Tortora (Tùrturi in calabrese) è un comune italiano della Provincia di Cosenza in Calabria. Il suo territorio, prevalentemente collinare, è incluso in gran parte nel Parco Nazionale del Pollino; confina sul versante Nord con la Basilicata. È il Comune più a Nord del Litorale Tirrenico Calabrese.
Seguendo il vecchio tracciato della Statale 18 Tirrena Inferiore, giunti al Lido di Tortora, si gira a destra, sovrapassando la linea ferroviaria e attraversando la nuova Statale; poco dopo si devia a destra in una strada che sale gradatamente, con belle viste, risalendo la Fiumarella di Tortora, conducendoci a Tortora in 8,6 km, cittadina di antica origine, molto interessante per l'aspetto pittoresco e per il patrimonio artistico, sui primi contrafforti del Massiccio Pollino, abbarbicato ad una rupe calcarea a strapiombo, sulla sinistra del torrente, che ne
fa una balconata con vista sul mare del golfo di Palinuro; confinante
con la Basilicata.
Sono i primi giorni estivi, i bambini che si rincorrono appresso alla palla e girano con la biciclettina attorno alla piccola fontana al centro della Piazza Plebiscito sotto lo sguardo materno della Chiesa di San Pietro Apostolo nel centro storico di Tortora, tutto il giorno, con la sola pausa dei pasti, come nei tempi andati facevamo anche noi che non avevamo play station e televisione invasiva; e la giovane donna che, rientrata dopo aver fatto la spesa, canta e fischietta svolgendo le faccende di casa.
GENIUS LOCI (Spirito del Luogo - Identità materiale e immateriale)
Luogo ricco di storia, cultura e tradizioni, Centro Lucano e poi Greco-Romano, invaso da Enotri e Longobardi, come tutti i paesi del Meridione e della Calabria, ha sofferto lunghi periodi di pestilenze e di morte, è passata di mano e di proprietà di 5 famiglie feudatarie. Ma è anche la città di Blanda ricca di testimonianze artistiche, visibili al Museo posto nel centro storico e visitando gli scavi archeologici. Oggi è un luogo di pace e serenità, atmosfere intime e di calore umano, le stesse che attirarono le decine di Monaci Basiliani prima dell'anno 1000. Si
cammina nel Centro Storico della «Carrola»in un silenzio ovattato, incontrando solo qualche gatto,
nell'attesa dell'apparizione improvvisa dell'eroe col poncho sul suo
cavallo bianco, mentre una donna tolto il «maccatùro» che tiene ripiegato sulla testa, lo lanci in aria al grido di «Viva Gallibardo». la «Carrola», una colata di edifici che finisce all’isola arroccata su uno sperone di roccia, su cui gli edifici giustapposti come acini
intorno al raspo, come a stringersi per reggersi l'una all'altra,
strette strette per non scivolare giù dalla rupe; la vista, di tetto in
tetto, corre alla ricerca del campanile e della Chiesa che sbucano tra i
tetti al centro del paese. Il suo territorio prevalentemente Collinare/Montano, incluso nel Parco Nazionale del Pollino, ha il suo Centro Storico più antico appollaiato su una rupe come una rocca, con vista a 360 gradi fin sulla Costa e sui Monti dalle cime arrotondate e dai verdi fianchi, che la circondano.
ORIGINE del NOME
(Toponomastica)
Menzionato nell'anno 1326«Omnes clerici Turturi», il toponimo, in dialetto «tùrtura»,riflette il latino «turtur», -ure, ossia "tortora", in Calabrese «tùrtura», e si confronta con Tòrtore, in dialetto «tùrturi», contrada di San Luca (RC), menzionato nell'anno 900 «xαστελλìoν Touρtoùρωv» "castello delle tortore".
Lo Stemma Comunaleraffigura 3 Monti con una Tortora.
TERRITORIO (Topografia e Urbanistica)
Luogo
ricco di storia, cultura e tradizioni, con il suo territorio che si
estende fino alla marina, è uno dei comuni più estesi
della Provincia Cosentina. Territorio ricco di sorgenti e corsi d’acqua
- il Fiume Noce che separa Tortora dalla Basilicata e la Fiumarella di Tortora - i maggiori. Il suo territorio prevalentemente Collinare/Montano è incluso in gran parte nel Parco Nazionale del Pollino.
Il Comune di Tortora ha un territorio prevalentemente collinare/montuoso di natura Calcarea ed è ricco di corsi d'acqua. E' diviso in tre realtà Antropiche: il Centro Storico che conta circa 550 abitanti, le frazioni Montane con circa 550 e la Marina con circa 4.900 abitanti. Il Lido di Tortora si unisce a Praja a Mare con la quale, senza soluzione di continuità forma una vasta area antropizzata fittamente cementificata che crea una quinta a separazione del mare dalla poca campagna rimasta alle loro spalle.
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ITINERARI e LUOGHI (Culturali, Turistici e Storici)
Nella zona sorgeva probabilmente il Centro Lucano e poi Greco-Romano di Blanda.
Resti di Mura e di Necropoli, sono venuti alla luce nella Valle del Torrente Fiumicello, a 4-5 km, a Nord-Est. Nella parte alta detta «Iulita», si trovano la Chiesa e il Chiostro quattrocentesco del Convento dei Francescani, la cui Chiesa conserva alcune tele dell'estremo manierismo meridionale, dei primi decenni del 1600. Da qui è visibile la parte bassa del Centro Storico, detta «Carrola», una sorta di Castrum, un’isola arroccata su uno sperone di roccia, su cui l'abitato presenta edifici giustapposti come acini
intorno al raspo, come a stringersi per reggersi l'una all'altra,
strette strette per non scivolare giù dalla rupe; la vista, di tetto in
tetto, corre alla ricerca dell'immancabile campanile che sbuca tra i
tetti al centro del paese. Il Centro Storico è costituito di un primo nucleo al quale si accede passando sotto una porta ad arco con cui si prosegue sul Corso Garibaldi, una strada carrabile dalla carreggiata così stretta che impone il passo d'uomo nel rischio d'incrociare un'altra auto in senso inverso che costringe a brusca frenata con relativa manovra; in leggera discesa si rastrema sempre più e, poco prima di risalire al Centro Storico arroccato, in un piccolo slargo denominato Piazza Dante Alighieri, si incontra sulla destra la Chiesetta del Purgatorio con notevole Portale, rozzo lavoro Romanico, con riflessi Moreschi e Bizantini. Da qui si prosegue fino a raggiungere una breve salitella che porta al gran muraglione grigio del Palazzo feudale Casapesenna, con pittoresco cortile e loggiati con torri, sede del Museo Archeologicodi Tortora, e che chiude a difesa del secondo nucleo del Centro Storico al quale si accede attraverso la porta d'ingresso dall'alto fornice. Qui comincia un'area molto pittoresca che conserva antichi edifici che diventano museo a cielo aperto; dato il reticolo di strade strette, è obbligatoriamente pedonalizzato, il che offre un silenzio irreale, rotto solo dalle grida giocose dei bambini e dai rintocchi delle campane del campaniletto della Chiesa di San Pietro, in Piazza Plebiscito, che battono i quarti le mezze e le ore; è la Parrocchiale in cui, in un ambiente attiguo sono: 3 Pergamene con bolli, di cui una datata 1578; la fronte di un Sarcofago marmoreo di Arte Paleocristiana; Colonne e resti marmorei, probabilmente provenienti da Blanda ed Oreficerie Sacre del 1600. La Chiesa dell'Annunziata, in Piazza Monastero, parte del Convento dei Frati Francescani Osservanti, finito di costruire nel 1628.
Dalla Piazza della Parrocchiale, si continua il Corso Garibaldi, lungo il percorso segnato da stazioni con targhe che ricordano il passaggio dell'«eroe per un sogno» il 3 settembre del 1860 ospite della famiglia Lo Monaco di Ajeta, durante la conquista del Meridione d'Italia. Nelle poche centinaia di metri del percorso di poco più di 2 metri di larghezza, tra la Porta e il Palazzo Lomonaco, in cui fu ospite Garibaldi nel 1860, con un bel Portale Settecentesco sul muro di cinta che, attraverso una porta ad arco, fa accedere ad un cortiletto su cui affaccia una loggetta con 3 archetti. Si cammina nel silenzio ovattato, incontrando solo qualche gatto, nell'attesa dell'apparizione improvvisa dell'eroe col poncho sul suo cavallo bianco, mentre una donna tolto il «maccatùro» che tiene ripiegato sulla testa, lo lanci in aaria al grido di «Viva Gallibardo». Per le stradine del Centro Storico di Tortora si incontrano pregevoli Portali Litici, che ornano gli antichi Palazzi.
LUOGHI DELLA CULTURA (Musei e Biblioteche)
Nel Centro Storico dal 10 maggio 2008 si trova la Biblioteca Comunale.
Museo di Blanda, ubicato nel Centro Storico del paese, in Corso Giuseppe Garibaldi 257, costituisce l'evoluzione della mostra permanente «Archeologia per Tortora: frammenti dal passato». Inaugurato nel 2014, è concepito per raccontare la storia dell’antica area popolata a Sud del corso terminale del fiume Noce, attraverso l’esposizione dei reperti rinvenuti nei molti siti oggetto di scavi e ricerche e con l’ausilio di un corredo informativo Multimediale. Conserva al suo interno i reperti provenienti dagli Scavi della Necropoli di San Brancato della antica Città Italica di Blanda.
DIALETTO
Il Dialetto Tortorese fa parte dei Dialetti Meridionali Napoletani. Ha termini di origine antichissima, anche se prevalentemente è composto da vocaboli di origine latina. Come la maggior parte dei Dialetti Meridionali ha inglobato nel corso dei secoli termini provenienti da tutte le lingue con cui è venuto in contatto: Arabo, Greco, Francese, Goto, Latino, Longobardo e Spagnolo.
STORIA
Preistoria Il territorio Tortorese ha visto la presenza dell'uomo fin dagli albori della storia umana. Nella località Rosaneto è stato trovato un giacimento Preistorico all'aperto risalente al Paleolitico Inferiore datato a circa 150.000 anni fa, uno dei più antichi siti preistorici italiani. In questo sito sono stati rinvenuti un migliaio di Strumenti Litici (utensili in pietra lavorata), tra i quali 140 Chopper (si intende un tipo di utensile usato dai primi Ominidi tra la fine del Terziario e l'inizio del Quaternario. La prima specie del genere Homo in grado di fabbricare questi strumenti fu Homo Habilis, circa 2 milioni di anni fa. Un Ciottolo, generalmente di Selce, viene scheggiato su una sola faccia da un altro ciottolo che funge da percussore, con un colpo perpendicolare alla superficie. Si crea così un utensile dal bordo tagliente, che rappresenta uno dei primi prodotti dell'industria umana. Il chopper veniva probabilmente utilizzato impugnandolo nel palmo della mano per colpire oppure usato come strumento da taglio per aprire un osso e nutrirsi di midollo oppure per tagliare la pelle degli animali), 67 Amigdale (termine usato in archeologia per descrivere alcuni tipi di bifacciale, generalmente rocce composte da selce, ossidiana e quarzite, unite ad altre pietre più dure, scolpite a forma di mandorla e usate per azioni giornaliere compiute dagli uomini primitivi; il primo ad utilizzare questo genere di strumenti fu presumibilmente l'Homo Erectus nel periodo Paleolitico) ed alcuni Hachereaux (strumento di pietra di cava tipico dell'antica Preistoria, in particolare quella di Acheuleana). La presenza umana sul territorio è continuata anche nei millenni a seguire come dimostrano gli Scavi avvenuti ai piedi della Falesia Calcarea di Torrenave. Negli strati inferiori degli scavi sono stati recuperati Strumenti Litici prodotti dall'uomo di Neanderthal nel Paleolitico Medio, mentre in quelli superiori compaiono gli strumenti tipici dell'Homo Sapiens Sapiens (Paleolitico Superiore). Nella Grotta della Fiumarella sono riemerse Ceramiche incise dell'Età del Bronzo dall'Eneolitico fino al Bronzo medio.
Blanda I primi Segni di Civiltà risalgono al Popolo degli Enotri, che dimorò sul territorio fino dal VI secolo a.C. al IV secolo a.C., provenienti probabilmente dal Vallo di Diano; la loro presenza sul territorio è stata accertata dal ritrovamento di 38 Tombe con Corredi Funerari Enotri, da una Stele Litica (pietra lavorata) e da un piccolo Centro Abitato. In seguito, agli Enotri si sostituì, apparentemente senza scontri bellici, il forte Popolo Italico dei Lucani, che nel comune di Tortora sul Colle Palecastro ampliarono e fortificarono il Centro Abitato di origine Enotria di Blanda. Intorno al IV secolo a.C. i Lucani erano i Signori incontrastati del Territorio che si estendeva fino alle Rive del Fiume Lao a Sud dell'odierna Scalea. Come riportato dallo Storico Romano Tito Livio, Blanda fu espugnata nel 214 a.C. dal Console Romano Quinto Fabio Massimo, per essersi schierata con Annibale nella Seconda Guerra Punica. Da quanto riportato da Tito Livio, si può dedurre che Blanda dovesse essere un Centro Lucano di primaria importanza. Dopo la Conquista Romana, Blanda visse, per oltre 150 anni, una vita stentata fino alla metà del I secolo a.C., quando divenne un Centro Amministrativo Romano ed assunse il nome di Blanda Julia in onore di Gaio Giulio Cesare. La vita di Blanda continuò ad essere tranquilla fino alla metà del II secolo, quando iniziò una lenta ma continua decadenza. Durante i primi secoli del Cristianesimo, Blanda fu Sede Vescovile, e in questo periodo fu edificata la Chiesa Paleocristiana in località «Pianogrande»: Chiesa a pianta centrale con ingresso ad Ovest e 3 absidi, circondata da sepolture, databile tra il VI e il VII secolo. Nel 592 Blanda subì un'incursione Longobarda, e la Sede Episcopale dovette essere ripristinata dal Vescovo Felice di Agropoli, su preciso mandato di Papa Gregorio I. Nel 601 fu Vescovo di Blanda un certo Romano, come attestato dalla sua presenza al Sinodo Romano del 649. Nell'VIII secolo Blanda passò in mano ai Longobardi. Un altro Sinodo indetto da Papa Zaccaria nel 743 fu sottoscritto da «Gaudiosus Blandarum Episcopus». A partire dal IX secolo Blanda, sottoposta a continue incursioni e saccheggi da parte dei predoni Saraceni, fu definitivamente abbandonata. Alcuni dei suoi abitanti si rifugiarono nell'entroterra e fondarono, su uno Sperone Roccioso, il primo nucleo di Tortora, chiamato, in onore dell'antica città, Julitta. Oggi i ritrovamenti dell'antica città di Blanda possono essere ammirati presso il nuovo Museo di Blanda, nella sezione «Archeologia per Tortora: frammenti dal passato», sita a Tortora Centro Storico.
Medioevo Tra gli anni 700 e 900 a Tortora, come nel resto della Calabria, in seguito all'Editto di Leone III l'Isaurico (Imperatore d'Oriente), che propugnava l'Iconoclastia e la Conquista Araba della Siria e dell'Egitto, giunsero decine di Monaci Basiliani provenienti dalla Cappadocia, dal Peloponneso, dalla Palestina e dalla Siria, che qui venivano per estraniarsi dal mondo e vivere in pienezza il contatto con Dio. E proprio in queste terre, scarsamente popolate, trovarono luoghi idonei al loro culto, dove edificarono decine di piccole Cappelle e LaureEremitiche Basiliane(la Laura (Greco: Λαύρα; Cirillico: Ла́вра, traslitterato: lavra) è, nel Cristianesimo Orientale, un Insediamento Monastico di dimensioni ridotte. In origine, indicava un agglomerato di Celle o di Grotte di Monaci, con una Chiesa e, alle volte, un Refettorio nel mezzo. Si distingueva da un lato dagli Eremi degli Eremiti, la cui vita non prevedeva momenti passati con altri Monaci, dall'altro dai Cenobi dei Cenobiti, nei quali la vita era tutta in Comunità. Il vocabolo ha origini greche e significa "cammino stretto", "gola"), che ancora oggi a 1000 anni di distanza, danno il nome alle località in cui furono edificate: Caritàti (Carità), Chijericalài, Sant'Elia, Sànta Gàda (Santa Ada), Sàntu Lèu (San Leo), Sàntu Linàrdu (San Leonardo), Sàntu Micìelu (San Michele), Sàntu Nicòla (San Nicola), Sàntu Pàulu (San Paolo), Sàntu Pìetru (San Pietro), Sàntu Prancàtu (San Brancato), Sàntu Quarànta (Santi Quaranta Martiri), Sàntu Sàgu (San Saba) e Sàntu Stèfanu (Santo Stefano). A partire dai primi anni del secondo millennio il piccolo Borgo di Julitta iniziò una lenta espansione ed assunse il nome di Tortora, dal volatile omonimo che in quel periodo abbondava nei boschi adiacenti. Nella Bolla del 1079, con cui Benedetto Alfano, Arcivescovo di Salerno, consacrò Vescovo di Policastro, Pietro Pappacarbone, compare per la prima volta nella Storia Religiosa il nome di "Turtura" accanto a quelli di Agrimonte (Agromonte di Latronico), Arriusu, Abbatemarcu (antico paese sito nel Comune di Santa Maria del Cedro), Avena (Avena di Papasidero), Camerota, Caselle (Caselle in Pittari), Castrocuccu (Castrocucco di Maratea), Didascalea (Scalea), Lacumnigrum (Lagonegro), Laeta (Ajeta), Languenum (Laino), Latronucum (Latronico), Mandelmo, Marathia (Maratea), Mercuri (Mercurion), Portum (Sapri), Regione, Revella (Rivello), Rotunda (Rotonda), S. Athanasium, Seleuci (Seluci di Lauria), Trosolinum, Turraca (Torraca), Turturella (Tortorella), Triclina (Trecchina), Uria (Lauria), Ursimarcu (Orsomarso) e Vimanellum (Viggianello), che facevano parte della Diocesi di Policastro, oggi Policastro Bussentino (frazione di Santa Marina). Tra i primi Signori di Tortora ci furono i Cifone, che la tennero fino al 1284. Dal 1284 al 1496 Tortora appartenne ai Lauria, di cui il personaggio più rappresentativo fu l'Ammiraglio Ruggero di Lauria; nel 1496 Ferdinando II d'Aragona la donò a Giovanni De Montibus. In seguito passò ai Martirano, poi agli Ossonia nel 1565, agli Exarques nel 1602, ai Ravaschieri nel 1692. Dal 1707 al 1821 i Signori di Tortora furono i Vitale.
Età Moderna Tra il 1500 ed il 1600 Tortora conobbe grandi epidemie, fra cui la terribile Peste di Colera del 1656 che dimezzò la popolazione; nel 1770 per
epidemia perirono 136 persone, nel 1778 morirono per il vaiolo 60
persone, nel 1794 da aprile a giugno morirono 77 bambini tra gli uno ed i
dieci anni. Epidemie e Colera falciarono vittime anche nel 1802, 1804, 1837 e 1849. Il problema delle morti di massa fu definitivamente risolto nel 1866, quando furono abolite le Risaie nei territori di Tortora ed Ajeta. Il 13 dicembre 1806 giunsero a Tortora le Truppe Francesi del Re Giuseppe Bonaparte,
le stesse che avevano devastato Lagonegro e Lauria, ma diversamente da
altre popolazioni i Tortoresi, per evitare devastazioni e saccheggi, non
opposero resistenza all'Invasore Francese, che risparmiò per questo la
vita dei cittadini e non operò razzie; lasciata Tortora le Milizie si
diressero verso la vicina Aieta, che era stata abbandonata dai suoi
abitanti. Il 3 settembre del 1860 a Tortora sostò Giuseppe Garibaldi insieme ai suoi generali Agostino Bertani, Nino Bixio, Enrico Cosenz e Giacomo Medici, ospiti della Famiglia Lo Monaco Melazzi, durante la conquista del Meridione d'Italia. In questa occasione Garibaldi nominò il Tortorese Don Biagio Maceri, Capitano della Guardia Nazionale. Nel 1928, con R.D. 29 marzo e con Decreto Prefettizio del 16 aprile il Comune di Tortora,
dopo una plurisecolare esistenza autonoma, venne soppresso ed
accorpato, insieme al Comune di Ajeta, al nuovo comune di Praja a Mare,
che fino a quel momento era stata frazione di Ajeta. Nel 1937 riacquistò in data 18 luglio la propria autonomia.
SANTO PATRONO E PROTETTORE
Patrono: Biagio di Sebaste, noto come San Biagio (Santo Biasio in alcune varietà dialettali) (Sebastea, III secolo - Sebastea, 3 febbraio 316), è stato un Vescovo e Santo Armeno, venerato come Santo dalla Chiesa Cattolica (Vescovo e Martire) e dalla Chiesa Ortodossa.Vissuto a Sebaste
(ora Sivas, in Turchia), da non confondere con la Sebaste della
Samaria, era allora un’importante città dell’Armenia minore, in Armenia
(Asia Minore), era Medico e Filosofo prima di venire nominato Vescovo della sua Città.
A causa della sua Fede venne imprigionato dai Romani, durante il Processo rifiutò di rinnegare la Fede Cristiana; per punizione fu straziato con Verghe e Pettini di Ferro
(questo è il motivo per cui nella mano regge, assieme al Pastorale,
anche un Pettine Uncinato), che si usano per cardare la lana e morì decapitato, ma prima di morire pregò il Signore di concedere la salute a chiunque lo invocasse per un’infermità; da qui la sua fama di Taumaturgo, ed uno dei 14 “Santi Ausiliatori”.
San Biagio, quindi, muore Martire 3 anni dopo la concessione della Libertà di Culto nell'Impero Romano (313).
Una
motivazione plausibile sul suo Martirio può essere trovata nel dissidio
tra Costantino I e Licinio, i 2 Imperatori-Cognati (314), che portò a
persecuzioni locali, con distruzione di Chiese, condanne ai lavori
forzati per i Cristiani e condanne a morte per i Vescovi.
Pochissimo di certo si sa sulla vita del Santo.
Le poche storie sulla biografia dell'Armeno sono state tramandate prima oralmente e poi raccolte in agiografie.
Tra le tradizioni si ricordano:
A San Biagio sono stati attribuiti diversi Miracoli, tra cui il salvataggio di un bambino che stava soffocando dopo aver ingerito una lisca di pesce.
Nella Basilica di San Biagio a Maratea, alla destra della Regia Cappella dedicata al Santo, vi è la palla di ferro sparata dai cannoni francesi durante l'assedio del dicembre 1806; su questa palla di ferro, inesplosa, sono ben visibili delle impronte che, secondo la tradizione, sarebbero le dita della mano destra di San Biagio.
In Albania, a Durazzo nel Monastero di San Biagio (Albanese: Shen Avlash), durante la prima metà del 1900, secondo migliaia di testimoni, vi sarebbe avvenuto il miracolo di una roccia dalla quale sgorgava Olio con effetti Curativi per i Credenti.
Tale Monastero è tutt'ora meta di Pellegrinaggio da parte di numerosi Fedeli Albanesi sia Musulmani che Cristiani.
In Campania è usanza fare l'unzione della gola, e c'è un detto dialettale antico che dice: «San Bias, vierno mo tras» (A San Biagio l'inverno se ne và).
«Il barbato / il frecciato / il mitrato / il freddo è andato», quest'altro
noto Proverbio Stagionale allude ai più importanti Santi dell’inverno,
intendendo con il Barbato Sant’Antonio Abate (17 gennaio), col Frecciato
San Sebastiano (20 gennaio) e col Mitrato il Vescovo San Biagio (3
febbraio).
Nei primi giorni di Febbraio, in effetti, si ha la sensazione che la natura cominci a risvegliarsi
e, al tiepido sole quasi primaverile, sbocciano i primi fiori. Il
passaggio dall’inverno alla primavera era contrassegnato nei tempi
antichi da Cerimonie di Purificazione degli uomini, degli animali e dei
campi. Basti pensare che lo stesso termine “Febbraio” deriva dal latino
“februare” che significa “purificare” o “espiare”.
La Festa di San Biagio ha ereditato in parte questa funzione, condivisa con quella della Candelora (2 febbraio).
Fino a non molto tempo fa in diversi paesi il 3 febbraio si portavano in Chiesa Chicchi di Cereali che, dopo essere stati Benedetti, venivano mescolati a quelli della Semina per propiziare un abbondante raccolto.
I Fedeli si rivolgono a San Biagio nella sua qualità di Medico, in particolare per la guarigione dalle malattie della gola: è tra i 14 Santi Ausiliatori (sono Santi invocati dal Popolo Cristiano in casi di particolari necessità, generalmente per guarire da particolari malattie).
Durante la sua Celebrazione Liturgica, in molte Chiese, i Sacerdoti benedicono le gole dei Fedeli accostando ad esse 2 candele; per questo è anche Patrono degli specialisti Otorinolaringoiatri.È Protettore di Materassai e Cardatori di lana per via della somiglianza degli strumenti del loro lavoro con quelli della sua Tortura.
È ricordato pure come Protettore degli Animali perché
nell’ultima parte della sua vita, mentre viveva da Eremita in una
Grotta, gli uccelli e altri animali erano soliti portargli il cibo e
ogni sera si radunavano davanti a lui per essere Benedetti.
Questa
sua permanenza nella Grotta, va intesa non come paura della morte, cui
prima o poi sarebbe andato incontro, ma perché doveva guidare da lì i
suoi Fedeli durante la Persecuzione Liciniana.
In mancanza di un Santo Patrono a loro dedicato, a cavallo tra il 2013 e il 2014 alcune équipe d'animazione l'hanno eletto a protettore, indicandolo come Patrono degli Animatori.
Santo Protettore: Antonio di Padovanoto in Portogallo come Antonio da Lisbona (in portoghese António de Lisboa), al secolo Fernando Martins de Bulhões, e chiamato in vita Antonio da Forlì, (Lisbona, 15 agosto 1195 - Padova, 13 giugno 1231), è stato un religioso e presbitero portoghese appartenente all'Ordine francescano, proclamato Santo da Papa Gregorio IX nel 1232 e dichiarato dottore della Chiesa nel 1946.
Da principio canonico regolare a Coimbra dal 1210, poi dal 1220 frate francescano.
Viaggiò molto, vivendo prima in Portogallo quindi in Italia e in Francia.
Nel 1221 si recò al Capitolo Generale ad Assisi, dove vide e ascoltò di persona san Francesco d'Assisi.
Terminato il capitolo, Antonio fu inviato a Montepaolo di Dovadola, nei pressi di Forlì.
Fu dotato di grande umiltà, ma anche di grande sapienza e cultura, per le sue valenti doti di predicatore, mostrate per la prima volta proprio a Forlì nel 1222.
Antonio fu incaricato dell'insegnamento della teologia e inviato dallo stesso San Francesco a contrastare in Francia la diffusione del movimento dei Catari, che la Chiesa di Roma giudicava eretico.
Fu poi trasferito a Bologna e quindi a Padova.
Morì all'età di 36 anni.
Rapidamente canonizzato (in meno di 1 anno) il suo culto è fra i più diffusi del cattolicesimo.
Sebbene "il Santo" venga comunemente chiamato "Sant'Antonio da Padova", questa denominazione non indica la sua originaria provenienza poiché egli era nato e cresciuto in Portogallo.
Il suo nome viene affiancato alla città di Padova perché qui ha avuto luogo la sua attività più significativa.
Tra l'altro è usanza che i frati prendano il nome di provenienza dal convento a cui appartengono, quindi in questo senso è corretto riferirsi a Sant'Antonio di Padova (nel senso di appartenenza) ma non da Padova.
Soltanto in Portogallo egli è chiamato comunemente Santo António de Lisboa, ovvero "Sant'Antonio da Lisbona", sua città natale.
La Chiesa, nella persona del Papa Gregorio IX, in considerazione della mole di miracoli attribuitagli, lo canonizzò dopo solo un anno dalla morte.
Pio XII, che nel 1946 ha innalzato Sant'Antonio tra i Dottori della Chiesa Cattolica, gli ha conferito il titolo di Doctor Evangelicus, in quanto nei suoi scritti e nelle prediche che ci sono giunte era solito sostenere le sue affermazioni con citazioni del Vangelo.
Sant'Antonio di Padova è festeggiato dalla Chiesa Cattolica il 13 giugno; è patrono del Portogallo, del Brasile e della Custodia di Terra Santa e di numerose città. (clicca qui per altre notizie)
PRODOTTI DEL BORGO
Nel 1500 e 1600 tra le attività principalmente diffuse nella Marina di Tortora erano la coltura del Baco da Seta e della Canna da Zucchero. Capucùoddu (Capicollo) - Zazìcchju (Salsiccia) - Zuprisséata (Soppressata) - Gliommarìeddi e trìppa (Budello di agnello o capretto arrotolato sulle interiora) - Ricòtta di làtti créapa (Ricotta di latte di capra)
ZAFARANA il PRODOTTO TIPICO DI TORTORA
Il Peperone Rosso Dolce la «Zafarana», è il prodotto tipico per eccellenza, usato,in molte delle preparazioni gastronomiche tortoresi.
Zafarana è il nome che i tortoresi danno ai peperoni dolci fatti passare per un filo (nzérta) ed essiccati al sole, in onore del quale, da qualche anno si celebra Zafarana Fest, evento cultural-gastronomico una
festa organizzata dall'omonima associazione che ha avuto il pregio di
attirare l'attenzione accrescendo l'interesse e promuovendo il
riconoscimento di prodotto tipico geografico e presidio Slow Food.
Da ottobre 2017 il marchio è stato registrato presso il MISE (Ministero dello Sviluppo Economico)
I
piatti tipici rigorosamente a base di Zafarana, sono pietanze di un
tempo, figlie di una cucina semplice in cui la Zafarana, sia intera che
in polvere, era usata quotidianamente per la preparazione di ricette
deliziose: pasta e fagioli e «Zafarana pisata» in cui il peperone dolce
viene usato tritato, fritto "Pongia" melanzane peperone dolce origano e
pomodori, con le Patate “patate e zafarana”, «Zafarani riddi» secchi
fatti gonfiare nell’olio bollente. E poi i dolci, con la Crostata di Marmellatadi “Zafarani”.
La zafarana è
un peperone che appartiene alla famiglia delle solanacee. La sua
origine è lontana: come tutta la famiglia dei peperoni, arriva dal
Brasile ed è giunta da noi dopo la scoperta dell’America. Le
regioni dove abitualmente si coltiva maggiormente sono la Calabria, la
Basilicata, la Sicilia, la Puglia, la Campania e il Lazio. Il termine «Zafarana» deriva dal Latino«Safranum» o dall’Arabo«Zafran» ed è
utilizzato soprattutto nell’area calabro-lucana, dove se ne coltivano
varie tipologie: grossa, da arrostire sulla brace; rotonda, adatta alla
farcitura; a “corno di capra”, come quella diffusa a Tortora, specifica
per l’essiccatura, a cui vengono sottoposte le cosiddette «nzerte».
ITINERARI DEL GUSTO nella CUCINA DEL BORGO
Primi
Fusìddi (fusilli fatti in casa arrotolando la sfoglia con dei
ferretti), Fusìddi cu lu sùcu di créapa (Fusilli al sugo di capra) Làgani e fasùli (Tagliatelle e fagioli) Pìtta cu la pummadòra (Focaccia con pomodoro ed origano)
Secondi Frittéata di gramuddìni (Frittata di cime di vidara) Frittéata di spàgari (Frittata di asparagi) Purpetti di Cornalivéaru (Polpette di carnevale) Zazìcchju di trìppa e fasùli (Salsiccia di trippa e fagioli) Dolci Rispèddi (impasto di farina a lenta lievitazione poi fritto e ripieno di alici) Rispèddi e mèli (Crespelle e miele) Pucciddéatu (dolce Pasquali di forme rituali, a base di farina a lenta lievitazione, zucchero, sugna e uova) Cannarìculi (dolci Natalizi di gnocchetti di pasta fritta e ammielati)
COME SI RAGGIUNGE Tortora
Strade
Le principali arterie per il comune di Tortora sono:
L'Autostrada A3 uscita di Lauria a 15 km Strada Statale 18Tirrena Inferiore (vecchio e nuovo tracciato) che collega Tortora a nord con la Basilicata ed a sud con la costa tirrenica della Calabria, dal quale si stacca la via Blanda.
Ferrovie
Lo scalo ferroviario di Tortora è lo scalo delle (Ferrovie dello Stato) Praja-Ajeta-Tortora ubicato in Praja a Mare a 2 km dal Lido di Tortora e a 8,3 km (16 minuti) dal centro storico di Tortora.
Questo è stato il mezzo scelto da me per raggiungere Tortora da
Roma con un viaggio che, con partenza alle 23.03 dalla stazione
Tiburtina, mi ha portato a Sapri con un Intercity notturno a Sapri € 12 più € 1,80 per il regionale fino alla stazione di Praja. Il ritorno mi è costato solo € 36,50 (per un totale di € 50.3).
Un'unica avvertenza, lo sportello della biglietteria della stazione di
Praja lo troverete chiuso, nonostante ci sia un foglio di carta con su
scritti degli improbabili orari di apertura, pertanto, sarete
autorizzati a fare il biglietto sul treno senza sovrattassa; basterà che
facciate presente al controllore la stazione di partenza e, assieme al
vostro biglietto, riceverete un sorriso e un'alzata di sopracciglia che
dice tutto.
Grand architetTour - Questo libro appartiene al progetto dei "FotoViaggi nell'Italia delle Architetture e dei Paesaggi Culturali" col quale documento e mostro la stratificazione di architetture passate e presenti, paesaggi urbani ed antropizzati, su territori vissuti e trasformati.
Territori e luoghi italiani, sconosciuti e spesso dimenticati.
Si compone di 50 fotografie in bianco e nero dedicate alle architetture e ai paesaggi culturali di Tortora, primo paese a nord della Calabria, in provincia di Cosenza, sulla costa tirrenica.
Ai piedi del Pollino, abbarbicato ad una rupe calcarea a strapiombo che ne fa una balconata con vista sul mare del golfo di Palinuro. al confine con la Basilicata.
Luogo ricco di storia, cultura e tradizioni, con il suo territorio che si estende, a 6,2 Km di curve, fino alla marina è uno dei comuni più estesi della provincia cosentina.
Pubblicato: 4 agosto 2019
Pagine: 66
Rilegatura: Copertina morbida con rilegatura termica
Un Taccuino d'Artista dedicato al centro storico del piccolo paese di Tortora. Tortora è il primo comune della Calabria nord occidentale che si affaccia sul Mar Tirreno, al confine con la Basilicata, nel Parco nazionale del Pollino.
Contiene un racconto per immagini speculari fotografiche in bianco e nero e foto-acquerelli, accompagnato da un breve diario di visita, e una breve guida per la visita; completato da informazioni utili su come raggiungerlo, i piatti tipici, dove mangiare e dormire.
Pubblicato: 16 Ottobre 2016
Pagine: 196
Copertina: Copertina morbida con rilegatura termica
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