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Toponimo del giorno: SARDEGNA

Sardegna

Sardìgna o Sardìnnia in sardo, è una regione italiana a Statuto Speciale con capoluogo Cagliari, la cui denominazione bilingue utilizzata nella comunicazione ufficiale è Regione Autonoma della Sardegna / Regione Autònoma de Sardigna.

La Sardegna è Regione dell’Italia dal 1948.

Amministrativamente divisa in 4 Province - Sassari a nord, Oristano e Nuoro al centro e Cagliari al sud - , una Città Metropolitana - Cagliari (capoluogo di regione) - e 377 Comuni; è parte dell'Italia insulare ed è per estensione la 2^ isola del Mediterraneo (dopo la Sicilia) e la 3^ regione italiana, sempre dopo la Sicilia e il Piemonte.

È situata nel Mediterraneo occidentale ed il suo territorio coincide con l'Arcipelago Sardo, costituito quasi interamente dall'isola di Sardegna e da un considerevole numero di piccole isole ed arcipelaghi circostanti. 

La sua posizione strategica e la sua ricchezza di minerali hanno favorito nell'antichità il suo popolamento e lo svilupparsi di traffici commerciali e scambi culturali tra i suoi abitanti e i popoli rivieraschi.

Ricca di montagne, boschi, pianure, territori in gran parte disabitati, corsi d'acqua, coste rocciose e lunghe spiagge sabbiose, per la varietà dei suoi ecosistemi l'isola è stata definita metaforicamente come un micro-continente.

In epoca moderna molti viaggiatori e scrittori hanno esaltato la sua bellezza, rimasta incontaminata almeno fino all'età contemporanea, nonché immersa in un paesaggio che ospita le vestigia della civiltà nuragica.


TOPONIMO

Abitata non prima, pare del III millennio o dell’inizio del II a.C. (avanti Cristo).

Ben conosciuta nell'antichità sia dai Fenici che dai Greci, fu da questi ultimi chiamata Ichnussa - in greco Ιχνούσσα oppure η Σαρδω - (Erodoto, Polibio), tratto da ΣαρδοιSardi”; o ancora Sandàlion (in greco Σανδάλιον) per la somiglianza della conformazione costiera all'impronta di un piede (sandalo).

In latino è Sardinia (Cicerone, Livio; «Sardiniam ipsam» in Plinio Naturalis Historia III), adattamento fonetico del greco Σαρδοvìα (γη), dell’aggettivo Σανδòνιoς “della Sardegna”, a sua volta derivante dal nome dei Sardì, riferito alla popolazione dell’isola costituita da autoctoni con l’apporto di Libi e Fenici.

Il nome Sardì è assegnato al sostrato preindoeuropeo e si confronta con i toponimi come  l’iberico [della penisola ispano-portoghese] Sardasa o η Σαρδησσòς, nella Misia [l'origine del nome è piuttosto incerta; secondo alcune concezioni potrebbe derivare dal nome dell'antica regione dell'Anatolia, oggi Turchia, dove sorgeva, fra le altre città, Troia, cantata da Omero nell'Iliade] ed altri.

Sempre i Greci la chiamarono anche Argyróphleps Nèsos (ἀργυρόφλεψ νῆσος) ossia l'isola dalle vene d'argento, per via della ricchezza argentifera del suo sottosuolo.

Per Erodoto la Sardegna era l'isola più grande di tutto il Mar Mediterraneo e tale rimase nella conoscenza degli antichi navigatori per lungo tempo, in quanto la lunghezza delle coste sarde (1.232 km escluse le isole) è effettivamente maggiore di quelle siciliane o cretesi.


Secondo recenti studi linguistici, l'appellativo latino Sardinia deriverebbe da un'altra denominazione greca conosciuta come Sardò (in greco Σαρδώ con l'accento sulla ω - òmega - ossia la o, come i nomi sardi Buddusò e Gonnosnò), nome di una leggendaria donna anatolica della quale si ha notizia nel Timeo di Platone e le cui origini venivano da Sàrdeis (in greco Σάρδεις), capitale della Lidia, regione in cui Erodoto rintraccia l'origine etnica delle genti etrusche e di quelle sarde.


Sallustio nel I secolo d.C. sosteneva che: «Sardus, generato da Ercole, insieme ad una grande moltitudine di uomini partito dalla Libia occupò la Sardegna e dal suo nome denominò l'isola», e Pausania nel II secolo d.C. confermava quanto detto da Sallustio aggiungendo che: «Sardo venne dalla Libia con un gruppo di coloni ed occupò l'Isola il cui antico nome, Ichnusa, mutò in Sardò (...)».

In una stele in pietra risalente ai secoli VIII / IX (800/900) a.C. (avanti Cristo) ritrovata nell'odierna Pula, centro comunale comprendente l'antica città di Nora, appare scritto in fenicio la parola b-šrdn che significa "in Sardegna", a testimonianza che tale toponimo era già presente sull'Isola all'arrivo dei mercanti fenici.


Un’ipotesi d’interpretazione del nome si deve a Hubschmid (1953) che richiama l’appellattivo sarda “ramaglia bassa del monte” in Aragona, per cui nella designazione dell’isola potrebbe esserci in origine un concetto come “bosco di monte”.


DIVISIONE AMMINISTRATIVA


Province 5

Comuni 377

Comuni Montani 215

Sud Sardegna SU - Carbonia Capoluogo di Provincia - 107 comuni (lista)

Cagliari CA - Città Metropolitana - Capoluogo di Provincia e Regione - 17 comuni (lista)
Nuoro NU - 74 comuni (lista)
Oristano OR - 87 comuni (lista)
Sassari SS - 92 comuni (lista)



STORIA


La Sardegna è stata sin dagli albori della civiltà un attracco frequentato da quanti navigavano da una sponda all'altra del mar Mediterraneo in cerca di terre e sbocchi commerciali. 

Fu così che nella sua storia millenaria ha saputo trarre vantaggio sia dalla propria insularità sia dalla propria posizione strategica, in quanto luogo imprescindibile nella rete degli antichi percorsi.


Nel suo patrimonio storico e culturale sono abbondanti le testimonianze delle culture indigene ma anche gli influssi e le presenze delle maggiori potenze coloniali antiche.

Con riferimento alle esperienze storiche che hanno coinvolto l'isola, lo storico americano John Day ebbe a definire la Sardegna come "una delle più vecchie dipendenze coloniali del mondo".


Si evidenziano 3 periodi - fra i tanti della storia della Sardegna - che maggiormente hanno segnato l'Isola:


- periodo Nuragico

- periodo Giudicale [i Giudicati Sardi furono entità statuali indipendenti che ebbero potere in Sardegna fra i secoli IX (1000) ed il XV (1400).

La loro organizzazione amministrativa si differenziava dalla forma feudale vigente nell'Europa medievale in quanto più prossima alle esperienze tipiche dei territori dell'Impero bizantino, con istituti giuridici Romano-Bizantini.

Furono Stati sovrani dotati di "Summa Potestas" (capacità di stipulare trattati internazionali) e governati da Re chiamati Giudici, in sardo judikes. Nel contesto internazionale del Medioevo si contraddistinguevano per la modernità della loro organizzazione rispetto ai coevi Regni Europei di tradizione Barbarico-Feudale, trattandosi di stati non patrimoniali (non di proprietà del sovrano) ma superindividuali, cioè del popolo che esprimeva la sovranità con forme partecipative come le "Coronas de curatorias", le quali a loro volta eleggevano i propri rappresentanti alla massima assise parlamentare, chiamata "Corona de Logu".

I Giudicati conobbero l'influsso dell'Architettura Romanica e successivamente di quella Gotica Catalana, e culturalmente mutarono in modo sostanziale - nel corso dei secoli - oscillando tra un sistema di tipo feudale ed un sistema giuridico che contemplava il progressivo affrancamento delle popolazioni rurali.

Il Re o Giudice governava sulla base di un patto col popolo, il cosiddetto "Bannus-Consensus", venuto meno il quale il sovrano poteva essere detronizzato ed anche legittimamente ucciso dal popolo medesimo (secondo il "diritto alla rivolta" di origine bizantina), senza che questo incidesse sulla trasmissione ereditaria del titolo all'interno della dinastia regnante]

- periodo Regno di Sardegna


(clicca qui per approfondire)


Nome degli abitanti è Sardo -a plurale Sardi -e (italiano) - Sardu -a plurale Sardos -as (sardo) - 

Saldu -a (catalano) -  Sordu -a (ligure)


Prodotti Tipici

«Chi percorre l'Isola anche rapidamente ne riporta impressioni e ricordi incancellabili di una vita che, nei suoi vari aspetti è tutta caratteristica, perché i Sardi, fieri delle loro tradizioni, le mantennero inalterate per lungo volger di secoli ed anche oggi, pur accogliendo gli impulsi nuovi che loro giungono dalla Penisola, tengon fede alle usanze dei padri, e non è questo il minore dei loro meriti»

(«Guida d’Italia» del T.C.I. Touring Club Italiano - Sardegna e Corsica, 1929, pagina 74) Questo culto geloso della tradizione si rispecchia pure nelle usanze gastronomiche, e se oggi le popolazioni dell'Isola attingono largamente per la loro mensa anche la cucina delle altre regioni, le tipiche vivande locali sono tuttavia in onore accanto alle specialità forestiere. Il Sardo è sobrio per natura; lo era tanto maggiormente quando le condizioni della vita civile dell'Isola erano assai più modeste d'oggi e molti generi alimentari arrivavano d'oltre mare con difficoltà ed a caro prezzo. Quindi la cucina sarda risente di questo duplice aspetto del carattere della popolazione e delle conseguenze l'isolamento che la obbligava ad uno stretto semplicismo; ma anche perciò la gastronomia della Sardegna ha qualità tutte sue che si distaccano nettamente da quelle di qualsiasi altra regione.» [da «Guida Gastronomica d’Italia» del T.C.I. Touring Club Italiano Ia edizione 1931]


Città dell'Olio 30

Città del Vino 26

Comuni della Castagna 1

Città della Ceramica Artistica 2

Città delle Ciliegie 2

Città del Miele 3

Città del Pane 3

Città dei Muri Dipinti 10

Parchi Letterari 1 - Grazia Deledda - Galitelli (NU)


PANE Il Sardo, anche il più povero, tiene assai alla bontà del pane. Ancora oggi, in cui un po' dovunque sono sparsi in Sardegna i grandi molini per la macinazione industriale del grano, in molti paesi dell'interno si fa il pane in casa, incominciando dalla mondatura del grano (della qualità dura locale) che poi viene macinato. Molte case del contado hanno nella cucina una piccola macina di pietra che un asinello (molenti) bendato gira da mattina a sera: la farina e setacciata dalle donne di casa che ne separano le diverse qualità e preparano - generalmente di notte - il pane. Questo è bianchissimo, di pasta dura e poco lievitata; assai saporito quando è fresco, si conserva tuttavia bene per molti giorni, anche 15, quanti ne passano tra un rifornimento e l'altro su cui può contare il pastore che vive lontano dalla propria casa, con il suo gregge. La confezione del pane, nelle famiglie campagnole, assume il carattere di un rito religioso, e la padrona di casa vi attende, anche se ha agiata, insieme con i domestici. Il pane che si fa in Sardegna varia di forma e muta di paese in paese: un erudito illustratore di costumi sardi, il Wagner, dice infatti che questa materia meriterebbe da sola una monografia. Tunda o tundus è il pane ordinario di farina, di forma rotonda; lottura è, nella Planargia, un pane a ciambella, e della stessa specie sono la còzzula del Logudoro ed il coccòi del Campidano; pizzos è un pane bianco a forma allungata pure in uso nella Planargia. Il pane di fior di farina si chiama pan ‘e scetti, cui seguono il pan ‘e simbula, cioè di semola e quello più ordinario, o civrargiu, detto civrarxiu nel Campidano, chibarzu nel Logudoro, chiariu nel Nuorese. Lo zikki è un pane schiacciato, rotondo, senza mollica e croccante, chiamato nel Logudoro pane iscaddadu o pane de iscaddu, nel Sassarese Ispianada o Ispianadda. Le cocoas sono un pane ricordo per i morti che nel Meilògu si donano a parenti ed amici. In città si vende il pane fatto all'uso continentale (fini o franzesu) oltre a quello sardo; una specie di focaccia, moddizzosu, è pure fatta con farina di grano ed è assai leggera e soffice. Varie fogge caratteristiche di pane si fanno in occasione di feste religiose, per ricorrenze in famigliari o per dono ed omaggio agli ospiti, a galletti, cabonischeddus e coccoeddus, a barchette, ad ometti, eccetera. Con la farina d'orzo (s’orzatu), si preparano delle schiacciate lievitate, rotonde e piatte, che si cuociono al forno in grandi quantità, chiamate fresa, o fresa isperrada, o pillonca, e che si conservano in pile di 20 pezzi sovrapposti, entro un panno grossolano detto appunto tiaz’ ‘e pani (tovaglia per il pane). Appartiene a queste schiacciate la ben nota a carta da musica, fatta di farina di frumento o d'orzo; essa è un pane azzimo, croccante e leggero, a dischi sottili arrotolati come la carta da musica e con macchiette prodottesi nella cottura, che si conserva a lungo inalterato e serve specialmente da inzuppare nel brodo, nel latte, nel caffè; è anche pane del pastore e del marinaio, più gustoso delle comuni gallette.

PASTE e MINESTRE Tipica minestra Sarda è la fregola o succu o succu tundu, consistente in palline minutissime di pasta ottenuta con farina di semola piuttosto grossa, colorata con zafferano e cotta in brodo. Un vecchio proverbio suonava: «Kojaimì ca sciu fai frégula», e cioè: «Datemi marito chè so fare la semola», prima dote della Massaia. Altra minestra è su farri, farina grossa che si fa cuocere nel latte o nel brodo, con o senza aggiunta di kas’ axudu, latte acido coagulato, o di formaggio fresco. Assai usati sono i minestrone di fagioli, ceci, ovvero di fave secche a seconda della stagione, mischiati con pasta, cavoli, patate e finocchi, con cotenna, zampetto ed orecchio di maiale: piatti forti ed appetitosi propri dei luoghi montagnosi e delle stagioni fredde. In Sardegna si fa grande uso di minestre asciutte. I maccheroni si condiscono in vari modi: con sugo di carne di maiale e d’agnello, unitamente a pezzetti della stessa carne, con olio ed aglio, con pomodori freschi tagliati a pezzi, con fresa o con ricotta stemperata in acqua e sale, e, nel periodo della caccia, con sugo di lepre, cinghiale, pernici, colombacci.

In alcuni paesi si confezionano in casa i maccheroni a ferrittus, o de busa, simili a quelli di Calabria, consistenti in sottili tagliatelle che, attortigliate attorno ad un ferro di calza da calza, prende una forma di spirale. Essi si condiscono con le solite salse oppure con ricotta. Una specialità sono i malloreddus, detti nel Logudoro macarones caidos, piccoli gnocchi a forma incavata, fatti con pasta di semola, spesso colorata con zafferano (lo zafferano sardo è tra le qualità più fini ed è profumatissimo), che si cuociono in acqua e si condiscono con salsa di pomodoro, o sugo di carne e pecorino piccante. Simili ad essi sono i ciciones, gnocchi che si usano nel Sassarese. Come affine alle minestre asciutte si può qui considerare la polenta, che in Sardegna non si usa per surrogato del pane ma esclusivamente come pietanza. La si confeziona unendo all'acqua e farina di granturco un soffritto di lardo, aglio, cipolla, prezzemolo, basilico e pomodoro, mescolandovi poi, durante la cottura, del lardo, dei pezzetti di salsiccia, del formaggio grattugiato e a pezzetti; la si mangia calda col cucchiaio, o fredda a fette. Un altro modo consiste nel preparare la polenta con acqua e sale e quindi di tagliarla a fette e cuocerla all'olio nel tegame alternata a strati di salsa di carne di maiale o di manzo e della stessa carne a pezzetti, formaggio sardo grattugiato e burro. Una pietanza caratteristica è la favata, classico piatto della montagna, nel Gocéano e nella Barbagia, preparata con poche fave e molto lardo a grossi pezzi, uniti a salsicce di montagna, ossa di maiale sotto sale, finocchi selvatici ed altre erbe aromatiche: essa si fa per il giovedì grasso e prende il posto della minestra.

PIATTI DI CARNE Come tutti i popoli i quali posseggono un largo patrimonio di bovini, ovini e suini, i Sardi sono forti mangiatori di carne, cucinata in forme semplici, si direbbe quasi rudimentali, che però danno origine a pietanze veramente appetitose ed universalmente apprezzate. L'espressione più caratteristica di questa semplicità di confezione è l'arrosto, in cui ogni buon figlio di Amsicora è maestro [Ampsicora o Amsicora (in latino: Hampsicora; III secolo a.C. - Cornus, 215 a.C.) è stato un militare e latifondista sardo-punico, guida della rivolta antiromana del 215 a.C.]. Il porchetto di latte (porcetto), l'agnellino, il capretto, ripuliti delle interiora, vengono infilati per il lungo dallo spiedo (su schidoni o s'ispìdu) e girati (a furria - furria) al calore di molta brace prodotta con legna aromatica di forte essenza, come il ginepro, il lentischio, l'olivo, eccetera, fino a completa cottura: quindi si fanno rosolare lasciandovi cadere delle gocce di lardo bruciato che conferiscono alla carne un sapore molto gradevole. Tolto l'animale dallo spiedo, la sua superficie assunto un bel colore bronzato; lo si reca in tavola sul capace tagliere di legno (talléri) per essere tagliato e servito. È il piatto rituale nei pranzi delle cerimonie e delle ricorrenze nelle famiglie sarde. Il porchetto e il capretto, come l'agnello, si fanno anche al forno, conditi con sale e pepe, prezzemolo, basilico, foglie di mirto, risultandone una vivanda aromatica ed appetitosa e si serve nei pranzi delle festività o si offre all'ospite forestiero come prelibata specialità locale. Altra specialità è il porchetto cotto intero sulla graticola o al forno e mangiato caldo, o freddo, dopo essere stato tenuto per qualche tempo coperto da rami di mirto che gli dànno un gradevole aroma. Il porchetto non deve superare i 4 kg ed essendo le sue carni assai tenere, si mangia tutto, compresa la cotenna, le orecchie, le zampe e la coda. Mentre i piedi d'agnello e di capretto si fanno impanati e fritti all'olio, ovvero all'agro, si cuociono sulla graticola o allo spiedo le loro teste, dopo essere state spaccate a metà nel senso della lunghezza, lardellate o unte d'olio nelle cavità. La còrdula, o corda, è una treccia di intestini l'agnello o di capretto e si fa arrostita sulla graticola o allo spiedo, ovvero in umido con salsa di pomodoro e con piselli. Altra usanza caratteristica qualche luogo è quella della cottura a carrargiu, consistente nel preparare nel terreno una fossa della grandezza dell'animale (vitello, pecora, capretto, cinghiale) che poi si fa infuocare con frasche secche: ripulita la fossa dalle ceneri, vi si seppellisce l'animale avvolto d'erbe aromatiche e al di sopra si accende un vivo fuoco; talvolta nel ventre di esso se ne pone un altro più piccolo che contribuisce a rendere l'arrosto perfetto. Oltre che in arrosto, le carni si fanno lessate nella pingiàta o patedda, marmitta che accoglie nel suo ventre capace il manzo, il pollastro, il piccione, con piccoli pomodori, basilico, sedano, prezzemolo, cipolla, da cui si ottiene anche un brodo squisito. Lo stufato, ghisàu o stuffàu, viene pure cotto lentamente a vapore, con carne lardellata ed accompagnata da patate novelle. Gli agnelli, i capretti, ed in genere le carni tenere si cucinano anche al tegame, con olio, uovo e limone (salsa bianca); con il sugo che se ne ottiene si condisce il pilafi o pilau, il risotto di origine orientale (pilaf) che si condisce pure con sugo d’aragosta. Altro piatto di derivazione esotica è la casca, simile al cùscusu che si fa a Trapani, ambedue filiazioni del cuscus arabo. Piatto tipico, specialmente nel Nuorese e nell'Ogliastra, sono le impanadas, piccoli timballi di pasta, a forma di pentolini che si riempiono con carne tenera, di maiale, di vitello o d’agnello e spalmati d'uovo si cuociono al forno. Si servono preferibilmente freddi. Nel Logudoro sono una specialità i puddighinos a pienu, pollastrelli ripieni di regaglie, latte, uova, pangrattato estate pomodoro, cotti al forno.


CACCIAGIONE La Sardegna è terra di cacciatori ed è l'Eldorado dei cacciatori, sebbene oggi le grandi opere agricole abbia notevolmente ridotte le zone venatorie e la selvaggina sia stata rarefatta da una sistematica distruzione. Tuttavia il patrimonio cinegetico [aggettivo dal latino tardo cynegetĭcus, greco κυνηγετικός «che riguarda la caccia», da κυνηγέω, κυνηγετέω «andare a caccia», composto di κύων κυνός «cane» e ἄγω «spingere» - Che si riferisce alla caccia (e propriamente alla caccia coi cani)] va nuovamente aumentando grazie alle restrizioni nella esportazione della cacciagione e a una più rigorosa vigilanza contro il bracconaggio. Il cinghiale è frequente ovunque esiste il bosco o la macchia; esso è più piccolo di quello di Maremma, poiché di rado supera i 60 chili, ma la deficienza di mole è compensata dalla bontà delle carni. Il modo rituale di cucinarlo è allo spiedo, tutto intero, il che spesso si fa l'aperto col fuoco di piante aromatiche; un altro modo è quello di cuocerlo in una buca scavata nel terreno, come è stato descritto più sopra, oltre che a lesso o in umido. Altra selvaggina grossa, ora molto in declino, sono i mufloni, o montoni selvatici che vivono in branchi nel Gennargentu, i daini, i caprioli ed i cervi. La cacciagione più minuta comprende lepri e conigli selvatici, e si fanno abitualmente in salmì o alla cacciatora; la pernice, che si prepara in un modo tipico consistente nel lessarla tagliarla in pezzi e lasciarla raffreddare in una salsa composta d'olio, aceto, sale, prezzemolo e capperi; le folaghe e le anitre selvatiche, che si fanno lessate, e quindi si avvolgono i rami di mirto; le ottarde e le prataiole, che si cucinano come le pernici; i beccaccini, le pavoncelle, le gallinelle e le quaglie, di cui v’ha tuttora abbondanza. Una preparazione caratteristica è la cosiddetta tàccula, formata da 8 tordi o merli, spennati, posti a lessare con tutte le interiora, riuniti per il becco e messi ancora fumanti in sacchetti ripieni di foglie di Mirto, ove si raffreddano assorbendone l’aroma. La tàccula, delizia del buongustai locali, che la accompagnano con il vino d'ogliastra, apparisce sul mercato al principio dell'inverno quando cioè tordi e merli son grassi e tondi e la loro carne è più appetitosa.


PESCE La fauna marina della Sardegna è assai variata e ricca, ed alimenta i grandi mercati di pesce locali, nonché una esportazione ragguardevole. Spettacolo veramente caratteristico e degno del più grande interesse il mercato del pesce a Cagliari, specie in certi giorni quando, per l'abbondanza e la varietà dei prodotti che vi affluiscono, le ceste dei pescatori non possono più essere contenute sotto la tettoia della pescheria ed invadono tutti i porticati adiacenti del mercato stesso. Tutto vi si trova: sogliole, triglie, pagelli, orate, dentici, spigole, muggini, ombrine, anguille, morene, ghiozzi, polipi e seppie, microscopici muscionis dal corpo a riflessi argentei, e crostacei di ogni specie, dalle più grosse aragoste ai minuscoli gamberetti, ai granchi, e frutti di mare, di cui il mercato offre più svariato campionario. Quando, a fine di primavera e in principio d'estate, comincia la pesca dei tonni, son enormi quantità di questo mastodontico pesce che si adagiano sui banchi di marmo della pescheria e spariscono in breve ora tra la ressa degli acquirenti. All'epoca in cui affluiscono sul mercato i giarrettus o zerri, pesci di popolare consumo, e le sardine, e centinaia di ceste di 40 o 50 kg ciascuna, o nella stagione in cui i ricci di mare sono pieni e gustosi, sono montagne di questi frutti di mare che si offrono al buon gusto dei consumatori. I pesci preferiti dai sardi non sono sempre gli stessi prediletti dai consumatori della Penisola. Per esempio, il cefalo o muggine (lissa), non è considerato in Sardegna pesce fino, ma di consumo popolare; il merluzzo trova poco equivalenti indigeni ed è stata solo la richiesta di consumatori continentali che ne ha fatto elevare il prezzo, che è però sempre ugualmente modico in confronto ai prezzi degli altri mercati. Viceversa le spareddas o sparlotti, anche se di dimensioni piccolissime, tutte teste e pinne e spine, sono oggetto della tenerezza gastronomica della classe operaia, che le mangia cotte in graticola, spruzzate, durante la cottura, d'acqua salata mediante un tralcio di prezzemolo, e non degna di uno sguardo gli altri pesci più pregiati. Anche il ghiozzo o maccioni, fritto avvolto nella semola, trova numerosi amatori. I pesci capponi e le scorpene, nere e rosse, riescono fastidiose a mangiare per il loro scheletro e loro spine, ma hanno carne saporite e fanno buon brodo. Servono specialmente per mischiarli con altri pesci, e fare le famose cassòlas. La cassòla è una specialità simile alla zuppa di pesce o al brodetto che i pescatori di Sardegna hanno fama di ammannire in modo insuperabile, degno di rivaleggiare col cacciucco livornese, e col brodetto romagnolo o marchigiano. Perché la cassòla riesca veramente gustosa, bisogna comprenda i campioni di almeno una dozzina di varietà di pesci ed alcuni cefalopodi. Al mercato si vende l'assortimento completo dei pesci occorrenti a regola d'arte, riuniti in mazzo: pesci capponi, scòrpene, anguille, salici, aragne, pappagòcciula (pesce prete), polipi, un pesce di San Pietro o di San Cristoforo, che poi vengono messi a cuocere in tempi e modi diversi a seconda del diverso grado di cottura che richiedono. Alcune specie vengono prima parte soffriggere nell'olio, con cipolla e pomodoro; a un certo punto si aggiunge al soffitto una certa quantità d'acqua in cui vengono immesse a bollire le altre qualità di pesce.

Prescrive la ricetta sarda per la confezione della cassòla: «Lissa e murmungioni e attrus similis piscis, comenti sàrigu, tarùda feriada, marruda e po finzas sarpa, chi sunti piscis chi bolint mancu cottùra e bastàda una sola buddidura in sa cassòla» (Cioè: «cefali e mormore, e altri tipi di pesci, come sargo, tanuta, soaro, e persino la salpa, che richiedono poca cottura, anzi basta a cuocerli il primo bollore del brodo»). Aggiunge ancora di mettergli il pepe, o meglio il peperone rosso piccante, e poco sale: «su pìbiri e, mellus, su piberoni forti, arrubiu, segau arrogheddus salino tanti»; la regola consiglia pure di farvi cuocere anche dei granchi. a questa zuppa, che con un assortimento di pesci così ricco riesce saporitissima, si aggiungono delle gallette. I mari della Sardegna abbondano di aragoste che si pescano col mezzo di nasse di giunco alte un metro e mezzo, innescate con pesce salato e attaccate a galleggianti di sughero disposti al largo. Le aragoste catturate vengono messe prima in grandi gabbioni detti maruffi, e poi ceduti per l'esportazione alle navi-vivaio, o inviate ai mercati cittadini dell’Isola ove compaiono vive entro ceste enormi, oppure, nei periodi di grande abbondanza, già cotte per impedire che vadano a male. Il prelibato crostaceo si appresta lessato e condito con olio e pepe, o olio e aceto, o con salsa maionese, o se ne prepara una zuppa in modo analogo alla zuppa di pesce, o si fa fritto, tagliato a fette impanate. Abbondantissima è pure la pesca dei granchi che sul principio dell'autunno si vendono l'estate in acqua di mare e conservati caldi fumanti. Con i palombi e pesci consimili (gatti di mare, mùssolas, razze, eccetera) si fa la burrìda, consistente in una salsa d'olio, pignoli, noci, noce moscata, aglio, pangrattato ed aceto forte nella quale i pesci tagliati a pezzi si fanno cuocere al tegame: la burrìda va consumata fredda ed è assai gustosa. La pesca del tonno (in sardo tonnina o tunnina) e abbondantissimo nelle grandi tonnare delle coste di Sardegna;, sui mercati isolani non ne giunge però che un minimo numero, poiché la massima parte è destinata all'esportazione, in barili ed in scatole. Il tonno fresco, dalle carni rosse, vien cucinato sulla graticola ovvero lessato, da mangiarsi freddo con contorno di fagiolini e zucchine, o di cipolle trinciate sottili, oppure in umido con contorno di piselli freschi. La ventresca (surra) si prepara in graticola con olio e cipolla. Nella stessa epoca di pesca del tonno si pesca il pesce spada, che di quello a carni in meno grasse e più fini, le quali alla cottura diventano bianche; esso si cucina come il tonno. Altre vivande di pesce sono: la buttàriga, o bottarga, composta di uova di tonno o di muggine macerate nell'acqua salata e quindi compresse ed essiccate, ottima come antipasto, tagliata a fettine sottili e condita con olio, o olio e aceto; le uova di tonno sott'olio; la merca, muggine lessata con acqua di mare e conservata in alghe marine; il mugheddu, muggine affumicato; i bianchetti (in sardo: su gianchettu), acciughe neonate, delle quali si fa una gustosa e delicata frittura, come in Liguria nel Veneto. In parecchi corsi d'acqua della Sardegna si pescano le trote, in altri capitoni e anguille; grandemente pescosi sono pure gli stagni litoranei.


SALUMI I prodotti più tipici della salumeria sarda - arte domestica anziché espressione industriale - sono la salsiccia ed il prosciutto. La salsiccia (sartizzu) casalinga è confezionata esclusivamente con carne di maiale, non finemente tritata, ma tagliata a pezzettini, drogata con pepe, cannella e semi di finocchio, irrorata d’aceto e, dopo insaccata, messa a disseccare nelle cucine, appesa a lunghe pertiche: in qualche località vi si aggiunge anche dell’aglio. La salsiccia si mangia secca, dal novembre all’aprile, cruda, ovvero fatta allo spiedo. Il prosciutto salato e ben stagionato, deve le sue qualità speciali di sapore e d’aroma alla carne del maiale sardo, che ha proprietà alquanto diverse da quelle del suo congenere della Penisola. Grandemente apprezzato è anche il prosciutto di cinghiale, dalla carne soda, compatta e profumata, con poco grasso. Vengono pure preparati salami, coppe e soppressate, anche questi generalmente come manifattura casalinga.


FORMAGGI E ALTRI LATTICINI Circa 3 milioni di pecore, guidate da oltre 50.000 pastori, vagano per i pascoli della Sardegna alimentandosi quasi tutte le specie della flora spontanea, molte delle quali totalmente inutilizzabili dagli altri animali domestici. Questa ricchezza rappresenta quasi la quarta parte del bestiame ovino italiano; la pecora sarda dà inoltre un gran rendimento lattifero, che assicura una produzione annua d’oltre 200.000 quintali di formaggi. La pastorizia costituisce quindi un fattore di primaria importanza per l'economia locale. Il formaggio pecorino tipicamente sardo il cosiddetto formaggio fiore. Le forme hanno l'aspetto di 2 tronchi di cono saldati alle basi; il loro peso è in media di 2 kg e mezzo, ma se ne fanno anche di meno di una libbra e di più di 5 kg. Il formaggio fiore ha la pasta cruda, compatta o con lievissime occhiature, bianca, di sapore piccante, gradevole; se giovane, si consuma come companatico, se stagionato oltre 2 o 3 mesi, come condimento. Viene prodotto abitualmente dai pastori, ed in qualche caseificio. Ma la grande lavorazione che si fa oggi in Sardegna e quella del formaggio pecorino «tipo romano» che si compie in grandi caseifici industriali ed attrezzatura moderna. Alla produzione corrisponde una perfetta organizzazione commerciale, per la quale il pecorino si esporta all'estero (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Australia, eccetera) nel cosiddetto «tipo esportazione», mentre il «tipo Italia» si smercia sui mercati del Continente (Campania, Lazio, Toscana, Umbria, eccetera). Come sottoprodotti di questa fabbricazione si ottengono la ricotta, che si consuma a Roma ed a Napoli, i ricottoni che vengono in parte consumati in Italia e in parte esportati negli Stati Uniti, ed infine la ricotta forte, che viene quasi totalmente consumata in Puglia. Con il latte di vacca si produce un altro formaggio tipico, la fresa: è in forme del peso da un chilo e mezzo ha 3 kg e nella morbidezza e pastosità rassomiglia al quartirolo lombardo, mentre differisce notevolmente in modo di fabbricazione seguito dai pastori sardi. La fresa più reputata e quella prodotta nel versante occidentale del Màrghine, e la migliore è la fresa de atunza, o d'autunno, che si mangia fresca, cruda o cotta. In alcune regioni della Sardegna la fresa si fa con solo latte caprino, o con latte caprino e vaccino mescolati in varie proporzioni. Altro formaggio vaccino più comune è il cas ‘i acca, cioè formaggio di vacca, da consumarsi tanto fresco quanto stagionato. Un prodotto ultramaturo - che pure a una clientela di amatori - è il cosiddetto casu becciu o casu marzu, ossia cacio vecchio o cacio marcio, spesso pullulante di forme viventi, sempre forte e vigorosamente odorante; esso si chiama anche casu «gompagadu», da «gompare», saltare (probabile corruzione dell'inglese to jump, che significa saltare; gli inglesi chiamano infatti jumpers i vivaci vermetti del formaggio). Versando dell'olio attraverso un buco a fondo cieco praticato in una forma di cacio, e rimesso a posto il tassello che ne era stato asportato, si ottiene una varietà di «formaggio marcio» pastosa come il burro, che si assicura prelibata. In varie località si fanno dei piccoli caciocavalli chiamati «pere d'autunno» o pireddas o pirittas, o casizzolus, o taeddas, in molte altre si produce del burro squisitissimo; finalmente e di largo uso in Sardegna il gioddu, latte di vacca, di pecora o di capra, coagulato con speciali fermenti, simile allo youghourt, ma di esso più gustoso, che ha anche stessa applicazione terapeutica nelle malattie intestinali. In campagna, durante la primavera, le masserie confezionano con la pasta di formaggi teneri i gioghittos de casu (giocattoli di cacio)i, statuette, cavallini, caprette, forme di frutta, eccetera.


LE ORTAGLIE E LE FRUTTA La produzione delle verdure e dei legumi è variamente distribuita nell'Isola, dove è limitata ai semplici bisogni locali, dove fatta in maggiori proporzioni, che consentono non solo di rifornire i mercati cittadini, ma anche di alimentare, per alcune specie, una buona esportazione nella Penisola. Dei carciofi, come delle fave, i Sardi fanno grande consumo; sono quindi estesamente coltivati, come pure i pomodori, i cavolfiori, le zucchette, i fagioli, le melanzane, i cardi, i piselli. Come tipica produzione sarda è da segnalare la tuvara dis arenas, sorta di tartufo che vegeta sotto le sabbie marine, specialmente sul litorale di Oristano, e che non appartiene alla famiglia dei veri tartufi bianchi e neri della Penisola ma al genere «Terfezia» (Terfezia Leonis). Ha la forma globulare, il volume variante da una noce ad una patata, la pelle ruvida e mascherata da uno straterello di sabbia che vi aderisce fortemente; la carne e di color bianco-rossiccio, screziato, molle, di tenue colore quasi vinoso, di sapore neutro ma non sgradevole. Questa tuberacea ha ben poco di comune con i tartufi genuini, tuttavia è oggetto di largo consumo. Tra le frutta primeggiano i fichi, le pere, le mele, le ciliegie, le prugne, melograni. In qualche zona si producono meloni e cocomeri, in parecchie crescono abbondanti i fichi d'India, in altre si raccolgono castagne e noci, mandorle e nocciole. Alcuni agrumeti l'hanno qualità apprezzate d'aranci e di mandarini, ma non in quantità tale da esimere la Sardegna ad essere tributaria, almeno in parte, della Sicilia. È invece importante la produzione delle uve da tavola, tra le quali il Moscatellone o zibibbo, e l’Appesorgia che viene considerata la regina delle uve da mensa sarde; essa ha dei grappoli allungati, a forma conica, con grossi acini ellissoidi, a buccia consistente e polpa semicroccante; ve ne ha una varietà bianca, il bel colorito giallo-oro lucente, ed una nera, di color rosso-bluasto; ambedue si conservano facilmente sulla pianta fino a Natale e dopo recise durano ancora per mesi, potendo altresì resistere bene a lunghi trasporti. Altre uve da tavola ricercate sono il Galoppo o Taloppo, la Corniola, la Rosa, oltre allo Chasselas dorato, di non lontana importazione.


DOLCI Nell'Isola si usano molte specie di dolci, fatti ora con lo zucchero, ora col miele, ora con il mosto cotto (saba o sapa) ora colle frutta, ora col formaggio. Alcune specie sono proprie di certe regioni, altre comuni a tutta l'Isola.

Pàrdulas - «Formaggelle» di pasta dolce, in forma rotonda, a vasetto, o tenersi del formaggio tenero fresco. Zuccherate, son cotte al forno, o talvolta fritte esternamente spalmate di miele. Si mangiano appena sfornate come pietanza, o fredde come dolce, sempre in zuccherate. Sono un dolce di Pasqua e nella parte settentrionale dell'Isola si chiamano casadinas Pirichìttus - Dolci di fior di farina, zucchero, ed uova, talvolta profumate con limone o arancio, in forma gli globetti; sono leggerissimi, lievemente croccanti e si usano anche con il caffellatte ed il thè Candelàus - Dolci a base di mandorle pestate, zucchero, acqua di fior d'arancio, impastati e ridotti in fogge diverse, secondo la fantasia dell'artefice Gesmìnus - Pasticcini sferici, grossi come una nocciola, fatti di zucchero, uova, succo di limone e mandorle pestate, montati su carta Suspìrus - Pasticcini composti di mandorle tritate e bianco d'uovo montato, con zucchero, che si friggono in olio Pabassìnas - Da pabassa, uva secca: coni di una decina di centimetri, fatti di farina impastata con la sapa insieme a pignoli, pezzetti di noci, di mandorle abbrustolite, uva passa, miele e cannella, rivestite in una cappa di zucchero cosparsa di confettini multicolori (diavolìnos o traggèra). Si usano nella ricorrenza dei Santi, come pure a Natale e a Pasqua Mustazzòlus - Paste in forma di rombo allungato, di farina di frumento, lievito, mandorle pestate e zucchero Amarèttus - Amaretti Biscotti - I biscotti i sardi sono rinomati per la loro bontà e leggerezza e sono fatti di uova farina e zucchero Pistocchèddus - Biscotti di fior di farina e uova rivestiti di zucchero vanigliato Neulèddi - Pasta biscottata e polverizzata, mescolata a miele e ridotta in panetti assai duri. Specialità della Gallura Caschèttas - Dolci di varie forme, fatti con mandorle triturate e cotte con lo zucchero, rivestiti di una cappa di zucchero Mandorlato - «in camicia» o pasta «in corza» - Dolci di mandorle, con zucchero impalpabile e acqua di fior d'arancio Ziddìnis - Sorta di pan forte di mandorle abbrustolite, miele,, semola e cannella Turrònis - Torrone di mandorle e miele Trìcas o Tiriccas o Tiliccas - Focaccette rotonde, ad anello, di pasta al burro, ripiene di sapa Cocciulèddi - Pasta dolce ripiena di farina e miele, di cui ti fanno pasticcini curvati in cerchietti spira. Specialità della Gallura Canestrelli - Fatti con farina lievitata, uova, semi d'anice e rivestiti di cappa di zucchero Zìppulas - Frittelle dorate fatte con farina, anice e lievito, che si servono col miele. Dolce di carnevale Angùlis - Ciambelle di pasta dolce, con una o più uova sode, colorate; si usano specialmente per le feste di Pasqua Guèffus - Dolce di farina zucchero, uova, mandorle Aranciata - Sorte di torrone fatto con buccie d'arancio, mandorle e miele Pompìe - Canditi di corteccia d'arancio amaro, con o senza rivestimento di zucchero Pan ‘e saba - Ciambellone di farina di frumento lievitata, con cannella e scorza d'arancia abbrustolita e poi ridotta in polvere, il tutto impastato con la sapa Trìgu puddìnu - Dolce fatto di grano bollito nella sapa Seàda - Focaccia tonda di formaggio fresco di vacca con pasta di burro, spesso con farina ed uova Furrutulus - Dolci di farina finissima e zucchero, che si fanno per i bambini Timballa ‘e latte o tumbàda - Budino fatto di latte e uova, con succo di limone ed amaretti pestati. È dolce dei pranzi di cerimonia Sanguinacci - Confezionati con sangue di maiale coagulato ed insaccato con zucchero, uva passa, pignoli, quindi lessati. Prima d’esser portati in tavola vengono riscaldati sulla graticola. Sono dolci di stagione, da ottobre ad aprile Va infine particolarmente ricordato come specialità sarda famosa sin dai tempi antichi il prelibato miele amaro, dai nettari del corbezzolo e d’altri fiori, delicatissimo di sapore e di profumo.




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