Post in evidenza

Basilicata: Vulture un vulcano di storia agricoltura bellezze naturali ed artistiche



Vulture [pronuncia: vùlture] (talora Vulture-Alto Bradano o Vulture-Melfese o Melfese), in Provincia di Potenza (PZ) nella Regione Basilicata, i cui abitanti sono detti Vulturini,  è la zona del Nord della Basilicata, dominata dal profilo del massiccio del Monte Vulture. 
Talvolta, viene utilizzato per indicare in modo ristretto i Comuni della Comunità Montana del Vulture.
Il Vulture conserva un importante patrimonio ambientale, ove i luoghi di tipo naturalistico sono legati perlopiù alla presenza di boschi, sorgenti, torrenti Sub-Montani ed aree da pascolo. 
Il Territorio del Vulture costituisce una delle unità Sub-Regionali meglio individuate della Basilicata, identificata, all'incirca, con la cosiddetta Regione Melfese, che comprende 27 Comuni
L'intera plaga, su cui domina l'Antico Vulcano, rappresenta una delle principali attrattive turistiche della Basilicata, per il pittoresco aspetto nei paesi, per l’austera bellezza del Vulcano, per il suggestivo paesaggio, caratterizzato dalle foreste e dagli stupendi Laghi di Monticchio, ed infine per i Centri ricchi di Storia e d'arte. (continua a leggere)

VULTURE

Regione: Basilicata
Provincia: Potenza PZ
Altitudine: media 600 m slm
Superficie: 1815,73 km²
Comunità Montane: Vulture - Alto Bradano
ComuniAcerenza - Atella - Banzi - Bella - Castelgrande - Filiano - Forenza - Genzano di Lucania - Ginestra - Lavello - Maschito - Melfi - Montemilone - Muro Lucano - Oppido Lucano - Palazzo San Gervaso - Pescopagano - Rapolla - Rapone - Rionero in Vulture - Ripacandida - Ruvo del Monte - San Chirico Nuovo - San Fele - Tolve - Venosa
Abitanti: 108.642
Nome abitanti: Vulturini
http://www.basilicataturistica.it

http://www.vulture.it/
 


http://www.cmontanavulture.it/sito/territorio/index.htm

http://www.museodelvulture.it/MonticchioPortale/









Guarda il video (qui sopra) con gli Acquarelli dedicati al Vulture e se ti interessa acquistarne qualcuno (stampe e/o oggettistica), vai alla galleria online cliccando sul logo sottostante


GENIUS LOCI

(Spirito del Luogo - Identità materiale e immateriale)

Il Vulture vive nella conservazione di un importante patrimonio ambientale, ove i luoghi naturalistici sono legati alla presenza di boschi, sorgenti, torrenti Sub-Montani ed Aree Agricole ed a Pascolo. 

L'Area Vulcanica comprende il Monte Vulture, rilievo isolato a forma conica, esteso e solcato da una serie di valloni, all’interno del quale si trova un Cratere che contiene i 2 Laghi Vulcanici di Monticchio d’acqua azzurro-verde in cui si specchiano fitti boschi di mille alberi e piante diverse.

Un territorio su cui sono passati dominatori Normanni, Svevi, Aragonesi, Angioini, Borboni, che hanno lasciato testimonianze architettoniche ed archeologiche.

Il Vulture è ancora la Basilicata di Orazio, una terra di piccoli Borghi arroccati sui poggi, che si alternano con regolare cadenza a cittadine adagiate su ampie vallate.
Seguendo le orme di Orazio è possibile addentrarsi in una parte della Basilicata davvero suggestiva, avara, dura, ma spettacolare e indescrivibile.
È il silenzio a dominare tali luoghi, le tradizioni contadine e una cultura legata alla semplicità.

Storia e Profumi di Vini Antichi, Città e Borghi, alcuni anche dalla memoria Albanese, come Barile dal territorio traforato di grotte per la conservazione del vino; altri dominati da Castelli, Lagopesole e Melfi, Città delle Costituzioni di Federico II, anche sede di 5 Concili e di un Concistoro Papale che decise la partenza per una Crociata, ancora racchiusa entro la Cinta Muraria, dominata dalla mole imponente del Castello centro gravitazionale di bellezza e mistero; giacente su una Collina che le conferisce il carattere di Fortezza Militare ed il fascino tipico di Antico Borgo Medievale. 

Misticismo tra mistero e religiosità, dal bianco Convento Benedettino sul bordo dei Laghi di Monticchio, all’Abbazia della Santissima Trinità incompiuta di Venosa, dalla memoria Oraziana.

ORIGINE del NOME

(Toponomastica)

Vùlture Monte della Basilicata; corrisponde all’antico Vultur, Voltur.

L’oronimo è in rapporto col latino Voltur “Avvoltoio”, «il rapace delle alture, dei distretti montani»

TERRITORIO

(Topografia e Urbanistica)

Il Vulture si colloca all'interno di un ampio territorio che si distende all'estremo Nord della Regione Basilicata, a Sud del confine regionale segnato dal Fiume Ofanto, dominato dall'austero profilo del massiccio del Monte Vulture (1.326 m), Vulcano non più attivo già da Epoche Protostoriche, ma che non può ancora, a rigore scientifico, definirsi "spento". 

Essa occupa la parte Nord-Orientale della Provincia di Potenza, all'intersezione del confine tra la Puglia e la Campania.

La zona comprende 27 Comuni alcuni dei quali di lingua e cultura Albanese (Ginestra, Maschito, Barile). 

Anche se risulta un territorio non molto vasto, il Vulture mostra una grande varietà morfologica: la media montagna, situata a Sud-Ovest, è rappresentata dalla dorsale del "Monte Pierno - Santa Croce", la vetta più elevata della zona con i suoi 1.407 metri.

L'Area Vulcanica comprende il Monte Vulture, rilievo isolato a forma conica, esteso per circa 45.000 ettari e solcato da una serie di valloni. Alle pendici del Monte Vulture si trova un cratere che contiene i 2 Laghi Vulcanici di Monticchio

Le Colline Argillose sono composte da rilievi dalle forme sfumate, tra i 500 e gli 800 metri e formano l'area che fa da snodo tra la media montagna e la Fossa Bradanica. 

La Fossa Bradanica è costituita dall'ampio solco del Bradano, fatto di sedimenti sabbioso-argillosi del periodo Plio-Quaternario. 

Nei territori di Melfi e Lavello, vi è un fondovalle alluvionale, che si raccorda gradualmente all'Ofanto e al Tavoliere delle Puglie.

Non essendo bagnato dal mare e data la sua montuosità, il Vulture ha un Clima Temperato freddo, anche se varia a seconda della latitudine e dell'altitudine, che diventa sempre più continentale man mano che si procede verso l'interno con inverni piuttosto rigidi e nevicate talora abbondanti, soprattutto nei pressi del Monte Vulture e del Monte Pierno, ed estati piuttosto calde, in particolar modo nella zona Ofantina. 

Le piogge sono irregolari e sono concentrate perlopiù nelle stagioni autunnali ed invernali, frequenti nella parte Nord Occidentale. 

Il Territorio del Vulture costituisce una delle unità Sub-Regionali meglio individuate della Basilicata, identificata, all'incirca, con la cosiddetta Regione Melfese, che comprende i Comuni di: Acerenza - Atella - Banzi - Barile - Bella - Castelgrande - Filiano - Forenza - Genzano di Lucania - Ginestra - Lavello - Maschito - Melfi - Montemilone - Muro Lucano - Oppido Lucano - Palazzo San Gervaso - Pescopagano - Rapolla - Rapone - Rionero in Vulture - Ripacandida - Ruvo del Monte - San Chirico Nuovo - San Fele - Tolve - Venosa. 

L'intera plaga, su cui domina L'Antico Vulcano, rappresenta una delle principali attrattive turistiche della Basilicata, per il pittoresco aspetto nei paesi, per l’austera bellezza del Vulcano, per il suggestivo paesaggio, caratterizzato dalle foreste e dagli stupendi Laghi di Monticchio, ed infine per i Centri ricchi di Storia e d'arte.

il Vulture è un Vulcano spento d'Epoca Preistorica, a Caldera, o a recinto, costituito da una grande cerchia esterna, in gran parte distrutta verso Ovest, nel cui seno si leva un cono minore racchiudente un Cratere Distoma [dal Greco δίς "doppio" e στόμα "bocca"; Latino scientifico Distomum], ora occupato da 2 Laghi di Monticchio. 

La Cerchia Esterna si eleva con 2 Vette: il Vulture propriamente detto o Pizzuto di Melfi 1.326 m ed il Pizzuto di San Michele o semplicemente San Michele 1.262 m.

L'aspetto del Monte, varia in maniera molto notevole, a seconda dei punti da cui lo si osserva: dal Tavoliere e dalle Murge, richiama l'occhio per la sua caratteristica forma conica e poi l'altezza, mentre, osservato da vicino: da Melfi, Rionero o da Atella, si presenta molto maestoso.

Col materiale eruttivo, il Vulture ha sbarrato il corso delle acque, dando origine agli Antichi Laghi della Valle di Vitalba e di Venosa, poi svuotatisì; a testimoniare l'esistenza di questi antichi specchi d'acqua, rimangono Sedimenti Conglomerati Vulcanici, ricchi di Conchiglie Lacustri e di Ossa di ippopotami ed Elefanti, vissuti in questa zona in Epoca Preistorica. numerosi sono i manufatti litici rinvenuti, appartenenti al tipo Saint-Acheul [località della Francia Settentrionale, alla periferia di Amiens; a seguito dei notevoli ritrovamenti Paleolitici nella zona, fu dato il nome di Acheuleano ad un periodo della Cultura Paleolitica]. 

I Materiali Eruttivi, sparsi fino ad oltre 25 km dal Cratere, sono costituiti, prevalentemente, da leucite [è un minerale appartenente alla famiglia dei feldspatoidi, tipico di rocce magmatiche alcaline potassiche o ultra-potassiche effusive] e contengono un minerale caratteristico, l’hauyna.

Nelle falde esterne del Vulcano si riconoscono focolai attivi secondari, come il Toppo San Paolo e la Collina di Melfi.

La zona del Vulture ha sempre rivestito un particolare interesse antropogeografico: fittamente abitata in Età Preromana, in seguito vi fiorirono le Città di Venusia, Acheruntia, Bantia; più tardi divenne uno dei primi Territori della conquista Normanna, ed ebbe una posizione importante anche al tempo degli Svevi, quando vi sorsero numerosi Castelli (più importanti quelli di Lagopesole e di Melfi). 

In virtù dei Materiali Vulcanici, la Regione è molto fertile.

L'interno del Vulcano e gran parte delle vette, sono rivestiti dal Bosco di Monticchio, formato da Faggi, Querce di diverse specie, Castagni, Tigli, Aceri, Carpini, Olmi, Frassini, Pioppi, Ontani. 

Vi si contarono 977 specie di piante, tra cui notevoli il Sommacco, la Robbia, il Rabarbaro, Rabarbaro Bastardo (Rumex Alpinus), la Valeriana. 

La Fauna è rappresentata da Tassi, Puzzole, Donnole, Faine, Martore, Scoiattoli, Ghiri, Istrici, Lepri, Lontre, Volpi, Tartarughe, numerose specie di uccelli. 

I fenomeni vulcanici sono oggi ridotti ai Terremoti (gravissimi quelli del 1851 e del 1930) ed all'esistenza di Acque Minerali (le più note sono quelle di Monticchio), Acidule od Acidulo-Ferruginose; fa eccezione quella sulfurea, presso la Taverna della Rendina. 

La Montagna abbonda di Sorgenti, in media tra i 400 ed i 600 metri, ma ve ne sono anche di molto più elevate: la Fontana dei Giumentari sgorga m 1.049, mentre le Sorgenti di Rionero, sono quasi a livello del fondo dei Laghi; nel versante Sud-Orientale, in contrada La Francesca, sgorgano Sorgenti di Acqua Minerale, con emanazioni di anidride carbonica, utilizzate in alcuni stabilimenti, soprattutto a Rapolla e nei suoi dintorni.

«Racconti di Viaggio»

«Il Vulture fu un vulcano ardente, tremendo. 

Ha trenta miglia di circonferenza; è lungi trenta miglia dalla più vicina sponda dell'Adriatico. 

Ha per confini al sud il fiume di Atella, all'est quel di Rapolla, all'ovest e al nord l'Ofanto. 

Chiude nel suo recinto Melfi, Rionero, Rapolla, Barile, Atella e molti villaggi.»

(Cesare Malpica, «La Basilicata: impressioni»)

 

Da «Viaggio in Italia» di Guido Piovene

«[....] Altre speranze suscita il territorio che si estende a nord di Potenza, verso Rionero in Vulture, Melfi, Venosa. 

Si radunano qui le maggiori opere d'arte della Lucania, se si esclude Matera: la chiesetta romanica ma su modello bizantino di Santa Lucia a Rapolla, il sarcofago di Rapolla a Melfi, romano, con una figura di donna giacente che secondo la tradizione ispirò a Jacopo della Quercia la sua statua di Ilaria del Carretto, i castelli Normanni, come quello di Lagopesole e quello di Melfi, quadrati, potenti, rossastri, che sovrastano l'abitato intonando il paesaggio, e ci preparano già alla vicina Puglia. 

È questa anche tra le zone più agiate della Lucania, e perciò di apparenza dolce; e produce buon vino, come a Barile, dove ho trovato un’industria vinicola ben condotta di moscato e spumante. 

Intorno a Barile ed a Rapolla, si vedono le cantine scavate nelle pareti rocciose del monte, che perciò appare tutto trasformato di loculi, e potrebbero scambiare con una necropoli.

Presso il confine della Puglia, a Venosa, patria di Orazio è la più importante e colonia romana in Lucania a quei tempi, spira già un'aria adriatica ed orientale.

Nel piano intorno a Venosa, vicinissimo alla città, sorge il più suggestivo dei monumenti che abbiamo finora toccato: l'abbazia della Trinità. 

Vi si lavorò a più riprese nei primi due secoli dopo il Mille, ma fu lasciata incompiuta. 

Sembra perciò, senza esserlo, una rovina perduta nella solitudine, con alte muraglie sorgenti in mezzo ai prati ed i leoni di pietra davanti al portale; facendone il giro, ogni passo solleva un profumo d'erbe aromatiche. 

Ma forse la scoperta più impreveduta della zona è il Vulture con i suoi boschi ed i due laghi di Monticchio. 

Nell'angolo settentrionale della Lucania confinante col Beneventano, il Vulture è un vulcano spento, e la zona nel raggio del vulcano è, come sempre, fertilissima, adatta alle ricche coltivazioni. 

Qui si ritrova una delle rare aziende agricole-modello della Lucania. 

La plaga abbonda da acque minerali medicamentose, solo in parte sfruttate.

Sul Vulture si sol fermarono geologi ed antropologi, essendo una delle plaghe italiane più adatte ai loro studi, anche per i copiosi residui di vita preistorica. 

Per noi si legherà al ricordo soprattutto col bosco di Monticchio, che cresce quasi tutto su terra vulcanica, ed è tra i più belli d'Italia. Parlando della Sila, dove sorge il pino silano, somigliante all'abete, abbiamo rammentato l'Alto Adige e la Scandinavia; a Monticchio si ricorderà piuttosto il Varesotto, sebbene in uno stile più classico. 

È il bosco classico italiano, quello dei versi dell'Ariosto, ombroso, fitto, vasto e vario, di castagni, di faggi, querce, olmi, pioppi e cerri. 

Il bosco di Monticchio si direbbe una fantasia natalizia, con le sue quasi mille piante diverse e la sua fauna inconsueta. 

Quando lo traversai era fiorito di un tappeto di ciclamini, ed i castagni apparivano così carichi, che i frutti nascondevano quasi le foglie. 

Due piccoli laghi vicini si aprono in mezzo al bosco.

Li sovrasta un albergo nuovo, e l'abbazia di San Michele, meta di pellegrinaggi. 

La cappella si trova in fondo a una grotta che servì di nascondiglio ai briganti. 

Vi si scorgono, come a San Demetrio in Calabria, affreschi bizantini, nei quali le figure e i volti ricordano i mosaici di San Vitale a Ravenna. Quando vi andai, la chiesa era deserta.

Delle scene di devozione rimanevano però i segni; i cosiddetti gigli, macchinosi fiori fatti di candele bianche; e gli arabeschi delle mani sulle pareti. 

I pellegrini usano infatti, con un rito di sapore magico, lasciare nella chiesa una parte di sé; e lo fanno applicando sulla parete con le dita aperte, seguendo le poi i contorni, in modo che ne rimanga lo stampo; una firma spettrale in cui si vorrebbe trasfondere la concreta persona fisica e la forza viva [....]»

(Da «Viaggio in Italia» di Guido Piovene - 1950 - pagine 745-746)


ITINERARI e LUOGHI

(Culturali, Turistici, Storici, Archeologici, Naturali)

Il Vulture è ancora la Basilicata di Orazio, una terra di piccoli Borghi arroccati sui poggi, che si alternano, con regolare cadenza, a cittadine adagiate su ampie vallate. 

Grandi aree metropolitane qui non ce ne sono, è il silenzio a dominare tali luoghi, le tradizioni contadine ed una cultura legata alla semplicità. La Terra di Orazio (Venosa e dintorni) è una terra dove oggi è forte il turismo, ma un turismo sostenibile in una terra che sa sempre sorprendere, in grado di impressionare in modo forte il visitatore.

La stupenda Venosa, ad esempio, città natale del poeta Orazio, è situata su di uno sperone di origine vulcanica ed è ricca di Siti Archeologici, testimonianza delle diverse fasi storico-culturali che hanno interessato la città, in cui è davvero bello perdersi tra vicoli e porticati del centro storico, tra le botteghe degli artigiani locali.

Da visitare è anche un particolare sito risalente al I secolo d.C.: è la Casa di Quinto Orazio Flacco: una struttura caratterizzata da ambienti termali, ampi spazi e salotti tipici di una Casa Patrizia, con una facciata che riprende lo schema costruttivo e lo Stile Romano (rivestimento con mattoni a legatura reticolata).

Seguendo le orme di Orazio è possibile addentrarsi in questa parte della Basilicata davvero suggestiva, avara, dura, ma spettacolare e indescrivibile.

La visita alla zona del Vulture, può essere effettuata con un Itinerario Circolare di km 41.4, percorribile nei 2 sensi, interessantissimo per il paesaggio che attraversa, uno dei più belli della Basilicata, oltre che per i Centri che si toccano. 

Il viaggio consigliato si svolge lungo le Statali 167, dei Laghi di Monticchio; 401, dell'Alto Ofanto e del Vulture; 303, del Formicosa. 

Si parte da Rionero in Vulture e si entra nel Cratere del Monte, scendendo tra i Boschi, verso Ovest, passando sull'istmo tra i 2 Laghi di Monticchio; ci si affaccia quindi alla Valle dell'Ofanto, e, toccato Monticchio Bagni, si gira sul versante Settentrionale ed Orientale del Monte, raggiungendo Melfi; da qui per Rapolla e Barile, si conclude il giro, tornando al centro di partenza.

Il Turismo nel Vulture è prettamente Naturalistico, gli Eco Turisti possono praticare escursioni a piedi, in bicicletta ed anche a cavallo. Facilmente, si possono osservare i falchi che volteggiano in cielo e i cinghiali al pascolo. 

*Monticchio è il luogo più rappresentativo di questa forma di Turismo nel Vulture, ove è possibile esplorare, sia a piedi che provvisti di Mountain Bike, la sua rigogliosa vegetazione, i suoi *Laghi e i suoi monumenti, tra tutti l'*Abbazia di San Michele, che offre un panorama suggestivo dei laghi. 

Oltre a Monticchio vi è la Fiumara di Atella, ed un altro luogo in cui si possono percorrere i sentieri naturalistici è Ruvo del Monte, attraverso il Bosco Comunale di Bucito, costituito da querce e sorgenti, e gestito dalle associazioni WWF e LIPU; nel cuore del bosco si trova il cosiddetto "Casone", in passato, teatro di scontro tra i Briganti di Carmine Crocco e l'Esercito Piemontese.

Dal punto di vista Culturale, la zona del Vulture offre Castelli e Chiese: degni di nota i *Castelli Federiciani, i più importanti dei quali sono quello di *Melfi, che ospita al suo interno uno dei più interessanti Musei della Civiltà Lucana, dalle radici Preistoriche e Protostoriche alle successive trasformazioni legate all'evoluzione sociale ed economica del territorio; di *Lagopesole - sede ufficiale del «Centro Studi Federiciani» -, e di *Venosa, edificato dal Duca Pirro del Balzo e contenente tracce di Cultura Romana, Normanna ed Ebraica.

Tra i luoghi di Culto Religioso: sono da menzionare l'*Abbazia della Santissima Trinità a Venosa, che è formata da 2 Chiese, una antica ed una nuova, conosciuta per non essere mai stata portata a termine; la *Cattedrale di Santa Maria Assunta a Melfi, edificata dai Normanni in stile Romanico; l'*Abbazia di San Michele a Monticchio, fondata nel 900 dai Monaci Benedettini e la *Cattedrale di Rapolla, costruita nel 1100, con Portale in stile Romanico e con Campanile del 1209.

ITINERARI DEL GUSTO - PRODOTTI TIPICI

(In questa sezione sono riportate le notizie riguardanti prodotti agroalimentari e prodotti tipici)

Anche nel Vulture, come nel resto della Basilicata, la popolazione ha tradizioni culinarie di frugalità, per le quali le esigenze della vita quotidiana vengono soddisfatte nella forma più sobria, che esclude la ricerca di pietanze complicate e di leccornie; quindi una cucina semplice, le cui preparazioni sono quelle comuni anche alle altri territori meridionali. 

Sono da segnalare vari prodotti specialmente pregiati per le loro qualità: 

VERDURE, LEGUMI, FRUTTA - i Cavoli a Broccoli, i Cavoletti a spugne, le Rape a ramagliette, i Finocchi, i Ceci di Melfi

I Fagioli Cannellini e Tabacchini di Venosa e Muro Lucano; sono varietà a pasta tenera saporiti, facili alla cottura. 

Le Fave di Lavello.

Le Mele di Melfi, Ginestra, Ripacandida.

I Fichi di Tolve, Venosa, Santarcangelo, Rapolla; una larga parte della produzione serve per preparare i Fichi Secchi Imbiancati, ovvero infornati con la inclusione di mandorle, di cui, se ne fa cospicua esportazione. 

Le Noci, Mandorle, Nocciole di Melfi e Montemilone. 

I Marroni e le Castagne di Melfi, Barile, Rapolla, Rionero in Vulture.

SALUMI - Prosciutti affumicati di Melfi e Forenza.

La Carne di Maiale viene tagliata a punta di coltello cioè sminuzzata col coltello, condita col sale, peperoncino in polvere e semi di finocchio selvatico, insaccata con cura e lasciata essiccare in locali con il camino sempre acceso per l’affumicatura; Salsicce fresche e secche di Melfi e Palazzo San Gervasio; salsicce lunghe, senza strozzature, sono originarie della Lucania; esse erano, infatti, chiamate Lucaniche, da cui il dialettale Luganiga o Luganega.

Soppressata: si sceglie la carne più pregiata del maiale, con poco grasso, si aggiungono acini di pepe, si insacca e dopo l’asciugatura, si tiene sotto pressa per alcuni giorni per eliminare i vuoti di aria.

La Natura Lavica del suolo e del sottosuolo, oltre a renderlo particolarmente ricco di Acque Minerali, permette anche la Coltivazione della Vite e dell'Olivo

Il Vino DOC per eccellenza della zona è l'Aglianico del Vulture, dal nome del vitigno di origine Greca Ellenica, diffuso anche nell'Avellinese e nel Beneventano, ma a cui, la matrice lavica dei terreni del Vulture, conferisce una corposità e caratteristiche organolettiche tutte particolari, distinte dagli altri tipi di Aglianico, coltivato fino ai 800 metri di altitudine, sebbene le condizioni ottimali siano tra i 200 ed i 600 metri.

Le sorgenti di Acque Minerali rappresentano, da millenni, un immenso Bacino Idrominerale, in cui, i terreni vulcanici danno alle Acque Sorgive una naturale effervescenza, che rappresenta una delle peculiarità delle Acque del Vulture. 

Da queste Sorgenti sgorgano Acque Minerali acidule che hanno permesso lo sviluppo di industrie d'imbottigliamento come «Fonti del Vulture di Rionero» e «Gaudianello» della frazione omonima che esportano la loro produzione in tutta Italia.

L'OLIO è un altro prodotto cardine della zona e dell'intera Basilicata, originato dalla varietà di Olivo «Ogliarola del Vulture» detta anche «Rapollese» o «Nostrale», assieme ad altri tipi come «Coratina», «Cima di Melfi», «Leccino» e «Rotondella», a Barile, Ripacandida e Rapolla, di cui sono rinomate le Olive «Fasola»., di colore giallo ambrato con riflessi verdi e di sapore fruttato con un lieve tono piccante.

I Comuni di quest'Area Lucana (Melfi su tutti) sono, inoltre, rinomati per le Castagne, di cui si possono trovare vari tipi: «Pistoiese» (o «Settembrina»), castagna precoce e di piccola pezzatura che matura agli inizi dell'autunno; «Casentinese», simile alla «Pistoiese» ma più grande e di maturazione tardiva rispetto ad essa; «Cuneese», definita così date le sue origini Piemontesi. 

Tuttavia, il tipo più famoso è il «Marroncino di Melfi», dalla buccia marrone con evidenti striature, protagonista della Sagra della Varola che si tiene a Melfi in autunno, ove si possono gustare anche prodotti culinari del posto, a base di castagne.

Anche il MIELE occupa un posto di rilievo; Ripacandida, è il Comune produttore principale del Vulture, ed una delle 34 «Città del Miele» a livello nazionale, unite per promuovere e tutelare questo prodotto nel mercato italiano; il Comune è, inoltre, sede della Mellinoteca Nazionale «L'Oro dei Fiori», uno dei maggiori centri in Italia di esposizione, degustazione e vendita di miele ed altri prodotti come propoli, pappa reale, granuli di polline, candele di cera d'api.

Melfi, il Vulture e le Terre dell'Aglianico

La zona intorno al Vulture, Vulcano spento di Epoca Preistorica che si alza nella parte Settentrionale della Regione, e l'Area di elezione dell’Aglianico (Docg nella versione Superiore e Riserva), Vino Rosso corposo, che rappresenta una delle realtà enologiche più interessanti del Meridione (e non solo).

Il Turismo del Vino conduce in una delle Plaghe più belle della Basilicata, disseminata di Boschi e di Laghi, con antiche Città Normanne, in cui si intrecciano ricchezze Storiche, Culturali ed Agroalimentari, come Melfi, disposta su un Colle ai piedi del Vulcano, antica Sede Vescovile, dominata dal complesso della Cattedrale e dal grande Castello Federiciano che ospitò ben 4 Concili Papali e vide Papa Urbano II bandire la prima Crociata. 

Oggi, all'interno della Fortezza, si visita il Museo Archeologico Nazionale, con reperti del Territorio Melfese dall'800 al 600 a.C.

La Cucina Cittadina si fa forte dei Prodotti del Territorio Montano e Collinare: Formaggi, Salumi, Olio Extravergine di Oliva (Vulture DOC) e Castagne, i cosiddetti "Marroncini" di Melfi, molto usate in pasticceria. 

Dalla Pianura vengono Ortaggi, tra cui Pomodori San Marzano, ingredienti principe di ottime conserve.

A poca distanza da Melfi, sul versante opposto del Vulcano, si trova Rionero in Vulture, Città che segna l'ingresso nella zona più vocata alla produzione di Vini - e spumanti e grappe -, sotto il segno dell'Aglianico: nel centro è la Chiesa Matrice, Barocca, con intarsi lignei ed altari in marmi policromi; alcuni km ad Ovest i Laghi di Monticchio, intensa cornice di Boschi di castagni, pioppi ed ontani, colmano il doppio Cratere del Vulture. 

Nella vicina Barile, centro di Cultura Albanese, spiccano la Monumentale Fontana dello Steccato Quattrocentesca ed il suggestivo agglomerato di Cantine in Tufo, usate ancora oggi per la conservazione di vini, Aglianico in primis.

Nelle Campagne si produce Olio Extravergine di Oliva «Colline Lucane» (DOP in itinere).

Non lontano da Rionero, a Sud, si fa tappa ad Atella, altro Comune Albanese già nel nome, famosa per i Formaggi

Altri bei Borghi del Territorio del Vulture, sono: Rapolla, nota per le sue Acque Termali; la Medievale Lavello, Centro Agricolo di remota origine; Venosa, antica Città Apula, poi Romana (il Parco Archeologico ed il Museo, custodiscono i resti della Venusia di Orazio), con il geometrico Castello e la singolare Abbazia della Santissima Trinità, Paleocristiana e Normanna; Filiano è patria dell'omonimo, prezioso Pecorino DOP, dalla pasta dura color giallo paglierino e dal sapore intenso con spiccato sentore di erbe di pascolo. 

Nell'Alta Valle del Bradano, in cima ad una rupe, Acerenza ha un’importante Cattedrale costruita nel 1080 in modi Romano-Gotici di gusto Francese, con grandiosa Abside ed in cui le Botteghe vendono l'Aglianico, l'ottima Salsiccia Lucana della zona ed i Formaggi di Forenza.

Pecorino di Forenza, gustoso pecorino  prodotto artigianalmente.

Il pecorino di Forenza è ottenuto esclusivamente con Latte Intero di Pecora, raccolto da allevamenti la cui alimentazione è costituita principalmente da pascolo nell'area interna delle Colline Lucane.

La sua storia corre parallela a quella del Pecorino di Filiano DOP, a cui si rimanda per tutto ciò che concerne la sua Storia e le Tecniche di Produzione.

La differenza sostanziale con il Pecorino di Filiano sta nelle dimensioni molto più grandi di quest'ultimo.

La dimensione più grande (i produttori arrivano a fare forme di tutte le dimensioni anche fino ai 40 kg), fa sì che la pasta interna si presenti generalmente più morbida ed il suo gusto un po’ meno sapido.

È un formaggio a pasta semidura e friabile, la sua crosta varia da un colore giallo intenso al bruno.

Ha un sapore pieno, il salato è in equilibrio con il dolce ed al naso sprigiona intense note vegetali e animali.

La stagionatura varia da un minimo di 4 mesi ad un massimo di 12 mesi. 

Pecorino di Filiano DOP formaggio a pasta dura semicotta, si produce nella fascia Appenninica, compresa tra il Monte Vulture e la Montagna Grande di Muro Lucano: un territorio storicamente vocato, caratterizzato da Terreni Vulcanici e da Pascoli ricchi di Essenze Aromatiche. 

Il Latte Intero Crudo di una o 2 Mungiture, riscaldato a 36-40°C, coagula con Caglio di Agnello o Capretto in pasta. 

Rotta la Cagliata con un mestolo di legno, la massa è estratta e pressata in Contenitori di Giunco.

Le Forme sono quindi immerse per 15 minuti nel liquido di scotta (liquido che residua nella lavorazione del siero del latte) a 90°C, salate e messe a maturare in Grotte di Tufo o locali interrati, per almeno 180 giorni (dal ventesimo giorno possono essere trattate con Olio Extravergine di Oliva ed Aceto di Vino). 

Il sapore diviene leggermente piccante con la stagionatura.

ITINERARI DEL GUSTO - PIATTI TIPICI

Il Pane è l’alimento per eccellenza, rigorosamente impastato con farina di grano duro, sale e lieviti naturali e cotto in forni a legna. 

La Pasta, preparata con farina di grano duro, è lavorata a mano in diverse forme, lasciata essiccare per poche ore. 

Tipici sono i Cavatelli, simili a gnocchi, incavati a un dito, a 2, a 3 o 4, e conditi con fagioli o con sugo di pomodoro fresco e basilico con l’aggiunta di Cacioricotta o con Cime di Rapa; famosi sono anche i Fusilli o Ferretti, così chiamati perché lavorati con un ferro sottile per ottenerne maccheroni bucati. 

Le Lagane, simili a tagliatelle ma più larghe e spesse, sono preparate con i Ceci insaporiti con Aglio, Peperoncino o con Cotiche di Maiale.

Il Peperoncino è usato quasi sempre, in estate si preferisce quello fresco, in inverno quello secco macinato. 

Molto particolari sono i Lampascioni, Cipolline selvatiche dal sapore amaro, e i Peperoni Secchi detti Cruschi, fritti in olio abbondante per renderli croccanti, che si accompagnano con Uova Strapazzate, oppure vengono usate per condire Baccalà Bollito. 

I Piatti tipici a base di Carne sono gli Arrosti di Agnello e Capretto, preparati alla brace. 

Con la Carne di Pecora si prepara il Cutturidd, un lesso fatto sul fuoco all’aperto, cucinato con verdure varie ed aromi. 

I Dolci Tipici sono quelli Natalizi e Pasquali:

- I Taralli ricoperti di Glassa di zucchero

- i Calzoncelli ripieni di crema di Ceci e Castagne

- le Frittelle con zucchero e miele

- le Crostate con Sanguinaccio (sangue di maiale, cacao, uva passa, spezie)

- i Biscotti con Mandorle e Vino cotto

Lu Muzz'c - Giornata Tipica a tavola 

Lu Cantariedd (Pane bagnato con vino e cipolla dolce)

La Luata'r Secch (Ciambotta) 

Lu Prime Muzz'c (Pezzo di pecorino con pane e uovo sodo) 

Lu 'Dinn (Pasta fatta in casa con sugo di salsiccia) 

La Murenn'a (Frittata con ...)

La Calata 'r lu sole (Biscotto e 1 bicchiere di vino)

STORIA

Fonti storiche attestano che il Vulture era già abitato sin dal Neolitico, come testimoniano i resti di una mastodontica Necropoli ritrovata in località Toppo d'Avuzzo a Rapolla

Prime vere civiltà come i Dauni si stanziarono tra il VIII e VII secolo a.C., nei pressi di Melfi. 

Poco dopo, arrivarono i Sanniti intorno al IV-III secolo a.C., le cui tracce sono rimaste nei territori di Melfi e Venosa. 

Il Museo Archeologico Nazionale del Melfese raccoglie numerose testimonianze di Civiltà pre-Romane che si stanziarono nella zona del Vulture. 

Nel III secolo a.C., inizia la lunga Dominazione Romana nella zone del Vulture. 

Nel 291 a.C., i Romani fondarono Venusia (l'attuale Venosa), collocata sulla Via Appia che congiungeva Roma e Brindisi, dove nacque Orazio Flacco, uno dei maggiori poeti del periodo antico.

Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, il Vulture (come tutta la Penisola Italica) subì massicce Invasioni Barbariche

I Normanni lasciarono una grande eredità storico-culturale, soprattutto a Melfi e Venosa; Melfi divenne capitale dei possedimenti Normanni dell'Apulia e nel 1059 divenne la sede di un concordato in cui Roberto il Guiscardo si dichiarò Vassallo del Papa, ebbe infatti il titolo di «Vassallo della Chiesa di Roma» e quello di «Principe di Sicilia». 

Venosa, invece, fu assegnata a Drogone d'Altavilla, fratello di Roberto e nella Chiesa della Santissima Trinità, il Guiscardo fece portare le salme dei suoi fratelli e vi fu sepolto anche lui.

Alla Dinastia Normanna successe quella Sveva degli Hohenstaufen, con Federico II, che trovò in Melfi uno dei suoi luoghi più ambiti, e divenne la sua residenza estiva, ove poté svagarsi praticando la caccia con i falchi. 

Nel 1231, il Sovrano emanò le cosiddette «Costituzioni di Melfi» nel Castello locale, Codice Legislativo di tutto il Regno di Sicilia. 

Sempre tra il X ed il XIII secolo, nella zona del Vulture, si assiste ad un incremento della presenza di Ordini Monastici; ne sono presenze tangibili l'Abbazia di San Michele ed i resti del complesso di Sant'Ippolito, entrambi vicini ai Laghi di Monticchio, e le Chiese rupestri affrescate, rinvenute nei pressi di Melfi e Rapolla, come quella di "Santa Margherita" o quella di " Santa Lucia". 

Con la caduta dell'Impero Federiciano, per il Vulture si prospettò un futuro piuttosto decadente, che vide l'alternarsi di altri invasori come Angioini, Aragonesi, Borboni e l'area fu governata da molti Feudatari: Melfi venne affidata agli Acciaiuoli, ai Caracciolo ed ai Doria; Venosa agli Orsini, ai Ludovisi ed ai Caracciolo; Atella ai Caracciolo e ai Chalon.

L'Unità d'Italia non cambiò le condizioni di vita nel Vulture, afflitto sempre più da Miseria, Disoccupazione ed Analfabetismo, motivi che diedero vita al Brigantaggio, che si sviluppò in tutto il Sud Italia e parte del centro. 

I Briganti del Vulture, tra i quali si distinsero subito il Rionerese Carmine "Donatelli" Crocco, l'Atellano Giuseppe "Zi Beppe" Caruso, il Melfitano Michele Schirò, il Sanfelese Vito "Totaro" Di Gianni e il Rapollese Teodoro Gioseffi, noto come Caporal Teodoro, trovarono rifugi ideali nelle montagne della zona, che crearono non pochi problemi all'Esercito Piemontese che, alla fine, soffocarono nel sangue la rivolta, condannando a morte numerosi Briganti.

I colpi più duri ai Comuni dell’Area del Vulture, furono inferti dai Terremoti.

Il primo nel 1851, il Terremoto del Vulture, un Sisma di magnitudo 6.4 gradi della Scala Mercalli, che colpì la zona Settentrionale della Basilicata, in particolare i Comuni posti alle pendici del Monte Vulture, tra i quali, i più colpiti furono: Melfi, Barile, Rapolla, Rionero in Vulture e Venosa.

La scossa principale si ebbe alle 14:20, numerosi Edifici Pubblici e Privati, furono gravemente danneggiati o crollarono completamente. 

Si contarono numerosi morti; l'evento si verificò durante il pranzo e riuscirono a salvarsi soltanto i Contadini e Proprietari Terrieri che erano ancora occupati nella Trebbiatura delle messi. 

Fu tale il massacro della popolazione falcidiata d'un terzo, con oltre 2.000 morti, e del patrimonio Zootecnico, che ne parlarono anche i Giornali esteri, compiangendo il Regno delle Due Sicilie.

Il Re Ferdinando II prese la carrozza da Napoli e raggiunse Melfi per andare a verificare di persona i danni; prese la via tortuosa e lunghissima di Avellino ed Ariano Irpino, impiegando 2 giorni e 2 notti. 

Il Re volle evitare l'ospitalità dei Signorotti locali e decise di fare sosta in aperta campagna, in una Masseria di Contadini, che rimasero trasecolati, e premiò anche con la libertà i Carcerati che lavorarono a disseppellire vivi e morti.

Il 23 luglio 1930, il Vulture fu ancora una volta colpito da un terremoto, assieme all'Irpinia, un Sisma di magnitudo 6.7 gradi della Scala Mercalli, che si verificò con epicentro in Irpinia, tra Lacedonia e Bisaccia e i Comuni più colpiti, dove crollò il 70% degli edifici, furono Aquilonia e Lacedonia. 

Dato il grave coinvolgimento dell’Area, il Terremoto prese anche il nome dal Monte Vulture, alle cui pendici si verificarono ingenti danni, infatti, i Comuni della Provincia di Potenza più colpiti furono quelli posti attorno all'ex-Vulcano Vulture; in particolare, a subire i danni maggiori, sia dal punto di vista della vittime, che dei danni al Patrimonio Immobiliare Civile e Pubblico-Religioso fu la Città di Melfi, che perse Monumenti storici, Palazzi, Chiese, Conventi e gran parte della Cinta Muraria eretta dai Normanni, di cui sono rimaste solo alcune tracce, come la Porta Venosina; e comunque colpì diffusamente la Basilicata, la Campania e la Puglia, provocando i suoi massimi effetti distruttivi nell'Area Appenninica compresa fra le Province di Potenza, Matera, Avellino, Benevento e Foggia, causando la morte di 1.404 persone, prevalentemente nelle Province di Avellino e Potenza, interessando oltre 50 Comuni di 7 Province.

Il Sisma fu aggravato dalla scarsa qualità dei materiali usati per le costruzioni e dalle scadenti caratteristiche dei terreni su cui sorgevano gli Abitati.

Il Terremoto colpì l'area montuosa al confine fra l'Irpinia e il Vulture, caratterizzata all'epoca da un'agricoltura povera e da scarse infrastrutture, con Abitazioni di 1 solo vano a pian terreno, poste, talvolta, al di sotto del livello stradale ed a cui si accedeva per mezzo di gradini in pietra, mentre le Famiglie di Ceto più elevato, risiedevano in Case di 2 o 3 vani, anche su 2 piani. ma entrambe le tipologie abitative erano, generalmente, costruite con ciottoli fluviali o con pietre vulcaniche legate da malte di bassa qualità o da fango essiccato.

Malgrado la totale distruzione degli Edifici, i morti furono solo lo 0,05% della popolazione delle Province colpite, ciò fu dovuto al fatto che avvenne in concomitanza con la Trebbiatura del Grano e che, quindi, gran parte della popolazione stesse dormendo in campagna al momento del Sisma: in Provincia di Potenza, i morti furono 214, il 15% del totale.

I Soccorsi furono coordinati dal Prefetto di Avellino, Francesco Vicedomini, e fu utilizzato per la prima volta un Treno di Soccorso, che comprendeva una Vettura per le Comunicazioni Radio, un Vagone Medico per il Pronto Soccorso, 2 Vagoni di Materiale Sanitario e Tende, 1 per il Sottosegretario, 2 destinati a 100 Carabinieri ed 1 Carro Attrezzi.

I primi sforzi furono volti alla cura della popolazione superstite, spesso, tuttavia, con mezzi non adeguati, ed al recupero dei cadaveri. 

Fu necessario rifornire i Comuni interessati di Acqua Potabile per mezzo di Autobotti, fornite dall'Azienda Autonoma Statale della Strada e furono distribuite 2.000 Tende, numero che si rivelò poi insufficiente. 

Il Prefetto di Potenza ordinò l'invio di Generi Alimentari, secondo quote di ripartizione proporzionali ai danni ed alla popolazione dei paesi: Melfi ricevette il 30% dei viveri, Rionero in Vulture il 25%, Rapolla, Barile, Atella e Ripacandida il 10% ciascuna. 

Il Genio Civile dovette ampliare i Cimiteri di Villanova ed Aquilonia per poter accogliere le salme delle vittime, ed al Genio fu attribuita anche facoltà di sancire in via inappellabile la demolizione delle abitazioni pericolanti.

Fu necessario provvedere a 1.115 fra orfani e abbandonati attraverso l'invio in Istituti, Colonie o Famiglie Affidatarie. 

Il 7 agosto, malgrado la situazione fosse ancora precaria, si procedette alla smobilitazione del personale di emergenza, così da diffondere l'immagine di Soccorsi rapidi ed efficienti, il cui costo assommò a poco più di 7 milioni di lire.

La Censura colpì la diffusione di notizie sul Sisma, le cui conseguenze furono minimizzate dalla stampa nazionale; contro tali omissioni si scagliò Alfonso Carpentieri, direttore del Corriere dell'Irpinia di Avellino.

Il Piano per la Ricostruzione, varato con il Regio Decreto Legge del 3 agosto 1930 n. 1065, prevedette un sussidio del 40% del costo dei lavori ritenuti necessari in base a perizie del Genio Civile. 

Per favorire il Decentramento della Popolazione, nelle Zone Rurali fu consentito il cumulo con i Benefici previsti dalla Legge sulla Bonifica integrale (legge 24 dicembre 1928, n. 3134) che fecero assommare il Contributo per le Abitazioni Rurali anche all'85%. 

I Benefici riguardarono 63 Comuni e ciò portò a forti proteste da parte delle autorità di Comuni esclusi, sebbene gravemente danneggiati.

Per la Ricostruzione, il Consiglio dei Ministri del 29 luglio 1930, stanziò 100 milioni di lire, somma tuttavia inadeguata a coprire i danni e che, alla fine, si fermò a 160 milioni.

La restante parte del Costo di Ricostruzione doveva essere coperta da mutui, esenti da imposte, la cui erogazione venne affidata al «Consorzio per le Sovvenzioni Ipotecarie» del Banco di Napoli

I contrasti sulla valutazione dei danni fra Consorzio e Ministero, tuttavia, ne rallentarono fortemente la concessione; inoltre, poiché solo il 30% del sussidio veniva anticipato, il Mutuo era necessario per avviare i Cantieri

Venne anche sollecitato l'esonero dalle Tasse per la seconda metà dell'anno e la sospensione di quelle della prima dell'anno successivo, dovuta alla scarsità del raccolto

Sorse, infine, una polemica fra il Banco di Napoli e il Ministero circa la Valutazione dei Danni, poiché il Consorzio Bancario non accettava di ricevere in garanzia Immobili di scarso valore; fu perciò proposto che lo Stato fornisse un'ulteriore garanzia, analogamente a quanto fatto col Terremoto del 1908. 

Venne chiesto, infine, l'aumento del Sussidio e la riduzione dei Tassi dei Mutui, a causa dell'aumento dei costi di Ricostruzione degli Immobili e della Crisi Agricola che colpì la Regione, oltre che al mancato pagamento di vecchie Sovvenzioni Agricole da parte dello Stato

Il meccanismo del Finanziamento e del Mutuo, venne esteso agli Enti Locali, in ragione di una Sovvenzione del 50%.

Per i Senzatetto furono allestite delle tende, poiché il Regime scelse di non costruire Baracche, affermando di voler risolvere l'emergenza abitativa in maniera definitiva. 

Si decise quindi di costruire le cosiddette «Casette Asismiche» che sarebbero dovute essere pronte per l'ottobre del 1930.

I ritardi nei lavori, spinsero però i Prefetti a sollecitare l'intervento del Governo che permise la costruzione (a Settembre) di 1.000 Baracche (alcune delle quali, ancora abitate negli anni 1980) e intensificò i lavori di ricostruzione, ultimando 961 Casette alla fine di Ottobre, con una spesa lievitata a 68 milioni di lire, con un costo effettivo a vano, compreso fra le 15.000 e le 25.000 lire, contro una spesa prevista fra le 4 320 e le 7 200 lire.

Le "Casette" avevano una struttura in elevazione formata da murature in mattoni pieni a 2 teste, che poggiavano su uno zoccolo di calcestruzzo, oppure, dove possibile, di pietrame e malta cementizia, ed erano racchiuse da un'intelaiatura in cemento armato, formata da travetti di base, pilastrini e cordoli di coronamento che poggiavano sulla muratura; gli stipiti e le architravi di porte e finestre erano in cemento armato ed il tetto, con struttura in legno, era non spingente ed era completato da un tavolato su cui era disposta la copertura in lastre di ardesia artificiale; erano prive di solaio di copertura: le capriate del tetto poggiavano sui cordoli ed una rete metallica fissata al di sotto, reggeva il soffitto. 

Ogni "Casetta" constava di 4 alloggi formati da 1, 2 o più vani, dalla cucina e da accessori; i pavimenti, in mattonelle di cemento, poggiavano su un massetto con sottostante vespaio; nelle cucine, un banco in muratura includeva i fornelli ed era sovrastato dalla cappa con la canna fumaria, mentre i servizi igienici furono dotati di fossa biologica collegata alla rete fognaria; gli infissi vennero realizzati in legno. 

Nelle Case costruite in pendio, il dislivello fu utilizzato per realizzare, al di sotto delle abitazioni, un locale rustico destinato al ricovero di attrezzi agricoli, paglia o fieno.

La natura franosa dei terreni portò alla decisione di trasferire totalmente alcuni Paesi tra cui Melfi e Rionero in Vulture.

Il Sisma danneggiò svariati Edifici Storici e Chiese, e la Soprintendenza ai Beni Culturali provvide al recupero di alcune Opere d'Arte, ma la Catalogazione dei Beni non fu completata.

Agli inizi del 1900, la situazione precipitò sempre di più, a causa di un forte flusso migratorio verso le Americhe ed il Nord Europa. 

Dopo secoli di declino, il Vulture vide un certo riscatto a partire dagli anni 1990, con l'arrivo a Melfi del complesso industriale SATA con il più grande stabilimento FIAT d'Europa, rendendo la Cittadina Lucana, il maggior centro produttivo del Vulture ed uno dei più importanti della Basilicata e dell’intero Meridione.

MEMORIA DI DONNE e UOMINI

QUINTO ORAZIO FLACCO, noto più semplicemente come Orazio (in latino: Quintus Horatius Flaccus; Venosa, 8 dicembre 65 a.C. - Roma, 27 novembre 8 a.C.), è stato un Poeta Romano.

Grazie ai sacrifici del padre e della madre, Orazio riuscì a frequentare le migliori Scuole Romane di Grammatica e Retorica, che gli hanno permesso di forgiare la sua grande maestria con le parole, completando la sua formazione ad Atene, sotto la guida di illustri Accademici, Peripatetici ed Epicurei.

Orazio fu un letterato, un uomo di cultura, un abile oratore, nonché un poeta di altissimo livello, un uomo completo sotto ogni aspetto, dalle mille e perfette sfaccettature.

Tra le tantissime persone che manifestarono il loro apprezzamento per le composizioni di Orazio, ci fu anche Virgilio, con il quale strinse amicizia; un rapporto molto stretto tra i 2 grandi Poeti: Virgilio presentò Orazio a Mecenate, il quale, fin dal primo momento, apprezzò il modo di pensare e le composizioni del poeta lucano, facendolo entrare a far parte di una ristretta cerchia di intellettuali d’élite.

Fu questo il periodo più produttivo per Orazio: Epodi, Satire, Odi, Epistole, Il «Carmen Saeculare», «Epistola ai Pisoni o Ars Poetica». Orazio morì a Roma l’8 a.C. e la sua tomba si trova sull’Esquilino accanto a quella di Mecenate.

«Mentre parliamo, il tempo invidioso sarà già fuggito: Assapora ogni istante, confidando il meno possibile nel domani.»

Si può riconoscere in molte delle occasioni, da cui Orazio trae spunto per i suoi componimenti, una funzione comunicativa: ma difficilmente essa si traduce in un mero fine encomiastico, nei confronti del circolo dei suoi potenti protettori, perché, assai più spesso, essa svolge la funzione di trasmettere al lettore (ed ai posteri) un'esperienza concreta di socievolezza e di rapporti umani, da cui trarre un insegnamento o semplicemente una riflessione.

 

Convertitosi all'Epicureismo, anch'egli alla ricerca di risposte sui grandi temi esistenziali, risposte che di fatto non troverà mai: il poeta sembra infatti non essere mai sfuggito all'angoscia della morte, percepita sempre come imminente. 

È interessante la visione che il poeta latino aveva dell'aldilà: sebbene velata da una certa sicurezza, propria di quella "Aurea Mediocritas" di cui Orazio voleva essere esempio, in molteplici occasioni traspare una vena di malinconia, accompagnata da cupe note di lirismo e di elegia, che tradisce il suo reale stato interiore.

Quinto Orazio Flacco è il lucano più famoso in assoluto, dato che la sua grande fama riecheggia da un lontano passato ed è destinata all’immortalità. 

Venosa, città d’origine del grande uomo di cultura e apprezzatissimo poeta, si trova in una zona della Lucania dalle caratteristiche uniche.

GESUALDO DA VENOSA al secolo Carlo Gesualdo (Venosa, 8 marzo 1566 - Gesualdo, 8 settembre 1613), è stato un Compositore e Nobile italiano, residente nel regno di Napoli.

Appartenente alla nobile famiglia napoletana dei Gesualdo, fu Principe di Venosa, Conte di Conza, Signore di Gesualdo.

Il Principe Carlo Gesualdo nacque nel Castello di Venosa, come testimoniato da 2 lettere custodite presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, da Fabrizio II e Geronima Borromeo, sorella di Carlo Borromeo. Seguì a Napoli severi studi ai quali fu avviato dal padre, letterato e mecenate, molto legato ai Gesuiti. 

All'età di 19 anni Gesualdo pubblicò il primo mottetto «Ne reminiscaris Domine delicta nostra».

Il suo nome è però legato principalmente alla Musica: distintosi nella Musica Polifonica, fu Compositore di Madrigali e di Musica Sacra, è considerato uno dei principali innovatori del linguaggio musicale e, da alcuni, il più importante madrigalista del suo tempo. Furono suoi maestri di musica eccellenti musicisti dell'epoca.

Gesualdo, che ebbe un grande peso nella scena musicale a lui contemporanea, a partire dal 1900, ispirò, oltre alcuni compositori moderni, anche la realizzazione di fictions e drammi musicali. 

Accanto alla carriera artistica, Gesualdo acquistò anche la triste fama di assassino, essendosi macchiato, infatti, del delitto della prima moglie (nonché cugina) Maria d'Avalos con il di lei amante, Fabrizio Carafa (Napoli, 1560-1590), Duca d'Andria.

Nel tranquillo ambiente di Gesualdo il nobiluomo poté dedicare molto del suo tempo alla musica, per cui, pubblicò 6 Libri di Madrigali. Compose, inoltre, i Madrigali Spirituali Tenebrae Responsoria, altri mottetti, un libro di responsori, un Benedictus, un Miserere, un libro di Sacrae Cantiones a 5 voci ed uno a 6 voci composte «con artifizio singolare e per sommo diletto degli animi induriti».

 

Carlo era uno spirito introverso e tormentato e la sua musica fu anche influenzata dalle vicende della sua vita

Non bisogna dimenticare che il Principe aveva avuto una rigida educazione religiosa e musicale; inoltre era nipote di 2 Cardinali, di cui uno diventato Santo, ed il padre, uomo di lettere ed amante della musica, era molto legato ai Gesuiti ed era protettore dei musici napoletani più famosi di quel tempo.

Gesualdo ebbe influenza su diversi compositori del suo tempo, come Sigismondo d'India, Antonio Cifra, Michelangelo Rossi, Giovanni de Macque, Scipione Dentice e Girolamo Frescobaldi.

Scipione Cerreto disse di lui: «È un raro suonatore di molti strumenti e del liuto in special modo. 

Nelle composizioni è superiore a tutti i musici suoi contemporanei. Tiene a sue spese molti suonatori e compositori e cantanti. 

Se questo signore fosse vissuto all'epoca dei Greci, gli avrebbero fatto una statua di marmo e d'oro»

Anna Calvi sostiene che «scrisse musica nel 1500 che fu così progressista ed estrema che nessuno è riuscito a ricreare il suo stile fino al 1900» e che rappresenta una sua grande ispirazione.

Il cantante Franco Battiato ha dedicato al compositore il brano «Gesualdo da Venosa», contenuto nell'Album «L'ombrello e la macchina da cucire» (1995). 

Sempre nel 1995, il regista Werner Herzog ha diretto un documentario incentrato sulla sua vita, «Tod für fünf Stimmen» (Morte per cinque voci), con la partecipazione di Milva, pellicola trasmessa sulla rete tedesca ZDF.

Nel 2009 il regista Luigi Di Gianni gli ha dedicato un film dal sapore documentaristico, «Carlo Gesualdo», girato nei luoghi in cui il Principe visse e con la testimonianza del compositore e direttore d'orchestra Francesco d'Avalos, discendente di Maria, la moglie infedele.

A Gesualdo da Venosa è stato intitolato il Conservatorio Statale di Potenza.

CARMINE CROCCO, detto Donatelli o Donatello (Rionero in Vulture, 5 giugno 1830 - Portoferraio, 18 giugno 1905), è stato un Brigante italiano, tra i più noti e rappresentativi del periodo Risorgimentale. 

Nacque a Rionero in Vulture, che, all'epoca, faceva parte del Regno delle Due Sicilie, e secondo un manoscritto di Gennaro Fortunato, zio del meridionalista Giustino, il soprannome Donatello (o Donatelli) apparteneva a suo nonno paterno, Donato Crocco.

Era il Capo indiscusso delle Bande del Vulture, sebbene agissero sotto il suo controllo anche alcune dell'Irpinia e della Capitanata.

Dotato di un fisico alto e robusto e di un'intelligenza non comune, fu uno dei più temuti e ricercati Fuorilegge del periodo post-unitario, guadagnandosi appellativi come "Generale dei Briganti", "Generalissimo", "Napoleone dei Briganti", e su di lui pendette una taglia di 20.000 lire.

 

Nel giro di pochi anni, da umile Bracciante, divenne Comandante di un esercito di 2.000 uomini, e la consistenza della sua armata fece della Basilicata uno dei principali epicentri del Brigantaggio post-unitario nel Mezzogiorno Continentale.

Dapprima Militare Borbonico, disertò e si diede alla macchia, combatté nelle file di Giuseppe Garibaldi, poi per la Reazione Legittimista Borbonica, distinguendosi da altri Briganti del periodo per chiara e ordinata tattica bellica ed imprevedibili azioni di Guerriglia, qualità che vennero esaltate dagli stessi Militari Sabaudi.

Arrestato nel 1864 dalla Gendarmeria dello Stato Pontificio, ove aveva tentato di trovar riparo, venne processato nel 1870, fu condannato a morte, poi commutata in ergastolo nel carcere di Portoferraio. 

Durante la detenzione, scrisse le sue memorie, che fecero il giro del Regno e divennero oggetto di dibattito per Sociologi e Linguisti. Benché una parte della storiografia del 1800 ed inizi del 1900, lo considerasse principalmente un ladro e un assassino, a partire dalla seconda metà del 1900, iniziò ad essere rivalutato come un eroe popolare, in particolar modo da diversi autori della tesi revisionista, anche se la sua figura rimane ancora oggi controversa.

Suo padre Francesco era Pastore presso la Nobile Famiglia Venosina di don Nicola Santangelo, mentre sua madre, Maria Gerarda Santomauro, era una massaia che coltivava un piccolo campo a Rionero. 

Secondogenito di 5 figli (3 fratelli: Donato, Antonio e Marco; una sorella: Rosina), visse un'infanzia piuttosto tranquilla, sebbene le condizioni familiari fossero misere, e si lavorasse sodo per poter vivere. Crebbe con i racconti di suo zio Martino, ex Sergente Maggiore dell'Artiglieria Napoleonica da cui imparò a leggere e scrivere.

Nel 1836, ancora bambino, entrò nella sua abitazione un cane che aggredì un coniglio, suo fratello Donato uccise il cane che, appartenendo ad un Signorotto del posto, picchiò violentemente Donato con un frustino, aggredendo la madre, incinta di 5 mesi, che si frappose tra il Signorotto e il figlio, subendo dall'aggressore un forte calcio al ventre che la costrinse ad abortire

Pochi giorni dopo il Signorotto si presentò dal giudice accusando il padre di Carmine di aver attentato alla sua vita, dopo essere venuto a conoscenza dell'accaduto; in realtà il gesto fu intentato, da un anziano del posto, reo confesso in punto di morte. 

I Gendarmi si recarono subito a Venosa e portarono il padre Francesco al carcere di Potenza.

La madre, ancora avvilita per la perdita di un figlio non ancora nato, cadde in profonda depressione per l'incarcerazione del marito e, divenuta pazza, fu rinchiusa in manicomio

Per poter mandare avanti la famiglia, furono venduti i loro miseri possedimenti ed i figli furono affidati ad altri parenti.

Con il padre in carcere e la madre con seri problemi di salute, Carmine, assieme al fratello Donato, andarono a lavorare come pastori in Puglia. 

Nel 1845, ancora quindicenne, avendo salvato la vita ad un Nobile della zona, don Giovanni Aquilecchia di Atella, che rischiò la vita attraversando imprudentemente le acque dell'Ofanto in piena, ricevette un compenso di 50 Ducati, che a Crocco sfruttò per poter ritornare nella sua Rionero, e permise anche la scarcerazione del padre.

Ma suo padre era divenuto vecchio e malato, e Carmine dovette assumersi il compito di mantenere la famiglia, iniziando a lavorare come Contadino. 

Nel 1847, conobbe il figlio di colui che assalì suo fratello e sua madre, che dimostrandosi diverso dal suo genitore e si mostrò gentile nei suoi confronti, rimanendo sconfortato per il male che il padre aveva arrecato alla sua famiglia, offrendogli il posto di Fattore in una Masseria di sua proprietà, ma lui preferì avere in affitto 3 Tumuli di terra, con i quali sperava di guadagnare 200 Scudi, che gli avrebbero permesso di evitare il Servizio Militare (infatti, sotto il Regno delle Due Sicilie, la leva era riscattabile dietro pagamento di una somma alle Casse Statali). 

Don Ferdinando promise che avrebbe contribuito al pagamento della cifra necessaria al momento della chiamata alla leva, ma poiché, unitosi ai Rivoluzionari Napoletani, venne trucidato da alcuni Soldati Svizzeri a Napoli il 15 maggio 1848; così, Crocco si ritrovò arruolato nell'esercito di Ferdinando II per circa 4 anni, quando disertò, dopo aver ucciso un commilitone in un Duello Rusticano [quello combattuto col coltello, senza testimoni e senza seguire il codice cavalleresco]; tuttavia, il servizio di leva fu una delle esperienze che formeranno la sua organizzazione e strategia bellica.

Quindi, Crocco iniziò ad avere i primi contatti con altri Fuorilegge, costituendo una Banda Armata che visse di rapine e furti e fu arrestato e condannato di 19 anni di carcere e rinchiuso a Brindisi il 13 ottobre 1855; ma riuscì ad evadere il 13 dicembre 1859, nascondendosi tra i boschi di Monticchio e Lagopesole.

Poi, venuto a sapere che un membro del Comitato Insurrezionale Lucano, avrebbe fatto concedere la grazia ai soldati disertori che avessero appoggiato la campagna militare di Giuseppe Garibaldi contro i Borbone (Spedizione dei Mille), Crocco, nella speranza di un'amnistia per i suoi reati, aderì ai moti liberali del 1860 ed all'Esercito Garibaldino, seguendo Garibaldi fino al suo ingresso a Napoli.

Cinto dal Tricolore, tornò a casa vittorioso e, fiducioso di poter ottenere quanto gli era stato promesso, si recò a Potenza dal Governatore il quale assicurò che l'amnistia sarebbe stata concessa, ma in realtà, le cose andarono in direzione opposta: Crocco non ricevette la grazia e fu emesso il suo mandato d'arresto.

Nel frattempo, il Popolo Lucano, afflitto dalla miseria e dagli aumenti dei prezzi sui beni di prima necessità, iniziò a rivoltarsi contro l'appena costituito Stato Italiano, poiché con il cambiamento politico non ottenne alcun beneficio, mentre la Classe Borghese (in passato fedele ai Borbone) conservò intatti i propri privilegi dopo aver appoggiato, opportunisticamente, la Causa Risorgimentale.

Contribuirono ad aumentare ulteriormente il malcontento del basso popolo la mancata redistribuzione delle terre (che rimasero in possesso dei Baroni), l'aggravio delle tasse, il Servizio Militare obbligatorio, la fucilazione dei renitenti alla leva (a volte presunti) senza possibilità di giustificazione ed un Regime Poliziesco che puniva persino il reato d'opinione

In numerosi centri della Provincia si scatenarono Ribellioni Contadine per sollecitare la Quotizzazione Demaniale, ma furono prontamente represse e qualificate dal Governo Prodittatoriale Lucano come «reazionarie e antiliberali».

I membri dei Comitati Filoborbonici, intenzionati a ripristinare il vecchio regime sfruttando la rabbia dei Ceti Popolari, cercarono una persona in grado di guidare la rivolta, così Crocco, detenuto in carcere, venne fatto evadere dai Fortunato, influente Famiglia Realista, nonché parenti del Meridionalista Giustino.

Irritato per le promesse non mantenute dai Liberali, accettò la proposta, per l'opportunità di riscattarsi, diventando il Capo dell'Insurrezione Legittimista contro lo Stato Italiano appena unificato, ricevendo supporto di uomini, soldi e armi e, benché non avesse mai nutrito simpatie per la Corona Borbonica, pur di redimere il proprio passato, decise di passare alla causa di Francesco II, ultimo Re delle Due Sicilie.

A Crocco si avvicinarono numerosi ribelli, perlopiù persone spinte dalla fame e dalle ingiustizie sociali, nella speranza che un mutamento Governativo potesse contribuire a migliorare la loro esistenza.

Con il sostegno di parte del Clero locale e di potenti Famiglie legate ai Reali Borbonici come i Fortunato e gli Aquilecchia di Melfi, Crocco assunse il comando di circa 2.000 uomini

Crocco, nel periodo di Pasqua del 1861, occupò la zona del Vulture in 10 giorni

In ogni territorio conquistato, dichiarava decaduta l'autorità Sabauda, istituiva una giunta provvisoria, ordinava che fossero esposti nuovamente Stemmi e Fregi di Francesco II e faceva intonare il Te Deum. 

Secondo le cronache dell'epoca, gli assedi dell'armata di Crocco furono sanguinari e disumani: ricatti, rapimenti, uccisioni, depredazioni nei confronti della Borghesia e della Nobiltà, ma nella maggior parte dei casi, egli e le sue bande, venivano accolti positivamente e supportati dal ceto popolare; il Brigante «aveva proseliti in ogni comune, era il terrore dei commercianti» e dei «grandi proprietari, o coloni di vaste ed estese masserie, ai quali un semplice biglietto di Crocco per aver denari, vitto ed armi, era più che sufficiente a gettarli nel terrore».

Tutti i Paesi del Vulture furono coinvolti, uno dopo l’altro: occupato Lagopesole (rendendo il Castello una Roccaforte) ed il giorno successivo Ripacandida, dove sconfisse la Guarnigione locale della Guardia Nazionale Italiana; i Briganti entrarono a Venosa e la saccheggiarono, mettendo in fuga i Militi della Guardia Nazionale e la cittadinanza borghese che si rifugiarono nel Castello, mentre il popolo, accorso entusiasta incontro ai Briganti, indicò loro le case dei galantuomini; durante l'occupazione di Venosa, venne assassinato Francesco Saverio Nitti, medico ex Carbonaro, nonno dell'omonimo statista, e la sua abitazione fu razziata; fu poi la volta di Lavello, in cui Crocco fece istituire un Tribunale che giudicò 27 Liberali, le Casse Comunali furono svuotate di 7.000 Ducati ma, davanti alla supplica del Cassiere Comunale di lasciare il denaro ai poveri, Crocco ne prese solamente 500.

Dopo Lavello toccò a Melfi, dove Crocco fu accolto trionfalmente (anche se alcuni ricordano mestamente l'entrata dei suoi uomini nella città melfitana per via della macabra uccisione e mutilazione del Parroco); l'occupazione di Melfi destò particolare preoccupazione da parte del Regno Italiano, tant'è che lo stesso Garibaldi venne informato dai Patrioti Meridionali del «Governo Provvisorio a Melfi» e ne fece menzione durante un'interpellanza parlamentare.

Quando tentò di prendere Rionero, il suo paese natale, venne respinto dalla resistenza degli abitanti locali del Partito Democratico, guidati dalle Famiglie di notabili che riunirono, contro le forze di Crocco, piccoli proprietari e professionisti, e subito dopo, con una petizione in cui raccolsero circa 300 firme, denunciarono alle autorità come manutengoli, i componenti della Famiglia Fortunato, fra cui Giustino, Capo del Governo Borbonico dopo la repressione dei moti del 1848. Dopo un'altra sconfitta nei pressi di San Fele, riottenne una vittoria a Ruvo del Monte, con il supporto popolare, trucidando una decina di notabili.

Crocco acquartieratosi a Toppacivita, nelle vicinanze di Calitri, attaccato dai Regi Soldati, gli inflisse una netta sconfitta, tuttavia, forse dubbioso sulle sorti della propria spedizione e visto il mancato arrivo di rinforzi, più volte promesso dai comitati filoborbonici, decise improvvisamente lo scioglimento delle sue schiere, intenzionato a trattare con il nuovo Governo, ma tornò sui suoi passi, quando il Governo Borbonico in esilio, sembrò aver finalmente inviato sostegni alla sua torma. 

Il 22 ottobre 1861, arrivò il Generale Catalano José Borjes, che incontrò Crocco nel bosco di Lagopesole, perché, reduce dal fallimentare tentativo di animare la reazione in Calabria, tentò di riuscirci in terra Lucana, sperando di trovare nel Capomassa Rionerese un valido aiuto per compiere l'impresa.

Borjes voleva trasformare la banda in un esercito regolare, adottando disciplina e precise Tattiche Militari; inoltre programmò di assoggettare i Centri Minori, dar loro nuovi Ordinamenti di Governo ed arruolare nuove reclute per poter conquistare Potenza, ritenendo così di porre fine all'Autorità Sabauda in Basilicata. 

Ma Crocco era diffidente: trovò il Generale solamente con 17 uomini e non nutrì alcuna fiducia nei suoi confronti sin dall'inizio, temendo che Borjes volesse sottrargli il comando dei propri territori; inoltre era contrario alla strategia del Militare Catalano, ritenendo inutili gli attacchi ai centri abitati e considerava come unica alternativa possibile una Guerriglia per colpire i Galantuomini che avevano aderito al nuovo Regime; così riconoscendo in Borjes un esperto di Guerra, ne accettò l'alleanza ma, nonostante tutto, i loro rapporti non furono mai armoniosi, e dopo aver subito una serie di pesanti perdite, decise di abbandonare Borjes che tentò con pochi uomini una ritirata verso lo Stato Pontificio, venne catturato e fucilato a Tagliacozzo.

Nel frattempo Crocco ottenne una netta vittoria su un gruppo di Bersaglieri e Guardie Nazionali durante la battaglia di Acinello, uno dei più importanti conflitti del Brigantaggio postunitario.

Terminata la collaborazione con Borjes, il brigante Rionerese ritornò ad azioni di mero banditismo, assalendo viandanti e compiendo depredazioni, ricatti, sequestri ed omicidi di personalità gentilizie delle zone, al fine di estorcere migliaia di Ducati, privilegiando la Guerriglia allo scontro in campo aperto, suddividendo la sua armata in piccole bande distribuite nel territorio, che si sarebbero riunite in caso di scontri con un contingente più grande; la tattica rese i drappelli più agili e imprendibili, favoriti anche dal territorio boschivo e impervio, causando molti problemi ai reparti del Regio Esercito.

Le sue scorrerie si protrassero fino alle zone di Avellino, Campobasso, Foggia, Bari, Lecce, Matera, Ginosa, Castellaneta e si ritrovò a collaborare in diverse occasioni con altri capi Briganti

Anche quando messo alle strette, dimostrò di non essere facile preda, tant'è che lui e i suoi luogotenenti, malgrado fossero «primi tra' capi che ebbero più triste rinomanza», possedevano comunque «vere qualità militari» ed erano «abilissimi nella guerriglia».

Benché costantemente tallonato dai Regi Bersaglieri, non riuscirono mai a catturarlo, ma davanti ad una sconfitta ormai inevitabile, Crocco, auspicando un aiuto da parte del Clero, attraversò monti e foreste, cercando sempre di evitare i centri abitati, e giunse, con alcuni dei suoi uomini, nello Stato Pontificio il 24 agosto 1864 per incontrare a Roma Pio IX, il quale aveva sostenuto la Causa Legittimista; venne, invece, catturato il giorno seguente dalla Gendarmeria del Papa a Veroli, per poi essere incarcerato a Roma.

Il 25 aprile 1867, Crocco fu tradotto a Civitavecchia ed imbarcato su un vapore delle Messaggerie Imperiali Francesi, destinato a Marsiglia, per poi essere esiliato ad Algeri, ma giunto nei pressi di Genova, il Governo Italiano intercettata l'imbarcazione tentò di arrestarlo, ma Napoleone III ne reclamò il rilascio, sostenendo che il Regno Italiano non aveva alcun diritto d'arresto su una nave di un altro Stato, e così, dopo un breve periodo di detenzione a Parigi, Crocco fu rispedito nello Stato Pontificio a Paliano e, divenuto prigioniero dello Stato Italiano con la presa di Roma (1870), venne portato ad Avellino ed infine a Potenza. La sua fama era tale che, durante i suoi passaggi da una prigione all'altra, numerose persone accorrevano per poterlo vedere di persona.

Durante il processo tenuto presso la Gran Corte Criminale di Potenza, al Brigante furono imputati: 67 omicidi, 7 tentati omicidi, 4 attentati all'ordine pubblico, 5 ribellioni, 20 estorsioni, 15 incendi di case con un danno economico di oltre 1.200.000 lire.

Dopo 3 mesi di dibattimento, la Corte d'Assise di Potenza lo condannò a morte l'11 settembre 1872, con l'accusa di numerosi reati quali omicidio volontario, formazione di banda armata, grassazione, sequestro di persona e ribellione contro la forza pubblica.

Ma la pena, con Decreto Reale del 13 settembre 1874, fu commutata nei lavori forzati a vita in circostanze oscure (probabilmente a sfondo politico-diplomatico, perché il Governo italiano avrebbe dovuto subire «il volere francese»), poiché, altri briganti, con capi d'imputazione simili, furono giustiziati.

Durante la sua vita da carcerato, Crocco mantenne sempre un atteggiamento calmo e disciplinato verso tutti, sebbene non mancò di farsi rispettare dagli altri detenuti con l'autorità del suo nome e del suo passato; non si unì mai a proteste e baruffe degli altri carcerati, preferendo rimanere sempre in disparte e prestò soccorso ai sofferenti.

Era «capace in verità di grandi reati, ma anche di generosità, di sentimenti nobili, di belle azioni», nella sua attività di capomassa, gli fu riconosciuto di essere stato autore di «mille delitti: saccheggi di città, incendi, omicidi, su quelli specialmente che lo avevano tradito, ricatti, estorsioni» ma, allo stesso tempo, di aver cercato di tenere a bada «briganti e sotto-capibanda bestiali, ferini, e trattò a tu per tu con i generali italiani»; «imponeva che fossero rispettate le donne oneste, maritate o zitelle; che non si facesse male oltre il necessario e non si eccedesse nella misura della vendetta per compiere la quale era inesorabile: a molte giovani che non avevano come maritarsi regalò denaro; a dei poveri contadini comprò armenti ed utensili di lavoro».

Anche Vincenzo Nitti, figlio del medico massacrato a Venosa, militare della Guardia Nazionale e testimone oculare dei fatti, lo considerò «un ladrone per indole» ma anche un «brigante non comune per sveltezza di mente, astuzia, ardire, ed anche per una certa generosità brigantesca».

«Il brigante è come la serpe, se non la stuzzichi non ti morde»

dichiarò nel 1902 Carmine Crocco, intervistato dal professore Salvatore Ottolenghi della Facoltà di medicina legale dell'Università di Siena, che lo considerò il «vero rappresentante del brigantaggio nei suoi tempi più celebri», oltre a definirlo il «Napoleone dei briganti».

Durante la conversazione l'ex Brigante, ormai vecchio, dichiaratosi pentito del suo passato, raccontò sinteticamente la sua vita, lasciandosi andare anche al pianto; elogiò Garibaldi e Vittorio Emanuele II per avergli concesso la grazia (anche se, negli scritti autobiografici, attribuì il ringraziamento non per la propria vita ma per aver preservato i suoi familiari «dall'obbrobrio di sentirsi dire: "Siete nipoti dell'impiccato"»), dichiarando, inoltre, di esser rimasto scosso dall'assassinio del Re Umberto I, ucciso dall'Anarchico Gaetano Bresci.

Il suo desiderio di morire nel paese natio, purtroppo non si avverò e Crocco si spense nel Carcere di Portoferraio il 18 giugno 1905, all'età di 75 anni, di cui gli ultimi 29 passati in detenzione, durante la quale, il Brigante scrisse la sua autobiografia, composta da 2 manoscritti (in realtà furono 3, ma uno di essi venne smarrito).

Crocco fu legato inizialmente ad una donna chiamata Olimpia; in seguito, quando divenne Comandante di un proprio Esercito di Rivoluzionari, ebbe una relazione con Maria Giovanna Tito, conosciuta quando la Brigantessa si aggregò alla sua banda e da allora lo seguì fedelmente, mettendo fine alla relazione di Crocco con Olimpia. La Tito poi fu abbandonata dal Capo Brigante, quando si invaghì della vivandiera della Banda di un suo luogotenente.

GIUSTINO FORTUNATO junior, si impegnò molto per la crescita del Sud e ponendo all'attenzione nazionale, e non solo, la famosa “Questione Meridionale”. 

Giustino Fortunato si definiva un moderato, in realtà spesso “bastian contrario”, solitario e appartato. 

Negli ultimi anni di vita si chiedette quale fosse in realtà la sua identità politica.

Nato a Rionero in Vulture il 4 settembre 1848, dopo aver ricevuto le prime erudizioni dallo zio Gennaro, con il fratello Ernesto, si trasferì a Napoli per gli studi medi ed universitari. 

Nel 1870 si laureò in Giurisprudenza, iniziando la sua politica nel 1880, fu Deputato fino al 1909, anno in cui fu nominato Senatore del Regno. Rifiutò vari ministeri offertigli. 

Fu sempre attivo in Parlamento, con i suoi interventi su importanti questioni quali i Monti Fromentari, la Questione Demaniale, la malaria, le necessità del Mezzogiorno, tra questi la costruzione di ferrovie e le opere di bonifica per debellare la malaria. 

A lui Rionero deve la Strada Ferrata che fu inaugurata il 9 agosto 1892 nel tronco Rocchetta-Rionero e il 21 settembre 1897, nella tratta fino a Potenza. 

Allo studio dei problemi economici e sociali, Giustino Fortunato affianca le ricerche storiche. 

Scrisse varie monografie sulla Valle di Vitalba e vari scritti ristampati nella raccolta: il Mezzogiorno e lo Stato Italiano, pagine di Ricordi Parlamentari, scritti vari, le Strade Ferrate dell'Ofanto. 

Acquistò il Palazzo Corona a Rionero per crearvi un Asilo, un altro ne fondò a Lavello. 

Fu amico di politici e intellettuali: Salvemini, Amendola, Nitti, Gaetano Mosca; negli ultimi anni della vita si legò a Zanotti Bianco ed ai Fratelli Rosselli, un rapporto particolare ebbe con Croce. 

Non mancano rapporti polemici con Salvemini e di una sorta di “relazione dialettica” con Nitti che fu tuttavia da giovane molto legato a Fortunato, quando entrambi vivevano a Napoli. 

Con Croce condivise tante amarezze durante il fascismo. 

Insieme, però, difesero un concetto fondamentale e importante per la storia dell'Italia contemporanea: LA DIFESA DELLA LIBERTÀ.

 

I punti di forza dell'Azione Meridionalistica di Fortunato sono: da una parte, la sua scoperta della condizione di degrado e di debolezza, anche delle caratteristiche toponomastiche e geografiche del Mezzogiorno e del clima avverso; un secondo punto di forza sta nell'aver avuto il consenso di Salvemini, anche se, nel passato, ci furono dissensi, fu la convinzione che la Classe Dirigente Nazionale fosse incapace di risolvere i problemi del Mezzogiorno. 

Fortunato non pensò mai possibile un'alleanza con le masse contadine che considerava pur sempre, essere quelle che avevano dato vita al Brigantaggio. 

Non per questo si può pensare che Fortunato fosse un grande conservatore insieme a Croce, come lo definì Gramsci, basti ricordare la sua polemica contro gli Abusi Demaniali, la sua denuncia dei residui di mentalità feudale; e poi, d'accordo con Salvemini e Gramsci, definì la Borghesia Meridionale come usuraia e spogliatrice delle classi umili. Quindi Fortunato capì benissimo che molte delle questioni sociali e dei disagi del Mezzogiorno erano frutto di una borghesia avida.  

Gli ultimi anni della sua vita li trascorse a Napoli, dove una grave malattia agli occhi non gli fece pubblicare opere di un certo interesse, frutto di ricerche e di riflessioni e morì il 27 luglio 1932.

GIUSTINO FORTUNATO Senior, nacque a Rionero il 20 agosto 1777; laureatosi in legge a Napoli, insegnò matematica nel collegio militare della Nunziatella. 

Durante il Governo di Gioacchino Murat, fu nel 1809 Procuratore Generale della Gran Corte Criminale e, l'anno dopo, Referendario del Consiglio di Stato, che aveva il compito di riformare le circoscrizioni del regno. 

A lui va il merito di aver fatto firmare a Gioacchino Murat il 1° maggio 1811, il Decreto con il quale Rionero divenne Comune Autonomo.

MICHELE GRANATA, nacque a Rionero il 25 novembre 1748, studiò a Napoli, dove entrò giovanissimo nell'ordine dei Carmelitani. 

Fu professore di filosofia e matematica all'Accademia Militare di Napoli. 

Nel 1787 fu arrestato con l'accusa di aver radunato gente all'entrata dei francesi nella Piazza di Mercato, predicando contro la Monarchia e le persone Reali. 

Fu liberato nel 1798, nel 1799 prese parte attiva alla Politica Napoletana. 

Tra i maggiori esponenti della Società Patriottica, fu arrestato, processato e condannato a morte il 12 Dicembre del 1799.

VINCENZO MARIA GRANATA, pronipote di Michele Granata, nacque a Rionero il 1° maggio 1828. 

Quindicenne entrò nel Convento dei Minori Riformatori di Laurenzana (Potenza). 

Nel 1850 si trasferì a Napoli, nel 1858 si adoperò per assistere gli ammalati colpiti dal Colera. 

Nel 1887 emigrò in Brasile, dove insegnò la lingua Latina. 

Nel 1889 il poeta tornò a Rionero, dove riprese l'insegnamento privato fino alla sua morte avvenuta il 19 aprile 1911. 

Particolarmente interessanti le sue Poesie Dialettali che rappresentano un Patrimonio Culturale e Folkloristico.

FRANCESCO PALLOTTINO nacque a Rionero il 1851 vi morì nel 1914; studiò a Napoli ed in seguito svolse la sua professione di Farmacista a Rionero. 

Ha lasciato pregevoli monografie sulle Acque Minerali, tra cui: «Il Vulture e la sua regione vulcanica», «Le acque minerali della Francesca» e «Le acque minerali di Monticchio». 

Fece, anche, studi particolari sulle Fontane di Rionero (Fontana Maruggia, Fontana dei Morti e Fontana Grande).

MICHELE RIGILLO nacque a Rionero il 28 Gennaio 1879 e morì a Parma nel 1958. 

Negli studi fu aiutato da Giustino Fortunato, diventando professore di Lettere e fu Scrittore, Letterato, Poeta e Critico d'Arte

Interessante divenne il lungo carteggio che intrattenne, quasi quotidianamente, con Fortunato durante la partecipazione dello stesso al primo conflitto mondiale: nei suoi messaggi, si leggono le preoccupazioni sulla Guerra definita “lunga, faticosa ed estenuante”. 

Autore di numerose opere, fu ammirato dal Carducci per la sua lirica «Fontana Maruccia», scritta nel 1902. 

RAFFAELE CIASCA nacque a Rionero il 26 Maggio 1888 dove morì il 18 luglio del 1975.

Frequentò il primo anno della Facoltà di Lettere all'Università di Napoli. Giustino Fortunato lo presentò a Gaetano Salvemini, che lo aiutò a studiare all'Istituto di Studi Superiori, laureandosi e sostenendo una tesi di notevole interesse pubblicata nel 1916. 

Partecipò alla Prima Guerra Mondiale con il grado di Ufficiale di artiglieria e fu decorato con la Croce di Guerra al Valor Militare. 

In seguito si laureò in Giurisprudenza; insegnò a Genova e Cagliari e fu Preside della Facoltà di Scienze Politiche a Roma. 

Fu eletto Senatore nel 1948 e rieletto nel 1953; fece parte del Movimento Federale Europeo

Nel 1958 fu nominato Presidente del Consiglio Superiore dell'Istruzione

Fu fregiato per la Medaglia d'Oro per la Cultura ed Accademico dell'Accademia Nazionale dei Lincei.

DIALETTO

(Il termine "dialetto" va inteso nella sua accezione di "lingua contrapposta a quella nazionale" e non come "varietà di una lingua")

I Dialetti dell'Area Apulo-Lucana si parlano nella zona Orientale e Nord-Orientale della Basilicata e rientrano nel gruppo dei Dialetti Meridionali medi; nella parte Nord-Orientale (Vulture-Melfese) il dialetto ha affinità con la zona del Foggiano

Tuttavia le origini sono inquadrabili storicamente e culturalmente con le Lingue ed i Dialetti Iapigi dei Peucezi e dei Dauni.

I Dialetti del Vulture-Melfese e dell'Alta Valle del Bradano, lungo la fascia che tocca i Comuni di Atella, Rionero in Vulture, Melfi, Lavello, Venosa, Genzano di Lucania e Palazzo San Gervasio, in Provincia di Potenza, presentano lievi affinità con quelli della Provincia di Foggia e del Nord-Barese.

Nel Dialetto di Melfi si fondono diversi elementi dalla lingua Francese e Spagnola, con alcuni elementi Greci e Albanesi

Come nel Francese e analogamente agli altri dialetti dell'area Apulo-Lucana, la e finale di parola non accentata è in genere muta; inoltre, la “u”, in molte parole, si pronuncia “iu”, ed in altri diversi casi con il dittongo inverso. 

Alcuni vocaboli derivano chiaramente dalla lingua Transalpina come ad esempio “vite” = presto. 

Sono avvertibili anche influenze Spagnole, come la consonante “b” che in genere si trasforma in “v” ed altre volte nella labiale sorda “p”.

A Venosa la vocale “i” accentata viene pronunciata con un suono indistinto tra “e” ed “i”, ad esempio viuléinë = violino, mentre la “o”, in molte parole, viene emessa con il suono di una “u” aperta; ad esempio munne = mondo. 

Come molti Dialetti Meridionali, la lenizione [in fonetica, indebolimento dell'articolazione delle consonanti occlusive, che da sorde diventano sonore (di c in g : dal latino locus l'italiano luogo) o da momentanee fricative (di b in v : dal latino habebat l'italiano aveva)] è una delle peculiarità fonologiche dei Dialetti Locali, che trasforma la “c” in “g” (ngaméinë = in cammino), la “p” in “b” (cambànë = campana) e la “t” in “d” (fundànë = fontana). 

In molti vocaboli la “d” viene sostituita dalla “r” (tipica dell'Area Napoletana), come Runàtë = Donato, la “l” dalla “u”, se seguita dalla “c” palatale, vedi sauzéizzë = salsiccia, e la geminata [doppia, raddoppiata] “ll” in “dd” (tipica dei Dialetti Centrali Pugliesi), cangíddë = cancello.

In tutta la zona del Vulture, come nel resto dell'Area Apulo-Lucana, vi sono numerosi termini di origine Latina come cràie = domani, che deriva dal termine “cras”, accattà = comprare da accaptare, ed altri di origine Greca come attàne = padre da attà.

Dialetto Rionerese: variante della zona Apulo-Lucana, con evidenti influssi Campani, ma anche Foggiani.

Nella zona dell'Alto Bradano il Dialetto di Oppido Lucano costituisce un'isola linguistica per la dittongazione in sillaba libera che si ha nel passaggio dal Latino al Dialetto. 

Infatti, si ha: Latino “calcem”, Italiano “calce”, Dialetto Oppidano “cauce”; Latino “lectum”, Italiano “letto”, Dialetto Oppidano “lu lliètte”. La dittongazione è un fenomeno che non si ha nei dialetti delle Comunità Linguistiche confinanti: a Genzano si ha “u litte”, “u timpe”, mentre ad Oppido “lu lliètte”, “lu tièmpe”, in italiano “il letto”, “il tempo”.

PROVERBI

«Ci sckëitë 'ngilë 'mboccë së chegghië» - «Chi sputa in cielo si coglie in faccia»

«Ci s'avondë silë silë na mmelë monghë në fasilë» - «Chi si vanta solo solo non vale nemmeno un fagiolo»

«Attocchë u' ciuddë addò vaelë u' patrëinë» - «Attacca l'asino dove vuole il padrone»

«Ci s'aechhjë saouttë, shcottë i abbaouttë» - «Chi si trova sotto, schiatta»

«Simë rëmésë comë 'o dëië dë ligghië» - «Siamo restati come il due di luglio» (data della Festa Patronale), indica il sentimento di dispiacere e nostalgia che si prova quando ogni festa è finita

«Dussë u pappaouddë alla fafaouddë: timbë ho passè ma t'hi carvëttè» - «Disse il tonchio alla favetta: tempo passerà ma ti bucherò»

ESCLAMAZIONI E MODI DI DIRE

«Mo mérië!» - letteralmente «Ora muoio!», esclamazione di fatica o dolore, richiesta di aiuto

«Sorta májë» - letteralmente «Sorte mia!», esclamazione di angoscia e disperazione

«Egghia!» - abbreviativo di mannegghia, nella forma abbreviata è un'esclamazione di stupore

«Gistëizzë!» - letteralmente «Giustizia!», accidenti! Abbreviativo di «Gistjëzzë tëv' à bbnì!», imprecazione che significa «Che ti venga un accidente!»

«Mogghià'Ddëië!» - letteralmente «Non voglia Dio!», non sia mai!

«Da lla bbënëdëichë!» - letteralmente «Dio benedica!», apprezzamento di buona salute

«Uammë Chrustë mëië!» - «Oh Cristo mio!»

«La Madennë v'acchëmbògnë» - «Che la Madonna vi accompagni»

«Stattë bbòunë» - letteralmente «Statti bene», saluto di commiato

«Sìgnërëì» - letteralmente «Signoria», Lei, modo di rivolgersi ai più anziani

TRADIZIONI - EVENTI - FOLKLORE

(Con il termine «Folklore» si intende l’insieme degli usi, abitudini, tradizioni, comportamenti, linguaggi di un popolo; insomma gli aspetti più caratteristici e suggestivi della vita di una Comunità)

La più importante Manifestazione Enogastronomica del Vulture è l'«AGLIANICA», che si tiene annualmente in diversi Comuni della zona - Rionero, Barile e Melfi e Venosa - e permette degustazioni di vini ed altri prodotti tipici.

Per quanto riguarda la Cultura, è famoso il «CERTAMEN HORATIANUM», gara di traduzione e commento delle opere di Orazio Flacco, che si tiene ogni anno a Venosa

 

La manifestazione, riconosciuta a livello nazionale, permette la partecipazione anche di studenti di altre Scuole Europee ad indirizzo classico. 

Sempre a Venosa, si tiene il «FESTIVAL DEL CABARET DI BASILICATA», nato nel 2002, che offre la possibilità di far emergere nuovi talenti nel campo del Cabaret e della Comicità nazionale. 

Melfi organizza il «CORTEO STORICO FEDERICIANO», che riassume la routine giornaliera di Federico II nella sua residenza estiva: la Caccia con i Falchi, Danze e Musiche Medievali per le vie principali della città, il Corteo dell'Imperatore Federico II e, per finire Degustazioni di Prodotti Tipici.

 

A Rionero si tiene la «PARATA DEI BRIGANTI», dove si racconta la vita dei Briganti, delle loro gesta e dei processi del 1870 e 1872 presso il Tribunale di Potenza a Carmine Crocco, nativo Rionerese e figura di spicco del Brigantaggio. 

Atella, Barile e Rionero organizzano la «SACRA RAPPRESENTAZIONE DELLA PASSIONE DI CRISTO», ove viene recitata la processione per le Vie delle Città (a Rionero viene anche rappresentata l'Ultima Cena al Palazzo di Giustino Fortunato).

SAGRA DELLA VAROLA si festeggia nei giorni di Sabato e Domenica della penultima settimana di ottobre di ogni anno

La Festa è organizzata dalla Pro Loco Cittadina per celebrare i sapori e la bontà del «Marroncino del Vulture», dal sapore delizioso, che si appresta a ricevere il marchio IGP per la sua ottima qualità. 

 

Il Vulture, che domina la Cittadina Melfitana, è quasi tutta ricoperta di piante di Castagno, che alcuni sostengono che essere state importate dall'Imperatore Federico II dalla Turchia.    

Melfi ospita questa Festa nella centralissima Piazza Umberto I e lungo tutte le Strade del Centro Storico; nei giorni della Sagra la Piazza si trasforma in un grande bosco, con Stand dalla forma di tipici Rifugi Montani, dove vengono esposti tantissimi Alimenti e Piatti prodotti con questo Frutto: il Castagnaccio, i Dolci e il Gelato di Marroni, la Birra di Castagne, le Tavolate con Pasta ottenuta dalla Farina di Castagne e la Carne condita con Crema di Marroni, e perfino la Pizza al Marroncino, il tutto innaffiato dal rigoglioso Vino Rosso DOC della zona, l'Aglianico del Vulture.

Questa manifestazione riunisce migliaia di turisti e curiosi, che invadono Melfi per gustare la famose Caldarroste, allietati da numerosi Gruppi Musicali e Popolari che si esibiscono lungo Strade e Piazzette all'interno dell'itinerario della Sagra.

Ogni anno, almeno 30.000 persone visitano Melfi nelle 2 Giornate di Festa, ed oltre a gustare la classica «Varola» (nome dato alle Caldarroste ed anche al recipiente pieno di fori in cui vengono arrostite) girano tra i mercatini, mostre e, soprattutto, visitano i tanti monumenti che sono il richiamo turistico di una Città ricca di Storia, di Cultura e senso di Ospitalità.

COME RAGGIUNGERE IL Vulture

In TRENO

Roma>Potenza

Per chi arriva da Nord: dalla Stazione di Foggia, prendere per Potenza e fermarsi in una delle stazioni del Vulture: Melfi, Bari, e Rionero in Vulture (Atella, Ripacandida).

Per chi arriva da Sud: dalla Stazione di Potenza inferiore prendere il Treno per Foggia e fermarsi ad una Stazione del Vulture.

Orari Trenitalia

In AUTOMOBILE

L'Area del Vulture-Melfese è attraversata da diverse Arterie Stradali, sia Statali, Provinciali che Comunali:

l'arteria a scorrimento veloce denominata Strada Statale 658 dell'Aglianico, taglia l'area da Nord a Sud, collegando la Città di Melfi al Capoluogo Potenza, e lambendo gran parte dei centri dell'area;

da Melfi, ha inoltre origine la Strada Statale 401 dell'Alto Ofanto e del Vulture, che la collega a Sant'Andrea di Conza (AV);

la Strada Statale 303 del Formicoso collega Mirabella Eclano (AV) a Rapolla, innestandosi con la Strada Statale 93 che collega Potenza a Barletta; l'arteria, incompleta, Strada Statale 655 Bradanica, il cui percorso, una volta completato, unirà le Città di Foggia e Matera, lambendo alcuni centri come Lavello, Maschito, Venosa, Palazzo San Gervasio e l'Area Industriale di San Nicola di Melfi.

Contattatemi per maggiori informazioni

Cellulari: +39 320.2590773 - 348.2249595 (anche WhatsApp)


Commenti