Penso ad Amatrice che fu mentre fumo la pipa che mi donò, quarant'anni fa, un anziano amatriciano cui la raccolsi mentre salivo sulla corriera dell'Acotral che mi riportava a Roma dopo una delle mie visite ad Anna una mia amica carissima.
Per chi come me si dedica a raccontare la sua Italia minore con la M maiuscola, la morte di Amatrice come fu per L'Aquila, è equiparabile alla morte di una persona cara.
I luoghi dell'anima hanno anima essi stessi, un anima emozionale costituita dalla sua collocazione nell'ambito del suo paesaggio, identità materiale e immateriale. I luoghi come le persone, sono frutto di tutti coloro che li hanno fatti nascere e crescere, curati, amati.
La morte di un luogo equivale alla morte di una persona cara, della mamma, lasciandoci soli, con un vuoto incolmabile, in preda allo sconforto e all'incredulità.
Tutto ha una fine: persone, cose, affetti, emozioni.
Tutto muore, fuori e dentro di noi, prima di noi, con noi, e dopo di noi.
Tutto muore sempre all'improvviso, arrivando come un ladro, come ebbe a dirci Gesù. Questa è la risposta a chi si chiede dov'è Dio in questi momenti; è proprio lì a raccoglierci ed accoglierci.
Il vero problema è per chi rimane senza l'amata.
Ciao amica cara.
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