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Calabria: Papasìdero il sito neolitico Grotta del Romito e il Bos primigenius


Papasidero (Papàs Isidoros, Παπάς Ισίδωρος in greco) è un comune della provincia di Cosenza; il suo territorio è la riserva naturale orientata della Valle del Fiume Lao (DM Ambiente - Luglio 1987) e fa parte del Parco Nazionale del Pollino.

Da Scalea si segue la vecchia Statale 18 Tirrenica Inferiore, verso Sud-Est, sovrappassando la ferrovia, e deviando, km 1,8 a sinistra per la Statale 504 di Mormanno, molto sinuosa e di grande interesse panoramico e paesistico, che sale attraverso valloncelli coperto di macchia.
A km 10,5 si rasenta sulla sinistra Santa Domenica Talo.
Si prosegue con vista ampia sulla costa; poi si piega verso Sud, con vista a destra, ancora, di Santa Domenica Talao, mentre il mare sparisce.
Presto, ai boschi si castagni succedono le macchie e la valle va restringendosi; a km 16,8, si toccano le case di Tremoli, sparse tra vigneti e frutteti.
Dopo una serie di vallette tra macchie e lecci, carpini e frassini.
La strada scende verso il Fiume Lao, mentre di fronte appare Papasidero su una rupe dominante il fiume, che si attraversa, a km 22, con un ponticello in una pittoresca forra.
Situato su uno sperone alla sinistra del Fiume Lao, il paese, di origine Bizantina, sorge sul sito ov'era, forse, l'antica città greca Skidros o Scidro.

PAPASIDERO

Regione: Calabria
Provincia: Cosenza CS
Altitudine: 208 m slm
Superficie: 55,22 km²
Abitanti: 696
Nome abitanti: Papasideresi






GENIUS LOCI
(Spirito del Luogo - Identità materiale e immateriale)

Papasidero, di origine bizantina, è molo scenografica, situata su uno sperone alla sinistra del fiume Lao, con in cima la grande parrocchiale, con stradine interne spesso sostituite da scalinate in pietra, proprio per la particolare conformazione urbanistica in declivio.
Conserva la memoria bizantina in un angolo particolarmente suggestivo sulle sponde del fiume Lao, dove sorge il Santuario di Santa Maria di Costantinopoli. 
Inoltre, la storia del territorio è stata notevolmente arricchita dalla scoperta di uno dei siti archeologici più importanti d’Europa.
La pace di questi luoghi assieme all’accoglienza della gente e alle sane tradizioni culinarie contribuisce a far vivere momenti di forte suggestione.



ORIGINE del NOME
(Toponomastica)

Il nome deriva dal greco Papàs Isidoros, Παπάς Ισίδωρος, letteralmente "prete Isidoro" (prete igumeno, cioè capo di comunità basiliana, di nome Isidoro) con riferimento al capo di una Comunità Basiliana residente nel sito; vista la centralità che il comune ha avuto nella importante regione mercuriense, culla del monachesimo italo-greco, che ha lasciato notevoli tracce in questo territorio
Si confronta anche con Papasidero, contrada di Palmi (RC), ed un'altra presso Cinquefrondi (RC), ed analogamente, Papaglionti, frazione di Zungri (CZ), il cui nome deriva da παπάς Λεòντιoς


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TERRITORIO
(Topografia e Urbanistica)

Papasidero situata su uno sperone roccioso a 210 metri sul livello del mare dal quale dista 23 km.
Ha una superficie di 54 km² ed attraversato dal fiume Lao e dal torrente San Nocaio.
Papasidero è Riserva Naturale e fa parte del Parco Nazionale del Pollino.

E' di origine bizantina, sorge nel sito ov’era forse l’antica Scidro; è uno dei comuni più importanti del Parco Nazionale del Pollino.
Proprio per la particolare conformazione urbanistica in declivio, le stradine interne sono spesso sostituite da scalinate in pietra.
Le abitazioni sono state quasi tutte realizzate con blocchi irregolari di pietra calcarea e ciottoli di fiume legati con la malta.



ITINERARI e LUOGHI
(Culturali, Turistici e Storici)

Caratteristico è il Centro Storico di impianto urbanistico tipicamente Medievale si è costituito all'incirca tra l'anno 1000 e il 1200 prendendo avvio da una Rocca Longobarda, diventata Castello in epoca Normanno-Sveva (1190-1250) ampliato nel periodo Angioino (1300) ed Aragonese (dal 1400 al 1500).
Alla sommità del Borgo la Chiesa Madre di San Costantino e il Castello Normanno-Svevo.
La Cinta Muraria Medievale presenta delle antiche porte d'ingresso al Borgo tra cui si conserva ancora quella del cambio della Guardia.

Nella Parrocchiale di San Costantino si trovano: una tela di scuola napoletana dei primi decenni del 1600 con i Santi Francesco d’Assisi e Domenico; un fonte battesimale e un’acquasantiera in granito del 1500; un coro ligneo del 1800 e tronetto in legno intagliato e dorato; di particolare interesse è un affresco bizantino.


La Chiesa di Santa Sofia possiede affreschi di ignoti meridionali del 1500; anche la Chiesa di Santa Lucia conserva affreschi di ignoto meridionale del ’500. Notevole è, in via San Costantino al N. 1, un portale di granito del 1600, a motivi fitomorfi. 
A breve distanza, sulla destra del fiume Lao, sorge il Santuario di Santa Maria di Costantinopoli; la chiesa costruita nella metà del 1600 fu ampliata alla fine del 1700 e nella prima metà del 1800.
Ha pianta a T con 3 navate, conserva un grande affresco raffigurante la Vergine con Bambino ed un Vescovo inginocchiato, in alto l'Arcangelo Michele che trafigge Satana in fiamme.

SANTI PATRONI

Madonna di Costantinopoli - Il titolo Mariano di Nostra Signora di Costantinopoli è generalmente legato all'arrivo in Occidente di venerate immagini della Vergine portate da Monaci in fuga da Bisanzio, prima a causa delle persecuzioni iconoclaste e poi per la caduta di Costantinopoli.

Essendo il titolo legato a immagini di origine Bizantina, le varie Madonne di Costantinopoli sono repliche dei più comuni esemplari iconografici orientali: la Blachernitissa (Maria in atteggiamento di orante, a volte con l'immagine Clipeata del Bambino Gesù all'altezza del ventre), l'Hodigitria (la Vergine che regge in braccio il Figlio e lo indica), la Nikopoia (Maria seduta in posizione frontale, con il bambino in grembo), la Glykophilousa e l'Eleousa (varianti dell'Hodigitria, con la Vergine che accosta la guancia a quella di Gesù).

Nelle leggende dell'arrivo di tali icone in Occidente, ricorre il topos letterario di 2 Calogeri (Monaci) che portano in salvo via mare l'immagine della Vergine nascosta in una cassa: per questo motivo, nelle rappresentazioni di Nostra Signora di Costantinopoli spesso l'immagine della Vergine con il Bambino appare spuntare da una cassa portata in spalla da 2 anziani Religiosi.



Rocco di Montpellier, universalmente noto come San Rocco (Montpellier, 1346/1350 - Voghera, notte tra il 15 e il 16 agosto 1376/1379), è stato un pellegrino e taumaturgo francese; è venerato come Santo dalla Chiesa Cattolica ed è patrono di numerose città e paesi; solo in Italia, San Rocco è il Patrono di oltre 100 comuni.
A Grisolia, è conservato un pezzo d'osso.
È il Santo più invocato, dal Medioevo in poi, come protettore dal terribile flagello della peste, e la sua popolarità è tutt'ora ampiamente diffusa.
Il suo patronato si è progressivamente esteso al mondo contadino, agli animali, alle grandi catastrofi come i terremoti, alle epidemie e malattie gravissime; in senso più moderno, è un grande esempio di solidarietà umana e di Carità Cristiana, nel segno del volontariato. 
Con il passare dei secoli è divenuto uno dei Santi più conosciuti nel continente europeo e oltreoceano, ma è rimasto anche uno dei più misteriosi.


La scarsa storiografia su San Rocco si estende anche alla sua canonizzazione
Non solo non si conosce con esattezza la data ma addirittura c'è ancora oggi chi nega che ci sia stata per il santo una vera e propria elevazione alla gloria degli altari. 
L'ipotesi più celebre, propagata dall'antica Vita Sancti Rochi del Diedo, è che sia avvenuta per opera del Concilio di Costanza nel 1414, durante il quale, secondo la tradizione, la cittadina fu colpita dalla pestilenza e mentre i padri conciliari stavano discutendo se convenisse lasciare la città, un giovane cardinale propose in assemblea come unica soluzione il ricorso a un uomo di Dio, San Rocco
La proposta fu accolta e dopo aver portato in processione per la città l'immagine del Santo, la città fu in breve tempo liberata dal morbo. 
Fu quella, quindi, una canonizzazione avvenuta per acclamazione di popolo e ufficialmente riconosciuta dal concilio; ma come già detto, si tratta di un evento storicamente indimostrabile.

Canonizzazione
La prima ufficializzazione del culto di San Rocco è comunque avvenuta in un periodo tribolato per la Chiesa, il cosiddetto scisma d'Occidente, con più papi eletti contemporaneamente al soglio pontificio, il primo fra i quali, Papa Gregorio XIII ne fissò la sua festa al 16 agosto.
Infine, Urbano VIII approvò solennemente il suo culto nel 1629 e la Congregazione dei riti concesse un ufficio e una messa propri alle chiese costruite in onore del Santo.
Nel 1694, Papa Innocenzo XII prescrisse ai Francescani di celebrarlo con il rito doppio maggiore.
Così la gerarchia ecclesiastica seguì l'entusiasmo espresso dai fedeli nei confronti di Rocco diventato Santo grazie ai suoi miracoli piuttosto che al favore del clero.

Patronati
Fin dal Medioevo si invocava l'intercessione di San Rocco, presso Dio, contro la peste, autentico flagello che a più riprese si diffuse per contagio nel vecchio continente mietendo milioni di vittime.
Questo in virtù della dedizione che Rocco ebbe in vita nella cura e risanamento di quanti furono colpiti da questa malattia.
I recenti aggiornamenti liturgici gli riconoscono pure il patronato contro altre malattie (lebbra, colera, osteoporosi, AIDS, tumore, leucemia) e, in generale, contro le epidemie e tutte le malattie contagiose.

Per quanto concerne i disastri naturali, il Santo francese è invocato presso Dio contro la siccità, i terremoti e, in generale, contro tutte le calamità naturali.

È patrono dei volontari, dei pellegrini e dei viandanti (essendo stato lui stesso un pellegrino), degli automobilisti, degli assicurativi, dei farmacisti, dei chirurghi, degli infermieri (e degli operatori sanitari in generale), dei becchini, dei cavapietre, dei servitori, dei giovani e degli animali (in special modo dei cani e nelle invocazioni delle campagne contro le malattie del bestiame).
Inoltre è patrono degli invalidi, dei prigionieri e degli emarginati, per aver provato le stesse condizioni durante la sua vita.
(clicca qui per altre notizie)

ARTI & MESTIERI



STORIA
 
Alcuni storici calabresi ritengono che Papasidero sia sorto nel territorio dell'antica città greca di Skidros (o Scidro), una delle colonie di Sibari che faceva da collegamento tra Sibari e Laos.
La zona comunque era abitata fin dalla remota antichità, come attestano i ritrovamenti del paleolitico superiore nella vicina Grotta del Romito, scoperta nel 1961 (vedi appresso). 
Dal 1500 fu elevato ad Università Feudale (Comune) e la Chiesa di San Costantino divenne parrocchia nel 1510.
Il paese è stato possesso degli Alitto di discendenza Normanna, dei Sanseverino e degli Spinelli di Scalea, ai quali appertenne fino al 1806.
Dal 1593 vi ha operato un Monte di Pietà del Vescovo Cassanese Lewis Owen (Ludovico Audoeno) ed a partire dalla metà del 1600 la Confraternita dell'Assunta.
Ha dato i natali a Carlo Paolino (1723-1803) umanista, a Francesco Mastroti (1777-1847) pedagogista, a Maria Angelica Mastroti (1851-1891) mistica.
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Fiume Lao

Il Fiume Lao nasce nella provincia di Potenza e dopo un percorso di 51 km sfocia nel Tirreno nei pressi di Scalea.
E' il fiume calabrese con la maggior portata di magra. 
Ha un bacino di 606 km² ed una portata media di 9,09 mc/s.
Per l'importante portata d'acqua e per lo stupendo scenario del suo percorso è diventato meta degli appassionati canoa e rafting italiani e stranieri.



Avena

E' un antichissimo centro storico ora disabitato dove ancor'oggi è possibile rivivere scorci di vita quotidiana tipici dell'ultimo dopoguerra.
Regna una calma surreale in cui si può cogliere il vero e proprio linguaggio espressivo della natura e della fauna che la abita.



COME ARRIVARE A Papasidero


In Auto
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GROTTA DEL ROMITO

Da Papasidero, continuando per la Statale 504, in 25 minuti percorrendo 13 km di curve, saremo alla meta prefissata, la Grotta del Romito.
Risalendo l’aspro vallone del Torrente Castiglioni, con vista, alle spalle, di Papasidero.

La strada è molto tortuosa ma sempre spettacolare e panoramica. 
Tornati poi nella valle principale, ci si dirige verso il Lao che, a un certo punto, sembra sbarrato da un grosso roccione.
La Grotta e il Riparo del Romito si trovano a 296 m s.l.m., tra i monti del Pollino, ubicati in località Nuppolara nel comune di Papasidero, in provincia di Cosenza, a circa 30 km dalla costa tirrenica e 10 km dall’uscita Mormanno/Scalea dell’Autostrada A3, di cui si vede di lontano un viadotto, tra le montagne verdi.


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Superata quindi la strozzatura e procedendo tra ontani, querce e castagni, in suggestivo paesaggio alpestre, si sale a un altopiano ove sorge, km 30.4, lo sparso villaggio di Montagna m 395. Seguendo da qui una mulattiera verso la Valle del Lao in circa 40 minuti si giunge alla Grotta del Romito.


Dopo 12,8 km ad un bivio prendiamo a sinistra e ci buttiamo giù per una mulattiera oggi asfaltata, che con fortissima pendenza si dirige verso il Vallone del Lao, finendo presso l’area attrezzata e sistemata a giardino attorno al Museo Antiquarium, (info: 0981 83078) (altri materiali ritrovati si trovano al Museo civico di Castrovillari)


dove sono esposti alcuni reperti della Grotta e del Riparo del Romito. Entriamo, e dopo una breve ma interessantissima visita al piccolo museo, propedeutica all’area archeologica, veniamo accompagnati da una guida oltre che brava, estremamente competente e appassionata, che vale tutti i 4 euro del biglietto.


Abitata dal paleolitico superiore, nella quale è venuto in luce vario materiale archeologico, tra cui un *graffito raffigurante due bovidi il bos primigenius, una delle più antiche manifestazioni dell’arte preistorica in Italia. 
Accanto alla grotta sorge una Chiesetta di origine Basiliana.


Una piccola passeggiata porta dal Museo a questo muro di roccia verticale, in un’atmosfera sospesa, misteriosa, che nulla annuncia fino a che non ci si infila sotto la piega alla base dove in un piccolo spiazzo si mostrano i ritrovamenti di migliaia di anni.
Uno accanto all’altra il masso su cui è il graffito, quasi un bassorilievo, del bos primigenius e due scheletri femminili.

La frequentazione neolitica della grotta del Romito è documentata dal rinvenimento di una cinquantina di cocci di ceramica che rivelano l’esistenza del transito del commercio della ossidiana proveniente dalle isole Eolie.
Risalente al Paleolitico superiore, contiene una delle più antiche testimonianze dell'arte preistorica in Italia, e una delle più importanti a livello europeo; all'esterno della grotta, nel cosiddetto riparo, infatti, si trovano alcune incisioni rupestri, tra le quali, la più importante è il graffito raffigurante un bovide, il “bos primigenius”, e accanto, le sepolture risalenti a 14.000-12.000 anni fa.

L’uomo del Romito era della razza cro-magnon, non sapeva allevare gli animali e non conosceva l’agricoltura e la lavorazione della ceramica. 
Nella grotta è possibile osservare, nel luogo del loro rinvenimento, delle riproduzioni di sepoltura datate all’incirca 9.200 anni a.C., contenenti ciascuno una coppia di individui disposti secondo un rituale ben definito.

Una di queste coppie di sepoltura è stata rinvenuta nella grotta e due altre coppie nel riparo, poco distanti dal masso con la figura del toro.
Di queste coppie di scheletri, la prima è conservata nel museo nazionale di Reggio Calabria, la seconda si trova nel museo fiorentino di Preistoria, insieme alle schegge litiche (circa 300) trovate nei vari strati esaminati nel riparo e nella grotta.
Recenti scavi hanno portato alla luce i resti di una quarta sepoltura ancora più antica delle precedenti
Importantissime le sepolture, ritrovate accanto al “Bos Primigenius”, che doveva aver trasformato il Riparo in luogo “sacro”. Le piccole fosse, contengono tutte, due corpi, uno maschile ed uno femminile; il che fa pensare fosse uso uccidere la compagna del cacciatore defunto.


Sono state altresì ritrovate un paio di sepolture singole. 
Un anziano di 35 anni (corrispondenti agli odierni 100) che, dagli accertamenti del caso, è risultato essere stato reso handicappato da molte malattie, ferimenti da caccia e cadute. 
La domanda fu, come fece a raggiungere l’età avanzata, a procurarsi il cibo necessario alla sopravvivenza; dalla dentatura molto abrasa, si è concluso che, probabilmente, si rendeva utile alla comunità lavorando le pelli con l’uso dei denti, in cambio della sussistenza.

L’altro ritrovamento umano di grande interesse, si è rivelato essere quello di un giovane cacciatore che, nonostante la giovane età, fu sepolto con un corredo di oggetti degni di un capo.

Altra caratteristica interessante di quest’uomo paleolitico, è l’altezza notevole per l’epoca e per la zona meridionale; infatti, gli scheletri ritrovati appartenevano ad individui alti 1,74.

Essa, infatti, risale a ben 16.000 anni fa e riveste un’importanza molto particolare perché va a colmare un vuoto di reperti preistorici nell’arco di tempo: 20.000-12.000 anni fa.
Vedi come il Tg3 della RAI annunziava l’importante rinvenimento.


La figura di toro - il bos primigenius -, lunga circa 1,20 metri, è incisa su un masso di circa 2,30 metri di lunghezza e inclinato di 45°. 
Il disegno, di proporzioni perfette, è eseguito con tratto sicuro. Le corna, viste ambedue di lato, sono proiettate in avanti e hanno il profilo chiuso.
Sono rappresentate con cura alcuni particolari come le narici, la bocca, l’occhio appena accennato, l’orecchio. In grande evidenza le pieghe cutanee del collo e assai accuratamente descritti i piedi fessurati. 
Un segmento attraversa la figura dell’animale in corrispondenza delle reni.
Al di sotto della grande figura di toro vi è incisa, molto più sottilmente, un’altra figura di bovide di cui sono eseguiti soltanto il petto, la testa e una parte della schiena.
Di fronte al masso con il bovide ve ne è un altro di circa 3,50 metri di lunghezza, con segni lineari incisi di significato apparentemente incomprensibile.
Il ritrovamento del graffito avvenne per caso nel 1961, durante un censimento agrario; è così perfetto nel disegno e nella prospettiva, quanto nella scelta della superficie rupestre che gli dona un senso di 3D, da far affermare al professor Paolo Graziosi dell’Università di Firenze, primo specialista chiamato sul luogo, trattasi de “la più maestosa e felice espressione del verismo paleolitico mediterraneo, dovuto ad un Michelangelo dell’epoca”.
Dietro la pietra con l’incisione del bos primigenius, quasi a chiuderla, l’imboccatura dell’altra meraviglia del Romito: la grotta.


Non grande, quasi bonsai, ma bellissima con le sue concrezioni stalattitiche e stalagmitiche


E’ divisa in due parti ben distinte: quella vera e propria, profonda circa 20 metri, che si addentra nella formazione calcarea con un cunicolo stretto e oscuro e il riparo che si estende per circa 34 metri in direzione est-ovest.


Per il neolitico l’analisi del carbonio 14 ha dato 4.470 a.C. mentre, per gli strati del paleolitico superiore, il più antico finora databile, risale a circa 16.800 anni a.C.

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