spazi è data da enormi aerogeneratori eolici. 

Ormai ci siamo abituati a questi impianti. 

Alcuni anni fa sembravano un pugno in un occhio, un affronto alla montagna, ora non più, forse per la loro utilità, forse per assuefazione, ma anche per l’aurea di elegante saggezza, che proprio il movimento lento esalta.

Presto scopriamo il Fucino. 

Al sole del pomeriggio il Fucino luccica, ma non è l’acqua dell’antico lago a riflettere la luce del sole, ma la plastica largamente usata nell’agricoltura intensiva di oggi. 

Il Fucino era un lago carsico, il terzo per estensione in Italia. 

È sera quando arriviamo alle porte di Celano nella locanda scelta per la notte. 

Da lontano si scorge il Grande Castello Piccolomini costruito per dominare un'area lacustre e che ora domina una vasta pianura tra i monti.

Ascolta "25 aprile: da Castelvecchio Subequo a Celano - Tappa 4 «Sulla Tiburtina reportage di un cammino»" su Spreaker.

Tappa 5 - 26 aprile: da Celano a Scurcola Marsicana

Siamo alla tappa centrale del cammino, la mediana che avrà apice in Alba Fucens. 

Partiamo sulla Statale, avendo sulla destra il Paese di Celano con il suo maestoso castello, il massiccio del Sirente, con il taglio delle Gole di Celano. 

Per alcuni chilometri camminiamo lungo la Tiburtina. 

Qui in realtà non ci sono grandi città ma piccole cittadine lungo la statale con improbabili aree d’espansione industriale ed artigianale. 

Capannoni, piccole imprese, qualche abitazione si alternano ad appezzamenti di terreno abbandonato.

In località San Pelino, già periferia di Avezzano, deviamo verso la montagna, lasciamo la statale e seguiamo una strada dal nome interessante: Via Romana. 

In realtà in questa zona si è certi che la Statale e la Consolare romana non coincidono e se non se ne conosce con sicurezza il percorso antico, si sa che passasse per la città di Alba Fucens, dove arriviamo a mezzogiorno. 

Prima incontriamo tratti delle grandi mura di cinta lunghe circa tre chilometri, poi quasi all’improvviso, in un pianoro sotto i nostri occhi, i resti della città. 

Alba è il cuore dell’antica Tiburtina, fondata dai Romani nel 303/304 a.C., prima come avamposto e rocca fortificata, centro di un quadrivie che collega Roma con l'Adriatico, ma anche con l’alto Abruzzo, attraverso l’altopiano delle Rocche, e con la Ciociaria, lungo la Valle Roveto. 

Ben presto è diventata anche un importante mercato agricolo e zootecnico. 

Rimaniamo molto sorpresi da Alba Fucens, dall’ampiezza e dalla bellezza del sito.

Lasciamo Alba Fucens e, seguendo il consiglio di un signore del luogo, ci inoltriamo per un sentiero nel bosco che dovrebbe scendere direttamente su Cappelle dei Marsi e da lì raggiunge Scurcola. 

Il sentiero dapprima è ben segnato, ma quando Cappelle sembra a portata di mano, si scompagina nel bosco e chiaramente ci perdiamo. 

Finalmente a Cappelle rientriamo nella Statale Tiburtina e raggiungiamo Scurcola Marsicana. 

Qui, nel 1268, nei Piani Palentini, si svolse lo scontro finale tra Svevi ed Angioini per la conquista del Sud Italia, che portò alla sconfitta della dinastia tedesca da parte di quella francese. 

Qui Carlo I d’Angiò sconfisse e uccise Corradino di Svevia figlio del grande Federico II.

Ascolta "26 aprile: da Celano a Scurcola Marsicana - Tappa 5 «Sulla Tiburtina reportage di un cammino»" su Spreaker.

Tappa 6 - 27 aprile: da Scurcola Marsicana a Colli di Monte Bove

Dopo cinque giorni di sole per oggi le previsioni metereologiche indicano pioggia. 

Cerchiamo di partire presto per eludere almeno in parte il maltempo, ma non è così: appena per strada comincia una pioggia fitta, che non ci darà tregua per quasi tutta la giornata. 

Per alcuni chilometri proseguiamo lungo la Statale. 

Siamo ancora nella Piana del Fucino, alle porte di Tagliacozzo la Statale si sdoppia, la variante più antica sale verso il Valico di Monte Bove, quella più moderna si tiene sulla destra più in basso, passando accanto al paese di Pietrasecca: noi optiamo per quella più antica perché non ci sono dubbi che corrisponda al percorso della consolare romana. 

Tagliacozzo, nonostante la pioggia, si presenta come una cittadina viva, piena di movimento, forse è giorno di mercato. 

L’abitato si estende su una sorta di fenditura, una stretta valle sulle pendici del Monte Civita, come un taglio nella roccia.

Nella nebbia arriviamo alla vetta, il passo di Colle di Monte Bove a 1.220 metri d’altitudine, la cima Coppi della consolare romana e del nostro cammino, il valico che segna il passaggio tra la Marsica e l’area carseolana. 

Il paesaggio è completamente diverso da quello del valico di Forca Caruso, qui il bosco, lì l’altopiano. 

Anche i fantasmi sono diversi: lì i pastori e qui i legnaioli, i carbonari ed i briganti. 

Varianti dello spirito dei monti. 

Bastano pochi chilometri nella faggeta per raggiungere Colli di Monte Bove, piccolo borgo, frazione di Carsoli, a mille metri di altitudine, luogo di nascita di San Berardo dei Marsi, il suo cittadino più illustre, discendente da nobile famiglia, nato qui nel 1079 e morto nel 1130, vescovo e consigliere di papi. 

Il borgo è arroccato sul monte, caratteristico, silenzioso.

Ascolta "27 aprile: da Scurcola Marsicana a Colli di Monte Bove - Tappa 6 «Sulla Tiburtina reportage di un cammino»" su Spreaker.

Tappa 7 - 28 aprile: da Colli di Monte Bove a Vicovaro

Anche nella discesa da Colli di Montebove camminiamo sotto la pioggia. 

Per fortuna la discesa è comoda, la strada larga costeggia per un po' la ferrovia, poi lentamente spiana, ormai alle porte di Carsoli, il comune che con Oricola e Pereto formano un piccolo cuneo di Abruzzo che penetra nel Lazio.

Pochi chilometri dall’abitato di Carsoli, si lascia l’Abruzzo per entrare nel Lazio. 

Il cartello stradale non nomina le Regioni ma le Province. 

Proseguiamo sotto la pioggia, il traffico comincia ad aumentare, la Tiburtina scende lentamente, parallela all’autostrada che ci domina in alto a destra. 

Dall’altro lato, sulla sinistra, abbiamo il verde intenso dei monti Simbruini, interrotto solo da una cava enorme collocata tra i Comuni di Carsoli, Arsoli e Riofreddo. 

Pochi chilometri e la Tiburtina entra nell’abitato di Arsoli. 

Cominciamo a respirare l’aria della città metropolitana di Roma. 

La cittadina piccola e caotica si è sviluppata intorno al suo Castello Massimo, ben visibile al centro in cima al borgo, costruito intorno all’anno 1000 da papi e signorotti locali. 

Il cammino prosegue e, incrociando l’Aniene, la valle si apre. 

Il paesaggio diventa dolce ed ancora più verde. 

Siamo ai margini settentrionali dell’area sublacense, un territorio ricco di acqua e di salubrità.

Nell’alta valle dell’Aniene non c’è molta agricoltura, il paesaggio è però ricco di vegetazione, scendendo dai monti della Marsica siamo passati dal bosco di faggio a quello fluviale di pioppi e salici. 

L’onnipresenza di arbusti e siepi e la mancanza di cura del sottobosco rendono il territorio particolarmente intricato. 

Dopo una dozzina di chilometri da Arsoli arriviamo a destinazione, l’Oasi Francescana, un antico Convento ora adattato a ricezione turistica. 

La struttura è costruita sulla Rupe di San Cosimato, in un tratto dove l’Aniene restringendosi ha formato sulle rive scoscese varie grotte più o meno grandi, utilizzate come eremi benedettini sempre nel sesto secolo. 

Una ripida scala scavata nella roccia unisce il fiume all’ampio monastero sovrastante. 

E’ un buon posto per riposare e meditare.

Ascolta "28 aprile: da Colli di Monte Bove a Vicovaro - Tappa 7 «Sulla Tiburtina reportage di un cammino»" su Spreaker.

Tappa 8 - 29 aprile: da Vicovaro a Tivoli Terme

Dopo due giorni di pioggia è tornato il bel tempo, che dovrebbe accompagnarci fino a Roma. 

Dopo poche centinaia di metri scavalliamo l’autostrada ed entriamo nell’abitato di Vicovaro, che costeggiamo seguendo sempre il corso dell’Aniene. 

Vicovaro, Vicus varia, è un insediamento antico, attivo già nell’età del bronzo, nella propaggine meridionale dei Monti Lucretili. 

Con Roma divenne un villaggio agricolo fondamentale anche per il suo approvvigionamento idrico, nel medioevo un castrum fortificato.

Procedendo verso ovest passiamo a nord di Castel Madama, elegante e austera, poggiata sulla sommità di un colle alto 450 metri. 

Poi, ai bordi della strada, qualche chilometro prima di Tivoli e precisamente al km 42,300, incontriamo il monumento funebre di Caio Menio Basso.

In mattinata, in meno di quattro ore, arriviamo alle porte di Tivoli, fondamento e simbolo della Tiburtina, città di grandi ville, commerci, del travertino, delle acque albule e di sepolcri illustri. 

La strada che percorriamo entrando nell’ambito si chiama Via Valeria, come venti secoli fa. 

Tibur superbum per Virgilio, più antica di Roma di oltre cinquecento anni, capitale di Latium Vetus, è una città stregata.

Sempre nel caos di Tivoli scendiamo verso Piazza Garibaldi e tiriamo dritto tra giardini e parcheggi, verso Tivoli Terme. 

Pensiamo che uscendo dalla città, in mezzo ai regolari oliveti, altro vano di queste colline, finalmente dovremmo trovare un po’ di pace, ma ci sbagliamo. 

Nella contrada di Villa Adriana, rientrando nell’abitato, si riforma l’ingorgo, il caos torna ad aumentare, ma si riducono la velocità e noi troviamo dei marciapiedi sconnessi per evitare di essere investiti. 

Prima di arrivare alle terme ci aspetta un’altra sorpresa di questa città multidimensionale e multitasking: le immense cave di travertino. 

La Tiburtina ne attraversa una decina, per un lungo rettilineo le troviamo sia a destra che a sinistra.

Dopo le cave entriamo finalmente dell’abitato di Tivoli Terme, già Bagni di Tivoli, l’odore pungente e solforoso, che si raggiunge da tempo, chiaramente si intensifica. 

Passiamo di fronte all’entrata degli Stabilimenti Termali con a fianco il Victoria Terme Hotel. L’atmosfera è molto vintage.

Non si sa bene quanto tempo abbia dedicato nel suo Grand Tour In Italia Goethe a Tivoli per conoscerla a fondo, ma noi non siamo turisti, stiamo percorrendo un cammino ed abbiamo una meta, così in poche ore possiamo scegliere di ammirare una sola delle tante meraviglie di questa città e non possiamo non scegliere Villa Adriana, uno dei simboli della Roma imperiale. 

Entriamo nel tardo pomeriggio, non abbiamo molto tempo, ma in cambio i visitatori sono pochi. 

La villa si estende su circa 120 ettari ed è un buon ritiro e della memoria. 

Villa Adriana, preannuncia l’approssimarsi della meta del nostro cammino.

Ascolta "29 aprile: da Vicovaro a Tivoli Terme - Tappa 8 «Sulla Tiburtina reportage di un cammino»" su Spreaker.

Tappa 9 - 30 aprile: da Tivoli Terme a Roma

Il mattino di domenica 30 aprile lasciamo abbastanza presto la locanda dove abbiamo passato la notte, al confine tra Tivoli e Guidonia. 

Più che dall’eccitazione per l’approssimarsi della meta, siamo presi da una certa preoccupazione per la prova che ci aspetta: l’attraversamento della periferia est di Roma. 

La periferia romana come la vediamo adesso è il prodotto di una storia di pochi decenni, dalla fine della seconda guerra mondiale, ed ha un’unica regola: l’assoluta assenza di regole, di un disegno, di un’idea di città. 

Dapprima c’è stata l’epoca d’oro dei palazzinari. 

Roma si è estesa partendo dalle Consolari, occupando gli spazi e mangiandosi piano piano i piccoli borghi, i casali di campagna e le vecchie torri, testimoni di antichi castellotti, prima dispersi nell’agroromano.

E’ così che ci viene incontro Roma, con un’aggiunta inaspettata ed estraniante.

Dopo Albuccione, che nel nome volgarizza le acque albule, e Setteville, frazione di Guidonia, attraversiamo un paio di chilometri o poco più verde, per entrare subito nell’estrema periferia di Roma, dal nome fiabesco di Settecamini. 

Le leggende sono tante: si parla di un casale o di un forno dai sette camini. 

In ogni caso questa zona era una grande proprietà dei Torlonia, perché ogni cosa è legata e ricorrente. Non ci potevamo aspettare di certo l’Appia antica, ma la Tiburtina nel suo tratto sorgente non è proprio uno spettacolo emozionante.

Lungo la Via Tiburtina si incontrano stabilimenti importanti, è qui la cosiddetta Tiburtina Valley. 

Oggi, essendo il primo maggio, è tutto chiuso, serrato, un po’ spettrale. 

E’ chiusa anche la fabbrica Gentilini e il suo spaccio, dove speravamo di rifocillarci con dei biscotti di qualità, noti nella capitale. 

Ma è l’incontro con il GRA, il mitico Gran Raccordo Anulare, il più grande anello d’Italia a segnare davvero oggi l’entrata a Roma.

Dopo l’Aniene siamo sempre più catapultati al centro. 

Incrociamo Pietralata. 

Qui, come in tutta la zona attraversata questa mattina, ci sono piccoli e grandi segni e resti romani. 

Ma questa era soprattutto una grande area agricola, sia al tempo dell’impero romano, sia nel medioevo. Poche centinaia di metri ed attraversiamo la Cacciarella, una ex tenuta di caccia dei Torlonia, il Portonaccio, la Stazione Tiburtina. 

Di verde in questa zona ci sono solo gli alberi pizzuti del Cimitero Monumentale del Verano, che enorme, circonda la Basilica di San Lorenzo fuori le mura, silenziosa e raccolta, nel quartiere omonimo.

Tra il Portonaccio e il Verano prendiamo decisamente coscienza della fine del cammino. 

La Statale Tiburtina inizia da Porta San Lorenzo ad un centinaio di metri da Porta Tiburtina, dove la vecchia strada consolare incontrava, con un arco, le Mura Aureliane, insieme a un paio di acquedotti. Poi la Consolare si addentrava nel centro di Roma ancora per poche decine di metri fino alla porta nelle Mura Serviane nella zona attuale di Piazza Vittorio.

La grande chiesa di Santa Maria Maggiore ha un’origine onirica e leggendaria: Maria di Nazareth apparve in sogno a Papa Liberio e al suo amico Giovanni, ricco finanziatore, prefigurando la costruzione di una chiesa di una chiesa con una straordinaria nevicata d’estate. 

Superata Piazza Vittorio da lontano scorgiamo l’imponente facciata della Basilica e la colonna antistante. 

Fuori dalla Basilica, rientrati nel rumore della città, ci separiamo, avviandoci chi alla stazione ferroviaria, chi alla metropolitana, e poi a casa.

Ascolta "30 aprile: da Tivoli Terme a Roma - Tappa 9 «Sulla Tiburtina reportage di un cammino»" su Spreaker.

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