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Vi leggo il «Viaggio in Calabria» di Alexandre Dumas

Molti furono gli scrittori che subirono il fascino dell'antica terra di Calabria, pittoresca e romantica, che costituisce sempre fonte straordinaria di inesauribile di ispirazione. 

Ma quelli erano "viaggiatori" che avevano percorso quasi gli stessi itinerari obbligati, seguendo anche loro un iter misto marittimo-terrestre, protetti da guardie armate. 

I loro scritti erano quasi sempre annotazioni e descrizioni precise dei luoghi visitati, pagine di diario dal tono talvolta rigoroso nel contesto della realtà osservata. 

Il Viaggio in Calabria di Alexandre Dumas (1802-1870) che l’autore svolge nell’autunno 1835 in compagnia del pittore Jadin, all’indomani del viaggio in Sicilia per seguire la missione dei 1000 di Garibaldi, costituisce invece una raccolta di sensazioni suscitate nell'immediatezza della visione oggettiva dei fatti e dei fenomeni percepiti, ma successivamente trasportate in un'atmosfera romantica attraverso stimolazioni suggestive elaborate in trasposizione fantastica.

Il libro si offre al lettore con tutta la piacevolezza e la scorrevolezza di un romanzo di avventura in cui lo scrittore, talvolta, sembra quasi aver assimilato il piglio sfrontato e scanzonato di un guascone, tipico di alcuni personaggi dei suoi più celebri romanzi: «Nulla mi mette il corpo e l'anima a bel’lagio come una risoluzione presa, fosse esattamente contraria a quella che si contava prendere».

L'atteggiamento dell'autore è tollerante e spesso anche simpaticamente ironico nei confronti di una realtà sociale arretrata, ma ugualmente affascinante per la tua spontaneità ed anche perché inserita in un paesaggio fra i più belli che avesse mai visitato.


Attraverso la lettura delle 146 pagine del racconto è possibile ripercorrere fantasticamente quel viaggio che Dumas, scrittore dallo spirito avventuroso e amante del bello del nuovo, effettuò in Calabria, in quei luoghi da cui più era attratto per la loro natura selvaggia ed Immacolata. 

Le varie esperienze, vissute in prima persona talvolta anche in situazioni di pericolo, vengono narrate con aderenza alla realtà tramite immagini che presentano, a volte, una trasfigurazione immaginifica tale da renderle maggiormente ricche di fascino. 

Si riconoscono al Dumas le doti sinestetiche che caratterizzano un grande scrittore: il saper ottenere degli “effetti” che rendano vive le immagini, il trasmettere calore emotivo, il suscitare partecipazione, il creare vivacità di movimento all’interno del racconto.

Lo stile non osserva sempre il rigore di uno scritto di contenuto storico-geografico, ma si avvicina piuttosto alla spontaneità di un romanzo popolare.

Lo scrittore esprime il suo rammarico nel salutare quel «posto della terra in cui avevamo trovato il più completo riposo» e così aggiunge: «al momento di lasciare la Calabria cominciavamo a sentirci legati, malgrado tutto quello che avevamo sofferto, a questi uomini così curiosi da studiare nella loro rudezza primitiva e a questa terra così pittoresca da osservare nei suoi sconvolgimenti eterni».

L'interesse del viaggiatore verso ogni nuova conoscenza passa attraverso il vaglio dell'ironia del suo carattere eclettico e pungente: tutti elementi dai quali risulta una lettura particolarmente piacevole e stimolante.


ASCOLTA LA LETTURA INTEGRALE DEL LIBRO

Bauso: Pasquale Bruno brigante gentiluomo - tappa 1 (1:17:29)

Eravamo in Sicilia, venivamo da Stromboli, andavamo a Bauso (Villafranca Tirrena) e viaggiavamo per diporto.

Jadin, il mio amico pittore, aveva scorto una barca di pescatori sulla quale c’erano tre o quattro pesci dalle forme e dai colori così attraenti che il desiderio di fare una natura morta prevalse il lui su quello di visitare il teatro delle imprese di Pasquale Bruno.

Arrivammo a Bauso, la vettura si fermò davanti a una specie di locanda, la sola che ci fosse nel paese.

L’ospite venne a riceverci con l’aria più affidabile del mondo con il cappello in mano e il grembiule rimboccato.

Scendemmo sulla spiaggia di Bauso.

Da lì la vista è deliziosa.

Da quelle coste, il capo Bianco s’inoltra piatto e allungato sul mare; dall’altra parte i monti Peloritani emergono sopra le onde a picco come una falesa.

Lontano, in fondo, si stagliano Vulcano, Lipari e Lisca-Bianca, dietro la quale s’erge e fuma lo Stromboli.


Scilla: arrivo in Calabria - tappa 2 (30:20)

Di ritorno in Calabria dalla Sicilia, arrivato a Villa San Giovanni trovai una lettera di Jadin, il mio amico pittore, con la quale mi avvisava che, avendo iniziato la sera prima un disegno su Scilla, era partito all’alba con Milord, il mio cane, per poterlo terminare.

Quanto a me, non avendo niente di meglio da fare, m’incamminai verso Scilla per andare alla ricerca di Jadin.

La distanza da San Giovanni a Scilla è all’incirca di cinque miglia, ma sembra di gran lunga inferiore per il paesaggio pittoresco che costeggia quasi sempre il mare e si sviluppa tra siepi di cactus, di melograni e di aloe, dominati di tanto in tanto da qualche noce e castagno dal fogliame spesso, all’ombra del quale trovavamo più volte seduto un pastorello con il cane accanto, mentre le tre o quattro capre a cui badava si arrampicavano capricciosamente sulle rocce vicine o si sollevavano sulle zampe posteriori per raggiungere i primi rami d’un corbezzolo o d’una quercia verde.


Bagnara - tappa 3 (21:03)

Verso le tre del pomeriggio arrivammo a Bagnara; là, la guida ci propose di fare una sosta per consacrarla alla nostra ed alla sua cena.

Era una proposta che arrivava al momento giusto per non essere accettata favorevolmente.

Entrammo in una specie di locanda e chiedemmo di essere serviti immediatamente.


Palmi: Terenzio il sarto e il diavolo - tappa 4 (43:31)

Ci restavano ancora tre ore del giorno da sfruttare e solo sette miglia per arrivare a Palmi.

Non cercammo di vedere in nessun modo le curiosità di Palmi, ma di assicurarci la migliore stanza e le lenzuola più pulite nella locanda dell’Aquila d’Oro.

Feci salire in stanza il padrone della locanda e chiesi se lui o qualcuno di sua conoscenza sapesse in tutti i suoi particolari la storia di mastro Terenzio, il sarto.

Cinque minuti dopo ero proprietario del prezioso foglio: era ornato d’un disegno colorato che presentava il diavolo che suonava il violino e mastro Terenzio che ballava sul banco da lavoro.


Mileto - tappa 5 (14:50)

Attraversando la grande piazza di Mileto, vidi una tomba antica che rappresentava la morte di Pentesilea.

Fui io allora a reclamare uno schizzo e passò ancora mezz’ora con grande disperazione della guida che osservando la pietra disse che non vi vedeva niente per cui valesse la pena di fermarsi.


Vibo Valentia - tappa 6 (24:03)

Arrivammo a Monteleone (l’odierna Vibo Valentia) a notte fonda; così che il nostro prudente mulattiere si fermò davanti alla prima bettola che trovò.

Dio salvi il mio peggior nemico d’arrivare a Monteleone nell’ora in cui vi giungemmo noi e di fermarsi presso Antonio Adamo.

A Monteleone cominciammo a sentire parlare del terremoto: la scossa era stata molto violenta e benché non ci fosse stato nessun incidente grave i monteleonesi avevano avuto per un istante la paura che si rinnovasse la catastrofe che nel 1783 aveva distrutto interamente la loro città.


Pizzo: dove fu fucilato Murat - tappa 7 (1:24:29)

Per puro caso entravamo a Pizzo il giorno del ventesimo anniversario della morte di Murat.

Ci sono certe città sconosciute il cui nome, per inattese, terribili, clamorose catastrofi, talvolta acquista improvvisa fama europea e che s’ergono in mezzo al secolo come una di quelle paline storiche piantate dalla mano di Dio per l’eternità: tale è destino di Pizzo.

Infatti è noto che fu nella città di Pizzo che Murat venne a farsi fucilare.

Quest’uomo il cui nome, malgrado il ricordo di tutti gli errori che ad esso si collegano, è diventato in Francia il più popolare dopo quello di Napoleone.

Eravamo alloggiati, attratti dall’apparenza, in una locanda posta sulla stessa spiaggia dove sbarcò il re e ad un centinaio di passi dal fortino dove è seppellito Campana.

Ma non c’eravamo ancora sistemati che ci accorgemmo che vi mancava tutto, persino i letti.


Maida - tappa 8 (33:22)

Dopo tre ore di marcia nella montagna scorgemmo Maida.

Era un mucchio di case, abbarbicate su una montagna, che, come in tutte le case calabresi, erano state intonacate in modo primitivo, con uno strato di gesso o di calce, ma che, per le ripetute scosse che avevano subito, avevano perso una parte dell’ornamento superficiale cosicché, quasi tutte erano coperte di larghe macchie grigie che conferivano loro l’aria di aver avuto una malattia della pelle.


Vena di Maida: paese albanese - tappa 9 (17:49)

Ci avviamo verso Vena che rispetto a Maida si trova cinque miglia in là nella montagna.

Dopo un’ora e mezza di cammino arrivammo a Vena.

La nostra guida non ci aveva ingannati perché alle prime parole che rivolgemmo ad un abitante del paese ci fu facile capire che la lingua che parlavamo gli era perfettamente sconosciuta come a noi quella nella quale ci rispondeva.

Ciò che venne fuori da quella conversazione fu che il nostro interlocutore parlava un dialetto greco-italico e che il paese era una delle colonie albanesi che emigrarono dalla Grecia, dopo la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II.


Tiriolo: il vancale delle pacchiane - tappa 10 (24:26)

Era facile capire che ci avvicinavamo ad un abitato; infatti, da circa mezz'ora incontravamo, vestite con costumi estremamente pittoreschi, donne che portavano carichi di legna sulle spalle.

Jadin (il mio amico pittore) approfittò di una momento in cui una donna si riposava per fare uno schizzo.

Chiedemmo alla nostra guida di che paese fossero e ci rispose ch’erano di Tiriolo.

Un solo albergo, situato sulla strada principale, apriva la porta ai viaggiatori.

Una certa pulizia esterna attirò i nostri favori.


Rogliano: borgo delle 12 chiese - tappa 11 (19:33)

Mi guardai intorno: eravamo in una specie di catapecchia, ma almeno eravamo in una specie di catapecchia, ma almeno eravamo al riparo della tempesta e presso un buon fuoco; fuori si sentiva il tuono che continuava a brontolare e il vento muggiva da far tremare la casa.

Quanto ai lampi li vedevo attraverso una larga crepa della parete prodotta dal terremoto.

Eravamo a Rogliano e quella felice catapecchia era il miglior albergo del paese.

Il giorno dopo al mattino, la guida venne a comunicarci che uno dei suoi muli non riusciva a reggersi sulle zampe.

Era tutto intirizzito e sembrava completamente paralizzato.

Mandammo a cercare il medico di Rogliano perché come Figaro era nello stesso tempo barbiere, dottore e veterinario.


Cosenza tra terremoto e Alarico - tappa 12 (45:40)

Infine, arrivando in cima ad una montagna, vedemmo Cosenza che si spandeva in fondo alla valle a noi sottostante ed in un prato contiguo alla città una specie di campo che ci sembrò più abitato della città stessa.

Dopo aver attraversato una specie di sobborgo scendemmo per una via larga e regolare, ma talmente solitaria a quelle di Ercolano o Pompei; parecchie case crollate; altre piene di crepe, dal tetto sino alle fondamenta, altre ancora con i vetri tutti rotti ed erano le meno danneggiate.

Quella via ci condusse in riva al Busento dove, come si sa, fu seppellito Alarico.


Castiglione Cosentino: tra i terremotati - tappa 13 (1:05:42)

Il barone Mollo la sera prima ci aveva sentito esprimere il desiderio di andare a visitare Castiglione, uno dei paesi dei dintorni di Cosenza che avevano maggiormente patito il terremoto.

Partimmo verso le dieci; la carrozza poteva condurci solo sino a tre miglia di montagna e fare tre miglia a piedi prima d’arrivare a Castiglione.

Lo vedemmo da molto lontano ci apparve come un ammasso di rovine e frammezzo ad esse vedemmo agitarsi tutta la popolazione.

Infatti, avvicinandoci, ci accorgemmo che tutti erano occupati a scavare: i vivi dissotterravano i morti.

Un contadino occupato nelle ricerche ci chiese chi fossimo: gli rispondemmo ch’eravamo pittori.

- Che venite a fare qui, allora? - ci disse - vedete bene che non c’è più niente da dipingere.


San Lucido: addio Calabria - tappa 14 (12:05)

Ai nostri piedi era San Lucido e nel suo porto, simile ad una di quelle piccole navi che i bambini fanno galleggiare nelle vasche delle Tuileries, vedemmo ondeggiare il nostro elegante e grazioso speronare che ci aspettava.

Eravamo a bordo levammo l’ancora.

Tutto il giorno rasentammo le coste, davanti a noi passarono Cetraro, Belvedere, Diamante, Scalea e il Golfo di Policastro; infine verso sera ci trovammo all’altezza di Capo Palinuro.


Maestro del romanzo storico e del teatro romantico, spesso confuso con l'omonimo figlio, anch'egli scrittore, è famoso soprattutto per i capolavori "Il conte di Montecristo" e la trilogia dei 3 moschettieri.

Un autore francese, conosciuto in tutto il mondo per i suoi capolavori che hanno fatto la storia della letteratura moderna, con una passione smodata per l'Italia e il suo Sud.

Dumas è conosciuto per essere stato un gran viaggiatore, incuriosito dalle più diverse culture, innamorato degli italiani. 

Non pochi sono infatti gli scritti che dedica agli abitanti della Penisola e allo Stivale stesso.

Lo scrittore, sorpreso da una improvvisa tempesta che gli impedì di proseguire la navigazione verso Nord, fu costretto a percorrere la Calabria via terra, da Villa San Giovanni a Cosenza.

Un viaggio abbastanza lungo per l'epoca, svolto in diverse tappe, tra cui le principali risultano essere Scilla, Pizzo, Maida, Cosenza.

Durante ogni fermata Dumas non manca di annotare sul suo taccuino di viaggio notizie storiche e fantastiche. 

Tra terremoti e piogge torrenziali, tra racconti gustosi e personaggi singolari, il viaggio di Dumas si trasforma così in un avventuroso racconto stilato con sagacia ed ironia.


Dopo essere stato in Sicilia, lo ritroviamo così a risalire a dorso di mulo la Calabria ancora tristemente provata dal terremoto del 1783. 

L’8 ottobre 1835 Dumas era infatti approdato a Villa San Giovanni con la stessa imbarcazione, la speronara "Santa Maria di Piedigrotta" [speronara (o speronièra) dal siciliano spirunara, derivante da spiruni «sperone»; grosso battello da carico, a vela e a remi, rimasto in uso nei paesi rivieraschi del Canale di Sicilia fino alla 1a metà del secolo XX (1900): il dritto di prua è caratterizzato da uno sperone posto a mezza altezza tra il galleggiamento e il bompresso, mentre l’unico albero, molto avanzato verso prua, può portare sia una vela a tarchia sia una vela latina], con cui diversi giorni prima era arrivato in Sicilia da Napoli, e contava di fare il viaggio di ritorno via mare lungo la Costa Tirrenica con qualche tappa in Calabria. 

Ma le condizioni del mare e il vento sfavorevole costrinsero lui e i suoi compagni di viaggio a trattenersi a Villa San Giovanni per alcuni giorni. 

Qui furono inoltre sorpresi, nella notte fra il 12 e il 13 ottobre, da un nuovo terribile terremoto che sconvolse gran parte della regione. 

Passato il peggio, siccome il tempo non accennava a migliorare, Dumas e il suo amico pittore Jadin, in compagnia del fido cane Milord, decisero di risalire la regione a dorso di mulo.

Dumas sarebbe così arrivato il 20 ottobre a Cosenza, dopo essere passato per località come Cinquefrondi, Scilla, Bagnara, Palmi, Monteleone, Pizzo, Vena, Tiriolo, Maida, Rogliano. 

A Cosenza, nonostante la città fosse semidistrutta dal terremoto, riuscì a prenotare presso l’albergo Al riposo di Alarico rimasto miracolosamente indenne. 

Fermatosi per alcuni giorni durante i quale visitò la Città e i Borghi vicini e partecipò a processioni penitenziali e riti propiziatori indetti dai frati per invocare l’aiuto divino contro il terremoto, Dumas riprese il viaggio in mare imbarcandosi al porticciolo di San Lucido dove nel frattempo era approdato il capitano Arena con la sua speronara. 

Durante il viaggio in Calabria lo scrittore si era innamorato di storie come l’esecuzione di Gioacchino Murat nel Castello di Pizzo o le rocambolesche imprese dei briganti, fenomeno di cui cercò di individuare le cause determinanti e i mezzi per eliminarlo (del tema si occupò nell’opera Cento anni di brigantaggio nelle province meridionali d’Italia, pubblicata nel 1863).


Ad attrarre Dumas non fu solo l’aspetto pittoresco e, per molti versi selvaggio, dei luoghi, ma soprattutto la loro storia, così come i costumi e la cultura delle genti che li abitavano. 

Poi, cosa tutt’altro che secondaria, la Calabria, come il resto del Mezzogiorno, rinfocolavano il suo idealismo politico filo-repubblicano che lo vide fervente sostenitore della causa dell’unità italiana in antitesi alle monarchie reazionarie, Regno Borbonico in testa. 

Non a caso Dumas fu molto amico di Garibaldi al punto, si dice, da contribuire fattivamente, con denaro ed armi, alla sua spedizione, oggetto anche del reportage Les Garibaldiens pubblicato nel 1861. 

Senza dimenticare che, come scrisse il garibaldino Giuseppe Cesare Abba «(Dumas) è venuto in Sicilia a pigliarsi la vendetta della prigionia fatta patire dai Borboni al padre suo, generale di Francia, portato dalla tempesta sulle coste di Puglia, mentre tornava ammalato dalla spedizione d’Egitto». 

Si può dire che lo scrittore abbia avuto un sentimento di grande trasporto per il Sud Italia, come testimonia anche il lungo soggiorno a Napoli, dove nel 1861 fu nominato per 3 anni “Direttore degli scavi e dei musei” e nello stesso periodo incaricato da Garibaldi di fondare e dirigere il giornale “L’Indipendente”, stampato fino al 1876, il cui curatore della parte italiana fu Eugenio Torelli Viollier futuro fondatore del “Corriere della Sera”. 

Un legame, quello con Napoli, che ispirò altre opere come la monumentale storia de ”I Borboni di Napoli”, la raccolta di “schizzi” di vita napoletana “Il corricolo” e il romanzo storico “La Sanfelice”.


Proprio dalle pagine de “L’Indipendente” partì un’iniziativa che rinsaldò ancor più il legame di Dumas con la Calabria: il grande scrittore francese ed amico Victor Hugo andava promuovendo un’accesa campagna contro la pena di morte, da egli ritenuta “il segno caratteristico ed eterno della barbarie”, in quanto inumana oltre che del tutto inefficace come deterrente per i criminali. 

L’iniziativa fu rilanciata da Dumas sulle colonne de “L’Indipendente” riscuotendo tutta una serie di adesioni da parte di numerosi paesi del Cosentino che, come segno di supporto alla campagna, concessero a Dumas la Cittadinanza Onoraria con delibere dei Consigli e delle Giunte Municipali; a rendere omaggio allo scrittore furono Cosenza, San Marco Argentano, Cervicati, Mongrassano, Fuscaldo, Spezzano Albanese, Mottafollone, Malvito, Bonifati, Tarsia, Fagnano Castello, Paola e Bisignano, luoghi da cui lo scrittore trasse in alcuni casi spunto per farne conoscere la storia. 


AUTORE

 

Louis Godefroy Jadin (30 giugno 1805, Parigi - 1882, Parigi) l'altro viaggiatore spesso citato nel libro, è stato un pittore francese specializzato in animali e paesaggi, noto soprattutto per aver dipinto le cacce di Napoleone III e i cani dell'alta società del Secondo Impero.

In pittura e incisione, allievo di Louis Hersent, di Abel de Pujol, di Paul Huet, di Richard Parkes Bonington e di Alexandre-Gabriel Decamps, espose per la prima volta al Salon nel 1831.
Amico intimo di Alexandre Dumas, Jadin accompagnò Dumas in diversi viaggi, in particolare a Napoli, in Sicilia e in questo Viaggio in Calabria nel 1835 e a Firenze nel 1840.
Dumas presentò il pittore a Ferdinand Philippe, duca d'Orléans, per il quale Jadin decorò la sala da pranzo del palazzo delle Tuileries con scene di caccia.

Jadin vinse due medaglie di terza classe, nel 1834 e 1855, una medaglia di seconda classe nel 1840 e una medaglia di prima classe nel 1848. Fu nominato cavaliere della Légion d'honneur nel 1854 


Viaggio in Calabria

di Alexandre Dumas

Editore: Rubbettino

Collana: Scrittori di Calabria

Data di Pubblicazione: giugno 2007

Pagine: 168

Prezzo: € 5.80

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