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Conserva un rapporto di integrità con la terra e le coltivazioni, fonti di economia locale, la produzione dell’Olio Extravergine d’Oliva già presente da tanti anni nella DOP Cilento, produzione ed essiccazione dei Fichi, Formaggio di Capra.
TRADIZIONI - EVENTI - FOLKLORE
Una particolare attenzione merita la Confraternita del Santissimo Rosario che è, tra le tradizioni del Cilento Antico, la più suggestiva e dai forti richiami alla Passione di Cristo con il Rito che si tiene il Venerdì Santo.
STORIA
Di Vatolla, abbiamo la prima notizia nel 994, in un "Diploma" con il quale, i Principi di Salerno donavano ad Andrea, Abate del Cenobio Italo-Greco di San Magno, case, celle, codici, animali, ecc., costituenti i beni di detto Monastero.
Nel documento, Vatolla viene definita “Castelluccio”, ossia un piccolo Insediamento Fortificato, con funzione di controllo sulla "Via di Lauriana".
Vatolla rientrava allora, nel Gastaldato di Lucania, e l’abitato fu potenziato dal costituirsi sul territorio di una “Socia”, una delle tante Associazioni Agricole, che i Principi Longobardi di Salerno favorivano, donando terre da coltivare, a gruppi di persone loro fedeli.
Nella Divisione Amministrativa operata nel 1034 nel Gastaldato di Lucania, Vatolla fu compresa nel Distretto di Cilento.
Passato in mano ai Sanseverino, in Epoca Normanna, il Territorio di questo Distretto, il Villaggio fu, da costoro, tenuto in diretto dominio.
Nel Territorio di Vatolla, la Badia di Cava aveva diverse proprietà, soprattutto fino al 1200, e delle quali conservò il possesso fino a che tutti i suoi Feudi Cilentani, non furono trasferiti nel 1410 al Re Ladislao I di Napoli e Durazzo, per volere del Papa Gregorio XII.
Al princìpio del 1400, Vatolla costituiva con il limitrofo Villaggio di Pagliara, un Feudo Unitario e, come tale, fu concesso in suffeudo dai Sanseverino a Giovanni di Prignano, Barone di Prignano, che ne fu possessore dal 1404, tenendolo finchè i Sanseverino perdettero tutti i loro possedimenti, per cui anche i Prignano, in qualità di loro suffeudatari, furono privati di Vatolla, che il Re Federico d’Aragona concesse tra il 1496 ed il 1498 a Giovan Battista di Costanzo.
Recuperati però i Feudi nel 1507 da Roberto Sanseverino, questi restituí, a sua volta, Vatolla ai Prignano.
Ma, non molto tempo dopo, comunque prima del 1519, Vatolla e Pagliara furono venduti da Antonello di Prignano ai Griso, Baroni di Celso e Galdo.
Quando poi, nel 1552, vi fu una ribellione alla Corona, i Feudatari furono privati di tutti i lori Feudi ed anche i Griso perdettero Vatolla e Pagliara.
Nel 1553, la Regia Corte vendette Vatolla ai Del Pezzo, ma nel 1565, i Griso recuperarono il Villaggio, dando a questi in cambio Camella; poi conservarono il Feudo finchè questo nel 1660 non fu messo all’asta dalla Regia Corte, insieme a Celso, andando entrambi i Feudi, aggiudicati ai Rocca, Baroni di Amato, che, tra la fine del 1686 ed il luglio del 1695, ospitarono nel Palazzo di Vatolla, quale precettore, il Filosofo Gian Battista Vico (1668-1744); successivamente, nel 1767, cedettero il Villaggio alla famiglia dei Duchi Vargas-Machucca, che, nel 1788, ottennero il titolo di Marchesi su Vatolla, conservando poi il Feudo fino all’abolizione della Feudalità (1806).
Fino al 1810 il Paese fu un Comune Autonomo, con un Sindaco e 9 Decurioni.
Successivamente, una volta approvate le «Leggi Murattiane»*, fu aggregato al Comune di Perdifumo.
*Divenuto Re di Napoli nel 1808, per concessione di Napoleone, Gioacchino Murat operò nel Regno un complesso organico di Riforme, che apportò vaste e radicate trasformazioni.
L’opera del Murat iniziò con una delle più imponenti riforme che vide l’Abolizione assoluta della Feudalità.
La Legge di Abolizione era stata promulgata da Giuseppe Bonaparte il 2 agosto 1806, ma fu merito del Governo Murattiano, averle dato una pratica applicazione.
Il primo passo per dare esecutività alla legislazione eversiva fu l’istituzione della “Commissione Feudale”, che aveva il compito di risolvere tutte le questioni, tra Comuni ed ex-Baroni, introdotte presso le Ordinarie Magistrature prima della pubblicazione della legge, e di esaurire tutte le liti pendenti non oltre l’anno 1808.
Il secondo passo fu costituito dall’Abolizione di tutti i Diritti Giurisdizionali, Proibitivi e Personali.
Il terzo ed ultimo passo riguardò la divisione dei Demani (possesso indistinto degli ex-Baroni, delle Chiese, dello Stato e dei Comuni che vi godevano Usi Civici ed altre servitù), secondo la quale, questi, di qualsiasi natura fossero - Feudali, di Chiesa, Comunali, promiscui - dovessero essere ripartiti in modo da divenire «Libere Proprietà» di coloro ai quali sarebbero poi toccati.
Le Riforme Finanziarie. La gravissima situazione finanziaria del Regno di Napoli, venne affrontata dal Murat attraverso 2 Leggi: la «Confisca della Manomorta Ecclesiastica» e la «Liquidazione del Debito Pubblico» che, attraverso espedienti, quale l’Istituzione di un "Consiglio di Liquidazione del Debito Pubblico", la Vendita di tutti i Beni dello Stato, la Creazione del "Gran Libro del Debito Pubblico" (nel quale vennero iscritti i crediti di coloro che non volevano utilizzare le cedole, emesse dalla Commissione, per la liquidazione dei crediti nati in precedenza, per Acquistare Beni dello Stato); un prestito nei confronti dell’Olanda ed altri, riuscì a portare il Debito Pubblico da 35.000.000 di Ducati a 840.000, una somma tollerabile per il Regno di Napoli.
MEMORIA DI DONNE e UOMINI
Giambattista Vico nacque il 23 giugno del 1668 a Napoli, dove morì nel 1744.
Visse i suoi primi anni in un mezzanino di via San Biagio dei Librai, soprastante alla Bottega segnata, oggi, col numero 31.
Figlio di un Contadino di Maddaloni, divenuto poi misero Libraio, e di donna analfabeta, Candida Masullo, di tempra assai malinconica.
Ebbe indole vivace, ma, circa all’età di 7 anni, in una tremenda caduta, si fratturò il cranio, riducendosi per 3 anni infermo, dichiarato senza più speranze per la sua intelligenza.
Invece guarì, pur rimanendogli un'indomabile malinconia (probabilmente ereditata dalla madre) ed una debolezza che lo portò, poi, alla tisi.
Studiò profondamente ed a balzi, in parte a scuola, nel Collegio dei Gesuiti, in parte, e soprattutto, per conto proprio.
Per compiacere la sua famiglia si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza, senza però frequentarne le lezioni.
Le difficili condizioni finanziarie, lo indussero ad accettare l’invito del Vescovo d’Ischia, Geronimo Rocca, che cercava un precettore per i suoi nipoti, trasferendosi nel Castello dei Rocca a Vatolla nel Cilento.
“Paesaggio aspro e selvaggio”, Vatolla, silenzioso e protettivo, qui Vico studiò e meditò.
All’età di 27 anni tornò a Napoli, convinto del valore degli Studi Umanistici, che ingentiliscono l’animo, e della vanità delle astrazioni geometriche che inaridiscono le menti.
A Napoli visse modestamente, dando ripetizioni private ed afflitto dai genitori vecchi, e dai 7 fratelli inabili a tutto.
Nel 1699, vinse all’Università la Cattedra di Retorica, che era la meno retribuita (100 Ducati annui, 35 lire al mese), Cattedra che tenne fino alla morte.
Ebbe 8 figli, 3 morirono in tenere età, ed uno, Ignazio, lo rese infelice con una vita disonesta.
L’altro figlio Gennaro, nel 1741, ottenne la conferma della successione della sua Cattedra all'Università.
Trascorse sempre più amareggiati ed inaspriti gli ultimi anni della vita, mentre un cancro gli divorava la gola.
Morì alcuni mesi prima dell’ultima stampa del suo capolavoro «Principi di una Scienza Nuova d’intorno alla comune natura delle Nazioni»: era il 22 gennaio del 1744.
COME ARRIVARE A Vatolla
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