In cronache cinquecentesche Matera era descritta come "dotata di aria salubre e abitata da uomini ingegnosi"
«La
città è di aspetto curiosissimo, viene situata in tre valli profonde
nelle quali, con artificio, e sulla pietra nativa e asciutta, seggono le
chiese sopra le case e quelle pendono sotto a queste, confondendo i
vivi e morti la stanza.
I lumi notturni la fan parere un cielo stellato.»
(Giovan Battista Pacichelli, "Il Regno di Napoli in Prospettiva")
.
«Arrivai
a Matera verso le undici del mattino.
Avevo letto nella guida che è una
città pittoresca, che merita di essere visitata, che c'è un museo di
arte antica e delle curiose abitazioni trogloditiche [cioè scavate nella
roccia].
Allontanatomi un poco dalla stazione, arrivai a una strada,
che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall'altro
costeggiava un precipizio.
In quel precipizio è Matera.
La forma di quel
burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati,
separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune,
dove si vedeva, di lassù, una chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che
pareva ficcata nella terra.
Questi coni rovesciati, questi imbuti, si
chiamano Sassi.
Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l'inferno
di Dante, in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio
passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle
abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto.
Alzando gli occhi vidi
finalmente apparire, come un muro obliquo, tutta Matera. È davvero una
città bellissima, pittoresca e impressionante.»
(Carlo Levi in "Cristo si è fermato a Eboli")
«Arrivi e ti trovi smarrito.
Vaghi per ore con i pensieri annebbiati, con la paura di non ritrovare la strada, di perderti tra vicoli irregolari, con il timore che qualcosa ti crolli addosso da un momento all’altro.
Poi, d’incanto, ritrovi una voglia nuova per non esserci stato prima e una condizione felice per poterci abitare per sempre.» (L. H. Stone)
«Una pianura arida e semidesertica a quattrocento metri sul livello del mare è improvvisamente interrotta da un baratro ma le rocce, in fondo a cui corre un torrente.
Sul ciglio in quel baratro si affaccia una città, o almeno la metà di essa, in parte antica e in parte nuova, con uffici e negozi.
Ma le pareti della roccia che scoscende verso il torrente sono fittamente coperte, dal ciglio fino al fondo, di abitazioni umane: case o grotte scavate nella pietra; più spesso, case e grotte insieme, perché, dietro il progetto fabbricato, l'abitazione si prolunga nel monte.
Di fronte alle pareti rivestite di case e sforacchiate di caverne, dall'altra parte dello spacco, si alza un alto muro di roccia, ma questo invece grigio e nudo, traforato a sua volta di grotte e loculi preistorici, abbandonati da millenni.
La parte superiore della città, che guarda nell'imbuto, è una normale cittadina di tipo pugliese.
Vi sono belle chiese, una cattedrale romanica con sculture barbariche, San Giovanni, romanica e orientaleggiante; è sparso un po' dovunque, in chiese e palazzi, il barocco.
Si può percorrerla senza avere il sospetto di quegli orridi popolati, che si spalancano d'improvviso davanti a noi.
Essi prendono il nome di “Sassi”, ed hanno l’attrattiva dell'inverosimile.
Sembra che Matera si affacci a un sottosuolo scoperchiato e abitato, che nell'insieme forma una città maggiore.
Una tale adunanza di semicavernicoli, in cui si prolunga senza soluzione di continuità l'esistenza della preistoria, non ha paragone in Europa, ed è tra i paesaggi italiani che generano più stupore.
Spaccata da valli rupestri, Matera è una specie di Siena del Sud, più remota nel tempo, che dovrebbe attirare i visitatori.
Ne affluiscono, infatti, in numero limitato, essendo per lo più studiosi di problemi sociali, politici, giornalisti, le figure del dopoguerra, attratti dal “caso” dei Sassi, oppure etnografi, archeologi, perlustratori di caverne.
I Sassi di Matera sono due, separati da uno sperone: il primo detto Barisano, e un altro detto Caveoso.
Li sovrastano, come da un empireo, chiese, torri, palazzi: il Duomo, il palazzo Giudicepietro ed i torrioni del castello.
Li domina una strada che corre lungo la cornice.
I giri delle strade che vi scendono dentro, come di cerchia in cerchia, suggeriscono ai pigri il facile paragone con l'Inferno dantesco.
Con la parete nuda, forata di loculi, che si leva di fronte. questa città del sottoterra alla luce del sole è funeraria e densa di colore nel tempo stesso, e vi formicola una vita incredibilmente fitta.
Le vie sono ingombre di carri e delle frotte dei bambini; dentro le case e grotte, dalle porte socchiuse, si scorgono aratri, zappe, asini, muli e quei commestibili appesi, salumi, peperoni, cipolle, aglio, zucche, meloni, che assumono nel Sud quasi un valore ornamentale.
Tra le grotte di abitazione, se ne vedono altre, dette “cellàri”, mescite di vino in cui si pigia anche l'uva col sistema antico, e dove il vino perciò compie tutto il suo ciclo.
La popolazione dei Sassi è mista.
Molti sono contadini, e anche questo sembra incredibile.
Per andare e tornare dai campi sui quali lavorano fanno perfino venti chilometri al giorno.
Perciò alle due e mezzo di notte le vie si risvegliano, si affollano nel buio di uomini, asini e muli che partono per la campagna in un frastuono di sonagli.
Un simile ambiente è adatto alla sopravvivenza delle credenze magiche o superstizioni: un vecchio di qui, tale Saverio, diceva di avere viaggiato in paesi lontani senza muoversi dalla sua grotta, e infatti sapeva descriverli.
Molto più controllabile e però il dilagare delle predicazioni religiose nella voragine.
Sono fatti che in genere gli italiani non sanno.
I Sassi contengono oltre 1200 protestanti, giacché dopo la guerra il loro numero aumentò; ed appartengono alle sette più popolari e visionarie, quali i battisti e soprattutto i pentecostali.
Il parroco della chiesa di San Giovanni, che sovrasta la spaccatura, mi disse che il numero dei protestanti aumenta in fondo all'imbuto.
Come in un contrasto scenico, dalla città superiore irrompono invece cortei di donne recitando il rosario.
Pochissima è la delinquenza e la moralità è buona.
La ricchezza dei Sassi è il pane, grazie all'ottimo grano duro di questa zona.
L'impressione che danno i Sassi nel loro insieme è quella d'un presepio napoletano, ma illividito e quasi stravolto da un fondo spiritico.
Un gioco popolare, non privo di violenza e di crudeltà mentale, che si pratica in molte regioni con qualche variante, ne’ Sassi di Matera prende il nome “padrone e sotto”.
Si colora di una strana luce, giocando in fondo ad un burrone.
Uno scrittore di Matera, Nicola, lo descrive così: “Chi vince il gioco è padrone, e può fare quello che vuole del vino che tutti pagano; e può offrirlo o negarlo, o tenerlo per sé.
Deve però giustificare, il contraddittorio col “sotto” il proprio operato, ed è in questa azione che si rivelano gli animi, che affiorano i sentimenti e le passioni, che si manifestano e si spiegano i rancori, che si provano le amicizie.
Con lunghi giri di parole, con discorsi velati, con doppi sensi ...” Parlo dei Sassi come si presentavano all'inizio delle riforme; giacché la loro situazione va adesso mutando.
Il deperimento di gran parte delle abitazioni, e più ancora nel Sasso Caveoso che in quello Barisano, divenne nel dopoguerra un argomento d'obbligo della letteratura politica sul Mezzogiorno. Bisognava svuotare i Sassi per trasportare gli abitanti in case più igieniche, e i contadini più vicini alla terra.
La voragine conteneva circa 18.000 dei 30.000 abitanti della città.
La legge dei Sassi, varata nel 1952, stanziò 5 miliardi e 200 milioni per il loro risanamento.
Fu decisa la costruzione dal nulla di cinque villaggi, in vicinanza di Matera, nella parte alta.
Sono: la Martella, il primo in ordine di tempo, Serra Venerdì, Venusio, ed altri due che seguiranno.
Costruzioni e trasferimenti si svolsero, come sempre, tra vivaci polemiche.
Non era lecito procedere in maniera drastica.
Abbattere, sventrare nei Sassi sarebbe un delitto, giacché, nel loro insieme, essi costituiscono un monumento impareggiabile, in cui lo squallore si mescola con antiche chiese e palazzotti decaduti.
Gran numero di quelle case sono di bella architettura.
Tutti gli stili hanno lasciato una traccia nella voragine.
Si tratta di una organica sistemazione urbana, sorta in età remota sulle pareti di un burrone, forse perché i primi abitanti andavano in cerca dell'acqua.
Proprio perché era un vero consorzio, sebbene inammissibile nelle condizioni presenti, fu difficile toglierle gli abitanti che vi si erano incarnati.
Strappati dal burrone essi trovavano un mondo diverso dal loro, quasi una diversa patria.
Fuori del fiato collettivo a cui erano avvezzi, nelle costruzioni divise dei villaggi moderni, si sentivano spersi e talvolta atterriti.
“Preferisco la mia grotta, il mio vicinato”, era una frase consueta. Oppure acconsentivano a muoversi, purché nelle case nuove già trovassero il vecchio consorzio ricomposto.
I nuovi borghi, affacciati sui campi, sono sani ed ariosi; e l'assegnatario riceve una casa, munita di stalla, fienile, pollaio, pagandola in 25 anni ad una cifra molto bassa.
Oggi il trasferimento è ben avviato.
Le case svuotate dei Sassi sono chiuse, perché non si riempiano un'altra volta.
Si deve solo chiedere che la loro straordinaria città sia lasciata integra nell'insieme, come monumento dal quale possono imparare molto non soltanto l'etnologo, ma anche l'architetto.
Matera, che gravita su Bari, è quasi parte della Puglia.
A Matera maggiori sono le possibilità economiche.
La Lucania, veduta dall'angolo di Matera, offre prospettive più liete.
Tra qualche anno la sua vita potrebbe essere trasformata.
Si prevede un forte sviluppo dell'agricoltura e una fioritura di industria per la trasformazione dei prodotti agricoli.
Il panorama economico è quello di gran parte del Sud.
Da un lato si lamenta una deficienza di credito e la mancanza di una banca locale.
Dall'altro si rileva che il capitale esistente rifugge dall'investimento nelle industrie, tranne quella molitoria, la tradizionale, avversando le novità.
i principali negozi, i cinematografi sono iniziative di forestieri, soprattutto baresi; e così il nuovo albergo.
Tuttavia un industriale venuto dal contado ha fatto sorgere qui, in pochi anni, una fabbrica di laterizi oltre ad un mobilificio, ed a stazioni di servizio automobilistiche, mettendo insieme una grossa sostanza, ed investendo in nuove imprese tutta la propria rendita. Ma sono figure che, anche se non inconsuete, prendono nel Sud un rilievo drammatico, perché in contrasto con l’ambiente.
Le industrie più importanti sono due fabbriche di laterizi, quella a cui si è accennato, e una seconda sorta con capitali veronesi, ambedue finanziati dalla Cassa del Mezzogiorno.
Il futuro della provincia risiede nelle opere bonifica, di irrigazione, di trasformazione fondiaria, cui si collega l'opera della Riforma.
Si incontra in tutto il Sud, ma in nessun luogo forse come in Lucania, un tipo di contadino che rovescia l'idea di contadino quale si è formata nei secoli.
Un essere, per così dire, fluido, indefinito e sradicato dal paese. Frequente era il caso del contadino che andava a lavorare in un podere a grande distanza, e, dovendo sostarvi, si faceva assegnare dal padrone una camera.
Moltiplicandosi le soste, vi trasferiva la famiglia, e mi stabiliva, perdendo il contatto con la città, ma senza amalgamarsi mai con la gente del luogo.
Rimaneva un perpetuo estraneo, un uomo in nessuna terra.
Ciò che si fa nel Sud ha, tra gli altri scopi, quello di fornire agli uomini una patria non nominale, un ambiente nel quale possano definirsi, istituendo un legame di affetto con i luoghi in cui vivono.
Le bonifiche e la Riforma agraria sono di gran lunga i più importanti avvenimenti nella zona.
E’ perciò naturale che calamitino quasi interamente i contrasti di una cultura che, sebbene ristretta a minoranze, ho trovato vivace. Vi si riscontra il radicalismo politico tipico degli ambienti cattolici operanti nell'ambito della Riforma agraria.
La funzione critica è esercitata soprattutto da un gruppetto di giovani, legati al movimento di Comunità, che ha come centro Ivrea in Piemonte.
Le loro idee compaiono in un settimanale, “Basilicata”.
Matera è, come tutta la Lucania, terreno adatto agli esperimenti sociali; ed è stata scelta perciò come provincia pilota per l'istruzione, con Foggia, Catanzaro, Rieti, Sassari e Benevento, saggiando metodi nuovi in rapporto a speciali condizioni di ambiente.
In provincia di Matera la situazione ereditata era grave.
Diciannove comuni su ventinove erano senza scuola, le scuole per lo più in edifici di fortuna.
Forte, e mal calcolabile, era la percentuale degli analfabeti; nella borghesia un eccesso di cultura umanistica.
Il primo tentativo è perciò quello di diffondere gli istituti professionali.
Specie di agricoltura, essendo oggi rivolto verso questa il massimo sforzo.
Fondamentale è poi quell'istruzione elementare, chiamata nel linguaggio d’oggi istruzione di base.
A Matera, dove esce una rivista pedagogica d'avanguardia, “Convegno”, il provveditore agli studi mi ha parlato di alcuni esperimenti in corso.
Nei nuovi borghi, la Martella per primo, l'istruzione è condotta adattando all’ambiente il metodo Montessori.
Anzitutto un ambiente igienico, grazioso e gaio; poi un'educazione mirante ad instillare nei bambini il sentimento della vita associata, il gusto della comunità borghigiana.
E insieme, il gusto della vita rurale, affezionando anche l'immaginazione ai lavori campestri, al succedersi delle stagioni, agli eventi e agli aspetti naturali.
I libri di testo sono quasi sostituì da schede, contenenti ognuna un problema, tra cui ogni alunno sceglie secondo gli interessi che si formano e lui.
Per abituarsi all'autogoverno, la scolaresca elegge un proprio Consiglio, che sovraintende alla cucina, alla pulizia e ai giochi. Molto sviluppata l'assistenza scolastica.
Notevole un centro psicopedagogico che usufruisce degli aiuti internazionali.
Mira sostanzialmente a formare comunità orientate alla vita contadina e munite alla cultura adatta ai loro bisogni.
La popolazione Lucana, le cui caratteristiche si confondono spesso con quelle calabresi, campane e pugliesi, si distingue però, come abbiamo già detto, per istinto poetico e per fantasia più vivaci.
I lavori d’intarsio, che i pastori eseguivano su modelli antichissimi, bastoni, borracce, amuleti, sono i più belli che io abbia visto.
Esposti nel museo, anche quelli che hanno mezzo secolo sembrano contemporanei ai pezzi di scavo.
Oggi non si fanno più e la bella edilizia popolare si è estinta anch'essa con la fine del settecento...» (Guido Piovene - Viaggio in Italia 1950)
La città dei Sassi di Alfonso Gatto«Visitando Matera, come Pietzsch (fotografo che accompagna l’autore) e io abbiamo fatto per il nostro giornale, vengono spontanee due domande.
E’ da meravigliarsi e da render lode alla storia e agli uomini che i Sassi esistano come un’allucinante necropoli abitata da uomini sul limite della Gravina, come un Palatino popolare sforacchiato di porte e di buche in quella luce temporalesca e torrida?
E’ meraviglia che i bambini vi corrano, che le capre vi pascolino e che le donne regali e colleriche salgano e scendano ininterrottamente come portatrici d’anfore che fanno bello l'aulico paesaggio della miseria?
Rispondiamo di no.
C'è da caricare la realtà della sua stessa evidenza e dar colpa alla storia e agli uomini che i Sassi esistano, che siano monumenti persino, assurdi monumenti primitivi di una vita primitiva? Crediamo di no: la domanda già ricade su noi stessi che l'abbiamo fatta e su tutti quelli che se la rivolgeranno, senza credere per questo di dover dare risposta.
E allora?
Io ho avuto il senso preciso delle grandi domande sospese nel cielo della città trogloditica aprono e chiudono continuamente quell’”Apocalisse” letteraria che ogni tanto scuote il Sud con il suo terremoto di parole o quel “Cantico dei Cantici” che fa spesso iperbolicamente fiorire nelle contrade meridionali giardini di promesse.
Gli indigeni del Sasso non abitano in una Bibbia di pietra, anche se figurano, e hanno problemi immediati, di questa terra, piccole domande per cui volentieri s’imbatterebbero in un cronista di buona memoria piuttosto che in un Messia, in un medico di buona pratica piuttosto che in uno scienziato, in un fontaniere magari che moltiplicasse le fontane e non obbligasse le 500 famiglie del Rione Casalnuovo a servirsi di quella sola che c'è molto lontana dalle loro case.
Le tre donne che Pietzsch ha Colte all'improvviso parlavano della fontana.
Concretizziamo in una piccola domanda, nella loro domanda, il bisogno di altre domande più gravi e risolutive: ma non trascuriamola, per la mania che abbiamo di far grande, sempre più grande, tutto, pur di portarlo fuori della nostra misura e del nostro umano interesse.
“Se si incominciasse a fare quel poco che si può fare” ci diceva un indulgente mestizia Luigi Doppido mentre legava e intrecciava cipolle davanti alla porta della sua casa “non saremmo come siamo e come sempre ricordo di essere stato”.
La donna che interviene col bambino in braccio anche nelle nostre pagine dice: “Noi siamo come le bestie, come gli asini, buoni per chi li mena.
Non abbiamo mai visto il cinema”.
Ci spinge a guardare la stanza che ha scavata nella roccia.
Nell’unica camera da letto è sistemato anche il telaio per la tessitura ove il marito, un bracciante disoccupato, lavora a ripararlo.
Bestie non ce ne sono perché non ne ha.
Si chiama Maria Di Taranto ed è sposata a Marango Antonio.
Ha quattro figli.
Elisabetta Vizzola ci accompagna in testa un codazzo d’altri uomini, da altre donne e di bambini, a vedere la sua “casa con animali”, come lei stessa dice.
in primo piano c'è il letto molto curato e pulito.
Accanto a letto il comò con una grossa sveglia.
A sinistra un giaciglio, più che un letto, ancora sossopra.
Vi dormono i due bambini.
Dirimpetto al letto il “cascione”, grosso armadio per il grano, e accanto la madia.
In fondo, a un livello più basso, il mulo, pulcini, galline.
Umido intenso, quasi freddo in pieno luglio.
Davanti alla porta, mentre noi siamo nell'interno a guardare, una vecchia donna con la camicetta color arancia s’è messa a cantare “Cicì che bé”.
Lo fa apposta con aria di sfarzoso dispetto, come a dire che tutto inutile e estemporaneo, anche il nostro interesse.
Sembra un’ubriaca: ma è soltanto timida.
Finalmente è entrata dentro anche lei e ci mostra l'olografia d’un bel mare azzurro appesa alla parete con la fotografia di un marinaio infilata nella cornice.
E’ il figlio di Elisabetta Vizzola, la padrona di casa.
Dopo il soldato, lui come tutti gli altri, è tornato al suo paese di sassi che è poi una città, un capoluogo con prefetto, questore e una Banca d'Italia piccola piccola (ma ne stanno costruendo una nuova) e bei frontespizi di chiese e di conventi.
Stando al Sasso, c'eravamo dimenticati dell'altra città, quella dei funzionari, delle scuole e delle botteghe.
“Tanto è come se non ci fosse per noi” ha detto Annunziata Ambrosecchia.
“Nelle case ci stanno i galantuomini”.
Galantuomini sono i proprietari di queste povere tane, proprietari di una miseria se non hanno altro: galantuomini sono gli agenti che mettono le tasse ancora sui sassi d’animali e d’uomini insieme, sulla stessa miseria un'altra volta.
Nell'improvviso silenzio succeduto al mezzogiorno, mentre ci aggiravamo per la piazzetta che è davanti a San Pietro Caveoso, una chiesa addossata a un promontorio di roccia a picco sullo strapiombo (la chiamavamo Gibilterra io e Pietzsch per orientarci), udimmo il rumore dell'acqua.
Sembrava rispondere alle domande di sete di tutti i cavernicoli del Sasso.
Ci affacciammo.
Era soltanto acqua sporca di una cloaca che si gettava nella Gravina.
È possibile diminuire i casi di idropisia, di malaria, di tracoma che colpiscono e deformano i bambini troppo presto?
E’ possibile estendere il criterio di “inabitabilità” delle case, facendo decadere il diritto di proprietà è ricorrente risarcendo adeguatamente i proprietari che spesso sono poveri anch'essi?
E’ possibile aumentare la disponibilità di acqua che è di appena 3 litri al giorno per abitante?
E’ possibile costruire fognature che mancano in buona parte?
E’ possibile allestire ricoveri per gli animali che ora vivono insieme con le famiglie in un allarmante promiscuità?
Se ci si limitasse a fare queste piccole domande e a dar loro una risposta, si incomincerebbe veramente a chiudere il libro dell'apocalisse meridionalista, nel quale si ritrovano come per un'intesa sempre inattuali e pure presenti, rivoluzionari e conservatori che non muovono un dito.
Gli stessi visitatori, i documentatori che con le immagini con le parole cercano di portare ancora più a fondo l'assurda realtà che già vedono, troverebbero finalmente un arresto alla propria ingenuità estremista o al proprio messaggio poetico.
Bisogna togliere ai Sassi la loro cronica e inguaribile monumentalità.
Sarebbe un’igiene più definitiva e meno triste di quella espressa dal marchio “D.D.T.” stampigliato con la data di inalazione sulle porte delle Malve e di Casalnuovo.
Il cosiddetto “inviato” a Matera intanto avrà assolto bene il suo compito se sarà stato buon cronista, se riuscirà un giorno a far giungere il fontaniere fin alla casa di Annunziata Ambrosecchia».
(da “Attraverso l’Italia del Novecento” - pagine 258 a 262 - Touring Club Italiano, 1999)
Cronista sportivo al seguito del giro d'Italia degli anni ‘40 e ‘50, Alfonso Gatto, squisito poeta, sa essere anche grande giornalista.
Il suo pezzo dedicato a Matera ne è la testimonianza: la volontà di documentare una realtà eccezionale,va di pari passo con l'esigenza di capire, e perciò il testo procede in modo semplice e chiaro.
Del resto, il sottotitolo del pezzo è esplicito: “l’inviato è lieto di essere soltanto un utile cronista”.
«Dopo un illustre passato di “città laboratorio”, Matera oggi è di nuovo al centro dell'attenzione per la proclamazione a Capitale europea della Cultura 2019, e viene riscoperta dal turismo nazionale e internazionale.
Alla metà del secolo scorso, la città - da una terra dimenticata dalla storia - aveva lanciato un progetto riformista urbano, che investiva al contempo un vasto territorio, per sperimentare un modello di sviluppo che avrebbe orientato il progetto di una modernità meridionale.
Una città di soli trentamila abitanti aveva attirato da tutti il mondo intellettuali, artisti e letterati, che avevano trovato in questa realtà, apparentemente ferma nel tempo, indizi di un'anticipazione di futuro.
La descrizione di Matera e della Basilicata fatta da Carlo Levi nel 1945 in “Cristo si è fermato ad Eboli” mobiliterà idee e progetti.
A partire dalla vicenda dei Sassi, dove una popolazione viveva ancora, a ridosso della modernità, in case grotta, e dalla molteplicità di prospettive che il loro significato andava via via producendo: “arcaica pace” del mondo contadino, immagini di inaudita miseria, luogo intriso di valori simbolici, spazio denso di testimonianze storico-artistiche, centro antropologico e culturale. Immagini che si sono tra loro contaminate e che hanno connotato i diversi significati di “città laboratorio” che Matera assunto: laboratorio del moderno (l'esperienza del Piano Piccinato e quelli dei concorsi di architettura per i nuovi quartieri), laboratorio antropologico (un riferimento che vale per Matera, ma anche per l'intera Basilicata), laboratorio socio-territoriale (riformismo urbanistico e socio-economico di Adriano Olivetti).
La vicenda materana è stata anche laboratorio di singoli intellettuali, che in questa città hanno trovato il terreno ideale per esperienze e pratiche artistiche, sollecitati dalle particolari condizioni di “marginalità” prima fra tutte, la Gerusalemme fuori dal tempo storico del Pasolini del “Vangelo secondo Matteo” dove gli abitanti dei Sassi diventano gli unici eredi del suo messaggio universale.
Matera come “laboratorio della marginalità”, dove l'essere al margine non era percepito sempre negativamente.
Nell'arco di 40 anni i Sassi, nell'ambito di una revisione e di un aggiornamento della nozione di “patrimonio”, da vergogna nazionale sono diventati un caso esemplare di recupero dei centri storici grazie ad una legge dello Stato e all'arrivo di ingenti finanziamenti pubblici agli inizi degli anni Settanta, l'attivazione di un concorso internazionale porterà i Sassi nel 1993 al riconoscimento di sito UNESCO, a compimento di un lungo percorso di rivalutazione del loro significato storico, artistico e antropologico.
La storia recente di Matera non è diversa da quelle di molte città italiane, con la fine del “laboratorio urbano Matera”.
Sono gli stessi anni delle speranze di un futuro imprenditoriale materano, dove il “grande e bello e mangia il piccolo”: si chiudono i pastifici Padula, Quinto, Mulino Alvino, inglobati dalla Barilla; lungo l'asse ricongiungimento Matera-Altamura, la variante del Piano Piccinato Prg/73, inseguendo un sogno imprenditoriale per una capitale contadin, abbandona la direzione verso Potenza e punta verso Bari e la Puglia, collocando una strada-mercato con ampie aree di insediamento industriale e commerciale all'altezza di Borgo Venusio.
Prendono avvio i cantieri di quella che rimane una delle principali attività economiche della città, l'edilizia.
Matera consolida in questo modo il suo carattere di città duale, fatta di città accostate, che non si guardano.
Rispetto alla configurazione socio-economica del 2001, la composizione dell'occupazione qui si sposta decisamente in favore delle attività manifatturiere: alimentari, mobili e metalmeccanica sono ancora le principali attività produttive e, sebbene negli anni più recenti sia proseguita la contrazione di unità locali e di addetti, alcune imprese stanno introducendo innovazioni di prodotto e ricercando nuovi mercati; vengono considerate depositarie di un patrimonio di cultura industriale necessario a fornire un radicamento alle microimprese che operano nel composito mondo delle industrie culturali e creative.
Queste ultime, insieme all'offerta di servizi turistici, già nel 2011 pesano per l’11% sul totale degli addetti, e la loro integrazione in una filiera turistico-culturale-creativa si candida a diventare una, se non la principale, specializzazione produttiva della città di Matera.
La città è anche sede accademica distaccata dell'Università della Basilicata, nata come risposta proattiva della cultura e della scienza al grande terremoto che aveva investito la regione (era di il novembre 1980), che offre un percorso formativo fortemente ancorato ai valori dell'architettura, dell'ambiente e dei patrimoni. Non si può fare a meno di notare le luci e le ombre che connotano la scena locale e regionale: la bassa densità demografica e la riduzione delle fasce giovanili, la sotto-dotazione di infrastrutture; ma anche il basso tasso di criminalità della città e del territorio, la sua frugalità e resilienza, la modesta dimensione della povertà. Matera e oggi laboratorio urbano.
L'assegnazione del titolo di Capitale europea della Cultura per il 2019 avviene non tanto per quello che la città mostra di essere, quanto prende politiche culturali che vuole intraprendere nel percorso dei quattro anni successivi al riconoscimento.
Non si può tacere il rischio che invece le politiche sulla città non riescono ad andare oltre il breve termine, cogliendo la proclamazione solo come punto di arrivo del processo, consumando la scena urbana senza intraprendere un percorso di cambiamento è una effettiva sperimentazione nel governo della città, con politiche strutturali a medio e lungo termine.
Dubbio legittimo per Matera, se pensiamo alla tendenza delle politiche della comunicazione a l'evanescenza.
Mentre con la sovraesposizione i Sassi, diventati nuovi immaginari del pittoresco o del vernacolare, sono scelti come fondale di ogni iniziativa da intraprendere, luoghi surreali per soggiorni di lusso, smarrendo il racconto storico della città, la complessità del fenomeno urbano è il singolare rapporto di Matera con il territorio da cui prende forza.
Spesso si dimentica che Matera, collocata in un territorio comunale tra i più grandi d'Italia con due parchi e ben quattro aree protette (circa 8.300 ettari di superficie), traguarda lo scenario mozzafiato del Parco della Murgia Materana e, oltre, un territorio regionale che è tutto un grande parco.
Matera come “città territorio”, porta di una “internità” nascosta, affaccio sullo Ionio da cui si contemplano Pollino e Appennino, e polo di un sistema policentrico murgiano, insieme ad Altamura e Gravina.
Matera “città-parco” perché cerniera tra parchi regionali e interregionali, con il 30% del territorio ad alta valenza naturalistica, al secondo posto in Italia come estensione.
La presenza di ingenti capitali raccolti sul progetto “Matera 2019”, in controtendenza con le difficoltà economiche in cui versano le amministrazioni urbane, sta dando all’agenda urbana le gambe su cui camminare, aprendo cantieri di opere tenute per molto tempo nel cassetto, sul fronte del potenziamento delle infrastrutture culturali (nuovi contenitori culturali e riammodernamento di quelli esistenti) e della riqualificazione urbana (nuova centralità urbana e rigenerazione di periferie).
Matera, unico capoluogo di provincia non collegato alla rete ferroviaria nazionale, punta al miglioramento della connessione su gomma con Bari-Altamura grazie al raddoppio della SS 96 e su ferro con il potenziamento del servizio da e verso Bari, Potenza e altri centri limitrofi Lucani delle Ferrovie Appulo-Lucane, riducendo in particolare i tempi di percorrenza tra Bari e Matera (dagli attuali 95 a 59 minuti previsti) grazie al miglioramento dei limiti di capacità sulla tratta.
La portata di questa connessione avrà conseguenze inimmaginabili nelle relazioni tra area metropolitana barese e Matera e il suo territorio prossimo e profondo.
Per il territorio materano l'integrazione delle relazioni con il bacino metropolitano barese è cruciale soprattutto per migliorare l'accessibilità; al tempo stesso Bari potrebbe intercettare, attraverso la forte attrattività di Matera, significati e valori delle sue aree interne, reinterpretare e valorizzare la complessità del suo “retro” murgiano.
L'ecosistema Matera è vivo ma ancora immaturo.
Per farlo maturare è necessario un cambiamento della “forma mentis” della cultura dell'impresa è, anche per far sì che l'arrivo di ingenti finanziamenti pubblici determini un cambiamento di metodi e mentalità, attraverso la comprensione dei vantaggi del lavoro di squadra e della complementarità.
Il dibattito in corso è molto ricco; alto il profilo professionale e culturale di chi è sceso in campo.
E’ questa forse anche una buona occasione per aggiornare i modi di governare le città coinvolte da eventi importanti.
L’Expo e il dopo Expo di Milano non sono l'unica formula possibile di successo per una città.
Altri modelli si possono elaborare e proporre al sistema Paese, perché il fine ultimo dovrebbe essere verificare la possibilità che la cultura sia fattore costruttivo di nuove competenze e mentalità; e se tutto questo, poi, sia in grado di contribuire in maniera significativa a migliorare la vita delle persone».
di Mariavaleria Mininni, professoressa associata di Urbanistica all’Università della Basilicata.
(da “Viaggio in Italia” Racconto di un paese difficile e bellissimo - numero monografico Rivista il Mulino n° 6/2017 - pagine 234 a 237)
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