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Norcia, aprile 2017 le parole profetiche sull'Europa di Paolo Rumiz

Alla luce di quanto si sta svolgendo in Europa in questo periodo, risultano profetiche le riflessioni e le parole di Paolo Rumiz, lucido e colto narratore come pochi, nel suo libro «Il filo infinito», nel capitolo “Norcia, aprile 2017”. [clicca per ascoltare il podcast]

Giunto a Norcia dopo il terremoto, sulla piazza al cospetto della statua di San Benedetto, scrive: «[...] era intatta in mezzo alla distruzione, e portava la scritta SAN BENEDETTO, PATRONO D'EUROPA. Fu un tuffo al cuore.  

Cosa diceva quel santo benedicente, in mezzo ai detriti di un mondo? 

Diceva che l'Europa andava alla malora? 

La Gran Bretagna aveva appena votato per uscire dall'Unione e io ero forse davanti alle macerie di una grandiosa idea politica? 

Lo spirito di Ventotene era finito? 

Il messaggio sembrava trasparente. 

Il ritorno degli egoismi nazionali diceva di una balcanizzazione in atto su scala continentale. 

Ma l'incolumità della statua in mezzo alla distruzione poteva mandare anche un messaggio diametralmente opposto. 

Ricordava forse che alla caduta dell'Impero Romano era stato proprio il monachesimo benedettino a salvare l'Europa. 

Ci diceva che i semi della ricostruzione erano stati piantati nel peggior momento possibile per il nostro mondo, in un Occidente segnato da violenza, immigrazione di massa, guerre, anarchia, degrado urbano, bancarotta. 

Qualcosa di pallidamente simile a oggi. 

La statua faceva passare anche un altro messaggio.

Il germe della rinascita di un continente era partito dal forte cuore appenninico del mio Paese. 

Benedetto era nato lì, sulla lunga dorsale inquieta che è il centro non solo dell'Italia ma dell'intero Mediterraneo.

[...] Sì. Il messaggio del Santo poteva anche essere che l'Europa era ripiombata nel Medioevo e che, per tornare alle sue radici spirituali, avrebbe dovuto passare nuovamente per una stagione di macerie. 

Una terza catastrofe in cent'anni, necessarie a uscire dal tunnel autodistruttivo del consumo. 

La buona politica, forse, sarebbe riemersa solo dalla tabula rasa di una nuova, grande distruzione. Come nel 1945. 

Era quello il vero terremoto, e noi lo vedevamo in diretta senza saperlo. 

Forse eravamo già in guerra, lo eravamo magari da un secolo, ininterrottamente, solo che la tempesta mediatica centrata sui migranti ci impediva di vedere i focolai di conflitto che a macchia di leopardo circondavano l'Europa dei ricchi, o il materializzarsi del nostro stesso mondo di spietate guerre finanziarie che non erano più l'antitesi dell'economia, ma la loro naturale espressione di rapina.

[...] Forse il senso era che Benedetto era capace di costruire l'Europa nonostante le macerie, perché era più forte di loro. 

La vita sarebbe ricominciata comunque, perché era ricominciata a tante volte nei secoli. 

Ma era dura crederci davvero. 

Eravamo in caduta libera, solo che faticavamo a rendercene conto perché un impressionante apparato di cosmetici e anestetici ammortizzava quella caduta, ne impediva la percezione, posticipava l'inevitabile schianto.

[...] La stessa parola "Europa" si era perduta. 

I fondamenti della sua cultura cristiana -compassione e solidarietà - erano diventati reato. 

Sulla pelle dei disperati, un'intera classe politica faceva le prove generali di una spietatezza che sicuramente sarebbe ricaduta sui nostri figli, ma noi eravamo incapaci di accorgercene. 

Come tanti ebrei all'inizio del nazismo, ci illudevamo di essere immuni dalla resa dei conti. 

Ci rassicurava guardare altri dibattersi nel naufragio. 

Se tocca a loro, pensavamo, non toccherà a noi, perché noi siamo "diversi". Errore planetario. 

Un giorno, come nelle Deuteronomio, ci toccherà rileggere il passato e scoprire in questo colossale equivoco la ragione del nostro fallimento.

[...] Che uomini erano stati quelli.

Erano riusciti a salvare l’Europa senz’armi, con la sola forza della fede.

Con l’efficacia di una formula: ora et labora.

Lo avevano fatto quando le invasioni erano una cosa seria, non una migrazione di diseredati.

Ondate violente, spietate, pagane.

Unni, Vandali, Visigoti, Longobardi, Slavi, e infine i ferocissimi Ungari.

Avevano salvato dall’annichilimento la cultura del mondo antico, rimesso in ordine un territorio in preda all’abbandono, costruito formidabili bastioni di resistenza alla dissoluzione: le abbazie. [...]»

[clicca per ascoltare il podcast del capitolo]

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