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Campania: Solofra la città della concia del pellame della Collegiata di San Michele


Solofra (pronuncia Solófra, /so'lofra/; Sulofre [su'lofrə] in solofrano) è un Comune italiano della Provincia di Avellino (AV) in Campania.

Provenendo da Mercato San Severino in Provincia di Salerno, procedendo verso Nord, si passa nella Provincia di Avellino con la Statale 88 che rasenta la collina su cui sono le rovine di un Castello e, poco dopo, tocca la Frazione di Pàndola, dove si dirama, a destra, una strada per Solofra, la Solofrana (km 15.30), per passare, poi, nella Valle del Sàbato: questa diversione è interessante per il piacevole paesaggio e per la visita di Solofra. 
Dalla Stazione Autostradale di Fisciano-Mercato San Severino, oppure da quella di Montoro fino alla Stazione di Serino, ci si può anche giovare di un tratto di km 13.29, se si parte dalla Stazione di Montoro (Raccordo Autostradale Salerno-Avellino). 
La strada si dirige verso Nord-Est, serpeggiando in piano, con vista retrospettiva sulle Rovine del Castello di Mercato San Severino; a km 2 si tocca Piazza di Pàndola, tra orti e vigneti, poi rasentato San Pietro, si arriva, km 5.6, a Torchiati, sede del Comune sparso di Montoro Superiore.
Continuando oltre Montoro Superiore, in lieve salita, sulla destra del Raccordo Autostradale Salerno-Avellino, tra bella vegetazione, rasentata la Chiesa della Madonna della Consolazione, si giunge, km 10.6, a Solofra.

SOLOFRA

Regione: Campania
Provincia: Avellino AV
Altitudine: 400 m slm
Superficie: 22,21 km²
Abitanti: 2.330
Abitanti per km²: 488,01
Densità: 558,76 abitanti/km²
Nome abitanti: Solofrani
Patrono: San Michele Arcangelo (29 settembre)






GENIUS LOCI
(Spirito del Luogo - Identità materiale e immateriale)

Solofra Patria della Concia, Città di 30 Chiese, una per giorno del mese, dell'Arcangelo Michele della Colleggiata.
Operosa, Agricola, Commerciale ed Industriale, sita in una Verde Conca, in un magnifico scenario di montagne.
Sorta in una fertile Valle abitata da tempi remoti, sui verdi Monti Picentini, poi Normanna, Romana, Feudo di varie famiglie, fra le quali gli Orsini, la Comunità Solofrana fiera, forte della sua economia, ieri, fino a decidere di riscattare il Feudo, diventando una privilegiata «Universitas Demaniale» affrancandosi dal Feudalesimo, oggi, grazie alla Concia delle Pelli, ai vertici del mercato mondiale. 
Vive tra Botteghe d'Arte di Concia, Battiloro e Pittura Caravaggesca della Famiglia Guarino, contenute nello scrigno della Collegiata di San Michele.


ORIGINE del NOME
(Toponomastica)

Ricordato (1308-1310) «Ecclesia Santangeli di Solofra» il Toponimo riflette un tema toponomastico *Solofri da assegnare all’Italico, “Salufer” affine al latino, Saluber, Salubris "Salubre".
Il nome deriverebbe dalla fusione di termini Osco-Sanniti e Romani, alludenti alla fertilità e salubrità dei luoghi.
Il Toponimo "Solofra" potrebbe trarre le sue origini dal Dialetto Osco (facies Sannitica), in uso presso i Coloni Romani che ne abitavano il territorio. 
Secondo altri studi, il termine Solofra sarebbe nato dall'incrocio di 2 termini latini: Sol (Sole) ed Ofra (Offerta), da cui "Offerta al Sole". 
Con questa teoria si fa dunque riferimento al culto del Sole, che veniva probabilmente praticato dalla popolazione solofrana al tempo dei Romani.

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TERRITORIO
(Topografia e Urbanistica)

Solofra (400 m slm) si estende in una Conca dei Monti Picentini aperta, attraverso Montoro, sulla Piana di Mercato San Severino, un vitale nodo della Pianura Campana che fa da collegamento tra il Bacino dell'Irno e quello del Sarno. 
Questa posizione geografica ha giovato alla cittadina favorendone l'attuale realtà economica.
La Cittadina, caratterizzata da Edifici di Architettura decorosa, con qualche bel Viale Alberato, è disposta in pendio.


ITINERARI e LUOGHI
(Culturali, Turistici, Storici, Archeologici, Naturali)

COLLEGIATA DI SAN MICHELE. Dal centro, percorrendo, in discesa, l'alberata Via Gregorio Ronca, si giunge alla Collegiata di San Michele, dalla grandiosa Facciata Barocca a 3 portali (notevole quello centrale) chiusi da imposte lignee. 
Gravemente danneggiata dal sisma del 1980, è stata integralmente restaurata è riaperta al culto nel 1985.
Edificata nel 1500 in sostituzione della Chiesa dell'Angelo, diventata ormai obsoleta; rappresenta uno degli edifici principali della cittadina, vi si celebra ogni anno la Festa Patronale dedicata a San Michele. 
Di ottimo intaglio sono le imposte del portale di mezzo, illustrate con Fatti di San Michele; al di sopra, entro nicchia, è una Statua marmorea di San Michele.
Sulla sinistra, si erge, separato, il massiccio Campanile quadrato, compiuto nel 1564
L'interno, a Croce Latina a 3 Navate divise da pilastri, di grandioso effetto scenico, e decorato nel 1600, contiene pregevoli opere d'arte: sono presenti i dipinti di Francesco Guarini, 20 tele nel soffitto ligneo/dorato del Transetto, eseguiti tra il 1637 ed il 1642, e nel soffitto della Navata Centrale 21 tele, Giovan Tommaso Guarini, padre di Francesco, con storie del Vecchio Testamento.
Notevoli sono anche, nella navata mediana, il grande Organo, del 1583, dei costruttori d'Organi di Solofra Luigi d'Orsi & figlio; la Cantoria ed il Pulpito intagliati, opere, queste ultime 2, di Giovanni Tommaso Guarini (1587). 
Nella Cappella a destra della maggiore, alla parete destra Sarcofago Rinascimentale dell'Arciprete Cosimo Guarini (1500); nell'Abside, in nicchia, Statua dorata di San Michele, della scuola di Pietro Alamanno (1400).
Nell'Abside, a sinistra, dittico Quattrocentesco con i “Santissimi Antonio di Padova e Francesco di Paola”.
Nella Sagrestia, Affreschi con scene del Vecchio Testamento, di Bottega dei Guarini (1600); nell'Oratorio presso la Sagrestia, “Immacolata” di Francesco Guarini.


Fu costruita su volontà della Comunità, nel breve periodo in cui la Città fu «Universitas Demaniale», quindi libera dall'autorità dei Feudatari locali. 
Sorse nel luogo dove era situata la Pieve del Sant'Angelo e di Santa Maria, una piccola Pieve Medievale di stile Bizantino, una Chiesetta angusta, che divenne, dato l'incremento demografico, inadatta e insufficiente a soddisfare i bisogni dell'intera Comunità, per cui si decise, di abbatterla e di stendere un nuovo progetto, in stile Rinascimentale. 
Con le pietre avanzate, venne costruito il Campanile, nel 1566, in stile Romanico.



Venne creata un'istituzione, chiamata «Fabbrica di Sant'Angelo» per gestire la costruzione della Collegiata. 
Si sa che la costruzione iniziò nel 1522, ma i primi documenti, conservati nella Sacrestia, furono distrutti da un incendio; altri documenti, però, testimoniano la lunghezza dell'iter costruttivo. 
I lavori proseguirono lentamente, e diversi elementi (ad esempio i cassettoni in legno), furono aggiunti nei secoli successivi. 
I materiali utilizzati nella costruzione provenivano dalla città stessa e dai comuni limitrofi, in particolare da Montoro. 
Nel 1583, fu commissionato l'Organo ai costruttori d'Organi di Solofra Luigi d'Orsi & figlio.
Nel 1586 furono commissionati le Porte ed il Pulpito alla Bottega dell'intagliatore Napoletano Giovanni Antonio Sclavo.

La Cappella dell'Immacolata, sopraelevata rispetto al corpo della Collegiata; è la Cappella dell'Arciconfraternita dell'Immacolata, fondata nel 1617, raggiungibile da una scalinata di fianco alla Sacrestia e conosciuta anche come Cappella dei Bianchi, in quanto da essa partono gli Incappucciati, durante la processione del Venerdì Santo. Essa presenta un Altare Ligneo, ornato da stucchi dorati, e presenta un Coro, ugualmente in legno, dove c'erano le postazioni del Priore e dei vari Assistenti della Confraternita. Sono presenti dei Busti Reliquiari, ovvero che contenevano Reliquie di Santi, ai 4 angoli della Cappella. Il ciclo dei dipinti in essa contenuto, del Pittore Solofrano Matteo Vigilante, è incentrato sui misteri della Vita di Maria. La piccola tela posta sull'altare, al posto della famosa «Sine Macula» del Guarini, rappresenta sempre la Vergine e faceva parte di un cassettonato, probabilmente di quello che la stessa Cappella presentava prima dei rifacimenti Settecenteschi. 

La Cripta della Collegiata (nella quale si può accedere sia da una porta retrostante alla Chiesa, sia dal Transetto) è composta da 2 rampe di scale di senso opposto. Alla base di esse è presente la Cappella dedicata a San Giuda Taddeo, nella quale sostavano i Defunti prima di essere portati nei loculi. In essa si possono notare diverse tracce di strutture preesistenti, quasi sicuramente della Pieve, grazie a resti di Affreschi a parti di un pavimento tipico del basso Medioevo. Notevole è, nella Cappella della Famiglia Giaquinto, la presenza di un Affresco che si rifà moltissimo ad una formella del Dürer, raffigurante una deposizione di Cristo dalla Croce. A metà di una rampa di scale c'è l'accesso ai cunicoli che ospitavano le ossa dei defunti, utilizzati in periodo antecedente all'Editto di Saint Cloud. Originariamente questi cunicoli terminavano nel Palazzo Orsini (ora sede del comune), costituendo un'importante via di fuga per la struttura.

Diversi terremoti ed alcuni incendi implicarono diversi rifacimenti, il più importante fu quello del 1721, quando a causa degli ingenti danni furono fatti interventi che trasformarono notevolmente l'aspetto della Collegiata, soprattutto l'interno, che venne ricoperto di marmi e stucchi, rendendo l'intero edificio in stile Barocco, e assumendo quasi l'aspetto che ha conservato fino ad oggi. 
L'ultimo terremoto che l'ha colpita fu quello del 23 novembre 1980.
Subì alcuni danni, alla copertura e ai dipinti, e fu riaperta al culto nel 1985.


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PALAZZO DUCALE. Di fronte al Campanile, si leva il grandioso Palazzo, già degli Orsini, ora sede del Municipio, di forme tardo-Rinascimentali, con grande Portale in pietra e Cortile a pianta quadrata
Nell'interno, in un Salone, sono Affreschi raffiguranti i Palazzi della famiglia Orsini e vedute della Città e della fiera di Gravina in Puglia, principale Feudo degli Orsini e patria di Vincenzo Maria Orsini, poi Papa Benedetto XIII, il quale abitò per qualche tempo nel Palazzo.

LA FONTANA DEI LEONI (1733) Opera degli Scalpellini della Pietra, sorge nella Piazza dinanzi alla Collegiata di San Michele Arcangelo lungo il lato Ovest del Palazzo Ducale Orsini.
Originariamente sorgeva nel Casale Capopiazza-Sortito (all’incrocio di Piazza Umberto, via Felice De Stefano, Via Lavinaio e Via Agostino Landolfi). 
Poi fu dislocata nel luogo attuale (1956) che divenne l’ampia Piazza che oggi si osserva in seguito all’abbattimento di una parte dei tigli di Viale Principe Amedeo (Villa).
L’opera è in travertino locale; ha una grande vasca a forma quadrata con i lati modellati con modanature che ne arrotondano la forma. 
Poggia su 3 gradini che la circondano conservando l’andamento tondeggiante e ne iniziano lo slancio verso l’alto. 
Agli angoli dell’invaso ci sono 4 leoni, volti verso l’esterno e seduti su un basamento di pietra, che dividono la vasca in 4 settori. 
Ai loro piedi c’è una vaschetta circolare, che arrotonda gli spigoli su cui è poggiata ma in modo molto aggettante, e che riceve l’acqua che cade dalla bocca dei felini. 
Al centro della vasca si innalza una Stele quadrata tozza e modellata con ai lati scolpiti lo Stemma di Solofra: un Sole raggiante antropomorfo. 
Alla sommità sono posti nella medesima direzione dei leoni, col petto poggiato sugli spigoli e la testa sporgente 4 delfini, dalla cui bocca cade altra acqua; le loro code, che si innalzano verso l’alto a mo’ di colonna molto viva, reggono una vasca rotonda ed a forma di conchiglia che raccoglie altra acqua che zampilla dal suo centro.

Nella parte bassa dell'Abitato, all'inizio della via Felice de Stefano, sorge la Chiesa di San Domenico, con bel portale in pietra. Nell'interno, notevole Altare maggiore in marmi policromi e Pulpito intagliato, sono da osservare, al braccio destro del Transetto, “Visione di San Cirillo d'Alessandria” di Angelo e Francesco Solimena; nel braccio sinistro, “Madonna del Rosario” e ritratti degli Orsini di Francesco Guarini (1644). 
Durante i lavori di restauro, seguiti alle scosse sismiche sono state rinvenute varie epigrafi, di cui una data 1670.
Degni di visita sono anche: il Convento di Santa Teresa, nel cui interno è un'interessante Crocifissione di Francesco Solimena; la Chiesa di San Giuliano, in cui si trova una grande Pala di Felice Guarini del 1606 (San Giuliano e la Madonna di Montevergine). L'Antiquarium Saluphris, sistemato nell'Edificio del Municipio, e che conserva testimonianze provenienti dalla Valle del Torrente Solofrana, è andato perduto nel terremoto del 1980: i reperti recuperati dopo il Sisma, sono attualmente conservati nei depositi del Museo Provinciale di Avellino.

CASTELLO DI SOLOFRA: situato su una collinetta ai piedi del Monte Pergola - San Marco, fece parte di un importante complesso difensivo di Epoca Longobarda, costituito anche dallo sperone roccioso della Castelluccia (ad Ovest del complesso montuoso) e dal Castello di Serino, posto sul lato Nord dello stesso e che controllava la Valle del Sàbato. 
Costruito nel 900, attualmente del Castello sono rimasti pochi ruderi.

Il Castello, in origine, si presentava come un Fortilizio composto da un Cortile centrale, intorno al quale esistevano diversi ambienti residenziali e di servizio
In corrispondenza degli spigoli c'erano 4 Torri, di cui una più grande (il Mastio). 
Tutt'intorno, erano presenti 2 Cinte Murarie, con altre 2 piccole Torri di avvistamento, poste nei punti che consentivano una maggiore visibilità (punti che erano anche maggiormente fortificati): una ad Ovest che guardava la Valle, ed un'altra pentagonale, rivolta verso Turci. 
Vi era poi una terza piccola Cinta, di epoca successiva, detta «Rivellino», di rinforzo al punto più vulnerabile dell'intera struttura. 
Gli ambienti a Sud già non esistono più, probabilmente, dalla vendita del Maniero al Tura, poiché essi furono abbandonati. 
Quelli Residenziali, a Nord, invece, vennero utilizzati fino all'inizio del 1900, e sono gli unici a rimanere, in parte, ancora oggi. 
Si può ricostruire il loro aspetto grazie a delle testimonianze orali: l'Ingresso principale era situato sulla Facciata Nord, dove era presente un Portale in pietra. 
Nel Cortile vi era un Pozzo e dagli Ambienti al piano terra, partiva una Scala in muratura che giungeva ai 3 ambienti soprani (di cui uno adibito a Cappella). 
Inoltre, la parte superiore aveva un Cammino di Ronda con Merlature alte 3 metri.

Al Castello si arrivava tramite una Mulattiera, su cui erano nate delle Casupole Rurali, e alcuni Presidi dello stesso Castello.

Dopo l'arrivo dei Longobardi nelle Regioni interne del Meridione, venne fondato il Ducato di Benevento (diviso in Gastaldati), che inizialmente terminava a Sud, con la catena dei Monti Mai, con Mercato San Severino (a quel tempo Gastaldato di Rota), e con i Monti di Montoro e Forino. 
A difesa dei confini nacquero diversi Castelli, tra cui quelli di Serino e di Montoro, ed allo stesso tempo venne rinforzato il Castrum di Rota
Successivamente, il Ducato conquistò il territorio di Salerno, ma a causa di alcune lotte di potere tra i principi Radelchi e Siconolfo, nel 849 il Ducato Beneventano si divise in 2: il Principato di Salerno e il Principato di Benevento. 
Dopo questa divisione, l'allora piccolo centro di Solofra, sviluppato intorno alla Pieve di Sant’Angelo e Santa Maria, che era considerato Vico, passò al Principato di Salerno insieme a Serino, come parte del Gastaldato di Rota. 
Sul confine tra i 2 Principati, vennero quindi a crearsi diversi punti difensivi, tra questi nacque anche il Castello di Solofra
Il complesso difensivo dei Monti Pergola e San Marco, infatti, è sempre stato strategico, grazie alle sue caratteristiche morfologiche che consentivano di controllare il territorio (oltre a presidiare i confini era necessario sorvegliare 2 importanti Vie di Comunicazione: la Via di Turci e la Via Antiqua qui vadit ad Sancte Agathe, già presenti in Epoca Romana, nella Valle Solofrana e Montorese), ed allo stesso tempo, lo rendevano protetto dalle invasioni.
Successivamente, con i Normanni, il Gastaldato di Rota, e quindi il Locum Solofrae, intorno al 1045, subì gli attacchi di Troisio, che successivamente fu nominato Conte di Rota, da Roberto il Guiscardo.
In seguito la stessa Contea si divise, nel 1121, e Serino, con Solofra e Sant'Agata, fu governato da Sarracena e da Roberto II. 
In questo periodo il Feudo si ingrandì con nuovi territori, e i Castelli Longobardi di Serino e Solofra, data la loro importanza strategica, furono riutilizzati, cosa frequente in Epoca Normanna, subendo molto probabilmente diverse trasformazioni, riscontrabili a Solofra, in mancati allineamenti delle Mura e diverse tessiture murarie.
Nel 1100, durante il periodo Svevo, il Feudo di Serino era in possesso dei Sanseverino di Tricarico e Ruggero II assegnò soltanto il piccolo Feudo di Solofra a Giordano, che però morì poco tempo dopo, così il Feudo tornò ad unirsi a Serino, con Giacomo Tricarico. L'Universitas di Solofra avanzò la richiesta di decadenza del potere Feudale alla Magna Curia, e Giacomo dovette affrontare un'inchiesta, e alla sua morte, nel 1256, si ebbe la definitiva separazione del Feudo di Solofra da Serino, con la sua assegnazione alla figlia, Giordana de Tricarico, che lo portò in dote ad Arduino Filangieri di Candida. 
In questo periodo fu apportato un'altra modifica al Castello di Solofra, come testimoniano la Planimetria tipicamente Sveva e le Torri quadrangolari sporgenti dalla Corte. 
Dopo questo intervento, il Castello assunse il suo aspetto definitivo.
Con gli Angioini il Feudo di Solofra si ampliò: parte del Casale di Sant'Agata (appartenente a Serino, quindi ai Tricarico) passò a Solofra, come ricompensa per la fedeltà del Filangieri e per punire i Tricarico. 
Si venne quindi a creare la distinzione, tra Sant'Agata di sotto, o di Serino, e Sant'Agata di Sopra, o di Solofra. 
In seguito a questo ampliamento, il Castello non era più un semplice rinforzo a Serino, ma aveva una Guarnigione di Soldati per il controllo dei Commerci e del passo di Turci, dove c'era la Dogana.
Nel 1409 si estinse il ramo maschile dei Filangieri e il Re Ladislao assorbì il Feudo, assegnandolo ad un suo rappresentante. 
Nel 1417, Francesco Zurlo, Conte di Montoro, ne prese possesso con la forza, ma Filippo Filangieri, di un ramo cadetto della famiglia, non intendeva cedere il suo diritto, così pose l'Assedio al Castello
Ad intervenire fu la Regina Giovanna II, che ingiunse al Filangieri di terminare l'assedio, e allo Zurlo di abbandonare il Castello, in attesa della decisione reale sull'assegnazione; in realtà lo Zurlo ottenne che il Castello venisse assegnato ad un suo fedele. 
Nel 1463, il Re Ferdinando I assegnò definitivamente il Castello agli Zurlo, che venne usato per ospitare gli Armigeri, e come Carcere, poiché gli Zurlo vivevano in un Palazzo a Solofra; ma nel 1512, il Castello fu loro sottratto temporaneamente, perché Ludovico della Tolfa lo occupò con le proprie Truppe. 
Tornato in loro possesso, nel 1528, Ercole Zurlo mise a disposizione il Castello al Generale Lautrech, che era impegnato in una Guerra contro gli Spagnoli.
Tra 1300 e 1400, il Castello fu oggetto di altri rifacimenti (osservabili in alcuni tratti murari), che però non ne trasformarono l'assetto originario; fu anche costruito il «Rivellino» (cinta muraria). 
Gli Orsini, nel 1555, acquistarono il Feudo di Solofra ed il suo Castello, quest'ultimo utilizzato sempre per ospitare le Truppe e i Detenuti.
Gli Orsini rimarranno a Solofra fino alla fine del Feudalesimo (1806), concedendo Statuti alla Comunità Solofrana, impegnandosi a non pretendere dall'Universitas, la cura del Castello e ad usarlo come Carcere per i reati più gravi. 
Nel 1565, parte delle Mura vennero smantellate da Beatrice Ferrella Orsini, per la costruzione del proprio Palazzo (oggi Sede del Comune); gli Orsini, infatti, usavano il Castello come un loro fondo privato, che, nel 1785, fu oggetto di una concessione enfiteutica (enfitèusi (dal latino tardo emphyteusis, a sua volta dal greco ἐμφύτευσις che è da έμφυτεύω) significa revocare in ogni momento la concessione -, e la sussistenza di un obbligo di pagamento del vectigal (vettigale), del Diritto Romano) a Gaetano Tura per 3 generazioni, ma, anche dopo la fine del Feudalesimo, essi non volevano restituire il Maniero alla Comunità, la quale intraprese una causa nei loro confronti, non ottenendo giustizia, così gli Orsini ingiunsero la sua restituzione al primicerio (il primicerio (latino: primicerius, «primo iscritto») era il nome di una carica all'interno delle Gerarchie Imperiali ed Ecclesiastiche) Gennaro Tura, perché non aveva soddisfatto alcune annate; egli, di conseguenza, si rivolse al Sacerdote Rocco Didonato, che già deteneva il Diritto di Patronato della Chiesa di San Nicola, alla base della collina del Castello (i Didonato sono ancora oggi proprietari del fondo del Castello). 
Inizialmente adibito a Casa Rurale, il Castello fu poi abbandonato definitivamente nei primi decenni del 1900.

Il Castello è stato ritratto, nella sua composizione originaria, da Matteo Vigilante, Pittore Solofrano, nel ciclo di dipinti della Cappella dell'Immacolata, nella Collegiata di San Michele di Solofra, dove si può osservare l'assetto delle 4 Torri quadrangolari ed il Rivellino. 
Come molti Edifici dell'Epoca Medioevale, è stato alla base di alcune leggende riguardanti chi lo ha visitato ed abitato, che riguardano strani rumori ed apparizioni, ed una credenza affermava che il Castello fosse collegato con il Palazzo Orsini, mediante un lungo cunicolo.

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Sito Archeologico

VILLA RUSTICA ROMANA: sorge nella frazione di Sant'Agata Irpina in località Tofola, sotto la protezione dello sperone roccioso della Castelluccia. 
Fu un'Abitazione Romana di Campagna, datata tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C., abitata da Contadini-Soldati ed avevano il ruolo di difendere le terre e coltivarle. 
La Villa Romana (in zona sorsero numerose strutture, probabilmente in Età Tardo-Repubblicana), protetta da un muro di cinta, aveva la caratteristica strutturale delle classiche Case Romane, costituita da un’unica entrata che portava in un Cortile centrale, dotato di Orto, su cui si affacciavano le Camere. 
Da diversi Scavi, a cavallo tra gli anni 1970 e 1980, si è evidenziato che, all'interno della Villa, vi era un'intensa produzione di Olio e Vino, oltre alla Coltivazione di Cereali ad uso e consumo interno. All'interno è ancora visibile la tecnica edilizia utilizzata, l'Opus Reticulatum, tipica del I secolo a.C. e, nell’area interessata alla presenza dei relativi Torchi di tipo Pliniano, rimaneggiamenti dei Vani ad Opus Spicatum.

ESCURSIONI

Il Pizzo San Michele (1.567m) è una Montagna dei Monti Picentini nell'Appennino Campano, tra i Comuni di Solofra, Calvanico e Montoro, a cavallo tra le Provincie di Avellino e Salerno in Campania. Il Pizzo San Michele rientra nel Parco Regionale Monti Picentini. Sulla cima vi si trova il Santuario sommitale (il più alto d'Italia) dedicato al Culto di San Michele Arcangelo che è meta di Processioni durante tutto l'anno. Alcuni locali del Santuario sono sempre aperti per essere sfruttati quale Rifugio dagli Escursionisti.


PRODOTTI DEL BORGO

Solofra è uno dei 4 principali poli italiani per la lavorazione delle Pelli.
La Cittadina si caratterizza per l’Attività della Concia delle Pelli che, nata in loco come in tutte le realtà Pastorali, campo in cui si distingue da secoli per la qualità della produzione, vi rimase per favorevoli condizioni ambientali, acquistando uno spessore sempre maggiore.
Si era creato in loco, un vero polo di prodotti legati all’Industria Armentizia, che alimentava una viva realtà mercantile.
Essa infatti fece parte di un polo specializzato nella produzione e nella lavorazione dei prodotti della Pastorizia - Lana e Pelli - che gravitava sul mercato di Salerno e che comprendeva anche i Casali di Giffoni e quelli di San Severino, con cui ebbe intensi rapporti.


Si può cogliere il segno dell’importanza della realtà Artigiano-Mercantile di Solofra, se si tiene presente che, all’inizio del 1500, essa aveva uno Sviluppo Urbano di ben 15 Casali, che sul territorio c’erano non meno di 40 «Apotheche de Consaria» lungo il Fiume, il Vallone Cantarelle e a Sant'Agata, vari magazzini per gli ulteriori processi di Concia tra cui la corredatura, l’ammorbidimento con sostanze grasse (sugna) ed anche odorose (amindolis) e la rifilatura.
Nelle Antiche Concerie si lavorava una gran varietà di prodotti:
coire pelose, barbare, per calzarelli, in pigna, levantesche, coire membrane (pergamene), suole, coiramine, scardose, vacche levantesche, di Sicilia, alessandrine, sardesche, pelli conciate in galla, di sommacco, de calce, di mortella (mirto) in bianco.
Si esercitavano diverse arti legate alla pelle:

arte de conciaria, de coraria, de mercanzia, de viaticaria, de fabricar calzarelli e scarpe, de far funi e cordoname, de corredare, de far auropelle, de far carte membrane, de vender lana, de far mortella, de far summacchi.


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Il Distretto Conciario di Solofra si estende su un territorio di 60 km² circa, nella zona Sud-Occidentale della Provincia di Avellino. 

Comprende tra gli altri, oltre Solofra, i Comuni di Montoro e Serino, per un totale di 35.000 abitanti. Questa zona è specializzata, dal punto di vista produttivo, nella Concia di Pelli Ovi-Caprine, per un totale di circa 400 aziende operanti nel Settore tra Concerie, Terzisti e Confezionisti, 4.000 - 4.500 Addetti ed un Fatturato Medio Annuo di 1.500 milioni di Euro.


Altra attività presente è la Castanicoltura, con il Marrone/Castagna di Serino IGP
Furono i Monaci Benedettini di Cava de' Tirreni, fra il 1100 ed il 1200, ad intraprendere un'opera di cura e miglioramento dei Castagneti da frutto, presenti nelle loro proprietà sparse in Campania; cosicché, curando i Castagneti nella zona dei Monti Picentini, che comprendono le aree interne dell'Avellinese e del Salernitano, trasformarono questa zona, particolarmente vocata per le caratteristiche climatiche e del terreno, nella vera e propria terra d'elezione di questa coltura. 
La Castagna prodotta qui, detta «Castagna di Serino» dal nome dell'omonimo Comune, è di dimensioni medio-grandi e di forma rotondeggiante, per lo più asimmetrica, il suo seme è bianco latteo polpa a pasta bianca, soda e croccante dal caratteristico sapore dolce che la rende particolarmente adatta al consumo fresco e alla produzione dei “Marron Glacée”. 
Per le sue caratteristiche di pregio è classificata tra le migliori Castagne italiane, la più esportata sui mercati internazionali.

La zona di produzione del Marrone/Castagna di Serino IGP comprende il territorio dei seguenti Comuni: Serino, Solofra, Montoro, San Michele di Serino, Santa Lucia di Serino, Santo Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpina, Chiusano San Domenico, Cesinali, Aiello del Sabato, Contrada e Forino ricadenti nella Provincia di Avellino e i Comuni di Giffoni Valle Piana, Giffoni Sei Casali, San Cipriano Picentino, Castiglione del Genovesi e Calvanico ricadenti nella Provincia di Salerno.

La superficie stimata ammonta a circa 3.600 ettari (2.400 nell'Avellinese e 1.200 nel versante Salernitano), che dà luogo ad una produzione media annua di 60 mila quintali all'anno (resa media produttiva unitaria più alta di tutto il Mezzogiorno) ed un fatturato superiore ai 5 milioni di euro
I dati produttivi ed economici indicati però si riferiscono al periodo pre-cinipide, prima quindi che il temibile parassita falcidiasse Castagneti e prodotto esitato.


Il Marrone/Castagna di Serino IGP presenta caratteristiche qualitative di pregio che ne fanno una delle produzioni Castanicole di eccellenza a livello mondiale: facilità nella pelatura; particolari proprietà calorimetriche, tale da essere trattato dalle industrie di trasformazione, con estrema facilità anche a temperature elevate, soprattutto per la sterilizzazione, senza alterare le qualità del frutto; pezzatura grossa; assenza di settatura del frutto; ottime qualità organolettiche e dolcezza di sapore che lo rendono molto favorito dal punto di vista commerciale (Caldarroste e Marron Glacé in particolare).
Tutte qualità intrinseche raggiunte dopo secoli di buona pratica Agronomica, associata ad una dedizione assoluta da parte degli operatori locali.

A queste, si devono aggiungere altre produzioni Agroalimentari, quali Miele, Olio Extravergine di Oliva, Funghi, ed attività: Salatura e Lavorazione delle Carni Suine, che risalgono al periodo Longobardo, e l’Arte del Battiloro, in cui gli Artigiani raggiunsero una specificità propria e una particolare valentia.

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STORIA

La Conca Solofrana, per le sue caratteristiche favorevoli, fu abitata fin dalla Preistoria, più precisamente dall'Età del Bronzo, da Villaggi di Pastori Appenninici
A testimonianza di ciò, nel 1976 sono stati trovati dei reperti presso la località Passatoia, nelle vicinanze del Torrente Rialbo, consistenti in 2 Capanni contenenti Vasi con motivi decorativi tipici della Cultura Appenninica, degli utensili in selce, delle fusarole e delle macine in basalto. 
Il primo vero insediamento nella Valle, però, fu quello dei Sanniti, che si stanziarono costruendo un Villaggio in essa, di cui sono state trovate tracce di abitazioni nell'Area Pedemontana. 
Il vero insediamento, però, doveva essere situato presso l’odierno Rione Toro Sottano
A suggerire ciò è il Toponimo, infatti il Toro era un Animale Sacro ai Sanniti, in particolare ai Pentri. 
Oltre all'Abitato Urbano, realizzarono una vasta Necropoli, sulla collina della Starza, (non lontano dal Rione Toro), di cui sono giunte ai nostri giorni diverse Tombe realizzate per ospitare dei Guerrieri
La presenza di questo popolo è attestata, inoltre, da diversi Toponimi di origine naturalistica, alcuni rimandanti anche a Culti Italici
Primo fra tutti il Toponimo Solofra, già descritto sopra, e i Toponimi Sorbo, i monti Mai, il Melito, i Volpi etc.
Dopo le Guerre Sannitiche il territorio Irpino, in particolare di Solofra, divenne parte della Repubblica Romana
Con la Riforma Agraria dei Gracchi, molte Terre Irpine furono date ai Cittadini Romani
In seguito, quando il Dittatore Lucio Cornelio Silla vinse nella Guerra Civile contro Mario, assegnò molte di queste terre ai Militari, fondando la Colonia «Veneria Abellinatium», che includeva anche il territorio di Solofra. 
Essi si stanziarono anche nella Valle, soprattutto nella parte bassa, dove costruirono diverse Villae Rusticae, sorte nei pressi della «Via Antiqua qui vadit ad Sanctae Agathae», una Via Romana che collegava Salerno ad Avellino, passando per Castelluccia. 
In totale è attestata la presenza di 14 Villae, (di cui sono stati ritrovati resti). 
La Villa più importante che è stata ritrovata è quella di Tofola, di Età Imperiale, presso la Frazione di Sant'Agata. 
In essa sono state ritrovate: Anfore Vinarie, Torchi e Pareti ad Opus Spicatum ed Opus Incertum. 
Oltre alle Ville, i Romani costruirono una Necropoli nelle vicinanze dell'odierno Ponte di San Nicola, della quale sono state ritrovate alcune Tombe alla Cappuccina. 
Con Alessandro Severo la Colonia si ampliò e portò dall'Oriente il Culto del Sol Invictus (aggiunse, inoltre, alla Colonia l'appellativo Alexandriana). 
Nel territorio di Solofra, fin da questo periodo si impiantò in loco la Concia delle Pelli: molti Antichi Toponimi - Vellizzano, Campo del lontro, Scorza, Cantarelle, Burrelli - testimoniano la presenza di questa attività originariamente legata alla Pastorizia
Un'altra attività presente al tempo dei Romani, fu quella delle Fornaci per laterizi, pavimenti e recipienti: esse trovarono naturale collocamento nell'odierna zona di Campopiano, sempre vicino alla Via Consolare, in quanto c'era, e c'è, abbondanza di acqua e argilla; infatti, questa attività è resistita fino al 1900, nello stesso luogo. 
Altri Toponimi che rimandano al Periodo Romano sono: Taverna dei Pioppi, luogo di sosta lungo la Via, Sferracavallo per lo sforzo subito dai cavalli per la salita.
Dopo la caduta dell'Impero Romano, la situazione di instabilità e di pericolo per via delle Incursioni Barbariche, specialmente durante il periodo della Guerra Greco-Gotica, portò gli abitanti della fertilissima Valle a trasferirsi più a monte, in posti dove le caratteristiche morfologiche della Valle, consentivano il controllo e gli abitanti erano più protetti. 
In generale, lo sviluppo di Solofra nell'Alto Medioevo fu proprio favorito dalla protezione della Conca: la Strettoia di Chiusa di Montoro era l'unico accesso, facilmente controllabile dai numerosi punti di controllo, come Castelluccia, o, in seguito, il Castello). 
Grazie a questo controllo, e quindi a questa sicurezza, si formarono 2 Arroccamenti: le Cortine del Cerro, protette dalla collina di Chiancarola e le Cortine di Sant'Agata, protette da Castelluccia.
Questi nuovi insediamenti riprendevano come tipologia abitativa le Villae di Campagna della Valle, delle Curtes, in piccolo, che avevano la peculiarità di essere praticamente inespugnabili, chiudendo l’unico accesso. 
Un ruolo fondamentale fu svolto dal Cristianesimo, che fin da subito si introdusse nel Meridione, e rappresentò una certezza per gli abitanti, trovatisi di fronte ad una continua insicurezza. 
Solofra, d’ora in poi si avvicinerà sempre di più a Salerno, (città emergente, che, dal Dominio Bizantino in poi, si afferma come ricca Potenza Mercantile e Costiera) diventando amministrativamente parte del suo entroterra, sia per l’appartenenza al medesimo Bacino Vallivo, sia perché Abellinum era stata distrutta.
Il Vescovo di Salerno istituì 4 Distretti Pievani, in tutta la parte interna del territorio: uno di questi fu Solofra. 
Lo scopo era portare un’aggregazione, una sorta di istituzione locale che sopperisse alla mancanza di uno Stato. 
La Pieve, infatti, Chiesa del Popolo, era il luogo dove si svolgeva il Battesimo e il Seppellimento dei morti; inizialmente, era dedicata a Santa Maria, poi, con la venuta dei Longobardi, promotori del Culto a San Michele Arcangelo, fu aggiunta la seconda denominazione alla Pieve.
Occupata dai Longobardi fu assorbita nel Ducato di Benevento e fece parte del Gastaldato di Rota (San Severino). 
In questa epoca la Conca era divisa in 2 entità territoriali: il «Locum Solofre» e quello «de Sancta Agatha».
Nel frattempo la Città di Salerno crebbe sempre di più, per il Commercio e l’Artigianato, tanto che, ad un certo punto, si staccò dal Ducato Beneventano (Divisio Ducatus Beneventani), e si formarono 2 Principati: quello di Benevento e di Salerno di cui Solofra entrò a far parte, essendo ancora inserita nel Gastaldato di Rota (Mercato San Severino). 
Il Confine di quest’ultimo, e quindi del Principato Salernitano, passava per i Monti di Montoro, di Forino, per Aiello e per Serino, (nel punto in cui, oggi sorge San Michele di Serino), dove vi era una Stazione per i Pellegrini diretti al Santuario Micheliano del Gargano
Il territorio di Solofra, quindi, acquisì un ruolo fondamentale, di confine, insieme a Montoro e Serino, motivo per il quale nacquero diverse Fortificazioni, tra cui il Castello Solofrano, probabilmente ancora piccoli Presidi Militari che successivamente avranno maggiore sviluppo.
Nel periodo Normanno-Svevo, Solofra divenne Vico e fece prima parte della Contea di Rota, poi del Feudo dei Tricarico con i quali raggiunse l’autonomia territoriale ed amministrativa (1200), divenendo Feudo di Giordano Tricarico; fu poi assegnata dal fratello di costui, Giacomo, come dote alla figlia Giordana, sposa di Alduino Filangieri di Candida.
I Filangieri favorirono il legame con la realtà Artigiano-mercantile di Salerno e costruirono nel Centro Mercantile di Solofra, la Platea Pubblica ed il Convento degli Agostiniani (seconda metà del 1300).
In seguito all’estinzione dei Filangieri, con la prevalsa degli Aragonesi sugli Angioini a Napoli, il Feudo passò agli Zurlo di Napoli da parte di Alfonso V d'Aragona.
Con questa famiglia, Solofra ebbe una grande crescita, sia in termini Sociali che Economici, soprattutto per via della grande autonomia di cui potette godere, stabilitasi anche per l’Emanazione di altri Statuti Solofrani accettati da Ercole Zurlo, figlio di un nipote di Francesco. 
Grande fu anche l’espansione del Centro Abitato, che venne a comprendere nuovi Rioni, o Casali, sviluppatisi intorno a nuove Cappelle o nuove Chiese, che ancora una volta utilizzano le cortine come abitazione prevalentemente utilizzata, seppur leggermente diverse da quelle Medioevali.
Quando Ercole Zurlo appoggia il tentativo del Generale Odet de Foix di Lautrec di invadere il Meridione, e gli Aragonesi ne escono vittoriosi, egli viene condannato e gli viene tolto il Feudo
Così Solofra passò prima al Demanio, poi a Ludovico Della Tolfa di Serino.
Quindi, la Comunità Solofrana, forte per la sua economia, decide di riscattare il Feudo, diventando una privilegiata «Universitas Demaniale» e, dopo una breve parentesi di autonomia dal Feudalesimo (1535-1555); fu uno dei periodi più floridi della storia della Città, perché, liberi dall’oppressione di un Feudatario, i Cittadini Solofrani possono commerciare liberamente i prodotti artigianali e crescere.
In questo periodo, inoltre, espressione della fiorente economia di questo periodo fu la costruzione della maestosa Collegiata, realizzata abbattendo la Pieve, che era diventata troppo piccola per la Comunità.
La parentesi autonoma fu però breve: l’avversità del dominio spagnolo e i debiti contratti dall’Universitas costrinsero i Solofrani a vendere il Feudo alla famiglia Orsini di Gravina che trasferirono sul Feudo la titolarità del loro Principato, condizionando inevitabilmente  lo sviluppo della città, e che lo tennero fino all’abolizione della Feudalità nel Meridione (1809).
Più precisamente lo vendettero a Beatrice Ferrella Orsini, ma non si privarono dei diritti che avevano acquisito col tempo (uso delle acque, dei forni, dei mulini ecc.), per questo furono emanati nuovi articoli statutari che la feudataria dovette firmare.
Ma gli Orsini, spesso abusarono del proprio potere, soprattutto la Ferrella, tanto che nel 1577 venne intentata una causa ai suoi danni, per non aver rispettato gli Statuti, per essersi appropriata di parte dell’Acqua necessaria alle Botteghe, e per aver abusato del Demanio.
Anche la costruzione del Palazzo Ducale, fu segnata da controversie, perché la Orsini lo costruì molto vicino alla Collegiata, come manifesto della supremazia del proprio potere. 
Così, probabilmente, la costruzione venne sabotata e crollò, per poi essere costruita dov’è tutt'ora. 
Non mancarono, comunque, gli interventi positivi tra i loro Governi; ad esempio la costruzione del Convento di San Domenico, da parte di Dorotea Orsini ed il tentativo di riappacificazione di Filippo Orsini, che donò le Reliquie di Santa Dorotea al Popolo, per riparare al malgoverno del padre Domenico.
Nel 1600, la Conformazione Urbana si definisce ancora di più, arrivando a formare tutti i Rioni del Centro che esistono tutt’ora. 
Nel 1611 nasce a Sant’Agata di Sopra, il grande Francesco Guarini, esponente della Pittura Napoletana, che lascerà tantissime opere nella sua città natale.
Ma questo sarà anche il secolo di un avvenimento segnante per Solofra: la Peste, che decimò la popolazione, nel 1625
Per l'occasione, fu rifatta la Chiesa di San Rocco, in onore al Santo delle Pestilenze.
Nella storia di Solofra, quindi, come detto, si individua un’importante linea rivendicativa in Difesa delle proprie Attività Artigiano-Mercantili ed in funzione antifeudale, espressa in significativi episodi di lotta cittadina di opposizione agli Orsini (tra la fine del 1600 ed il 1700) e che guidò l’Illuminismo Solofrano, sfociando nella Rivoluzione Partenopea del 1799
Importante fu anche la partecipazione ai Moti Carbonari del 1820-1821, con la costituzione di ben 4 «Vendite Carbonare» (vendita, equivalente della Loggia per i Massoni) ed alle Rivendicazioni Operaie dell’inizio del 1900.
Data l’attività e l’operosità in campo industriale ed artigianale, Solofra si inserisce da subito nello scenario Socialista della fine del 1800, sulla scia dei movimenti Salernitani e Napoletani, con lo sviluppo di una Cellula Socialista, che comprendeva sia Solofra che Sant’Agata. 
Nacquero così, ben 3 Società di Lavoratori: la Lega dei Pellettieri, la Società Centrale, la Società Agricola di Mutuo Soccorso, e l’Unione Operaia (nata a Sant’Agata di sotto, oggi Sant’Agata Irpina), che si adoperarono, tra l'altro, affinché venissero concessi salari maggiori e diminuissero gli orari di lavoro.
La Lega Pellettieri (fondata nel 1903) ricoprì un ruolo fondamentale per Sant’Agata e Solofra, e fu il primo esempio di organizzazione operaia in Irpinia, che vide un’enorme partecipazione di Operai ed Artigiani della Pelle. 
Con alcune manifestazioni, pretese un aumento degli stipendi del 25% ed una diminuzione delle ore di lavoro, da 14 a 8 ore
La Lega rappresentò, quindi, un vero e proprio punto di riferimento per i Conciatori, e, grazie anche alla volontà del Sindaco di allora, Vincenzo Napoli, anche sede di numerose Assemblee Socialiste della zona. 
Se la Lega fu il punto di riferimento dei Conciatori, la Società Centrale, invece, lo fu una mutua assistenza per tutti i Lavoratori di ogni categoria che ne avevano bisogno di assistenza; i numerosi soci che la costituivano si aiutavano tra loro, in base alle possibilità personali: i più abbienti, infatti, non esitavano a fornire supporto a chi era in difficoltà.


Da ricordare sono 2 importanti Alluvioni, 1805 e 1852, che afflissero Solofra colpendo tutti i Rioni, ma in particolar modo il Rione Santa Lucia (o Fontane Sottane), completamente distrutto.
Avvenimento importante fu la costruzione della Ferrovia, inaugurata nel 1862 (tratto Sanseverino-Avellino), che consentì il trasporto di persone e merci, molto più rapido ed efficiente.
Durante il Ventennio Fascista, Solofra fu sede di un Campo di Internamento in Via Misericordia, inizialmente uno dei 3 della Provincia di Avellino, poi unico rimasto, ospitò in media 25 internate.
Poi, durante la Seconda Guerra Mondiale, il 21 settembre 1943, la Città di Solofra fu bombardata per la presunta presenza di Soldati Tedeschi. La città fu devastata, e 200 persone persero la vita.


Il 23 novembre 1980, alle ore 19.34, il Comune di Solofra, insieme a tanti altri paesi sparsi tra le Province di Avellino, Salerno e Potenza, fu colpito dal violento Terremoto dell'Irpinia che causò 33 dei 2.914 morti totali.



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MEMORIA DI DONNE e UOMINI

Solofra è patria della Famiglia di Pittori Guarini.
Dopo un lungo dibattito, non si ha ancora certezza sulla grafia del cognome
Si riportano in seguito le più significative tra le varie fonti a cui è possibile riferirsi:
Leggendo l'Atto di Battesimo conservato presso l'Archivio Parrocchiale di Sant'Agata Irpina, si nota l'appellativo: «filius jo. tomasi de guarini(s)» e la nota postuma «Si distinse in pittura e va tra gli uomini illustri il nato Francesco Felice Antonio Guarini».
Il Drammaturgo Onofrio Giliberto, nella sua opera «Il vinto inferno da Maria», nelle dediche scrive: «Al Signor Francesco Guarini da Solofra» (vi era un legame di parentela tra i 2).
L’iscrizione posta nel 1653 sul quadro della «Madonna di Costantinopoli», nella Chiesa di Sant’Andrea di Solofra, afferma: «Franciscus Guarini pinxit».
Nonostante le numerose fonti storiche che attestano il nome «Guarini», specialmente l'ultima citata, che è una firma autografa, alcuni studiosi ritengono che il cognome corretto sia «Guarino».
Importante presenza nella vita di Francesco Guarini, della Famiglia della madre Giulia Vigilante, che in pratica dominava la Vita Economica Solofrana, nella quale aveva parte importante la gestione delle Chiese, sia attraverso Sacerdoti che Laici. 
Questa attività era a quei tempi - nella seconda metà del 1500 -  un’importante opportunità economica, e, quando nacque l’”affare” della Collegiata, furono costituiti i Procuratori della «Fabbrica di Sant’Angelo», che lo dovevano gestire. 
Essi guidarono la costruzione del Tempio, stipularono i contratti con gli Artisti qui impegnati e ne seguirono i lavori. 
Anche se questa carica, ricoperta da 3 persone, era a rotazione, non usciva fuori da quelli che allora si chiamavano «compatroni» della Chiesa, cioè da quelle Famiglie del Patriziato Solofrano che governavano sia la Universitas sia la Chiesa. 
Quando negli anni 1580, costoro dettero l’incarico ad Antonio Sclavo di Napoli, di intagliare il legno dell’Organo e del Pulpito, l’Artista Napoletano lavorò a Solofra il legno intarsiato delle 2 opere e l’oro che ne ricoprì il legno, fu quello della Bottega dei Vigilante del Toro, cioè della famiglia di Giulia.
Allora non esisteva ancora la BOTTEGA DI TOMMASO GUARINI, padre di Francesco, il quale però già a quel tempo era legato alla costruzione della Collegiata; infatti, imparentati con la famiglia di Tommaso, erano i Troisi di Sant’Agata di Solofra (come allora si chiamava Sant’Andrea) a cui appartenevano i «Fabri Lignarii» fornitori delle 80 travi di legno, per la copertura della Collegiata. Costoro, che avevano una Bottega a Plàtea, e che erano imparentati con i Vigilante, divennero i fornitori di tutto il materiale in legno che serviva alla Collegiata, da quello per i cassettonati, a quello delle cornici dei quadri, compresa la grande cornice del quadro del Lama e il legno necessario per l’Organo e per il Pulpito. 
Tommaso, figlio del Pittore Felice, anche lui Pittore, si trovò, quindi, in un ambiente vicino al grande ”affare” della costruzione della Chiesa che richiedeva anche Opere Pittoriche ed Artistiche; in questa atmosfera e per rispondere alle esigenze che la costruzione della Collegiata, trasformava in opportunità, che lo Studio di Felice si trasformò, con Tommaso, in un qualcosa di più grande, divenendo una Bottega, simile a tante del tempo, al centro di un lavoro, diremo oggi multimediale; infatti si ampliò al lavoro del legno svolto nella Bottega dei Troisi ed al lavoro dell’Oro della Bottega dei Vigilante del Toro.
Fu questo “affare” che determinò il matrimonio tra Giovanni Tommaso e Giulia Vigilante, avvenuto nel 1606, che siglò, come tutti i matrimoni dell’epoca, un’interessante alleanza economico-familiare, con la quale si chiudeva il cerchio che univa 3 famiglie (i Troisi, i Vigilante, i Guarino) intorno alla Collegiata, i cui Procuratori, tutti collegati alla Famiglia Vigilante, assicurarono ad essa, attraverso la Bottega di Tommaso, la fornitura delle Opere in legno dorate e pittoriche che impreziosiscono il Tempio. 
Il matrimonio, inoltre, legò Tommaso ad un'altra importante Famiglia Solofrana, i Giliberti della Forna, visto che il Medico Tarquinio, padre del Drammaturgo Onofrio Giliberti, aveva sposato Diana Vigilante della stessa Famiglia di Giulia.
Intensi furono i rapporti tra i Vigilante e il Guarini, intorno alla Bottega, che si arricchì di numerosi addetti, presi dalla improvvisata manovalanza locale e del circondario, come dimostrano interessanti contratti di lavoro stipulati dal Pittore. 
Inoltre, il contratto stilato da Tommaso nel 1617 per la «Intempiatura della Nave Centrale» della Chiesa, parla in modo preciso della triplice attività della Bottega, per la quale, l’artista si impegnò per una spesa non superiore a 1500 ducati, per cui furono impegnati 3 Artisti - un Intagliatore (Lucantonio de Accetto), un Pittore (Francesco Giordano) ed un Doratore (Giovanni Angelo Greco) -  che autonomamente ne valutarono l’opera nel 1624. 
Questo contratto dimostra in modo chiaro la consistenza della Bottega Solofrana che ebbe delle Botteghe Rinascimentali, solo la caratteristica di allargarsi ad attività legate tra loro e non ebbe la qualità essenziale, cioè non fu un luogo di incontro, di studio e di ricerca; infatti, visse finché ci furono le esigenze per cui era nata, finché cioè ci fu la costruzione della Collegiata, ma quando queste si esaurirono, la Bottega perdette la ragione di esistere e si estinse. 
Lo stesso Francesco Guarini, che ereditò la Bottega paterna e l’impegno di completare l’opera di «intempiatura» della Chiesa, non le dette la dovuta cura, accogliendo, in essa, Artisti scadenti, come mostrano le moltissime opere di bassa Bottega, che si trovano, sia nel Transetto della Collegiata, che nel Cassettonato di Sant’Agata che del Guarini ha solo 3 tele, mentre tutto il resto è opera di artisti poco impregnati del suo discorso artistico. 
Anzi, il fatto che egli abbia posto, accanto alle sue più belle tele Solofrane - quelle del Naturalismo Caravaggesco del Transetto - opere con interventi di Bottega, avvalora la tesi che, i suoi interessi non erano intorno a questa Bottega, né erano a Solofra. 
Comunque si può dire che la vicenda di questa Bottega, che, nei suoi limiti, è pur sempre un episodio rilevante, segua un po’ la parabola Solofrana che, dopo l’esplosione del suo secolo d’oro, ha una linea discendente la quale, colpita duramente dalla vasta moria della peste, non si riprese più affogando nelle secche della vita del Meridione.

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FELICE FRANCESCO ANTONIO GUARINI, noto come Francesco Guarini (Solofra, 19 gennaio 1611 - Gravina di Puglia, 23 novembre 1651), è stato un Pittore italiano del periodo Barocco.
Rappresentante della Pittura Napoletana Seicentesca, Francesco Guarini nacque a Sant'Agata di Sopra (oggi Sant'Andrea Apostolo, frazione di Solofra). 
Figlio di Giovanni Tommaso Guarini, anch'egli Pittore, si spostò a Napoli dove fece esperienza, fino al 1628, presso lo Studio di Massimo Stanzione, seguace del Caravaggio.
La vita di Francesco Guarini, volgarmente detto Ciccio Guarino, fu breve ed operosa; le prime conoscenze dell'arte apprese, derivano dal padre Giantommaso, come testimonia l'opera a 4 mani della Parrocchia di Sant'Andrea Apostolo, la Madonna del Rosario (siglata G.T.F. e datata 1634). 
Il dipinto si caratterizza per una iconografia tradizionale della Vergine col Bambino e Santi, animati da una gestualità tardo-Cinquecentesca, ma, al contempo, mostra caratteri stilistici, quelli di Francesco, vicini al Caravaggismo di Filippo Vitale ed alle opere più antiche di Massimo Stanzione.
Il 25 febbraio 1636 Giovan Tommaso, ormai prossimo alla morte, con un documento legale emancipò il figlio Francesco, conferendogli la responsabilità della Bottega; nello stesso anno, il 3 marzo, il pittore venticinquenne, firmò il contratto per la realizzazione di 21 tele per il soffitto del transetto della Collegiata di Solofra, dove il padre aveva già realizzato alcune tele per la decorazione del soffitto della Navata Centrale, con scene del Vecchio Testamento. 
Con questa commissione Francesco Guarini può essere annoverato tra i principali Pittori Napoletani di seconda generazione Seicentesca. 
Le parti autografe di Francesco, sono di una qualità esecutiva talmente alta, da rappresentare una frattura netta con i metodi da decoratore “devoto” del padre Giovan Tommaso. 
In tutto il gruppo delle prime opere della Collegiata, Guarini esprime un Caravaggismo impassibile, in cui la funzione narrativa è affidata alle luci, ai dettagli di natura morta.
Guarini stringe poi rapporti di committenza con la famiglia Orsini, all'epoca Feudatari dei territori di Solofra, per i quali realizza la Madonna del Rosario (1644-49) per il Convento di San Domenico Maggiore a Solofra. 
Secondo quanto ricorda Bernardo De Dominici, Guarini si trasferisce poi a Gravina di Puglia, centro della potenza economica del ramo Meridionale dell'antica famiglia Orsini, dove proseguì una florida attività lavorativa per la famiglia Orsini nelle varie Chiese del territorio, diventando una figura determinante per la Pittura del Seicento di quei territori
Dipinse, oltre a ritratti e scene sacre per gli Orsini, la Pala d'Altare dal titolo la «Madonna del Suffragio» (1649-50 circa), per la Chiesa di famiglia di Santa Maria del Suffragio. 
La struttura compositiva del gruppo della Madonna con Bambino, è ripresa dalla Madonna delle Anime Purganti di Massimo Stanzione a Napoli, per la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco; quest'opera rappresenta una delle più potenti espressioni dell'arte matura del Guarini.
Proprio nel momento in cui i primi passi della Carriera Ecclesiastica di Pier Francesco Orsini, futuro Papa Benedetto XIII, avrebbero potuto aprire altre porte alla Creatività del Guarini, fornendogli svariate committenze, egli muore. 
La causa della morte viene raccontata dal De Dominici nelle Vite: «Francesco Guarini era innamorato di una giovane donna sposata; quando questa fu uccisa dal marito disonorato, il pittore si abbandonò a se stesso, morendo nel novembre del 1651.»
Questa è una delle ipotesi; è anche probabile che la morte dell'Artista, sia stata causata da un incidente o da una improvvisa malattia. 
La sua morte lasciò nel cordoglio più vivo gli Orsini che gli riservarono fastose esequie.
Allievo di Francesco Guarini fu Angelo Solimena, padre di Francesco Solimena.

GREGORIO RONCA (1859-1911), Marinaio e Scienziato che fu protagonista di viaggi di notevole utilità e autore di scoperte scientifiche applicate dalla Marina Italiana.
Nacque il 14 dicembre del 1859 in una famiglia benestante con una lunga tradizione culturale.
Orfano di madre fu educato dalla nonna paterna, cugina di Carlo Pisacane e nutrita di ideali di libertà e di patria che diventarono nel giovane impegno di vita profuso negli studi scientifici.
Insieme al fratello Alessandro intraprese la Carriera Militare, il primo nell’esercito, lui nella marina, un’arma di grande prestigio nel Regno di Napoli, da cui attinse in gran parte la Marina del nuovo Regno.
Il Ronca fu quindi alla Scuola Cannonieri di La Spezia, imbarcato sulla Cavour e sulla Palestro, dove iniziò gli studi sulle armi subacquee e sulla "elettricità applicata", in cui si specializzò passando alla Lauria, una nave predisposta per questi esperimenti. 
Qui lo scienziato applicò per la prima volta un motore elettrico ai proiettori, creando il primo proiettore di scoperta manovrabile a distanza, un’invenzione che eliminava il complicato sistema di manovra dei proiettori di luce delle navi non più adatto alle nuove velocità.
Lo scienziato cedette al Ministero della Marina italiano il suo Proiettore costruito dalla Officina Galileo. 
Per l’importanza dei suoi studi il Ronca fu destinato all’Accademia Navale di Livorno (1889) come insegnante di Artiglieria e Balistica, 2 discipline che ebbero una rapida evoluzione a causa delle nuove armi a grande gittata, al cui sviluppo egli collaborò con l’aiuto del matematico Alberto Bassani creando un nuovo sistema di calcolo della traiettoria dei proiettili fuori la canna del cannone (detto Ronca-Bassani)
La nuova disciplina fu sistemata in vari scritti, che divennero pilastri degli studi navali, ai quali si aggiunse una raccolta (Manuale del tiro) di tutte le norme per eseguire un nuovo metodo di guida dei cannoni nello sparare, detto tiro navale migliorato a salve (Tiro Ronca)
Lo scienziato riuscì a spingere il tiro con grande precisione ad oltre 5 miglia di distanza, visto che con le navi più veloci e con armi a gittata maggiore, le distanze per il combattimento erano divenute molto ampie. 
Il metodo fu adottato da molte Marine, tra cui quella Giapponese, che si modernizzò proprio sulla base delle tecniche sperimentate dalla Marina Italiana ad opera dell’Ammiraglio Togo, che usò la nuova tecnica di tiro durante la Guerra tra il Giappone e la Russia (1905) ed a cui si deve la distruzione della flotta russa (35 navi) nei pressi delle isole di Tsun-Shima.
Durante gli anni dell’insegnamento a Livorno il Ronca diresse la Garibaldi, dove erano applicati i risultati dei suoi studi ed alla quale egli donò la Preghiera del Marinaio che aveva ottenuto dal poeta Antonio Fogazzaro e che fu adottata da tutta la Marina Italiana; poi fu trasferito a Napoli per dirigere la sezione Armamenti e Artiglieria, dove studiò la trasmissione di ordini a distanza dati i nuovi bisogni della guerra sul mare.

Il viaggio in Amazzonia 
Nel 1904 Gregorio Ronca fu incaricato di guidare la nave oceanica da guerra Dogali in un viaggio alle Antille con vari compiti tra cui la ricerca di sbocchi al commercio e di contatti con gli Emigrati italiani per colmare una carenza della Emigrazione italiana, che aveva visto partire molta gente perdendone le tracce mentre per altre nazioni essa era diventata una linfa vitale.
Questo viaggio, narrato dal Ronca in un libro «Dalle Antille, alle Gujane e alla Amazzonia» e iniziato nel febbraio del 1904, ebbe come tappa le Antille, poi le Gujane, infine l’Amazzonia, che fu visitata con una coraggiosa risalita del Rio delle Amazzoni fino ad Iquitos e a Santa Fè, a 2285 miglia dal mare, dove mai era giunta una nave e dove fu dato il nome di Dogali ad un isolotto al centro del fiume.
Il viaggio, che si rivelò utile dal punto di vista Economico, Politico, Militare e Geografico, e i cui risultati furono pubblicati sia dalla «Rivista Geografica» che dalla «Rivista Marittima», fu illustrato dallo stesso Ronca a Roma e a Milano, dove lo scienziato ebbe l’apprezzamento di Guglielmo Marconi.

Alla Scuola Ufficiali insegna i nuovi metodi
Poiché il Tiro Ronca si mostrava sempre più adatto alle nuove esigenze delle Navi, al Ronca fu affidata una Scuola di Tiro per Ufficiali sulla Corazzata Sardegna, dove, dopo 2 anni nel mare di Liguria, si ebbe un saggio di ciò a cui poteva giungere il nuovo sistema di tiro.

Nel 1911, colpito da un male repentino, morì a Napoli, dove ebbe solenni funerali. 
Solofra gli dedicò una Tomba Monumentale, l’intestazione di una Strada e di un Istituto Tecnico, Avellino gli intestò una Strada, Ostia una Piazza e la Marina il Bolipedio di Viareggio.

GIUSEPPE MAFFEI, autorevole rappresentante della Magistratura Napoletana del 1700, Insegnante e Rettore dell’Università di Napoli, studioso delle Istituzioni Napoletane, tanto da sistemare storicamente, in una voluminosa ed importante opera, tutte le norme e le consuetudini che si erano andate sviluppando del Meridione.
Nacque a Solofra, secondo dei figli del Conte Giacinto e di Isabella de Falco (dopo Michelangelo e prima di Pietro) il 17 febbraio 1728 (Solofra, Archivio Parrocchiale San Giuliano della Fratta, Liber Baptizatorum ab anno 1658 usque ad annum 1730 inclusive, registro n. 3); fu battezzato lo stesso giorno in San Giuliano della Fratta. 
Morto prematuramente il padre, Regio Governatore, completò gli studi a Solofra, eccellendo in greco e in latino (lingua in cui scrisse tutte le opere di diritto). 
Nel 1747 intraprese a Salerno lo studio delle Materie Giuridiche, che completò a Napoli. 
Nel 1752 vinse il Concorso per la Cattedra di Diritto Naturale nell'Università di Napoli e nel 1761 quello per la seconda cattedra di istituzioni civili. 
In quella sede, percorse altre tappe della carriera di docente: nel 1776 vinse il Concorso per la prima Cattedra di Istituzioni Civili, nel 1777 passò a insegnare Diritto del Regno e nel 1782 il Codice Giustinianeo. Sposò Vittoria Ciliberti, che gli diede 11 figli
Nel 1783 pubblicò a Napoli un Trattato in 2 parti, «De restitutionibus in integrum et de praecipuis vitiis contractuum» e, l'anno seguente, le «Institutiones iuris civilis Neapolitanorum, in quibus legum Neapolitanarum origines, ac vetera et nova Regni instituta enarrantur», opera anch'essa in 2 parti, ognuna delle quali di 3 libri.
Negli anni 1780 tenne nella sua abitazione, con Autorizzazione Reale, una Scuola Privata di diritto e praticò l'Avvocatura; fu nominato censore della stampa dei libri e nel 1788 Ferdinando IV di Borbone, lo incaricò di presiedere la Commissione per la riforma dell'Università di Catania, della quale fu poi Rettore. 
Il 21 genn. 1792 fu nominato Rettore dell'Università di Napoli.
Nel 1794 rimase marginalmente coinvolto nella Congiura antiborbonica; fu così incluso tra i 443 "Giacobini o presunti tali" che, fra il 1794 e il 1797, furono deferiti alla Giunta di Stato "per rispondere di concorso nella congiura del 1794".
Il Maffei morì a Napoli il 20 marzo 1812.
Il Municipio di Solofra, il 27 novembre 1895, gli dedicò la Strada che conduce al Palazzo di Famiglia, dove venne apposta una lapide che riprese l'errata indicazione del 28 febbraio come giorno di nascita.

Si ricordano inoltre i Medici Fasano (Riccardo, Andrea e Niccolò) che nel 1300, furono esperti dell’Arte Medica alla Corte Angioina, ottenendo per Solofra importanti privilegi economici; Onofrio Giliberti (1618-1665), matematico, astronomo e letterato, che fece parte dell’«Accademia Solofrana di Amene Lettere»; Gabriele Fasano (1645-1689), Sacerdote e Letterato, che tradusse in Napoletano la Gerusalemme Liberata del Tasso, partecipando ai rapporti letterari tra Napoli e Firenze; Costantino Vigilante (1685-1754), Vescovo di Caiazzo, dette un contributo al moto di rinnovamento messo in atto da Carlo III; Massimiliano Murena(1728-1781), Giurista e Filosofo, autore di importanti opere dell’Illuminismo Napoletano; Matteo Barbieri (1746-1789), Cultore di Scienze Matematiche ed autore di un’essenziale opera di divulgazione scientifica «Notizie storiche dei filosofi e matematici del Regno di Napoli»; Felice Giannattasio (1759-1849), Matematico, Astronomo e Filosofo; Leonardo Santoro (1764-1853), Medico e Chirurgo innovatore; Antonio Giliberti (1809-1900), Teologo e Latinista, autore del «Pantheon Solophranum» in versi latini, in cui celebra le glorie locali; Felice De Stefano (1889-1936), Ingegnere Navale e Dirigibilista nella Prima Guerra Mondiale.


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DIALETTO
(Il termine "dialetto" va inteso nella sua accezione di "lingua contrapposta a quella nazionale" e non come "varietà di una lingua")

Il Dialetto Solofrano si discosta abbastanza dalle altre parlate della Provincia
Similmente ai Dialetti del Salernitano presenta, poi, un'intonazione delle Frasi (in particolar modo di quelle interrogative ed esclamative) leggermente differente da quella Napoletana;
La particella negativa viene talvolta contratta:
nn'è iss: non è lui (cfr. napoletano nunn'è iss)
nn'hagg stat' ij: non sono stato io (cfr. napoletano nunn'hagg' stat' ij);
Caratteristica in comune con la parlata Nocerina è la pronuncia della "e" quasi sempre aperta: Nucær, cafæ, murtadæll (Nocera, caffè, mortadella);
Tipico di Solofra è l'espressione e ja e jamm ja;
A differenza del Dialetto Irpino, nel Dialetto Solofrano (come anche nella maggioranza dei Dialetti Campani e Meridionali) v'è la presenza del cosiddetto «Scevà» (in linguistica e fonologia, col termine Scevà (dal Tedesco Schwa [ʃvaː], a sua volta derivante dalla parola Ebraica Shĕwā שווא (šěwā’, /ʃəˈwaʔ/) che può essere tradotta come "insignificante") si designa una vocale centrale media, oltre che il simbolo dell'alfabeto fonetico internazionale /ə/ con cui questo suono viene indicato.
Si riferisce ad un particolare "niqqud", un segno vocalico dell'Alfabeto Ebraico, scritto con 2 punti verticali al di sotto delle consonanti. 
Può indicare sia una vocale debole (come lo Schwa), sia l'assenza totale di una vocale. 
Fonologicamente queste 2 letture in Ebraico vengono considerate equivalenti.

TRADIZIONI - EVENTI - FOLKLORE
(Con il termine «Folklore» si intende l’insieme degli usi, abitudini, tradizioni, comportamenti, linguaggi di un popolo; insomma gli aspetti più caratteristici e suggestivi della vita di una Comunità)

Solofra è famosa per la Festa che prende il nome di «A Carcare e Sant'Antuono».
Fede e divertimento a Solofra con la tradizione della "Carcara" che è connessa alla figura di Sant'Antuono Abate.
Il 17 gennaio i fedeli organizzano dei grandi focaroni in suo onore. 
Qui anticamente si organizzava una gara per la migliore composizione piramidale con le “fascine” e i cepponi più grandi. 
Insieme ai falò si balla a ritmo di musica folkloristica e si gustano gli immancabili i piatti tipici.

La solenne Processione del Cristo morto, dell'Addolorata e dei Misteri della Passione, rappresenta uno dei momenti più sentiti e vissuti nell'arco dell'anno liturgico. Su tutto dominano il silenzio e la meditazione, mentre i figuranti scorrono lungo tutte le strade della cittadina. A salutare il triste corteo, migliaia di lanterne e lumi rossi, che costellano finestre, antichi portoni e viali storici


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SANTO PATRONO

Michele (in ebraico: מִיכָאֵל‎? [mixaˈʔel]; in latino: Quis ut Deus, Chi è come Dio, che traduce Mîkhā'ēl; in greco antico: Μιχαήλ, letto Mikhaḗl; latino: Michahel; in arabo: ميخائيل| , letto Mīkhā'īl) è un arcangelo nell'Ebraismo, nel Cristianesimo, e nell'Islam.
Nella tradizione delle Chiese Cattolica Romana e Ortodossa, nella fede Anglicana e Luterana, egli è chiamato "San Michele l'Arcangelo" (l'Arcangelo per antonomasia), o più brevemente "San Michele". 
Nella tradizione delle Chiese Ortodosse Orientali e Ortodossa, egli è chiamato "Tassiarca Arcangelo Michele", o più brevemente "Arcangelo Michele".
L'attribuzione direttamente nel nome del titolo di Santo, che pure ha origine nell'Antico Testamento, non è universalmente accettata da tutte le confessioni religiose.
Invece, il nome proprio Michele (in ebraico: מיכאל, di tipo teoforico) è tra quelli a cui la Bibbia attribuisce espressamente il titolo di Arcangelo.
Il nome Michele deriva dall'espressione Mi-ka-El che significa "chi è come Dio?".
L'Arcangelo Michele è ricordato per aver difeso la fede in Dio contro le orde di Satana.
Michele, Comandante delle Milizie Celesti, dapprima accanto a Lucifero (Satana) nel rappresentare la coppia angelica, si separa poi da Satana e dagli angeli che operano la scissione da Dio, rimanendo invece fedele a Lui, mentre Satana e le sue schiere precipitano negli Inferi.
L'arcangelo Michele è rappresentato in forma di Guerriero, infatti porta una spada. 


L'angelo Michele nell'ebraismo
Secondo l'esegesi della religione ebraica l'Angelo Michele, che è un Serafino, sostiene il popolo d'Israele e rappresenta il Kohen Gadol nelle Regioni eccelse, è infatti legato alla Sefirah Chesed ed è chiamato "Grande" come il popolo d'Israele.
«...Samek indica Mikael che sostiene Israele, lo difende e ne attesta la rettitudine».
Se non fosse per lui, che parla bene nei nostri confronti, non saremmo più al mondo ma egli dice al Santo, benedetto Egli sia: "Israele professa l'Unità proclamando: "Chi è come Dio?" (mi ka E-l)", come è scritto: "Chi è come Te fra gli dei, o Signore" (Esodo15.11) ... Mikael domina tutti i (gli Angeli) principi»

L'Angelo Michele rivelò alla matriarca Sarah, sposa di Abramo, la nascita del figlio Isacco; inoltre, ormai superata, parlò ad Abramo nell'episodio della prova del sacrificio di Isacco.

Michele nell'islam
Il nome di Mīkāʾīl (in arabo: ميخائيل‎), o Mīkīl (in arabo: ﻣﻴﻜﻴﻞ‎), è citato nel Corano alla sūra II, versetto 98.
È indicato come di pari rango rispetto a Jibrīl (Gabriele). Secondo la tradizione, assieme a quest'ultimo, avrebbe provveduto a istruire il profeta Maometto e, secondo un'altra tradizione, sua caratteristica sarebbe quella di non ridere mai.
A Solofra, San Michele viene festeggiato 3 volte nell'arco dell'anno: l'8 Maggio, l'ultima Domenica di Giugno ed il 29 Settembre.

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DOVE DORMIRE (clicca qui per vedere)
COME RAGGIUNGERE Solofra

In TRENO

Vi si trova l'omonima Stazione Ferroviaria sulla Ferrovia Cancello-Avellino, situata in una posizione periferica rispetto al Centro Abitato. In passato, ha avuto grande importanza, poiché la Ferrovia rappresentava il mezzo di trasporto più veloce per raggiungere gli altri centri, inoltre, contava su un buon traffico di viaggiatori ed un discreto traffico merci (legato perlopiù all'attività conciaria). Questa situazione favorevole cambiò con l'avvento del trasporto su gomma che consentiva ai viaggiatori e alle merci di giungere, con maggiore comodità, nei punti di destinazione e, alla fine degli anni 1960, si ebbe così, una diminuzione, sia nel traffico passeggeri che nel traffico merci. In seguito al Terremoto del 1980, l'Edificio della Stazione fu demolito e sostituito da un fabbricato. Negli anni 1990, lo Scalo Merci venne chiuso e la Stazione abbandonata all’oblio; nonostante questo, attualmente la Stazione di Solofra può comunque contare su un numero sufficiente di Viaggiatori che si servono della Ferrovia, per raggiungere i centri maggiori di Avellino, Salerno e Benevento.

Roma > Salerno
Salerno > Solofra
In AUTOBUS

Il Trasporto Pubblico Extraurbano è costituito dalla Rete di Autobus AIR, che collega il Comune ad Avellino e Provincia e con l'Università degli Studi di Salerno. (clicca sul logo)
In aggiunta ai mezzi dell'AIR vi sono gli Autobus della SITA (che svolgono regolare servizio di trasporto, locale ed a lunga percorrenza, nella Provincia di Salerno ed in tutta la Campania) (clicca sul logo)

e quelli privati della Leonetti e Gallucci (che collegano Solofra a Mercato San Severino (SA) e Nocera Inferiore (SA) (clicca sul logo)
In AUTOMOBILE

Uscita Autostradale di Solofra sul Raccordo Autostradale di Avellino
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Whatsapp: +39 348.2249595


Commenti

Giggs ha detto…
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Giuseppe Cocco ha detto…
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