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Calabria: San Giovanni in Fiore il paese nato dal pensiero teologico dell'abbate Gioacchino


San Giovanni in Fiore (sanʲʤoˈvanniɱˈfjoːre, Sangiuvanni in calabrese [zanʲʤuˈvaːnni]) è un comune italiano della provincia di Cosenza in Calabria.

Detta la Capitale della Sila, è la diciottesima città della Calabria per numero di abitanti, nonché il più esteso centro abitato della Sila, e il più popolato fra i 282 comuni italiani posti oltre i 1.000 metri slm.

La cittadina è legata alla figura dell'Abate Gioacchino da Fiore, Monaco esegeta del 1100, che qui fondò il Monastero di San Giovanni in Fiore e la Congregazione Florense.
Il Monastero fu dotato del "tenimentum flori", formato dai territori silani che costituivano la Sila Badiale che dopo furono dati in commenda e governati dagli Abati Commendatari fino al 1530, quando, su richiesta dell'Abate Salvatore Rota, il paese venne riconosciuto Civico entrando nel Patrimonio Regio.
Nel 1844 il centro florense assurse all'onore delle cronache nazionali per le vicende legate alla cattura dei fratelli Bandiera, patrioti italiani, e di tutti i componenti che facevano parte della spedizione.

È sede amministrativa del Parco Nazionale della Sila, ubicata presso la frazione di Lorica, facente parte della Comunità Montana Silana.
Ospita inoltre il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, ente riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che collabora con talune Università italiane ed estere nella ricerca delle pubblicazioni dell'Abate Florense.


Tramite la Strada Statale N. 107 (E 846) Silana-Crotonese che da Cosenza a Crotone, percorre la Sila.
Si continua in discesa, mentre la valle si restringe e il bosco di pini rasenta la strada, che si abbassa lungo il corso del Torrente Garga.
Si tocca il pittoresco villaggetto di montagna di baracche di Vuturino; la valle, dopo una strozzatura, si allarga nella Conca di San bernardo.
Si continua a scendere fino a sboccare nel Piano di Garga: a destra, oltre l'intaglio della Valle dell'Arvo, si scorgono una serie di alture che digradano dal boscoso Monte Nero.
Si giunge quindi, al bivio Garga, dal quale si stacca a destra la Statale 108 bis, per il Lago Arvo; la Statale Silana-Crotonese prosegue nella Valle del Garga, che va facendosi meno boscosa e, dopo una piccola sell, si affaccia alla Valle del Torrente Neto, chiusa in fondo dalle alture del paese di Savelli.
Mentre appare il Mar Jonio e si torna in vista della Valle del Garga, s'incontra lo svincolo per San Giovanni in Fiore.

SAN GIOVANNI IN FIORE
Regione: Calabria
Provincia: Cosenza CS
Altitudine: 1.049 m slm
Superficie: 279,45 km²
Abitanti: 16.751
Nome abitanti: Sangiovannesi
Patrono: San Giovanni Battista (24 giugno)
Compatrono: San Francesco Saverio
Gemellaggi: Clarksburg (Stati Uniti) - Paola (Calabria) - Genk (Belgio)









 GENIUS LOCI 
(Spirito del Luogo - Identità materiale e immateriale)

San Giovanni in Fiore, il paese sorto nei secoli intorno alla celebre Abbazia fondata nel 1189 da Gioacchino, commentatore di Testi Sacri e profeta (della badia restano il chiostro e avanzi di celle), è oggi località di soggiorno montano ai margini orientali della Sila Grande.
Questa Sila, compresa nel Cosentino (la Sila Piccola appartiene invece al Catanzarese) il regno delle superstiti foreste di Pino Loricato, l'albero caratteristico degli Altipiani del Parco, che in basso uniscono a faggete e castagneti era in parte è il “Gran Bosco d'Italia”, residuo dell'immensa foresta mediterranea originaria, con cime tondeggianti e di facile accesso a pascoli ondulati, che in primavera si coprono di fiori.
Emozionanti paesaggi, nel verde, si aprono sullo Jonio e sul Tirreno.

Il Borgo e il territorio circostante è intriso di spiritualità; San Giovanni in Fiore riluce nella storia religiosa e mistica, essendo sorta intorno al ritiro e al cenobio dell'Abate Gioacchino, uomo di visioni e profezie.
Immerso nei boschi della Sila grazie ai canali d'irrigazione esistenti, realizzati dai Longobardi, che occuparono l'area per quasi 300 anni, rendendo coltivabile il territorio su cui poi si è sviluppato l'abitato che prese il nome dal titolo Monasterium de Sancti Ioannes de Flora.
Il primo insediamento civile, fu chiamato "Faradomus" (la casa della Fara), deriva dalla fondazione di un Casale, sul Cuneo (cugnale) di terra soprastante l'Abbazia, versante orientale, interposto tra il vallone fra Vicienzu e il Canale Badiale che scendeva sul crinale centrale di Monte Faradomus o Difesa, passando per l'attuale ufficio postale. 
Il centro abitato si è sviluppato sulla “groppa” di monte Difesa, lungo un crinale, con un'esposizione a sud-est. 
L'orografia del territorio, ripida ma non eccessivamente, ha fatto sì che l'abitato si sviluppasse per gradoni, partendo dal nucleo antico dell'Abbazia Florense fino ad arrivare al quartiere del Bacile
Il territorio è caratterizzato da monti e valli e il suo valore naturalistico è confermato dalla presenza di grandi foreste e boschi, e dalla presenza di laghi e di numerosi corsi d'acqua. 


ORIGINE del NOME
(Toponomastica)

La località è già menzionata nel 1200: confronta anno 1211 «μovἦ τoù χιoùρε», anno 1223 «τoυ αγìoυ ιωαvvoυ τoυ χoυρε»; è ricordato anche il monastero: anno 1326 «Abbas monasterii Floris».
Quanto a "Fiore", il toponimo deriva dal latino "flos" floris (fiore), e può essere una designazione di tipo descrittivo o, per esempio, dipendere da un nome di persona.

Da uno studio condotto dall'architetto Pasquale Lopetrone, si evince che l'origine del toponimo di San Giovanni in Fiore si è evoluto attraverso 3 distinte fasi, ognuna rappresentativa di 3 distinti momenti storici dell'insediamento umano su questi territori.
Le 3 fasi sono indicate coi nomi dei toponimi: Fara, Fiore e San Giovanni in Fiore.
Il primo toponimo, Fara, che coincide con la prima fase, deriva dall'insediamento militare sorto sul luogo dove ora sorge l'Abbazia Florense, che fu chiamato "Faradomus" (la casa della Fara).
Il termine Fara deriva dal longobardo e indica il contingente militare migrante, con cui i longobardi riuscirono ad insediarsi anche in Italia.
Dalla "Fara" Silana, che è la più a sud d'Europa, i longobardi attaccarono Crotone distruggendolo sul finire del 500, nonché difendevano i loro insediamenti in Val di Crati.
Gli scavi archeologici condotto di recente sulle fondamenta dell'Abbazia Florense, hanno portato alla luce i resti monumentali di un edificio preesistente al complesso Abbaziale che potrebbe essere connesso all'insediamento longobardo dell'area.
La tesi dell'insediamento longobardo avanzata da Lopetrone, spiegherebbe la facilità con cui i Florensi si insediarono in pochi mesi sui territori di "Faradomus", dove poi sorse l'Abbazia, mettendoli a coltura dopo la concessione elargita da Enrico VI, nell'ottobre del 1194. 

Ciò fu possibile solo grazie ai canali d'irrigazione esistenti, realizzati in origine dai Longobardi, che occuparono l'area per quasi 300 anni, rendendo per forza coltivabile il territorio su cui poi si è sviluppato l'abitato di San Giovanni in Fiore e non solo questo.


Il secondo toponimo "Fiore", che coincide con la seconda fase, è legata alla stabilizzazione su questi luoghi dell'Abate Gioacchino che, già nel 1189, denominò il territorio Fiore, volendo generare un parallelismo con Nazareth il Fiore della Galilea (a Nazareth avvenne l'annuncio dell'arrivo del Figlio, a Fiore avverrà l'annuncio di un nuovo frutto: l'Età dello Spirito Santo).
L'Abate dedicò FIORE, l'insediamento da lui fondato a Jure Vetere, a San Giovanni Evangelista, mettendo in pratica, attraverso la costruzione delle sue Domus Religionis, il suo modello di Ecclesia Giovannea Spirituale, preludio della terza età (fase) della storia dell'umanità, congregata su vaste aree facenti capo a piccole Case-Chiese "aperte a tutta la gente, desiderosa di conoscere i nemici delle loro anime", disposte lungo le principali strade carovaniere della Sila Piccola, antiche strade in terra disposte trasversalmente che collegavano le aree del mare Tirreno a quelle del mare Jonio.
Per i Florensi, la Chiesa non era l'edificio sacro ma la Comunità Cristiana congregata nel vivere da veri cristiani in un ambito aperto, senza corti chiuse, diffusamente in tutti i luoghi, sulle strade, tra la gente.
A Fiore, Gioacchino incominciò nell'ultima fase della sua esistenza a dar corpo al suo Monastero titolato a San Giovanni in Fiore, composto da 7 Domus Religionis ad immagine della Gerusalemme Celeste, designate alla Congregazione Cristiana Florense pronta a vivere in terra il Regno di Dio.
Il Monastero Florense di San Giovanni in Fiore delle origini (1189-1202) è senza dubbio il primo modello assoluto di Chiesa Giovannea Spirituale congregata, preludio della terza età del mondo.
Il titolo Monasterium de Sancti Ioannes de Flora rimase anche dopo la morte del ProtoAbate Florense, pertanto, non fu difficile chiamare San Giovanni in Fiore anche l'insediamento civile istituito nel 1530, quando l'imperatore Carlo V autorizzò l'Abate Commendatario Salvatore Rota a fondare un Casale, sul Cuneo (cugnale) di terra soprastante l'Abbazia, versante orientale, interposto tra il vallone fra Vicienzu e il Canale Badiale che scendeva sul crinale centrale di Monte Faradomus o Difesa, passando per l'attuale ufficio postale.
L'abitato civile assunse, quindi, lo stesso titolo già assegnato da Gioacchino al Monastero Florense delle origini.  



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Lo Stemma moderno di San Giovanni in Fiore raffigura alcuni momenti chiave della storia della cittadina.
In alto una corona sormontata da uno scudo che racchiude i simboli della cittadina: al centro un pino laricio simbolo della Sila, con 3 stelle disegnate lungo una banda trasversale, che rappresentano le concessioni di porzioni della Sila, offerte a 3 Abati; in alto a sinistra dello scudo vi è disegnata una mitra che rappresenta il potere ecclesiastico che ha governato la cittadina per vari secoli, mentre in alto a destra è raffigurata una stella cometa, segno religioso cristiano. Sotto lo scudo vi sono 2 ramoscelli intrecciati da 3 rose: il ramoscello di sinistra è di olivo, simbolo di pace; il ramoscello di destra è di quercia, pianta diffusa nelle terre di San Giovanni in Fiore.
La corona, infine, con 5 raggi, rappresenta il potere regio che domina sul territorio silano. 



TERRITORIO
(Topografia e Urbanistica)

Citato spesso come la Capitale della Sila (in realtà  riferendosi alla sola Sila Badiale), San Giovanni in Fiore è innanzitutto un centro abitato di montagna.
Il nucleo urbano principale è situato sul Monte Difesa, tra i circa 900 m (località Macchia lupo) e i 1.170 m circa (Monte Rosso), mentre parte dei nuovi insediamenti si affacciano lungo speroni e piccole vallate



Il centro urbano, posto al centro della Sila Grande, è circondato da montagne, alcune delle quali fra le più alte di tutto l'Altopiano Silano; sul territorio comunale insistono decine di formazioni montuose che superano ampiamente i 1.000 metri di altezza.
Il territorio comunale ha un'altimetria varia con notevoli dislivelli: si va infatti da una quota minima di 350 ad una massima di 1.882 metri slm (Montenero). 


Il centro abitato si è sviluppato sulla “groppa” di monte Difesa, lungo un crinale, con un'esposizione a sud-est. L'orografia del territorio, ripida ma non eccessivamente, ha fatto sì che l'abitato si sviluppasse per gradoni, partendo dal nucleo antico dell'Abbazia Florense fino ad arrivare al quartiere del Bacile.
Possiamo suddividere il centro abitato in 5 distinte fasi:

1200 - 1400 la Zona Abbadiale, sviluppata intorno al Monastero, visibile ancora oggi l'aggregato di case che formano l'antico rione del “curtiglio”, il primo nucleo urbano aggregato con casette tipiche di edilizia popolare che rappresenta il primo gradone, quello iniziale che ha dato forma al centro e che conserva una notevole compattezza ed integrità.

Le prime architetture civili risalgono al 1530 quando l'Abate commendatario Salvatore Rota, fece realizzare la prima Via Selciata (sielica) per collegare il monastero con i colli e l'Acquedotto Badiale.
Nello stesso periodo, cominciarono a sorgere i primi edifici amministrativi nel rione Cortiglio, e si rese necessaria la creazione di una Piazza Pubblica come luogo sociale e amministrativo.
Dal 1500 ai primi decenni del 1900 la San Giovanni civica comincia a svilupparsi verso Est.
Nasce in questo periodo il quartiere della “Cona” e successivamente verrà edificato il ponte omonimo.
In concomitanza inizia anche uno sviluppo verso Nord con la realizzazione del Convento dei Cappuccini (1630), edificato su di un colle che domina l'intero abitato. 

Le architetture signorili giunsero solo verso la fine del 1600, con l'arrivo in paese delle prime famiglie proprietarie terriere.
Queste, realizzarono i loro Palazzi dapprima intorno alla Piazza Comunale, e in seguito, a causa anche del tessuto urbano che si era conformato, molto fitto, e dell'esiguità di grandi spazi dove poter edificare, eressero le loro abitazioni sui colli che sormontavano il centro storico, con edifici architettonicamente semplici, alla ricerca tuttavia di uno slancio volumetrico, che ponesse i palazzi al di sopra del tessuto minuto circostante, in modo da poter esser visibili da più parti del paese. 

I Palazzi storici familiari, sorgono tutti nel cuore del Centro Storico, ad eccezione di Palazzo Barberio Toscano, edificato sul Colle della Filippa, nella zona Nord del paese e dominante sia il Centro Storico, che tutti gli altri palazzi familiari.
Le notevoli dimensioni dei palazzi si possono notare solo nelle vicinanze degli stessi edifici, o in punti panoramici della città, mentre difficile è ammirarli percorrendo le strade del centro storico.
La difficile reperibilità di grandi aree sulle quali realizzare i palazzi, ha fatto sì che ai palazzi non potessero essere annesse piazze o aree verdi, tranne che per i casi di Palazzo Barberio Toscano, Palazzo Benincasa e Palazzo Barberio.
La carenza di aree verdi o piazze, è stato in parte rimpiazzata dalla realizzazione di un cortile interno privato o alte mure riparatorie, questi nei casi di Palazzo Lopez, Palazzo Nicoletti, Palazzo De Luca e Palazzo Barberio Toscano. 

Edificare edifici di un certo volume nell'allora tessuto urbanistico, non fu certamente facile.
Poche erano le aree disponibili alcune delle quali costituite da imponenti massicciate granitiche, o su forti acclività.
Di certo, la realizzazione dei Palazzi, incastonati nella trama fitta urbana del centro storico, spesso in zone completamente marginali, non sono stati concepiti per lasciare al pubblico spazi marginali.
Per tutti questi motivi, l'architettura degli stessi si è spinta in una ricercata compattezza dei volumi, senza presentare notevoli qualità architettoniche, ma ricercando uno slancio volumetrico notevole. 

Quest'ultima è la principale caratteristica dei Palazzi Storici, un'impronta edilizia che certamente nel passato, come in parte anche oggi, riusciva a rendere visibili e imponenti al resto del paese, i palazzi, e di conseguenza, le famiglie più prestigiose.

Dagli anni 1950 fino agli anni 1970 verranno riempiti tutti i vuoti urbani esistenti fra gli antichi Rioni, specie nella zona del Rione dei “Cappuccini”.
Vengono tracciate le prime vere arterie stradali (via Panoramica e viale della Repubblica) lungo le quali verranno costruiti grandi caseggiati.
È la fase in cui i primi emigrati verso le Americhe, rimandano le rimesse guadagnate, che verranno investite nell'edilizia.
Comincia da qui, il lungo processo edilizio che “disintegrerà” totalmente il Colle Difesa.
Dagli anni 1970 fino ai primi anni 1980 «l'industria edilizia poggiata sulle rimesse degli emigrati ha preso oramai piede, ed enormi quantità di capitali vengono investiti in questo settore, visto come volano economico sostitutivo dell'industrializzazione mancata. È forte il segno che veleggia, quale l'idea di riscatto sociale fisicamente cementato nella casa. Prende piede quell'urbanizzazione dei centri montani, fenomeno analizzato anche da Università ed Istituti».
Dagli anni 1980 fino agli anni 1990: negli anni 1980 del condono edilizio, la situazione peggiora notevolmente, con la totale perdita del gusto architettonico, a scapito di una mole edilizia non correlata all'evoluzione demografica, ma poggiata ad un ben non precisato investimento per il futuro che, non trovando altri e più produttivi impieghi (poca industrializzazione e molta terziarizzazione), finisce per capitalizzarsi nel cemento e nel mattone.


L'83% dell'intera superficie comunale è posta al di sopra dei 1.000 metri, condizionata da un clima rigido e tipicamente montano, mentre la restante quota è soggetta a climi più miti che favoriscono anche la coltura di frutti e specie agricole che sono tipiche delle zone marine.
Il territorio è caratterizzato da monti e valli.

L'orientamento del centro urbano condiziona le precipitazioni meteorologiche poiché posto sul lato orientale dell'Altopiano Silano, con alle spalle la Sila Grande e di fronte la Vallata del Marchesato della Provincia di Crotone. 

 
Gran parte del proprio territorio è protetto, poiché di valore naturalistico, facendo parte del Parco Nazionale della Sila (più di 1/4 del territorio del Parco ricade nel Comune di San Giovanni in Fiore che ha il 61% della sua estensione compresa nel Parco) e della Comunità Montana Silana (di cui rappresenta il 30,5% dell'intera estensione).
Il
territorio ha valore naturalistico, confermato dalla presenza di grandi foreste e boschi, e dalla presenza di laghi e di numerosi corsi d'acqua; ma anche un valore di biodiversità, agricolo e sociale.



A queste peculiarità morfologiche si affianca una forte copertura vegetativa, vincolata per 9/10 dalle leggi forestali che ne hanno incentivato lo sviluppo attraverso politiche di riforestazione, adottate nel secondo dopo guerra, dopo che la quasi totalità del territorio aveva subito il taglio forzato da parte di ditte boschive, come pegno di guerra dell'Italia sconfitta.
Tutti questi fattori hanno lasciato ampio spazio al predominio di nuovi boschi del pino tipico silano, il Pino Laricio (Pinus nigra laricio) o Loricato: appartengono a questa sottospecie i "Giganti della Sila" o "Giganti di Fallistro", Pini Larici ultracentenari di dimensioni maestose, i cui tronchi formano un perfetto colonnato naturale.
Hanno un portamento più slanciato rispetto al pino nero, tali tronchi possono innalzarsi fino a 45 metri di altezza e avere un diametro alla base di circa 2 metri.
Inoltre, rispetto al pino nero, fornisce legname di migliore qualità.


  
Oltre ai pini, sono presenti anche querceti, faggeti e, nelle zone altimetriche più basse, castagneti.
Si registra anche un aumento della presenza faunistica negli ultimi 3 decenni, incentivata dalle misure restrittive della caccia che hanno favorito il ripopolamento di varie specie animali (dal lupo al cinghiale, alle faine, alle volpi, alle lontre, ai gatti selvatici e agli scoiattoli oltre che a diverse specie di volatili).
Per altimetria, per pendenze, per aspetto naturalistico e paesaggistico e per tutela ambientale, è un territorio di montagna interna e i numerosi panorami da esso visibili presentano un'elevata qualità percettivo-paesaggistica che, dalle cime più elevate, spaziano verso zone significative della regione calabrese.


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Libreria del Viaggiatore
(citazioni da libri del Grand Tour en l’Italie)

“... Si vede oggi nella Sila il nuovo sovrapporsi al vecchio col distacco di una pellicola fotografata due volte in paesi diversi.
Al vecchio appartiene San Giovanni in Fiore, la maggiore borgata della Sila, gremita d’anno in anno della popolazione agricola che disertava i campi, fino a stipare nel suo cerchio il numero di abitanti di una cittadina del Nord.
E’ un'altra di quelle borgate che la Riforma cerca in parte di svuotare con le assegnazioni di terre, per migliorarne il tenore di vita, e che la natalità e l'immigrazione riempiono, di decadenza estrema.
San Giovanni in Fiore riluce nella storia religiosa e mistica, essendo sorta intorno al ritiro e al cenobio dell'Abate Gioacchino, uomo di visioni e profeta, che Dante ricorda.
La sua tomba si trova nella profonda cripta, scavata di nicchie e cunicoli, cimitero dei monaci dell'Abbazia da lui fondata, oggi in semiabbandono. Tra queste mura visionarie è anche un ospizio di vecchi, fantomatico ospizio, su cui preferisco tacere.
Nel borgo, come in una cittadella ancora stretta nel suo Medio Evo, resiste l'antico costume calabrese.
Passano per la via donne con un corpetto di velluto nero, la testa come ingabbiata in volute ed in anse di capelli duri e lucenti, attorcigliate e rese rigide dalla sugna.
Queste concentrazioni umane, ed altre che si vedono scendendo verso la costa ionica, danno l'immagine del mondo che ci si è accinti a trasformare. Sono popolazioni sottoalimentate, senza carne, con poca pasta; molti non siedono a tavola per mangiare, ma preferisco nutrirsi in piedi o seduti qua e là tra nugoli di bambini.
La novità fondamentale è invece la dimostrazione che la Sila consente la vita umana organizzata, equilibrando in essa l'agricoltura, il bosco e il pascolo.
...... In tutta la zona della Riforma, l'occhio incontra per la prima volta queste case festose, che variano da luogo a luogo secondo il clima, spesso in raggruppamenti di una tinta vivace è diversa.
Si è constatato infatti che gli assegnatari non gradiscono case di colore uniforme, ma preferiscono averle, secondo i gusti, chi rosa, chi gialla e chi verde.
Non è possibile dividere la Riforma che va compiendosi nella Sila, da quella che investe la fascia Ionica.
Le case costruite sono 4000 circa, di cui 800 nella Sila, e insieme con le case, si vedono stalle, fienili, strade, ponti, acquedotti, elettrodotti, scuole, nuove piantagioni, bonifiche, e tutto quanto mira a rendere l'ambiente adatto a una sana, feconda e fiduciosa esistenza.
L'aumento del reddito è netto; accresciuta la produzione, specie quella dei cereali, che è diventata tripla; il bestiame pregiato comincia a fissarsi dove era solo quello di transumanza.
Le cifre per lo più non servono a nulla, perché mutano di mese in mese; si può darne una indicativa.
Si aveva nella Sila, mi dicono i funzionari della Riforma agraria, un solo trattore, e il noleggio di esso costava 20.000 lire l’ettaro.
Oggi ve ne sono 40, anche introdotti da privati per emulazione, ed il noleggio costa 8000 lire ....” (da “Viaggio in Italia”  di Guido Piovene 1950 - pagine 671-672)

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“... C'è San Giovanni in Fiore, penso tra me, e sogno una terrazza con pergola dove finire la giornata.
Non posso immaginare che un posto dal nome così glorioso, al limitare delle foreste della Sila, sia un inestricabile labirinto di cemento.
Invece, San Giovanni in Fiore è esattamente questo: un grumo metropolitano, una tumultuosa cascata edilizia dalla paradossale, franosa coerenza: dal cimitero che sta in alto - un condominio di morti sovrastato dai piloni immensi di una superstrada - fino all'Abbazia in basso, ovviamente chiusa, priva di indicazioni è nascosta da un luna park in disuso.
Il paese è un intrigo di saliscendi a senso unico dove l'auto si perde si surriscalda.
E quando apro il cofano per darle da bere, un signore con una macchina sportiva accosta, chiede se ho bisogno di aiuto e, al mio cortese cenno di diniego, se ne va dichiarandosi “a disposizione” ....” (da “La leggenda dei monti naviganti” di Paolo Rumiz - 2007 - pagina 326)


ARTI & MESTIERI
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San Giovanni in Fiore è centro tradizionale delle attività tessili della regione.
Vi si producono particolarmente tappeti di tipo orientale - all'armena annodati a mano - per i quali è attiva una scuola decisamente specializzata, che si avvale di maestri armeni.



Anche l'arte orafa tradizionale viene ancora coltivata, seppure in limitata produzione; legno e ferro battuto oltreché l'arte del vimini.
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CINEMA
(Film girati a San Giovanni in Fiore)

San Giovanni in Fiore è stato teatro di alcuni film girati nel dopoguerra.
La “Città di Gioacchino” ed in particolar modo gli scenari paesaggistici dell'Altopiano Silano, furono scelti per l'ambientazione di alcuni film drammatici.
Di seguito alcuni titoli di film:

Il lupo della Sila di Duilio Coletti (1949) (vedi il trailer) con Silvana Mangano, Amedeo Nazzari, Vittorio Gassman e Jacques Sernas; 
Sceneggiatura: Mario Monicelli, Steno, Ivo Perilli, Vincenzo Talarico, Giuseppe Gironda, Carlo Musso

Il brigante Musolino di Mario Camerini (1950) (vedi il trailer) con Mangano e Nazzari

Il sentiero dell'odio di Sergio Grieco (1950) con Carla Del Poggio e Andrea Checchi

Le campane di Pompei di Luigi Lombardi (1952) con Novar Lombardi e Clara Bindi

Il tenente Giorgio di Raffaello Matarazzo (1952)


Duello nella Sila di Umberto Lenzi (1962)


Strada senza uscita di Gaetano Palmieri (1969) con Andrea Giordana

Buck ai confini del cielo di Tonino Ricci (1991) alcune scene esterne sono state girate nelle montagne sangiovannesi







Regina di Alessandro Grande (2019)
TRAMA: Regina ha 15 anni e sogna di fare la cantante. A supportarla suo padre Luigi, lui è tutta la sua famiglia, dato che Regina ha perso la madre anni prima e Luigi proprio per lei ha rinunciato alla sua carriera musicale.
Il loro è un legame fortissimo, indissolubile.
Almeno fino a quando un giorno, un incidente cambierà le loro vite. 


Il conte di Melissa di Maurizio Anania (2000)

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PRODOTTI DEL BORGO

L'economia di San Giovanni in Fiore ha subito un forte processo evolutivo nel 1900, che ha trasformato un centro montano con economia agricola ed artigianale in un centro residenziale ad economia mista.
L'evoluzione dell'economia Sangiovannese è legata molto all'evoluzione della scolarizzazione della popolazione cittadina, in quanto questo fenomeno ha avviato un forte processo di terziarizzazione che caratterizza la città silana.

L'agricoltura resta la base economica di San Giovanni in Fiore.
Molte aziende agricole operano nel territorio, e nell'ultimo decennio si sta assistendo ad una riconversione produttiva delle stesse, con un mutamento che si potrebbe definire a carattere industriale.


Tra i prodotti silani spiccano le carni, i salumi, i formaggi legati a razze autoctone la “Vacca Podolica”, da allevamenti ancora di tipo pastorale; il “Maiale Nero Calabrese”, rustico e allevato allo stato brado o semibrado di cui si è rischiata l'estinzione; Ovini e Caprini calabresi.


Ecco allora, dal maiale, “cotenne” (senza grasso né setole), la spianata calabrese e il prosciutto piccante. la Salsiccia calabrese DOP (Denominazione di Origine Protetta): è uno dei prodotti più tradizionali diffusi della norcineria calabrese.
Ha ottenuto il riconoscimento DOP per i metodi artigianali di produzione che ricalcano le antiche tradizioni degli allevatori calabresi.
Si produce dalla carne della spalla e del filetto che non è stata utilizzata per la produzione della soppressata.
Il prosciutto finito a forma cilindrica ed è intrecciato nella tradizionale forma a catenella lunga dai 70 agli 80 cm.
Al taglio, presenta fette a grana media, con il grasso ben distribuito e di colore rosso più o meno intenso a seconda del tipo di pepe, nero o rosso, utilizzato nell'impasto.
Il profumo è aromatico e intenso, e sapore dolce ma anche piccante per la presenza di pepe e peperoncino.
È uno dei salumi più diffusi della regione, viene in genere servita come antipasto, ma è utilizzata anche in cucina con la pasta e con il sugo.

La Soppressata DOP (Denominazione di Origine Protetta): ha ottenuto dall'Unione Europea il marchio DOP, è uno dei prodotti più tipici ed antichi della tradizione gastronomica calabrese.
Si prepara selezionando le migliori parti magre del maiale, il grasso e gli aromi naturali (sale, pepe nero in grani, pepe rosso in polvere dolce o piccante).
Si mescola il tutto con le mani lasciato riposare un’intera notte prima di insaccarlo nel budello naturale, avendo cura di massaggiare bene per evitare ristagni di aria.
Le soppressate si legano poi con lo spago, si bucano qua e là con uno spillo per far uscire l'aria residua e si mettono in ceste di vimini con dei pesi sopra per qualche giorno.
Stagionano per oltre 6 mesi e dopo questo tempo se non vengono consumati, si mettono sotto grasso per conservarle.
Il prodotto finito ha una forma cilindrica leggermente schiacciata, al taglio la soppressata appare compatta, più o meno morbida a seconda della stagionatura, di colore rosso naturale o vivace per via del peperoncino e del pepe nero in grani.
E’ un salume molto saporito adatto ad essere degustato negli antipasti locali insieme agli altri salumi e formaggi calabresi con un bicchiere di buon vino rosso di Calabria.

Il Capocollo DOP (Denominazione di Origine Protetta): il capocollo di Calabria ha ottenuto il riconoscimento DOP nel 1998 e viene prodotto utilizzando la parte superiore del lombo di suini nati e allevati nella regione.
La carne viene disossata, lasciata a contatto con il sale per 4-8 giorni, successivamente lavata, cosparsa d'aceto e aromatizzata con pepe nero in grani.
Dopo essere stata pressata, la pasta viene insaccata nel diaframma parietale suino e avviato alla stagionatura e locali ben areati.
Il prodotto finito a forma cilindrica, intenso e sapore insieme delicato e deciso, gradevolmente speziato per la presenza di pepe e talvolta peperoncino.
Abitualmente si serve con pane casereccio, verdure cotte e crude, specie le cipolle di Tropea.
Molto diffusa anche a San Giovanni in Fiore è la sardella, pietanza tipica delle aree ioniche, specie a Crucoli, utilizzata come antipasto.
Anche le olive meritano una menzione; un variegato trattamento, fatto su questo prodotto, lo ha posto come alimento fra i principali della tavola Sangiovannese. 

Tradizionali sono le olive ammaccate (olive schiacciate), messe in salamoia, preparate con un po' di piccante, o addolcite con prezzemolo ed aglio.
Vi sono poi le olive infornate e le olive nere.
Un prodotto un tempo molto più diffuso, relegato ai margini della cucina Sangiovannese, sono le conserve di “sarde”.

Dalle vacche, oltre le carni, il “caciocavallo podolico” e il “caciocavallo Silano” DOP (Denominazione di Origine Protetta), formaggio vaccino a pasta filata, diffuso per altro, in quasi tutto il Meridione, le cui forme strette “a pera” o “fiasco”, legate in coppie sono messe a stagionare a cavallo di una pertica (da cui il nome): viene prodotto tra la Sila e le alte colline della preSila, dove il clima freddo e secco favorisce una stagionatura adeguata; è un formaggio semiduro a pasta filata, prodotto con un latte vaccino e dalla caratteristica forma ovale o tronco-conica, dovuta spesso al metodo utilizzato per farlo maturare.
Si presenta con crosta sottile, liscia e dal marcato colore giallo paglierino. La pasta è omogenea, compatta, con lievissima occhiatura di colore bianco o giallo paglierino più intenso verso l'esterno e internamente.
Il suo sapore, solitamente delicato e tendenzialmente dolce, si fa più piccante con l'avanzare della stagionatura.
Il Caciocavallo Silano è un formaggio sano e genuino, molto ricco di vitamine, sali minerali, proteine per le sue spiccate qualità nutritive, si è guadagnato un posto d'onore nella dieta mediterranea e risulta molto indicato nella dieta dei bambini, degli sportivi e degli anziani. in cucina a svariati utilizzi -
ingrediente fondamentale della “pasta china”, tipico piatto Cosentino - la varietà fresca e perfetta per la cottura alla piastra, mentre quella piccante più indicata per essere consumata cruda.
formaggio da tavola, il “caciocavallo Silano” anche .
Caprini e Ovini danno “cacio ricotte” prelibate, “felciate” e “ricottoni salati” da grattugia (anche da latte vaccino).
E ancora da latte vaccino vengono “mozzarelle silane”,
la "sciungata", stracciatelle”, “butirri” (burro in dialetto, prende il nome dal fatto che internamente è farcito di burro, a forma tradizionalmente a pera, nasce proprio per conservare a lungo il burro;  si produce tradizionalmente durante la primavera e l'estate, quando le lattifere sono al pascolo, e in passato, durante la transumanza, veniva impiegato come merce di scambio). 


Godono di fama pure le “patate della Sila” (IGP Indicazione Geografica Protetta), di pasta gialla e gradevolissimo sapore, e i funghi, porcini gallinacci e rositi usati largamente in cucina in agosto, e poi in settembre-ottobre.



Il Pane

«... il pane non poteva essere buttato solo se proprio si doveva, se era indispensabile, come quando un topo ci aveva fatto la casa o quando era diventato blu e verde per la muffa ... il pane non si faceva in casa.
Neanche i ricchi lo preparavano in casa.
In giro per il paese c'erano vari forni pubblici ...»
(da "Pane, vino e angeli" di Anna Paletta Zurzolo, Iride edizioni, Soveria Mannelli (Cz), 2004)

Alimento base e prezioso nella cultura popolare silana, il pane a San Giovanni in Fiore è sempre stato un alimento curato e perfezionato dai maestri fornai.
Parte di questa tradizione si ritrova nella preparazione del dolce tipico natalizio.
Sono sorti nel tempo nuovi forni che non hanno mutato la qualità del prodotto.
Vengono preparati il pane casereccio a doppia lievitazione naturale cotto nel forno a legna, la pitta (focaccia di pane), la cullura (ciambella di pane), la pitta 'minata (fatta con i residui tolti via dalla madia), e vari panini, dalla semplice “rosetta” al “pane al burro".
Vi sono circa 10 forni presenti in paese, alcuni dei quali esportano parte della loro produzione anche nelle regioni del nord Italia.

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PIATTI DEL BORGO

I piatti tipici di San Giovanni in Fiore fanno largo uso dei prodotti della terra, e della montagna in particolare. 
Base dei piatti tradizionali è la patata della Sila, che trova largo impiego nelle “tielle” (da Teglie - tegami), piatti in cui la patata accompagna altre pietanze come ad esempio il baccalà, o le zucchine.
Molto uso si fa dei funghi in varie pietanze, specie nelle conserve, così come ancora è diffusa la pratica delle conserve di melanzane, zucchine e pomidoro secchi sott'olio, e comunque tutti i prodotti dell'orto.

Primi

Il paese è fortemente legato alla tradizione contadina, ed è da questo ceppo che derivano i prodotti più utilizzati nella cucina locale.
I legumi e le verdure (specie il cavolo nero), preparati come minestre sono stati, da sempre, alla base dei menù Sangiovannesi.
La pasta casereccia si lega all'uso della patata, nel caso della preparazione degli gnocchi, mentre come anche in altre parti della Regione, la pasta tipica del luogo è costituita dagli scialatelli, cucinati a San Giovanni in Fiore, alla pecoraia, con l'uso di funghi e carne di maiale.

Secondi

I secondi si basano soprattutto all'uso della carne del maiale, il re della tavola calabrese e di quella silana. 

Tipici sono gli arrosti di carne così come ancora d'uso sono le frittule (bollito dei residui della lavorazione del maiale, non più utilizzabili per insaccati e prosciutti). 
Anche la cacciagione è parecchio diffusa, specie la carne di cinghiale.

Dolci tipici

I dolci tipici di San Giovanni in Fiore si rifanno alla tradizione popolare del Centro Sud e della Calabria in particolare.
Diffusi sono i dolci come le zeppole, i turdilli (dolci fatti con il miele), i muccellati, i mastacciuoli (preparati con pasta di miele, ripieni di mandorle e cioccolato, molto simili alla Reggina 'Nzuddha.
Il dolce tipico, preparato in occasione delle festività natalizie è la pitta 'mpigliata.



DIALETTO

Il dialetto Sangiovannese fa parte della fascia cosiddetta del "Calabrese settentrionale".
Essendo comunque San Giovanni in Fiore insistente su una zona un tempo isolata e lontana decine di chilometri dai centri urbani maggiori, il dialetto Sangiovannese ha assunto forme idiomatiche, toni e caratteristiche fonetiche proprie ed ha conservato relitti linguistici molto interessanti ed unici in Calabria.



Le proprietà lessicali del linguaggio e del dialetto di San Giovanni in Fiore, sono state oggetto di studi e di ricerche da parte del prof. Alfredo Prisco, che a termine del suo lavoro ha realizzato un libro/vocabolario sul dialetto del luogo con analisi dettagliate sulle stratificazioni linguistiche dello stesso (Studio sul dialetto di San Giovanni in Fiore con note di etnolinguistica, antropologia e folklore, Rubbettino 1984).
Prisco è riuscito ad individuare delle particolari proliferazioni lessicali prodotte dalle società subalterne sotto la pressione, a volte davvero insostenibile, della società dominante. 

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STORIA

La storia di San Giovanni in Fiore va divisa in 5 fasi:
la prima fase è detta florense, giacché governata dagli Abati Regolari dell'Ordine, da Gioacchino da Fiore ad Evangelista de Gaeta da Caccuri.
Questa fase va dal 1189 al 1500, dall'ascesa dell'Abate Gioacchino in Sila all'istituzione della Commenda di San Giovanni in Fiore quale feudo ecclesiastico.
L'Abate Gioacchino da Fiore fu privilegiato inizialmente da Tancredi nel 1191, cui seguirono le grandi concessioni di Enrico VI nel 1194 e il riconoscimento della Congregazione Florense da parte di Celestino III avvenuta nel 1196.
La seconda fase cominciò il 13 settembre 1500, quando l'Abbazia di San Giovanni in Fiore fu commendata a favore di Vassalli Ecclesiastici incaricati direttamente dalla Santa Sede e terminò nella primavera del 1530, quando l'imperatore Carlo V diede mandato all'Abate Commendatario Salvatore Rota di fondare il Casale di San Giovanni in Fiore.
Salvatore Rota, quarto Abate Commendatario, fondò dunque il Casale di San Giovanni in Fiore che fu governato dai Vassalli Ecclesiastici fino al 1783, anno in cui fu soppresso il Feudo Ecclesiastico e introdotto il Feudo Regio.
Il primo e ultimo Commendatario Laico, nominato dalla Regia Corte fu il cavaliere Luigi de' Medici di Ottajano e alla sua morte non fu nominato nessun successore essendo decaduta la forma del feudo e introdotto il Governo dei Comuni.
Dal 1860 in poi seguì le sorti prima del Regno d'Italia, guidato dai Savoia, poi del Fascismo guidato da Mussolini e infine quelle dell'Italia Repubblicana.

San Giovanni in Fiore lega tutta la sua storia alla figura del suo illustre Abate, Gioacchino da Fiore, tuttavia è possibile tracciare un percorso sulla fondazione vera e propria del paese o, come veniva chiamato una volta, del Casale di San Giovanni in Fiore che prende il nome dall’intitolazione della antica Chiesa, dedicata a San Giovanni Evangelista e dalla località di Fiore Novo in cui era stata ubicata la stessa, dal successore di Gioacchino, l’Abate Matteo I.

Le sue origini si evolvono in seguito, nel 1500, con l’istituzione della Commenda dei beni badiali, proseguendo con la fondazione vera e propria del Casale che, nel tempo, ha assunto sempre più le caratteristiche di un centro abitato, per via della moltitudine di gente pervenuta da ogni parte della Sila.

Fondatore del Casale fu Salvatore Rota, originario di Napoli e quarto Abate Commendatario del Monastero Florens che ottenne, nel 1530 da parte del potente Re delle Due Sicilie, Carlo V d’Asburgo, un diploma ufficiale in base al quale si concedeva di costruire un Casale con ampia autonomia, vincolato ad essere abitato da fedeli appartenenti a qualsiasi Regno Cristiano, purchè amici e non tributari della Curia Regia. 

Essi venivano esentati dal pagamento delle imposte per 10 anni e all’Abate veniva attribuita la funzione giudiziale ordinaria sui nuovi Abitanti.
L’Imperatore in tal modo, approfittava della fondazione del nuovo Casale per accogliere quei profughi non ancora censiti nel territorio del Regno.
Quest'azione incoraggiava le comunità limitrofe a stabilirsi nel nuovo abitato al riparo dai regimi fiscali esosi e dalle angherie feudali.
Nel frattempo l’Abate Rota, grazie alla sua politica intraprendente, raddoppiava le entrate del Monastero, restaurava la Chiesa e, in un’iscrizione apposta su una lastra marmorea nei pressi della stessa, si presentava ai posteri come unico fondatore del paese.
Alcuni tutt’oggi ravvisano in Gioacchino questa funzione, in realtà egli è solo fondatore dell’antico protocenobio sito in località Jure Vetere, andato distrutto e non del paese di cui con molta probabilità non previde la nascita.
Con la stesura del diploma si dava così l’avvio alla nascita del nuovo centro urbano che viveva sotto il governo cittadino di un sindaco e di 3 abitanti eletti dal popolo e approvati dall’Abate.
Gli abitanti del Casale diventavano Vassalli, essi occupando il suolo, avevano degli obblighi nei confronti dell’Abate al quale dovevano delle offerte in danaro, in natura e in giornate lavorative.
Nel frattempo si presentava il problema della cura delle anime, poiché la vita nell’unico Monastero presente diventava caotica per via del progressivo popolamento del Casale.
Fu così che l’Abate Rota chiese ed ottenne il permesso di avviare i lavori di quella che diventerà la futura piazza del paese e dell’odierna chiesa-madre.
Questa, brevemente, la fondazione del paese ad opera di un Abate molto accorto e scaltro.
L’origine della sua vicenda personale segna il tramonto dell’Istituzione Florense che viene ridotta ad un semplice pretesto per favorire gli interessi della Curia Romana e del Governo spagnolo.

Nel 1500 avvennero considerevoli cambiamenti che condizionarono la storia di San Giovanni in Fiore.
Papa Alessandro VI Borgia, affidò in commenda al notaio Ludovico de Santangelo di Valenza, l'Abbazia Florense.
Dopo quella proclamazione altri 17 Abati Commendatari (tutti scelti dalla Santa Sede) avranno in affido il Monastero Silano.
L'ultimo Abate Commendatario fu Giacomo Filomarino, dopodiché venne proclamato un laico scelto da Re di Napoli, Ferdinando IV Borbone, che in questo modo, attestò la fine ecclesiale del “Monastero di Fiore”, che divenne pertinenza del Patrimonio Regio.
I secoli successivi rafforzarono il ruolo di attrattore che il paese aveva nel resto della regione.
Coloro i quali si spingevano verso la Sila, erano personaggi attratti soprattutto dalle ricchezze delle foreste e dei terreni.
Dal 1600 si trovano i primi documenti di grandi possessori terrieri.
Il terremoto della Calabria dell'8 giugno 1638, di magnitudo 6.5, colpì anche San Giovanni in Fiore; i danni nel principale centro silano non furono molti, ad esclusione del danneggiamento e del crollo di alcune parti dell'Abbazia Florense.

Nel 1700 e nel 1800 si rafforzò il ruolo delle famiglie nobiliari nel tessuto sociale ed economico del paese, che influenzarono notevolmente le vicende politiche. Nel 1844 San Giovanni in Fiore venne messa in risalto internazionale per la vicenda dei Fratelli Bandiera, rivoluzionari patrioti che vennero catturati nelle campagne del paese.
Il 1848 fu l'anno della "rivolta agraria", e l'inizio della prima grande emigrazione di massa verso le Americhe.

Nel 1900 la situazione politica ed economia subì, ancora una volta, profonde trasformazioni.
Continuò l'ondata emigratoria e San Giovanni in Fiore ritornò alla ribalta internazionale, come uno dei paesi che pagarono le maggiori perdite nella tragedia mineraria di Monongah (avvenuto il 6 dicembre 1907 nella Virginia Occidentale, il più grave disastro minerario della storia degli Stati Uniti d'America; l'incidente rappresenta anche la più grave sciagura mineraria dell'emigrazione italiana: morì circa un terzo dei 3.000 abitanti).
Cominciarono ad intravedersi le prime prospettive di sviluppo, grazie all'industria energetica derivante dalla realizzazione degli invasi artificiali silani.
Il Fascismo lasciò un segno profondo anche a San Giovanni in Fiore, paese che sin dall'Unità d'Italia, formò un forte tessuto politico di sinistra, confermato ancor più nel dopo guerra.
Dopo la nascita della Repubblica, il paese subì altre e forti ondate migratorie, in quanto la prospettiva industriale energetica, non mantenne le promesse e l'economia locale vacillò.



Il Governo per rimediare alla situazione disastrata dell'economia, approvò la Riforma Agraria nel 1950, che interessò tutto il territorio silano.
Il "problema dell'abusivismo edilizio" (nato negli anni 1960, terminerà solo negli anni 1990), fu un fenomeno socio-economico che investì tutto il paese in ogni suo settore, e che anni dopo verrà studiato da architetti, urbanisti e sociologi.



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Gioacchino da Fiore
La vita di Gioacchino da Fiore rimane ancora oscura per molti aspetti, a cominciare dalla data di nascita, nacque a Celico, Casale della Presila Cosentina, tra il 1130 e il 1135.
Figlio di una famiglia benestante, fu avviato agli studi di grammatica e lettere umane nella vicina Cosenza.
Ciò gli permise di introdursi alla Corte Normanna di Palermo assegnato ai Notai del Re e, più tardi, di recarsi in Terra Santa, sentendo il bisogno, come pellegrino, di visitare i Luoghi Sacri al Cristianesimo: la Siria, la Palestina, Gerusalemme.
Un episodio leggendario, racconta di una visione che egli avrebbe avuto sul Monte Tabor e che gli avrebbe manifestato la comprensione delle Sacre Scritture e dei misteri dell’Antico e Nuovo Testamento.
Intorno al 1170 abbandonò il mondo secolare, rifiutando onori e ricchezze, e cercò accoglienza nell’illustre Abbazia di Santa Maria della Sambucina, Monastero Cistercense presso Luzzi (CS), per ravvivare la sua vocazione preferendo un tipo di spiritualità tradizionale. 

In un contesto in cui lo Stato Normanno conobbe un periodo di prosperità, il giovane di Celico desidera una vita più profonda, iniziando con la predicazione nella Val di Crati, in breve tempo fu ordinato sacerdote dal Vescovo di Catanzaro.


Successivamente, nel 1177, fu designato quale nuovo Abate dell’Abbazia di Corazzo e nel frattempo, si amplifica in lui il desiderio di incontrare il Papa per illustrargli i commenti alle Sacre Scritture e le prime esposizioni basate sul suo pensiero esegetico.
Il tentativo di incorporare Corazzo nell’Ordine Cistercense di Casamari non riuscì, nonostante la fama di sapienza e santità del religioso si fosse già diffusa nei cenobi italiani.
In compenso Gioacchino fu accompagnato al cospetto del Papa Lucio III a Veroli, poco distante da Casamari, così come desiderava da tempo.
Il Pontefice lo ricevette e con molto interesse e apprezzamento per gli studi che andava conducendo, lo esortò ad andare avanti con il suo lavoro chiedendogli di spiegare il significato celato in una profezia misteriosa rinvenuta tra le carte di un Cardinale allora appena deceduto.
Egli, nella sua "Expositio de prophetia ignota", prontamente interpretò il testo come un’allusione alle persecuzioni successive della Chiesa da parte del potere imperiale, sottolineando che la stessa ha come missione anche quella di purificarsi attraverso la sofferenza.
Rimase a Casamari quasi un anno e mezzo, dedicandosi tranquillamente ai suoi studi e alla stesura delle sue 3 opere principali: la Concordia tra il Nuovo e il Vecchio Testamento, l’Esposizione dell’Apocalisse e il Salterio dalle 10 corde.
Ben presto si accorse che l’Ordine dei Cistercensi cui apparteneva non rispondeva del tutto alle sue aspettative e ai suoi ideali di vita monastica.
A ciò si aggiunsero i primi dissapori con alcuni Monaci che non condividevano il suo operato, considerandolo un visionario e facendo giungere le loro critiche fino al nuovo Papa Urbano III che invece, incontrando Gioacchino a Verona, lo incitò ancora a continuare nella sua opera
Tornato a Corazzo, dove nel frattempo l’ambiente era diventato a lui ostile, soprattutto a causa dei crescenti contrasti con il suo Ordine che lo considerava addirittura detentore di ideali pericolosi, decise di lasciare il Monastero ritirandosi a Pietralata, insieme a Raniero da Ponza, Monaco Cistercense suo seguace e in seguito Legato Pontificio in Spagna e in Provenza. 

Cercando la meditazione e la tranquillità sperate “scelse per sé un porto di quiete ed un angolo appartato e solitario”, nella Presila Cosentina.
A questo periodo va datato un sermone feroce contro l’Abate pronunciato da un Cistercense molto noto: Goffredo d’Auxerre, alle cui accuse Gioacchino da Fiore rispose con un’opera nobile e sublime: "Il Significato dei Canestri", nella quale esorta a non rispondere con la forza alla forza.
Nel 1188 egli si recò a Roma presso Papa Clemente III nel tentativo di far incorporare il suo Monastero nell’Ordine Cistercense; ancora una volta fu invitato a scrivere il suo pensiero per sottoporlo alla discussione e al giudizio della Santa Romana Chiesa, e il Monastero fu inglobato dall’Abbazia Cistercense di Fossanova.
Tornato a Pietralata, si mise subito in cammino alla ricerca di un luogo adatto per un
nuovo Monastero; diretto verso la Sila “tra queste montagne freddissime, in cui potessero in qualunque modo abitare”, Gioacchino e i suoi compagni superarono l’Altopiano Silano, iniziando l’opera di costruzione del nuovo Monastero dedicato a San Giovanni Evangelista in una località che prese il nome di Flos, Fiore.
Ciò fu reso possibile anche grazie alle donazioni e alle concessioni da parte del nuovo Re Tancredi, impressionato dalle sue parole e dalla sua personalità, a cui Gioacchino si era rivolto qualche anno prima in cerca d’aiuto recandosi a Palermo.
Proprio in quella occasione egli incontrò a Messina il Sovrano inglese, Riccardo Cuor di Leone, diretto in Palestina per la Terza Crociata, a cui avrebbe predetto l’imminente vittoria.
Nel frattempo il suo carisma profetico e la sua interpretazione dell’Apocalisse, ebbero ampia risonanza, tanto che, poco dopo il viaggio siciliano, egli si recò a Napoli, città in mano a Tancredi, ma assediata da Enrico VI, marito della Principessa Normanna Costanza d’Altavilla, il quale si riteneva l’erede legittimo del Regno di Sicilia.
Gioacchino esortò l’Imperatore Svevo a ritirare un assedio inutile e dannoso, incitandolo a tornare con il suo esercito in Germania, poiché, in tempi molto brevi, avrebbe nuovamente conquistato quanto gli era dovuto. 

Il giovane Imperatore fu molto colpito da queste parole, si ritirò in Germania, a capo del suo esercito e dopo 3 anni, alla morte di Tancredi, tornò senza combattere ad impadronirsi del Regno.
I contemporanei si convinsero presto che l’Abate di Fiore avesse in sè il dono di predire il futuro, in realtà questa fu una visione distorta delle teorie Gioachimite, interpretate in maniera molto approssimativa: i suoi ammonimenti non nascevano da poteri miracolosi, ma da previsioni basate su analogie degli eventi storici: riteneva infatti che la fase attraversata in quel momento dalla Chiesa, fosse connessa a quella attraversata dal popolo di Israele prima dell’avvento del Messia.



Re Enrico VI fu un grande estimatore di Gioacchino e il suo contributo permise al Monastero di Fiore di svilupparsi superando le difficoltà incontrate.
Gioacchino, infatti, continuava ad essere oltraggiato e inveito dai Cistercensi che gli ordinarono di rientrare subito a Corazzo, imposizione al quale non obbedì scatenando un nuovo periodo di crisi che si risolse soltanto nel 1196, quando il nuovo Papa Celestino III approvò con la Bolla «Cum in nostra», andata purtroppo perduta, la Regola del nuovo Ordine Florense.
Tra il 1195 e il 1198 fu portato a termine il ProtoCenobio di Fiore, in seguito altri Monasteri Florensi furono costruiti nei dintorni, favoriti dalla protezione apostolica di Papa Innocenzo III, dalla riconferma di possedimenti già acquisiti in passato, da nuove ricompense e donazioni e più tardi dall’esenzione dai tributi da parte del nuovo Re Federico II, figlio di Enrico VI e Costanza d’Altavilla.



Nonostante le distrazioni dovute alla riorganizzazione dell’Ordine e del Monastero, Gioacchino da Fiore riuscì ad ultimare l’"Esposizione dell’Apocalisse", a scrivere opere minori, "Contro i Giudei" e "Contro gli Avversari della Fede Cattolica", a completare il "Salterio" ed iniziare il "Trattato dei Quattro Vangeli2.
Ma il suo testamento spirituale è contenuto nell’"Epistola Prorogale" in cui sottopone tutti i suoi scritti al giudizio Papale, dichiarando la sua eterna fedeltà alla Chiesa.
Il 1202 fu l’ultimo anno della sua vita, trascorso nella meditazione, nei suoi ultimi viaggi da Fiumefreddo a Pietrafitta per ricevere altre donazioni in suo favore. Gravemente ammalato fu sorpreso dalla morte il 30 marzo del 1202 a Pietrafitta.
In seguito le sue spoglie furono trasferite nella Chiesa Abbaziale di San Giovanni in Fiore.



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SANTI PATRONI

Giovanni detto il Battista (in ebraico: יוחנן המטביל‎; in greco Ιωάννης ο Πρόδρομος, "Giovanni il Precursore"; in greco antico: Ἰωάννης ὁ βαπτίζων; in latino: Ioannes Baptista; regno di Erode, fine I secolo a.C. - Macheronte, tra il 29 e il 32 d.C.), è stato un asceta proveniente da una famiglia storica sacerdotale ebraica originaria della regione montuosa della Giudea.

Giovanni Battista, in ambito Cristiano chiamato Yūḥannā, venerato da tutte le Chiese Cristiane e considerato Santo da tutte quelle che ammettono il culto dei Santi, è una delle personalità più importanti dei Vangeli.
Secondo il Cristianesimo, la sua vita e predicazione sono costantemente intrecciate con l'opera di Gesù Cristo; insieme a quest'ultimo, Giovanni Battista è menzionato 5 volte nel Corano col nome di Yahyā b. Zakariyyā, come uno dei massimi profeti che precedettero Maometto.
Infine Giovanni il Battista nella Religione dei Mandei, con il nome di Iahia Iuhana, viene considerato il più grande di tutti i Profeti.



Moltissimi sono i patronati, di cui ricordiamo i più importanti:

Per via dell'abito di pelle di cammello, che si cuciva da sé e della cintura, è patrono di sarti, pellicciai, conciatori di pelli.
Per l'agnello, dei cardatori di lana.
Per il banchetto di Erode che fu causa della sua morte, è patrono degli albergatori.
Per la spada del supplizio, di fabbricanti di coltelli, spade, forbici.
Patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta (S.M.O.M.).
Patrono della Contrada del Leocorno di Siena.
San Giovanni Battista, col titolo di decollato, è il patrono delle Confraternite che assistevano i condannati a morte, ed il protettore dei Santi Martiri decollati.
In Sicilia è patrono dei compari e delle comari di battesimo in ricordo del Battesimo di Cristo.
Invocato, contro le calamità naturali quali terremoti, temporali ecc. in Sicilia e specie a Chiaramonte Gulfi in tali occasioni si recita il Rosario di San Giovanni in dialetto seguito dalla Giaculatoria «San Giuvanni Santu 'Granni, Libiratici ri priculi e ri danni».
Patrono della città di Formia
(LT) nel Lazio, dove è protettore dei naviganti ed anche di Pozzallo (RG), in Sicilia.
Per quanto dal 1700 fino alla prima metà del 1900, la fede Cattolica romana fosse dichiarata non compatibile con i principi massonici, dal 1700 è consuetudine per le logge della Massoneria di Rito Scozzese compiere un rito di elogio a San Giovanni Battista, che secondo la tradizione morì come Gesù all'età di 33 anni. 

La Festa del Battista ricorre il 24 giugno, giorno vicino al solstizio d'estate (20 o 21 giugno) nel quale il sole è al culmine nell'apogeo e complementare a questa consuetudine è quella di ricordare Giovanni Apostolo ed Evangelista, la cui festa ricorre il 27 dicembre, giorno vicino al solstizio d'inverno (21 o 22 dicembre, pochi giorni prima del Natale). 
Nel simbolismo ermetico, i solstisti rappresentano porte aperte per gli uomini fra mondo terreno e mondo ultraterreno: d'inverno, verso l'alto, con la preghiera di auspicio della Luce, e d'estate verso il basso, con la fioritura e la maturazione dei frutti della terra, che completano l'attuazione del ciclo biologico.

Francisco de Jasso Azpilicueta Atondo y Aznares de Javier, comunemente noto con il nome italianizzato in Francesco Saverio (Javier, 7 aprile 1506 - Isola di Sancian, 3 dicembre 1552), è stato un gesuita e missionario spagnolo, proclamato Santo nel 1622 da Papa Gregorio XV.
Fu un pioniere della diffusione del Cristianesimo in Asia. 

Nel 1927 la Chiesa Cattolica lo ha proclamato Patrono delle Missioni ed è venerato anche come grande taumaturgo specie in casi di difficile soluzione.

 
Nato in una famiglia nobile di Javier (in Navarra) i cui beni di famiglia furono confiscati da Ferdinando il Cattolico dopo la vittoria sugli autonomisti navarrini filofrancesi.
Per sfuggire alla sconfitta e alla miseria si rifugiò quindi in Francia, e andò a studiare teologia alla Sorbona dove, dopo il primo triennio, divenne maestro.
Nel suo stesso Collegio di Santa Barbara arrivò Ignazio di Loyola che, oltre ad essere uno dei suoi più grandi amici (furono anche proclamati Santi insieme), ne riconobbe immediatamente il temperamento combattivo ed ardente e decise di conquistarlo alla propria causa. Nello stesso Collegio studiava anche Pierre Favre (1506-1546) e con ambedue, Ignazio fece i primi voti da cui sarebbe poi nata la Compagnia di Gesù, nella Chiesa di Saint Pierre di Montmartre, il 15 agosto 1534, che erano: povertà, castità, obbedienza e pellegrinaggio in Terrasanta; se non fossero riusciti a partire sarebbero andati a Roma per mettersi a disposizione del Papa. 

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CULTURA

Nonostante l'isolamento della cittadina e la scarsa popolazione residente, il Borgo è culla di Enti Culturali provinciali e internazionali e di alcune strutture informative e ludiche, che nel complesso, non rendono il paese privo di formazioni a carattere culturale.

Consistente il numero delle associazioni presenti in paese (oltre 50), alcune delle quali si distinguono in ambito provinciale e regionale per impegno e numero di iscritti.
Sono presenti 2 teatri all'aperto, uno situato nel Parco Comunale con capacità di circa 1.500 posti a sedere, ed un altro sito nei Giardini dell'Abbazia, capace di ospitare circa 300 spettatori.

Il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, istituito il 2 dicembre 1982, è un ente che ha operato ed opera nella diffusione del pensiero dell'Abate Gioacchino da Fiore, realizzando nel corso di quasi 3 decenni, importanti lavori culturali, quali la divulgazione delle opere di Gioacchino, portando alla luce un vivace interesse verso l'Abate Calabrese, molto studiato all'estero, ma poco conosciuto in Italia.
Il "Sistema Bibliotecario Territoriale Silano", è un ente bibliotecario che gestisce le attività di 7 biblioteche, di altrettanti paesi calabresi delle province di Cosenza e di Crotone: San Giovanni in Fiore, Castelsilano, Caccuri, Cerenzia, Santa Severina, Savelli e Spezzano Piccolo, promuovendo la divulgazione della lettura, specie fra le classi elementari, attraverso tornei e campi scuola.
La sede è ospitata dal 7 agosto del 2003, nel Palazzo De Marco, che ospita anche la Biblioteca Comunale di San Giovanni in Fiore, costituita da circa 20.000 volumi, che ha le sezioni specialistiche riguardanti la Sila e il territorio silano in generale.
La Biblioteca Comunale ospita anche l'Archivio Storico Comunale.

Musei

Il Polo museale è il comprensorio museale comprendente il Museo Demologico dell'Economia, del Lavoro e della Storia Sociale Silana e il Museo Fotografico Saverio Marra, entrambi posti nell'ala orientale dell'Abbazia Florense.
L'importanza del Polo Museale, è confermato dal riconoscimento da parte del Ministero dei Beni Culturali, inoltre il museo fa parte del circuito regionale dei Musei Calabresi.
Presso la navatella laterale sinistra dell'Abbazia Florense si può ammirare la Sala esposizioni delle tavole del "Liber Figurarum", che ospita le rappresentazioni delle tavole iconografiche fatte da Gioacchino con le spiegazioni della terminologia delle stesse.

TURISMO

Il settore turistico è molto sviluppato; i flussi turistici fanno registrare presenze per circa 100.000 visitatori l'anno, attratti soprattutto dall'Abbazia Florense ma anche dal resto del centro storico, ritenuto uno dei più belli di tutta la Regione.
Vi è una variegata forma turistica che comprende tutto il territorio di San Giovanni in Fiore, dedicato a:

Turismo culturale, legato allo studio e alla storia di Gioacchino da Fiore;
Turismo religioso, legato al grande patrimonio ecclesiastico racchiuso nel centro storico di San Giovanni in Fiore;



Turismo naturalistico, legato al patrimonio naturale della Sila, e al neo Parco Nazionale della Sila;
Turismo sportivo, legato soprattutto agli sport invernali, ma che coinvolge sport praticabili nelle altre stagioni dell'anno, quali il trekking e la mountain bike. 


ITINERARI e LUOGHI 
(Culturali, Turistici e Storici)

San Giovanni in Fiore, che deve la sua fondazione a una Comunità Monastica, è un attivo Centro Religioso Calabrese, merito soprattutto dell'Abbazia Florense, ma anche delle altre Chiese storiche della Comunità, realizzate quando la cittadina divenne "Civica" e l'Abbazia venne affidata in commenda agli Abati.
Dopo questo avvenimento storico, il centro cittadino è stato arricchito di numerose costruzioni religiose ed è l'area urbana nella quale sono presenti i maggiori edifici di culto, alcuni dei quali concentrati in poche decine di metri del primo nucleo urbano che si sviluppò. 


L'Abbazia Florense, attorno alla quale sorse il primo nucleo abitato, è la costruzione ecclesiastica più grande, e l'unica rimasta del complesso di "Domus Religionis" organizzato e previsto dall'Abate Gioacchino da Fiore, che ne tracciò pure uno schema simbolico nella tavola XII del suo "Liber Figurarum".
L'Abbazia Florense fu fatta costruire, presso la confluenza dei fiumi Arvo e Neto, dall'Abate Matteo I, successore di Gioacchino, dopo la morte del Maestro (30 marzo 1202).
I lavori iniziarono nel 1214 e terminarono nel 1234, eseguendo le indicazioni lasciate da Gioacchino da Fiore, che voleva realizzare proprio in quel preciso luogo una Casa Religiosa per gli "Spiriti Contemplanti". 

Da qui la dedica dell'Abbazia a San Giovanni Battista, il Santo Eremita col dono della profezia e della contemplazione.
Dal Santo Patrono dell'Abbazia, il paese prese poi il suo nome, nel 1530, quando fu costituito "Casale Civico" da un editto dell'imperatore Carlo V.
Nonostante i molti rimaneggiamenti, l'Abbazia Florense conserva l'austerità dello stile Romanico.
Sulla facciata presenta un portale in stile Gotico formato da fasci di sottili colonne, con capitelli decorati da palmette e foglie, databile intorno all'anno 1220.
In corrispondenza dell'altare maggiore si trova la *Cripta che custodisce l'urna contenente le spoglie di Gioacchino da Fiore, e la nicchia sepolcrale.


Le Chiese più importanti dal punto di vista storico ed artistico si trovano tutte nel centro storico ad eccezione del Convento dei Padri Cappuccini che venne edificato fuori dall'allora contesto urbano su un colle un tempo isolato, e del Monastero dei Tre Fanciulli che sorge fuori dal paese, in località A-Patia.

La seconda Chiesa edificata dopo l'Abbazia è la Chiesa di Santa Maria delle Grazie o Chiesa Matrice del 1576 circa, opera voluta dall'Abate Commendatario Salvatore Rota, in vista dello sviluppo demografico del natio centro urbano; conserva numerosi reliquari religiosi, statue e tele


Il Convento dei Cappuccini segue a distanza di un secolo, la Chiesa Madre.
Eretto dai Frati dell'Ordine Minore della provincia nel 1636, in posizione un tempo, decentrata ed isolata.

Il Monastero dei Tre Fanciulli è l'edificio religioso più antico, esistente sul territorio comunale di San Giovanni in Fiore.
Posto al di fuori del centro urbano, in località A-Patia a circa 15 km dal centro silano, questa Chiesa, che un tempo era un Monastero, venne edificata intorno all'anno 1000.
Un tempo apparteneva al territorio comunale di Caccuri, ma dopo numerosi conflitti (anche sanguinosi) fra i Monaci Basiliani che risiedevano nel Monastero, e i Monaci Florensi dell'Abbazia, il Monastero e tutte le proprietà intestate ad esso, vennero annesse alla Sila Badiale e alle custodie dei Monaci di San Giovanni in Fiore.

L'edilizia urbana f
ino al 1700 era costituita principalmente da edilizia minuta, di case e casette popolari, e non esistevano edifici di rilevante dimensione e valore
Solo a partire dai primi anni del 1700 si cominciarono a costruire le prime abitazioni di rilievo, di famiglie facoltose o comunque di un certo rango sociale nella vita pubblica e amministrativa della città, che possedevano boschi della Sila e allevamenti.
I primi Palazzi sorsero intorno alla piazza principale, l'attuale Piazza Abate Gioacchino, ed in seguito lungo le strade principali e le aree marginali del centro storico, ma su terreni che permettevano la predisposizione di orti ad utilizzo della famiglia stessa.

I Palazzi vennero edificati in contesti urbani di rilievo, seguendo 2 disposizioni:
la prima comprende i palazzi eretti intorno a Piazza Abate Gioacchino;
la seconda comprende i palazzi dominanti il centro storico realizzati sul colle dei rioni Coschino, Catoja e Scigato

La principale caratteristica dei Palazzi Storici, è un'impronta edilizia che certamente nel passato, come in parte anche oggi, riusciva a rendere visibili e imponenti al resto del paese, i palazzi, e di conseguenza, le famiglie più prestigiose.

I primi palazzi signorili furono il Palazzo Lopez (di Piazza Abate Gioacchino) di fine 1700, il Palazzo Nicoletti e il Palazzo Romei, di metà 1700, che sorgono intorno alla piazza principale del paese.

In posizione marginale ma dominante il Centro Storico, sono Palazzo Barberio costruito tra il 1772 ed il 1783 (dichiarata dal 1995 Dimora Storica vincolata), Palazzo Benincasa, databile intorno al 1730, Palazzo Caligiuri, della seconda metà del 1700 e Palazzo De Luca, di inizio 1800.

In posizione marginale, edificati lungo le arterie principali sono Palazzo De Marco, della prima metà del 1700 e sede della Biblioteca Comunale, Palazzo Lopez, della seconda metà del 1700, che nel 1844 ha ospitato alcuni reduci della spedizione dei Fratelli Bandiera, Palazzo Oliverio, di inizio 1800.

Rappresenta un'eccezione, Palazzo Barberio Toscano (Palazzo ro' Barune), databile tra il 1735 ed il 1740, unico palazzo che può vantare il titolo nobiliare (baronale) della cittadina florense, edificato su un colle posto al di sopra di tutto il centro storico, in posizione dominante rispetto anche agli altri palazzi signorili, come evidenza dell'importanza economica e politica, che la famiglia Barberio Toscano aveva nel 1800.
E' il maggior esempio di slancio volumetrico con la conseguente visibilità dell'edificio stesso


Ponte della Cona
Il Comune di San Giovanni in Fiore, vista la sua natura montana è attraversato da numerosi ponti, la stragrande maggioranza, di piccole dimensioni, alcuni dei quali, realizzati nei pressi della Città Vecchia sono esteticamente gradevoli e di pregevole fattura.
L'unico ponte che però merita essere menzionato per pregio, caratteristiche storiche e naturali, è il “Ponte della Cona”, realizzato sul finire del 1700, con una strutta a 2 arcate con le 2 volte a pietra incastrate fra di loro e “saldate” da un leggero strato di malta a base di calce.
Un tempo, unico accesso tra il centro urbano e le prime strade di collegamento fra gli altri paesi, il ponte della Cona fu poi soppiantato dalla edificazione di nuovi passaggi viari e relativi ponti.
Si ricorda nella storia, poiché da questo passaggio transitarono i Fratelli Bandiera dopo la loro cattura. 
 

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Siti Archeologici

L'Arco Normanno del 1200 è, insieme alla vicina Abbazia Florense, il simbolo della cittadina.
Non esistono notizie certe in merito di questo singolare monumento, che si suppone potesse far parte di una serie di diversi archi realizzati lungo le mura che cingevano il complesso abbaziale e alcuni edifici utilizzati dai religiosi; tali supposizioni poggiano sul ritrovamento di resti di alcuni “ammorsamenti” nei muri vicini all'Arco Medievale.
L'Arco Normanno si presenta a forma di sesto ogivale, e sicuramente risale all'epoca in cui il Borgo Monastico era sotto la dominazione Normanna, nel 1100.
Le Mura e soprattutto gli Archi, erano stati fatti erigere intorno al Borgo Monastico, e oltre a fungere da porte d'accesso di protezione, avevano certamente anche la funzione di confini urbano extraterritoriale, oltrepassando i quali si era immuni da ogni pena inflitta dalla Corte Giudiziaria Normanna.


Nel Comune di San Giovanni in Fiore è presente il sito archeologico di Iure Vetere, luogo dove venne edificata la prima fondazione florense dall'Abate Gioacchino da Fiore.
Il sito è stato oggetto dal 2003 al 2005 di una campagna archeologica condotta dalla la Scuola Specializzata in Archeologia di Matera, in collaborazione col Comune di San Giovanni, il Centro Studi Gioachimiti e sotto la Direzione Scientifica della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Calabria e della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria.



Aree Naturali

I Laghi Silani sono una forte testimonianza della risorsa di “oro bianco” di cui il territorio comunale e l'Altopiano Silano sono ricchi.
Sul territorio di San Giovanni in Fiore sono presenti 2 laghi artificiali, costruiti nella prima metà del 1900.
In entrambi i casi solo la metà fisica dei laghi fa parte del territorio della cittadina, in quanto essi sono stati in seguito utilizzati come confine geografico per la delimitazione dei perimetri comunali.
I laghi Arvo e Ampollino sono rispettivamente il secondo ed il terzo lago per grandezza (bacino ed estensione superficiale) della regione.



La realizzazione dei laghi fu il primo vero segno di modernità per l'intero Altopiano Silano oltre che per la cittadina, soprattutto per quel che riguarda la produzione di energia idroelettrica, una risorsa che però non venne sfruttata appieno dalle amministrazioni locali che governavano in quel periodo.

Fiumi. Il territorio di San Giovanni in Fiore, come i tipici territori montani, è solcato da numerosissimi corsi d'acqua la maggioranza dei quali a carattere tipicamente torrentizio, con possibili periodi di semi-siccità in estate.
I corsi più rilevanti sono 3 (in ordine di lunghezza): fiume Neto - fiume Arvo - fiume Garga.

Il fiume Neto è il principale fiume dell'Altopiano Silano e il secondo per lunghezza e portata di tutta la Calabria. 

Solca molte vallate toccando i villaggi rurali di Germano e Serrisi, fino a raggiungere, dapprima il quartiere dell'Olivaro, e in seguito prosegue lambendo il centro storico della cittadina sul lato Est del centro abitato.
Il fiume Arvo nasce dal Monte Timpa Orichella nei pressi di Botte Donato, alimenta l'omonimo lago e attraversa la frazione di Lorica giungendo sul versante occidentale dell'abitato della cittadina in località Macchia di Lupo. Confluisce poi nel fiume Neto presso la località delle Iunture (giunzione, in italiano) divenendone uno dei principali affluenti.
Il fiume Garga è un piccolo corso d'acqua per le modeste dimensioni di lunghezza (10 km circa), ma con una portata pari ai 2 fiumi precedentemente citati, confluendo nel fiume Arvo nei pressi della località Serralonga. 


TRADIZIONI - EVENTI



San Giovanni in Fiore è un paese nel quale è profondamente radicata la cultura religiosa.

Nel mese di febbraio viene festeggiato il Carnevale con delle particolari rappresentazioni musicali dette “Frassie che riproducono sotto forma satirica un quadro degli avvenimenti più eclatanti del paese.

Nei mesi estivi si susseguono Festività Religiose: Madonna della Sanità, San Francesco di Paola, Corpus Domini, Sant'Antonio, San Giovanni Battista (protettore della cittadina), Madonna del Carmine e San Domenico.
In agosto si allestiscono 2 fiere: la “Fiera” tradizionale annuale, che attira visitatori di tutte le zone limitrofe, legata alla ricorrenza delle festività di San Giovanni Decollato e la Fiera Florense che si svolge nei vicoli del centro storico.

Durante le Festività Natalizie, vengono annoverate le antiche tradizioni:
U zugghi, un canto popolare augurale che viene cantato davanti agli uscì degli amici e delle persone care, fino a quando non si è invitati ad entrare, per ricevere l'offerta (spesso una cena) facendo festa insieme ai commensali;
le Focere, falò rionali che vengono accesi la Notte di Natale; tradizione accendere la focera, con l'intento di creare quel calore di cui nella leggenda popolare tanto aveva bisogno Gesù Bambino.



Il costume tradizionale di San Giovanni in Fiore è "ù ritùartu", indossato dalla donna, che assume il nome di "Pacchiana" che sono stati oggetto di studi e di interesse da parte di antropologi ed etimologi.
Non vi è un abito maschile locale, ma indumenti tipici come il manto (mantello) e le calandrelle (tipici calzari).



COME RAGGIUNGERE San Giovanni in Fiore

Con i Trasporti Pubblici


San Giovanni in Fiore è dotata di una strada ferrata, quasi totalmente dismessa.
La linea è la Ferrovia Cosenza-Camigliatello-San Giovanni in Fiore, inaugurata nel 1956.
La tratta fa parte di un vecchio progetto promosso all'inizio del secolo scorso, che prevedeva la realizzazione di una linea Trans-Silana che collegasse le città di Cosenza e di Crotone, attraversando tutto l'Altopiano della Sila, con locomotori elettrificati.
Il progetto non fu mai portato a conclusione, anzi, venne più volte ridimensionato.
La tratta Crotone-Petilia Policastro infatti fu realizzata a scartamento ridotto, e non venne completato il tratto San Giovanni in Fiore-Petilia Policastro.


In Treno

3 sono le Stazioni Ferroviarie ricadenti nel territorio comunale di San Giovanni in Fiore:

Stazione di San Giovanni in Fiore
Stazione di Torre Garga
Stazione di Vallepiccola



In Autobus


In Automobile 

Le Principali arterie che attraversano San Giovanni in Fiore sono:

Strada Statale 107 Silana Crotonese (Paola ↔ Cosenza ↔ Crotone)
Strada Statale 108 Silana di Cariati (nella diramazione che da Colosimi ↔ porta a Torre Garga frazione di San Giovanni in Fiore)
  


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