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Il filo infinito di Paolo Rumiz

“Cosa hanno fatto i monaci di Benedetto se non piantare presidi di preghiera e lavoro negli spazi più incolti d’Europa per poi tessere tra loro una salda rete di fili?”

Che uomini erano quelli.

Riuscirono a salvare l'Europa con la sola forza della fede.

Con l'efficacia di una formula: ora et labora et lege et noli contristari - prega, lavora, studia e non farti prendere dalla sfiducia. 

Lo fecero nel momento peggiore, negli anni di violenza e anarchia che seguirono la caduta dell'Impero Romano, quando le invasioni erano una cosa seria, non una migrazione di diseredati. 

Ondate violente, spietate, pagane. 

Li cristianizzarono e li resero europei con la sola forza dell'esempio. 

Salvarono una cultura millenaria, misero in ordine un territorio devastato e in preda all'abbandono.

Costruirono, con i monasteri, dei formidabili presidi di resistenza alla dissoluzione. Sono i discepoli di Benedetto da Norcia, il santo protettore d'Europa. 

Paolo Rumiz li ha cercati nelle abbazie, dall'Atlantico fino alle sponde del Danubio. Luoghi più forti dell'invasione e delle guerre.

Gli uomini che le abitano vivono secondo una regola più che mai valida oggi, in un momento in cui i seminatori gli zizzania cercano di fare a pezzi l'utopia dei padri: quelle nere tonache ci dicono che L'Europa è, prima di tutto, uno spazio millenario di migrazioni. 

Una terra "lavorata", dove - a differenza dell'Asia o dell'Africa - è quasi impossibile distinguere fra l'opera della natura e quella dell'uomo. 

Una terra benedetta che sarebbe insensato blindare appunto e da dove se non dall'appennino, un mondo duro, abituato da millenni a risorgere dopo ogni terremoto, poteva venire questa portentosa spinta alla ricostruzione dell'Europa? Quanto c'è ancora di autenticamente cristiano in un occidente travolto dal materialismo? 

Sapremo risollevarci senza bisogno di altre guerre e catastrofi? 

All’urgenza di questi interrogativi Rumiz cerca una risposta nei luoghi e tra le persone che continuano a tenere il filo dei valori perduti, in un viaggio che è prima di tutto una navigazione interiore.

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Norcia, aprile 2017

Dopo le rovine dei paesi non si videro più uomini e la montagna si fece aspra e solitaria.

Eravamo intimiditi e taciturni, incerti se il nostro andare avesse il filo delle ore, dei secoli o delle ere geologiche.

Fu dall’orlo della conca di Castelluccio che ci apparve Norcia, novecento metri più in basso.

“Sembra Aleppo”, sentii dire da un indigeno della botta tremenda sulla città.

Uscimmo sulla piazza principale.

Metà degli edifici si erano seduti su se stessi.

Le rovine della Cattedrale erano illuminate di giallo dalle fotoelettriche.

Dietro il rosone, la navata non c’era più.

Fu lì che vidi la statua, illuminata a giorno al centro della piazza.

Cosa diceva quel santo benedicente, in mezzo ai detriti di un mondo?

Diceva che l’Europa andava alla malora?

La Gran Bretagna aveva appena votato per uscire dall’Unione e io ero forse davanti alle macerie di una grandiosa idea politica?

Lo spirito di Ventotene era finito?

Il messaggio sembrava trasparente.

Il ritorno degli egoismi nazionali diceva di una balcanizzazione in atto su scala continentale.

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Bologna, dieci mesi dopo

Tempesta di neve in Appennino.

Circolazione ferroviaria in tilt.

Verso le tre del pomeriggio arrivo alla stazione di Bologna per prendere un treno per Milano e vedo la paralisi di una nazione.

Un piemontese con valigetta ventiquattrore ringhia guardando il muro con gli occhi spenti: “Siamo degli imbecilli. Pensiamo che queste cose succedano solo al Sud. E invece ...”

Il film prosegue come da copione. Gli agenti portano via un africano.

C’è un intimo legame tra la nullità di una classe dirigente e il rialzarsi della tensione etnica.

Quando i reggitori non sanno dare risposte al popolo, gli offrono nemici.

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Felicità del perimetro

Praglia, Veneto

Il vecchio monastero dorme nelle brume d’inverno, ancorato come un bastimento all’ultimo dei Colli Euganei sulla pianura.

Un gallo chiama l’alba oltre i bastioni perimetrali, come se scavasse il buio col becco, e il canto penetra nel labirinto dei chiostri, nelle cripte, nei magazzini, nella biblioteca.

Fa freddo.

Vago per un lungo corridoio, finché il ciabattare dei monaci diretti al Mattutino rompe il silenzio.

Svoltano l’angolo, ora li vedo, neri, inconfondibili. Benedettini.

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Luppolo e incenso

Sankt Ottilien, Germania

A Monaco ho un amico italiano che fa l’astrofisico.

Ha saputo della mia intenzione di incontrare l’abate Wolf, e poiché l'abbazia è dalle sue parti si è offerto di accompagnarmi.

Il luogo ha un bel nome desueto, Sankt Ottilien, a meno di cento chilometri dalla città.

Frugando nella storia del monaco si son fatte alcune scoperte, tra cui un filmato dove l’ex abate generale suona “Smoke on the Water” alla chitarra elettrica assieme ai Deep Purple.

Lo si vede in tonaca e scapolare con croce benedettina, perfettamente a suo agio tra un batterista e un sassofonista rock, sparare note metalliche in una tempesta di effetti speciali, e scatenare la ola in un mare di giovani adoranti.

A Ottilien, tra una laude e un vespro, sono nate una stalla ipertecnologica e una centrale fotovoltaica e a biogas che produce più del doppio dell’energia utile a mandare avanti la baracca.

E poi la birreria, la falegnameria, la foresteria, il pollaio, la casa editrice, la scuola superiore, la macelleria, la bottega del fabbro ferraio, persino una piccola stazione ferroviaria dove un treno fa tappa ogni ora.

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La pazienza del gomitolo

Viboldone, Lombardia

Il secondo registro sonoro di questa sacra peregrinazione è il rombo degli atterraggi su Linate.

I jet che sorvolano uno dopo l’altro l’abbazia femminile di Viboldone e la sua robusta chiesa medievale di mattoni rossi, piantata in mezzo a un prato che una volta era campagna e oggi  è periferia di Milano.

Pare che tutto il peggio della modernità si coalizzi contro quest’isola di pace, per estirpare il silenzio.

Perché non ci sono solo gli aerei.

Da un lato hai il fiume di macchine e camion dell’Autostrada del Sole, dall’altro i Frecciarossa dell’alta velocità.

E poi la Via Emilia, e le insensate rotonde, e i tralicci incombenti dell’alta tensione, e lo sgommare della malavita di periferia che si sveglia di notte, e gli ingorghi attorno al cubo blu dell’Ikea e alle altre cattedrali del consumo.

Devi andare a Viboldone, mi hanno detto gli amici del monastero di Bose, quando ho spiegato loro che cercavo il femminile di Benedetto.

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Il trillo di Dio

Muri Gries, Sud Tirolo

Sull’Adige le nebbie si sono dissolte, le Alpi sono folgorate da un sole inatteso.

Il gomitolo si srotola. Canto guidando, e Irene mi vien dietro.

Ludwig Paulmichl, il mio editore in lingua tedesca, mi ha indicato il monastero di Muri Gries in mezzo alle vigne del Sud Tirolo, dove padre Urban Stillhard, un monaco svizzero, fa l’organista e impartisce lezioni alla scuola di musica di Bolzano.

I monaci mi avevano avvertito fin dall’inizio: “I benedettini non sono un ordine, ma un disordine democratico”, ogni monastero esprime e potenzia l’anima del luogo in cui sorge.

La garanzia perfetta di un viaggio denso di sorprese.

L’abbazia bolzanina è Controriforma, Concilio di Trento, potenza di principi-vescovi, bastione di frontiera, torre di guardia contro il protestantesimo che dilaga da Oltralpe nel tempestoso secolo diciassette.

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La macchina di luce

Mariemberg, Sud Tirolo

Quando il rintocco di mezzogiorno scatta sul grande orologio di Marienberg in fondo alla Val Venosta, in cima al torrione sopra il chiostro, un cigolare punteggiato di ticchettii si impossessa dell’edificio e si propaga di bosco in radura sul pendio che fronteggia le Alpi di Otz ancora bianche di neve.

È un rumore meccanico antico, sorprendente per chi si è assuefatto al silenzio dell’elettronica.

Viene dai cavi che collegano il marchingegno principale agli altri quadranti a muro, undici in totale, sparsi nell’abbazia; un apparato leonardesco di tiranti e cinghie esteso per centinaia di metri che entra in tensione e, attraverso cunicoli, tubazioni, snodi, ingranaggi e pulegge, avviluppa in una ragnatela l’intero edificio, corridoio per corridoio, in orizzontale e verticale, per gestire in perfetta sincronia la vita dei monaci.

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La farmacia dell'anima

San Gallo, Svizzera 

Anche a San Gallo i rondoni hanno organizzato un concerto.

Vorticano a centinaia attorno alle torri gemelle della Cattedrale, planano sulla piazza con le ali aperte a crocifisso, ci sfiorano, sembrano impartire alla folla della domenica una fulminea benedizione, poi si impennano e, sparando nuove raffiche di trilli, si addensano in un'unica nube per sfrangiarsi nuovamente. 

Quegli storni dicono che quattordici secoli fa un duro monaco irlandese di nome Gallo partì dall'isola di Jona e, dopo un lungo viaggio attraverso il continente, si insediò non lontano da qui, in una grotta sulle sponde del torrente Steinach, a pochi chilometri dal Lago di Costanza, nel cuore di una foresta abitata da pagani malfidenti. Era l'anno 612. 

Oggi il monastero benedettino nato da quel primo oratorio non esiste più, nella chiesa un pomposo rococò ha sostituito la semplicità dell'impianto medievale, i padri della fede se ne sono andati. Ma i rondoni no.

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Il pianoforte e i bisbigli

Citeaux, Francia

Sotto uno strato di nubi, la Francia si apre con campi di grano e vento atlantico che si infila nella porta Burgundica, tra i Vosgi e le alture del Giura. 

Camion, chiuse fluviali, strade con poche curve, niente tunnel, orizzonti larghi. 

Allontanandosi dalle Alpi, la muscolatura del Continente si distende. 

La Francia è poco abitata, emana un silenzio severo e privo di eco. 

Ma è proprio il silenzio che cerco a sito, l’antica Cistercium, dove nel 1098 nacque dalla famiglia benedettina - troppo cresciuta come potenza economica - l'Ordine dei Cistercensi, favorevoli a un ritorno alla povertà evangelica e a una più stretta osservanza della regola. 

Accoglienza, ascolto, solidarietà, canto, lavoro manuale, carità: tutti i capisaldi del pensiero del santo furono rilanciati in modo formidabile nel dodicesimo secolo da questa nuova ondata di atleti della fede, i quali fondarono in un secolo più di cinquecento abbazie.

Sento che questo viaggio coincide sempre più con la riscoperta dei valori liquidati o derisi dalla modernità. 

Ma fra tutti è del silenzio che ho più nostalgia.

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Il demone di mezzogiorno

Saint-Wandrille, Francia

I monaci di Saint-Wandrille preferiscono il buio. Lo abitano come pipistrelli. 

Per vederli devi lasciare che l'occhio si abitui alla tenebra. 

Allora della Compieta, l'ultima preghiera serale, ci metti un po' per distinguere le tonache nere che entrano a luci spente per schierarsi ai lati dell'altare. 

Non emettono un umano scalpiccio: fluttuano in silenzio, sospesi, come icone bizantine. 

La chiesa abbaziale è un grande, semplice granaio in legno di quercia. 

Sa di erba e resina e fa navigare i fedeli come in un galeone rovesciato, correlati piccole finestre al posto delle bocche da fuoco. 

In assenza della chiesa antica in pietra, fatta a pezzi durante la rivoluzione francese, i monaci hanno trovato questa vecchia "grange" dall'altra parte della Senna, l'hanno comprata, smontata, numerata mattone del mattone, trave per trave, e l'hanno trasferita qui. 

Un bell'atto di rinascita, che ha cementato il gregge nell'ora e tra bora. 

Fruscio di tonache. Gli uomini in nero nel buio completano allineamento ai due lati dell'altare. 

I visitatori hanno il fiato sospeso.

In assenza di luce è impossibile leggere il messale e quindi seguire i monaci nel canto. 

Non una candela accesa, niente. Nemmeno i leggii sono illuminati. I monaci cantano a memoria. 

Nel buio, un'unica luce, una stella polare: la Croce.

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Rondini e alambicchi

Orval, Belgio

La vedi solo all'ultimo momento l'abbazia di Orval, appartata nel folto della foresta delle Ardenne. 

È una cittadella murata, da cui spuntano tetti a scandole argentate e camini che sfiatano fumo bianco, profumato di birra.

il mondo chiuso dove ronza, come in un alveare, la vita operosa dei trappisti, noti come cistercensi di stretta osservanza. Come dire dei super-super-benedettini. 

Manca poco alla cena e facciamo appena in tempo a mollare i bagagli che già la manovra del “frère hotelier" ci spinge energicamente verso il resto del gregge.

Una cinquantina di persone - tantissime rispetto ai monasteri visitati finora - sono già radunate di una sala con quattro lunghi tavoli fratini apparecchiati e aspettano l'ordine di sedersi mentre un altoparlante diffonde musica rinascimentale inglese. 

Pellegrini belgi, francesi, tedeschi. Facce antiche, da "matrimonio di contadini” di Peter Bruegel.

Davanti a ogni piatto, una bottiglia da un terzo di fresca birra ambrata fabbricata dai monaci, col caratteristico, robusto bicchiere a coppa deposto con cura eucaristica. 

Finita la preghiera, il dispensiere, dopo averti chiesto l'assenso con sguardo veloce, toglie il tappo liberando una sequenza sonora di sfiati che danno liturgico inizio alla sera.

Il menù fisso, frugale e in rigorosa salsa trappista, si consuma il silenzio, in un acciottolio sommesso di stoviglie. La mensa di Orval pare una caserma. 

Il convivio dovrebbe essere la quintessenza dell’allegria, invece i commensali sono tutti tremendamente seri. 

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La Wunderkammer

Altötting, Germania

La Mosella, il Reno. Confluenza di fiumi e paesi - Belgio, Olanda, Francia, Germania - che segna l'Europa carolingia. 

I resti dell’inutile Linea Maginot, metafora degli inutili reticolati contro il mare dei migranti che ci sommergerà immancabilmente. 

Leggo i giornali e sento di vivere un immane sgretolamento in diretta. 

Le nazioni ammazzano l'Europa per la terza volta in cent'anni. 

Con la differenza che stavolta ci riusciranno senza bisogno di guerre. 

Oggi non serve più invadere un paese. 

Basta che eserciti di termiti iniettino veleni nel sistema e i poteri forti spostino capitali. 

L'ennesima truffa ai danni dei poveri. 

Vorrei urlare che l'Unione sta cadendo in una trappola costruita da altri, da una coalizione che va da Zuckerberg al Cremlino e include i nemici di Papa Francesco. 

Il totalitarismo dei monopoli e dello sfruttamento totale contro l'ultimo bastione di democrazia. 

Contro l'Europa delle regole, della pietà e dell'accoglienza, che resiste all'annichilimento dell'uomo. 

Ma riecco i campanili a cipolla, il Danubio. 

È la pancia cattolica del continente, la vecchia Baviera contadina.

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Un preludio dell'Om

Niederalteich, Germania

Se lo scampanio bronzeo di Altötting, il vento freddo, le nuvole basse, il mormorio dei tigli e il Danubio ti portano verso la Polonia e i Carpazi, ecco che l'abbazia benedettina di Niederalteich, un centinaio di chilometri a Nord-Est, ti fa volare direttamente in Russia sulla corrente del fiume d'Europa.

Una parte dei monaci su dispensa della Congregazione, dice messa con rito ortodosso in una piccola chiesa al latere del santuario Maggiore. 

Qui la teatralità del cattolicesimo bavarese non trova spazio. 

Agli scheletri della Controriforma e la contorsione barocca delle statue si sostituisce l'immobilità delle icone paleocristiane. 

Il canto modernista dei pellegrini cattolici è rimpiazzato dal bordone che pare quasi il preludio dell'Om intonato dai monaci tibetani. 

Ritrovo Bisanzio, Sofia, Atene, Belgrado. Sfoggio di turiboli, candelabri e campanellini. 

E l'occhio ci mette un po' ad abituarsi al buio, al tremolare dei cieli, all'affaccendarsi di preti e chierici dietro il mistero dell'iconostasi.

Ascolta "Un preludio dell'Om da «Il filo infinito» di Paolo Rumiz" su Spreaker.

14 - L'Orda e le steppe

15 - La sinfonia

16 - Il filo infinito

L’AUTORE

Paolo Rumiz, nato a Trieste il 20 dicembre 1947, è un giornalista, scrittore e viaggiatore italiano.

Iniziò come inviato speciale del Piccolo di Trieste, e in seguito divenne editorialista de la Repubblica.

Molti dei suoi reportage narrano i viaggi compiuti, sia per lavoro che per diletto, attraverso l'Italia e l'Europa.

Nell'estate del 1998 pedala in bicicletta da Trieste a Vienna, in compagnia del figlio Michele; in seguito pubblica il reportage “Dove andiamo stando?”, su Diario, nell'autunno 1998.

Nella primavera del 1999 esplorò le regioni della costa adriatica italiana in automobile, da Gorizia al Salento, pubblicando poi il reportage “Capolinea Bisanzio”, su Repubblica; nell'inverno del 1999 percorse in treno la tratta Trieste-Kiev (L'uomo davanti a me è un ruteno, pubblicato sul Piccolo nello stesso anno); nella primavera 2000 si imbarcò sul Danubio a Budapest per arrivare al confine tra Serbia e Romania (Ljubo è un battelliere, inserito in “È oriente” del 2003); nell'inverno del 2000, ancora in treno, da Berlino a Istanbul (“Chiamiamolo Oriente”, pubblicato su Repubblica); nella primavera 2001 girò il Nord-Est in bicicletta, da Trieste al Gavia (“Il frico e la jota”, inserito in “È oriente” del 2003).

Da qualche anno fa un viaggio ogni estate, in agosto, raccontandolo di giorno in giorno, su Repubblica.

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